Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 15 gennaio 2010, n. 1841 - Infortunio mortale durante i lavori di pulitura della tramoggia e omissione di un datore di lavoro della necessaria segnaletica: ruolo di un RSPP




REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MOCALI Piero - Presidente -
Dott. CAMPANATO Graziana - Consigliere -
Dott. BRUSCO Carlo G. - Consigliere -
Dott. LICARI Carlo - rel. Consigliere -
Dott. ROMIS Vincenzo - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza


sul ricorso proposto da:
1) S.S. N. IL (Omissis);
avverso la sentenza n. 9202/2007 CORTE APPELLO di NAPOLI, del 29/04/2008;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 16/12/2009 la relazione fatta dal Consigliere Dott. LICARI CARLO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. DE SANDRO Anna  Maria, che ha concluso per l'annullamento con rinvio;
Udito il difensore Avv. Fadecola G., il quale ha concluso chiedendo l'accoglimento dei motivi di ricorso.


FattoDiritto


S.S., con sentenza del 16/5/2007, è stato condannato alla pena di mesi 6 di reclusione dal G.I.P. del Tribunale di Avellino, in quanto ritenuto colpevole del delitto di omicidio colposo avvenuto in data (Omissis) in danno dell'operaio-dipendente C.G., per avere l'imputato, nella qualità di datore di lavoro e amministratore unico della Calcestruzzi Irpina s.p.a., omesso di adottare efficienti sistemi di sicurezza atti a segnalare in modo inequivoco la presenza di persone operanti all'interno di una tramoggia (cioè, di una vasca di immissione di materiale calcareo) e, in tal modo, cagionato a detto operaio, che si era introdotto nel vano inferiore della vasca per effettuarne lavori di pulizia, la morte in conseguenza della rovinosa caduta sul suo corpo di pietre ed altro materiale, versato dall'alto dai colleghi di lavoro attraverso la bocca superiore.

Il giudice di primo grado ha ritenuto provata la materialità del fatto ascritto al S., in quanto la vittima, come riscontrato anche dalle testimonianze dei colleghi di lavoro, si era attenuta alla procedura prevista formalmente nel documento di sicurezza, elaborato da un consulente esterno alla società, ove era prescritto che, al fine di effettuare i lavori di pulitura della tramoggia, l'operaio addetto facesse ingresso dal basso nella vasca e vi permanesse fino a che non fosse esaurita l'attività programmata.

Poichè, al fine di eliminare i rischi di infortunio inerenti a tale attività, era stato tuttavia adottato un sistema di sicurezza rudimentale ed insufficiente, perchè non rispettoso del principio della massima riduzione dei rischi dettato dal D.Lgs. n. 626 del 1994, l'evento mortale, collegato eziologicamente alla mancata osservanza di quel principio, è stato dal primo giudice addebitato al datore di lavoro, cioè al S., in quanto titolare della posizione di garanzia al quale incombeva per legge l'obbligo di adottare le misure di sicurezza adeguate alla situazione concreta.

Tali misure di sicurezza erano in sentenza individuate, sulla scorta del parere espresso al riguardo dal consulente tecnico del P.M., nell'apposizione di segnali luminosi e sonori, poichè idonei ad impedire, con efficacia preventiva più valida di quanto non fosse il rudimentale sistema dell'apposizione di due assi di legno sulla grata superiore della tramoggia, l'eventualità di uno scarico di materiale all'interno della bocca superiore della tramoggia stessa. Avverso tale sentenza ha proposto appello il S. e, con sentenza del 29/4/2008, la Corte di Appello di Napoli ha deciso di riformare parzialmente quella resa in primo grado, procedendo alla sostituzione della pena detentiva inflitta con quella pecuniaria della specie corrispondente, con revoca del beneficio della sospensione condizionale della pena, mentre, nel resto, ha deciso di respingere il gravame.

Avverso tale ultima decisione l'imputato propone ora ricorso per cassazione, articolato in due libelli a firma dei rispettivi difensori di fiducia.

Con il libello, a firma dell'avv. Aufiero G., il ricorrente lamenta, sotto il duplice profilo dell'erronea applicazione della legge e del vizio logico della motivazione, che i giudici di secondo grado non avessero considerato che, con il rilascio, con atto scritto, di una delega al "direttore di cava", il datore di lavoro aveva effettuato legittimamente il definitivo e pieno passaggio delle funzioni in materia di sicurezza a detto soggetto qualificato e capace, conseguendone l'esonero da ogni responsabilità per l'eventuale violazione degli obblighi imposti dalla legge in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro.

