Cassazione Civile, 17 maggio 2013, n. 12089 - Aggressione ad una guardia giurata durante il servizio notturno di vigilanza e pattugliamento: pretesa responsabilità di un datore di lavoro





Fatto



G.P. impugnava la sentenza del Tribunale di Latina che aveva respinto la sua domanda volta al risarcimento del danno biologico ex art. 2087 c.c., non ravvisando alcuna colpa a carico del datore di lavoro nell'infortunio da lui subito il 20 luglio 1996, alle ore 4,45 circa, mentre svolgeva il servizio notturno di vigilanza e pattugliamento (in qualità di guardia particolare giurata) nella zona di Aprilia, dove si stava svolgendo la festa del partito della "Rifondazione Comunista", allorquando venne aggredito e malmenato da alcuni giovani i quali, in precedenza, avevano speronato l'auto di servizio su cui si trovava il P., costringendolo a fermarsi.

A seguito delle percosse subite, l'appellante deduceva di avere riportato lesioni permanenti nella misura del 20% per danno biologico, con 30 giorni di invalidità totale e 15 di invalidità parziale, come accertato a seguito di c.t.u. svolta in prime cure. Deduceva che il Tribunale aveva erroneamente rigettato il ricorso per la ragione che l'infortunio occorso all'odierno appellante era stato determinato da un fatto-reato commesso da terzi, senza che al datore di lavoro potesse addebitarsi alcun tipo di responsabilità. L'appellante evidenziava l'erroneità della pronuncia.

Si costituivano in giudizio la società datrice di lavoro e la Milano Assicurazioni (chiamata in garanzia dal datore di lavoro) resistendo al gravame.

L'appellante censurava la sentenza in oggetto sotto vari profili: anzitutto lamentava il mancato esercizio dei poteri istruttori di ufficio da parte del primo giudice; evidenziava inoltre come il Tribunale avesse rigettato la domanda sebbene il datore di lavoro non avesse adottato tutte le cautele necessarie ad evitare l'evento dannoso, non avendo, in particolare, inviato altre guardie particolari giurate sul luogo, per coadiuvare il P..

La Corte d'appello di Roma, con sentenza depositata il 13 giugno 2008, rigettava il gravame e compensava le spese.

Per la cassazione propone ricorso il P., affidato a due motivi.

Resiste la Milano Assicurazioni s.p.a., mentre il datore di lavoro è rimasto intimato.

Diritto



1.-Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. degli artt. 2087 e 1218 c.c., oltre ad omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, ex art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.

Lamenta in sostanza il ricorrente che l'art. 2087 c.c., configurando una responsabilità contrattuale, impone al lavoratore danneggiato solo di dimostrare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto, il danno subito e la sua riconducibilità al titolo dell'obbligazione, mentre grava sul datore di lavoro l'onere di aver adottato ogni cautela al fine di evitare il danno, o che lo stesso è derivato da causa a lui non imputabile.

Deduce che nella specie, nell'evento chiamato a presidiare, alcuni giovani già avevano aggredito due persone all'interno del parco, sicché l'azienda avrebbe dovuto attivarsi per predisporre ulteriori misure di sicurezza.

2. Il motivo è infondato.

Ed infatti, seppure è vero che in ipotesi di lesioni occorse al dipendente durante lo svolgimento del suo lavoro, è sufficiente che questi dimostri l'esistenza del rapporto di lavoro, il danno subito ed il nesso causale con le mansioni svolte (oltre, ove necessario, le regole di condotta che assume essere state violate, Cass. 12 marzo 2003 n. 3622; Cass. 7 novembre 2000 n. 14469), mentre grava sul datore di lavoro la prova di aver adottato le misure idonee, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, a tutelare l'integrità fisica e morale del prestatore di lavoro (art. 2087 c.c.), è altrettanto vero che tale norma non prevede un'ipotesi di responsabilità oggettiva, presupponendo sempre una colpa del datore di lavoro (ex plurimis, Cass. 7 agosto 2012 n. 14192; Cass. 3 agosto 2012 n. 13956; Cass. 17 aprile 2012 n. 6002; Cass. 17 febbraio 2009 n. 3785).