Con il libello a firma dell'avv. G. Iadecola, viene, sotto il medesimo duplice aspetto, censurata l'impugnata sentenza nella parte in cui viene indicata, come condotta alternativa, doverosamente esigibile dall'imputato, l'apprestamento di un sistema di segnalazione acustica e visiva, la cui applicabilità a fini antinfortunistici al settore delle attività estrattive delle cave veniva affermata dai giudici del gravame senza allegare alcuna concreta dimostrazione tecnico - scientifica, eventualmente acquisibile per mezzo di un supplemento di perizia, ma ricorrendo all'inappropriato concetto del fatto "notorio", nel senso che è patrimonio di conoscenza generale la prassi in uso da tempo di utilizzare sistemi di segnalazione attivabili elettricamente o elettronicamente.

Altra censura riguarda la valutazione resa nella sentenza impugnata circa l'inidoneità del sistema di prevenzione adottato dall'imputato, in quanto sarebbe stata trascurata la circostanza che quel sistema prevedeva, oltre alla collocazione di due assi di legno al fine di indicare che erano in corso lavori all'interno della vasca, anche l'ulteriore presidio consistente nella obbligatoria partecipazione alle operazioni di due operai, al fine di ottenere un duplice livello di attenzione, nell'evenienza di occasionali cali di prudenza da parte di uno di essi.

L'analisi solo parziale dell'intero assetto dei presidi di sicurezza nel luogo di lavoro avrebbe, secondo il ricorrente, condizionato negativamente la verifica di adeguatezza eseguita dalla Corte territoriale, orientandola erroneamente verso il convincimento dell'esclusiva responsabilità del datore di lavoro, quando, invece, sarebbe evidente l'acquisizione della prova contraria, cioè che la condotta della persona offesa, consistita nell'omessa collocazione delle assi di legno sulla tramoggia e nella mancata attesa del secondo operaio, si connotava di profili di insensatezza ed abnormità, tali da proporsi come antecedente causale eccezionale ed imprevedibile e, quindi, rilevante in modo esclusivo nella produzione dell'evento mortale: il che sarebbe stato, secondo il ricorrente, illogicamente disconosciuto nella sentenza impugnata.

I motivi di ricorso non sono meritevoli di accoglimento.

Ferma restando la prova, perchè ritenuta dai giudici di merito pacificamente acquisita, sulla materialità del fatto e sul rapporto di causalità tra violazione della normativa antinfortunistica ed evento, le doglianze proposte nell'interesse del ricorrente sulla questione dell'attribuzione della condotta colposa non colgono, infatti, nel segno.

Nella fattispecie, i giudici di merito hanno affermato la responsabilità penale del datore di lavoro, incentrando la loro attenzione sul rilievo tecnico con il quale il consulente del P.M. aveva evidenziato l'agevole possibilità di ridurre al massimo i rischi di caduta dall'alto di materiale pietroso con l'adozione, con costi esigui, di sistemi elettronici di rilevazione della presenza di operai all'interno della tramoggia e di segnalazione luminosa ed acustica all'esterno, essendo tale tipologia di sistemi, connotati da caratteristiche tecniche di semplice installazione e di diffusa e sperimentata applicazione da tempo in vari settori di impiego, idonea tecnicamente a prevenire, nel modo più efficace, anche eventuali disattenzioni o imprudenze dei lavoratori addetti, come il C., alla pulizia all'interno della tramoggia.

In tal modo procedendo, i giudici di merito hanno finito per accogliere il principio giuridico secondo cui, tra i destinatari iure proprio delle norme dettate in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro dal D.P.R. n. 547 del 1955, è compreso, primo tra altri, il datore di lavoro e che tra gli oneri e le responsabilità, a quest'ultimo incombenti in materia di sicurezza del lavoro, è compreso quello di non discostarsi dall'obbligo della massima riduzione dei rischi nell'ambiente di lavoro dettato dal D.Lgs. n. 626 del 1994: a meno che, da parte del titolare dell'impresa, sia avvenuta, non soltanto la nomina nel ruolo di garante delle misure di sicurezza di persona qualificata e capace, ma anche il trasferimento alla stessa di tutti i compiti di natura tecnica, con le più' ampie facoltà di iniziativa e di organizzazione anche in materia di prevenzione degli infortuni, con il conseguente esonero, in caso di incidente, da responsabilità penale del datore di lavoro.

Ma, la prospettazione difensiva di un consimile totale trasferimento tout court di oneri e responsabilità al "direttore di cava", D.M., è stata correttamente disattesa nella sentenza impugnata, avendo i giudici di merito considerato che il documento prodotto dalla difesa non poteva svolgere la funzione di delega utile ai fini dell'esenzione del datore di lavoro da responsabilità, trattandosi di delega al predetto D. limitata all'esecuzione delle misure di sicurezza e all'attività di sorveglianza circa il loro rispetto, e non certamente estesa anche all'osservanza dell'obbligo dell'individuazione dei fattori di rischio e delle misure di prevenzione da adottare all'interno dell'azienda.

Vero è che il datore di lavoro, ai sensi del disposto di cui al D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4, comma 4, lett. a), può designare un responsabile del servizio di prevenzione e protezione e che i compiti di detto responsabile sono dettagliatamente elencati nel successivo art. 9 e, tra essi, rientra l'obbligo dell'individuazione dei fattori di rischio e delle misure di prevenzione da adottare. Ma è, tuttavia, indubbio che, nel fare ciò, il responsabile del servizio opera per conto del datore di lavoro, il quale è persona che giuridicamente si trova nella posizione di garanzia, poichè l'obbligo di effettuare la valutazione e di elaborare il documento contenente le misure di prevenzione e protezione, in collaborazione con il responsabile del servizio, fa capo al datore di lavoro in base al cit. D.Lgs., art. 4, commi 1, 2 e 6.

Il responsabile del servizio di prevenzione e protezione è, in altri termini, una sorta di consulente del datore di lavoro ed i risultati dei suoi studi e delle sue elaborazioni, come pacificamente avviene in qualsiasi altro settore dell'amministrazione dell'azienda, vengono fatti propri dal datore di lavoro che lo ha scelto, con la conseguenza che quest'ultimo delle eventuali negligenze del primo è chiamato comunque a rispondere.

Quanto sopra vale a destituire di giuridico fondamento l'assunto del ricorrente che, nella fattispecie, la delega affidata al "direttore di cava" sarebbe valsa giuridicamente anche a sostituire il datore di lavoro nel compito di decidere se e quali misure di sicurezza dovevano essere adottate nell'ambito aziendale e, quindi, potesse, di per sè, rendere esente da responsabilità il datore di lavoro.

Solo entro i limiti meramente esecutivi e di sorveglianza sopra precisati il "direttore di cava", a carico del quale è, peraltro, in corso un parallelo procedimento penale, potrà, eventualmente, essere chiamato a rispondere di concorso colposo nella produzione del medesimo evento infortunistico, in relazione, comunque, a comportamenti omissivi del tutto differenti rispetto a quelli che in questo processo al S., in qualità di datore di lavoro, sono stati contestati ed accertati nella loro effettiva sussistenza.

In relazione, poi, alla censura che, nel contestare il giudizio di inadeguatezza del sistema di prevenzione adottato in concreto per l'evenienza di interventi di pulizia da eseguirsi all'interno della tramoggia, pone l'accento sull'improprietà del richiamo dei giudici di merito al concetto del fatto notorio per accreditare il contrario giudizio di idoneità dell'alternativo sistema di segnalazione affidato ad impianti ad attivazione elettronica, va ex adverso rilevato quanto segue.

Innanzitutto, persuasiva e congrua appare l'articolata motivazione esposta dai giudici di merito per dimostrare l'insufficiente efficacia, ai fini della prevenzione del pericolo per l'incolumità dell'operaio che si fosse cimentato, come il C., in lavori di pulizia all'interno della tramoggia, del sistema adottato in concreto dal datore di lavoro, posto che l'apposizione di due assi di legno sulla grata superiore della tramoggia, oltre a non recingere di fatto l'intero margine della vasca, costituiva un ostacolo di scarsa consistenza, potendo le assi essere rimosse da urti accidentali o da altri agenti esterni, come, nella specie, è avvenuto.