Deve al riguardo ribadirsi il principio già enunciato da questa S.C. (Cass. 5 dicembre 2001 n. 15350), secondo cui con riferimento alla tutela dell'integrità fisiopsichica dei lavoratori dipendenti dalle aggressioni conseguenti all'attività criminosa di terzi, l'ampio ambito applicativo dell'art. 2087 cod. civ. non può essere dilatato fino a comprendervi ogni ipotesi di danno, sull'assunto che comunque il rischio non si sarebbe verificato in presenza di ulteriori accorgimenti di valido contrasto, perché in tal modo si perverrebbe all'abnorme applicazione di un principio di responsabilità oggettiva ancorata al presupposto teorico secondo cui il verificarsi dell'evento costituisce circostanza che assurge in ogni caso ad inequivoca riprova del mancato uso dei mezzi tecnici più evoluti del momento, atteso il superamento criminoso di quelli in concreto apprestati dal datore di lavoro.

Nella specie, come evidenziato dalla Corte di merito, il P. non ha affatto evidenziato in cosa fosse consistita la colpa della datrice di lavoro, limitandosi a dedurre che precedentemente (senza neppure chiarire se la stessa notte o in giorni precedenti), vi furono delle aggressioni all'interno del parco ove sì svolgeva la "festa" di partito in questione.

I giudici di appello, nell'evidenziare che nella specie, il danno derivò esclusivamente dal fatto (penalmente) illecito ed imprevedibile di terzi, tale da porsi come causa esclusiva dell'evento dannoso, hanno incontestatmente accertato che il P. nel ricorso introduttivo del giudizio nulla dedusse circa la colpa della datrice di lavoro, risultando pertanto la deduzione del possibile invio di altra/e pattuglia/e inammissibile in quanto esposta solo in grado di appello.

Hanno comunque ed inoltre accertato che, oltre all'arma di servizio in possesso del P., la sua auto era dotata di apparecchio radio, con cui egli stesso chiese ed ottenne l'intervento dei Carabinieri, mentre dalle testimonianze raccolte, non risultava che egli avesse chiamato la centrale operativa dell'Istituto di Vigilanza. Tali accertamenti non hanno formato oggetto di specifiche censure da parte del ricorrente.

2. Con il secondo motivo il P. denuncia la violazione e falsa applicazione, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. degli artt. 2087 e 1218 c.c., oltre ad omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, ex art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.

Lamenta l'erronea motivazione della Corte di merito in ordine all'esclusione di responsabilità del datore di lavoro nell'ipotesi in cui il danno venga provocato da una condotta illecita di terzi, peraltro erroneamente valutando le risultanze testimoniali di causa. Deduce che secondo la giurisprudenza di legittimità, l'imprenditore è tenuto ad evitare, e ne è dunque responsabile, anche i danni provocati dall'azione di terzi.

Il motivo è in parte inammissibile, laddove richiede alla Corte una diversa valutazione delle circostanze di fatto e delle risultanze istruttorie, e per il resto infondato.

Ed infatti, seppure è vero che la giurisprudenza di legittimità ha affermato che può sussistere (cfr. tuttavia, contra: Cass. n. 25883\08; Cass. n. 15350\01; Cass. n. 11710\98) la responsabilità del datore di lavoro, ex art. 2087 c.c., anche laddove l'evento dannoso sia derivato dall'azione, anche delittuosa, di terzi, è altrettanto vero che il fondamento della responsabilità è sempre stato ravvisato in un elemento colposo di questi, così come, nel caso della rapina, allorquando pur a fronte di ripetuti e denunciati episodi criminali, la datrice di lavoro non abbia adottato alcuna misura idonea ad evitare il danno (cfr. Cass. n. 21479\05; Cass. n. 8230\03; Cass. n. 14469\00).

Basandosi il motivo di ricorso sull'erroneo presupposto di una responsabilità del datore di lavoro comunque sussistente anche in ipotesi di fatto delittuoso di terzi, esso risulta infondato.

4. Il ricorso deve pertanto rigettarsi.

Le spese del presente giudizio di legittimità, nei confronti della parte costituita, seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Nulla per le spese quanto alla parte rimasta intimata.

P.Q.M.


Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, in favore della Milano Assicurazioni s.p.a., che liquida in €.40,00 per esborsi, €.2.500,00 per compensi, oltre accessori di legge. Nulla per le spese quanto alla parte rimasta intimata.