In secondo luogo, la soluzione alternativa proposta in sentenza non costituisce, come sostenuto in ricorso, una sorta di escamotage alla quale i giudici di merito hanno fatto ricorso sulla scorta di soggettive opinioni non suffragate da studi scientificamente validi e, in quanto tali, non accreditabili probatoriamente, posto che detta soluzione è stata, a ragion veduta, mutuata dal parere tecnico espresso sul punto dal consulente del P.M., essendo evidente il minore margine di rischio assicurato da un sistema, immune da condizionamenti esterni, come quello proposto di rilevazione elettronica della presenza dell'operaio all'interno della vasca e di segnalazione all'esterno mediante allarmi luminosi od acustici.

Che tale sistema fosse doverosamente esigibile da parte del datore di lavoro, è questione che non è stata sottoposta a specifica critica in ricorso e, comunque, resta ferma la correttezza della dimostrazione all'uopo esposta dai giudici di merito, i quali hanno fatto appropriato richiamo all'obbligo giuridico, incombente sul datore di lavoro, di ridurre al massimo possibile il rischio connesso ad aspetti delle attività aziendali, foriere di pericolo per la salute dei lavoratori dipendenti.

Nel contesto di tale apparato motivazionale il richiamo che i giudici di merito hanno fatto al "fatto notorio", non si ritiene che abbia svolto il ruolo negativo attribuitogli in ricorso, avendo, al contrario, i requisiti della notorietà del fatto - la cui conoscenza cioè fa parte della cultura normale della generalità delle persone nel contesto storico attuale - il dato non congetturale, ma empiricamente riconosciuto e generalmente accettato, che i sistemi di rilevazione della presenza di persone negli ambienti più disparati (anche quelli ove si svolgono attività produttive o, comunque, lavorative) mediante telecamere o altre apparecchiature attivabili elettricamente o elettronicamente, sono di uso generalizzato e assicurano, mediante allarmi luminosi od acustici, il controllo più efficace, sulla scorta dell'"id quod plerumque accidit", per impedire che quella presenza non sfugga all'attenzione altrui, senza subire interferenze dalle eventuali condotte disattente od imprudenti della stessa persona soggetta al controllo.

Di siffatta convincente e congrua spiegazione l'imputato sembra non volere avere considerazione, allorchè in ricorso tenta di trarre conclusioni a sè favorevoli dalla ipotesi - virtualmente formulata, ma non verificatasi nella realtà - che, nel caso di specie, l'imprudenza della vittima avrebbe, per la sua esorbitanza ed imprevedibilità, interrotto il nesso di causalità tra la condotta riprovevole contestata al titolare della posizione di garanzia e l'evento infortunistico. E' sufficiente, per dimostrare l'infondatezza della tesi difensiva, osservare che la normativa antiinfortunistica mira a salvaguardare l'incolumità del lavoratore non solo dai rischi derivanti da incidenti o fatalità, ma anche da quelli che possono scaturire dalle sue stesse disattenzioni, imprudenze o disubbidienze alle istruzioni ricevute, purchè connesse allo svolgimento dell'attività lavorativa.

Sussistendo questa ipotesi, è affermato dalla giurisprudenza consolidata di questa Corte il principio che, in caso di infortunio sul lavoro originato dall'assenza o inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia esimente può essere attribuita al comportamento del lavoratore infortunato, che eventualmente abbia dato - come è stato peraltro riconosciuto nella sentenza impugnata - concausa all'evento, quando questo, comunque, sia da ricondursi anche alla mancanza od insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare il rischio di siffatto comportamento.

Alla stregua di tale principio, posto che il C. svolgeva all'interno della tramoggia lavori prodromici e, comunque, attinenti al ciclo produttivo dell'azienda - di cui era amministratore unico il S. - il rilievo difensivo contenuto nel ricorso non ha ragion d'essere, non potendosi la condotta della vittima - anche nel caso sia riconosciuta imprudente ed efficiente, quale concausa, nel determinismo dell'evento mortale anche per effetto della mancata attesa del secondo operaio - considerare imprevedibile e tale da interrompere il rapporto di causalità, essendo l'evento, nel caso concreto, riconducibile comunque all'omissione, da parte dell'imputato, della condotta doverosa di impedire, con l'apprestamento di sistemi di sicurezza tecnicamente efficienti, che il lavoratore fosse colpito mortalmente da eventuali colate di materiale pietroso, scaricato dalla sua bocca superiore dall'alto della tramoggia dai compagni di lavoro, inconsapevoli della situazione altamente pericolosa venutasi a creare.

Consegue da tutto ciò che il ricorso è destinato ad essere rigettato, conseguendone per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.




P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, nella Udienza pubblica, il 16 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2010