Cassazione Civile, Sez. Lav., 07 giugno 2013, n. 14468 - Reparto di radiologia e malattia contratta per esposizione a radiazioni


 

 

 

 

Fatto



Il Tribunale di Roma, accogliendo il ricorso proposto da C.N., condannò l'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, di cui la ricorrente era stata dipendente, al risarcimento dei danni biologico e morale conseguente alla patologia contratta (carcinoma mammario) e l'Assitalia - Le Assicurazioni d'Italia spa alla rifusione all'Ospedale di quanto quest'ultimo avrebbe pagato alla ricorrente nella misura del 55%.

Con sentenza del 28.10.2008 - 28.10.2009, la Corte d'Appello di Roma ha rigettato il gravame della parte datoriale e, in accoglimento di quello spiegato dalla Società assicuratrice, ha rigettato l'originaria domanda proposta nei confronti di quest'ultima. A sostegno del decisum la Corte territoriale ha ritenuto quanto segue:

- la C., già dipendente dell'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, aveva svolto, per oltre un ventennio, mansioni di tecnico e poi di capotecnico del reparto di radiologia; nel luglio del 1989 le era stato rilevato un carcinoma mammario, a cui era seguito intervento chirurgico e chemioterapia, con successive metastasi che l'avevano resa invalida; con sentenza del 16.11.2001 (passata in giudicato), il Tribunale di Roma aveva accertato la natura professionale della patologia sopra indicata, ritenendo sussistente il nesso di causalità tra l'attività di lavoro e la malattia contratta, con accertamento di una riduzione della capacità lavorativa del 100%, con conseguente diritto a rendita;

- la suddetta sentenza, accertativa della natura professionale della malattia posta a fondamento della presente controversia, costituiva elemento di sicura rilevanza nella valutazione della rapportabilità dell'evento patologico alla attività di lavoro;

- quanto alla specifica responsabilità datoriale, doveva rilevarsi che la pregressa patologia di radiotermite, riscontrata nella C., con data certa, sin dal 1990 (dai medici dell'lnail), messa in corrispondenza con il cattivo funzionamento dei macchinari in uso presso il reparto di radiologia (essendo in atti lettere, risalenti al 1989, 1990, 1992-93, a firma dei primari del reparto, di segnalazione di guasti e di emissione eccessiva di radiazioni da parte dei macchinari), era indice di sicura conoscenza o, quantomeno, di facile conoscibilità di una situazione a rischio, che il datore di lavoro aveva l'onere di prevedere e garantire da possibili conseguenze negative;

- l'art. 2087 c.c. impone al datore di lavoro di adottare tutte le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica, e la personalità morale dei prestatori di lavoro, ed agisce come norma di chiusura del sistema di previsioni legislative messe in campo per la tutela della persona del lavoratore; tale norma impone al datore di lavoro anche l'obbligo di valutare e prevenire possibili rischi, naturalmente sulla base delle conoscenze, esperienze e tecniche maturate ed a lui astrattamente ricollegabili, tali da individuare tutte le necessità concrete, utili alla salute ed alla integrità psico-fisica del lavoratore; il datore di lavoro è quindi tenuto ad individuare tutte le situazioni di specifico rischio, anche al di là dell'osservanza delle singole misure dettate da legislazioni speciali, evidentemente non sempre sufficienti a regolare il caso concreto;

- pertanto il datore di lavoro deve provare di aver fornito ed adottato tutte le misure necessarie a garantire il prestatore di lavoro, con ciò intendendosi non soltanto le misure direttamente previste da eventuali disposizioni vigenti nella materia, ma anche le misure che, in concreto, la fattispecie presenti come necessarie, e siano, al contempo, nella disponibilità (considerata in astratto), di conoscenze, di tecniche e di esperienza del datore di lavoro e della categoria imprenditoriale a cui lo stesso appartiene; quindi il datore di lavoro ha l'obbligo di adottare tutte le misure che, in campo scientifico, tecnico e di comune esperienza siano utili a prevenire ed evitare rischi legati a quella prestazione di lavoro, ovvero a sue specifiche modalità attuative;

- nel caso di specie l'Ospedale non aveva fornito alcuna prova nel senso suddetto, né aveva inserito nel processo alcun elemento di contrasto per controbattere alle allegazioni documentali dì parte avversa;

- in ordine all'interpretazione delle clausole della polizza di assicurazione stipulata tra l'Assitalia e l'Ospedale, doveva rilevarsi che l'Appendice alle Condizioni Generali, RC Fonti Radioattive, faceva espresso riferimento soltanto a danni cagionati a "terzi" ed in tale categoria non era possibile annoverare i dipendenti dell'Ospedale, già espressamente considerati da altra clausola contrattuale; infatti l'art. 1 delle Condizioni Generali di assicurazione prevedeva, nelle due ipotesi delle lettere A) e B), rispettivamente, la "responsabilità verso terzi" e la "responsabilità verso i prestatori di lavoro" e in tale ultima previsione l'Assitalia si obbligava a tenere indenne l'Ospedale da quanto questi fosse tenuto a pagare per i danni sofferti dai dipendenti per gli "infortuni - escluse le malattie professionali"'; tale specificazione della norma contrattuale, attestativa di responsabilità per i soli infortuni che riguardassero i dipendenti, con esclusione delle malattie professionali, non lasciava dubbi circa la voluta circoscrizione ai soli infortuni occorsi ai dipendenti, cosicché le malattie professionali (per le quali era operativa la disciplina e la tutela fornita dall'lnail), restavano escluse dalla previsione della polizza in questione; ciò non poteva ritenersi contrastato dall'Allegato RC Fonti Radioattive, espressamente riguardante la responsabilità verso "terzi" non confondibili, per le predette ragioni interpretative, con i dipendenti, poiché se invece le parti contrattuali avessero voluto ampliare la copertura assicurativa anche a responsabilità da fonti radioattive per i dipendenti avrebbero espressamente indicato, come fatto nelle Condizioni Generali, questi ultimi accanto ai "terzi".

Avverso l'anzidetta sentenza della Corte territoriale, l'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù ha proposto ricorso per cassazione fondato su otto motivi e illustrato con memoria.

M.G., M.P., M.R., quali eredi di C.N.M.V., hanno resistito con controricorso.

La Generali Business Solutions s.c.p.a, quale mandataria e rappresentante della Ina Assitalia spa, ha resistito con controricorso.



Diritto





1. Con il primo motivo il ricorrente, denunciando violazione di plurime norme di legge (artt. 2087, 1218, 1223,1176 c.c.) e deducendo che spetta al lavoratore allegare l'inadempimento della parte datoriale, si duole che la Corte territoriale abbia ritenuto la responsabilità di esso ricorrente solo in quanto sarebbe stata confermata un'esposizione a radiazioni (peraltro al disotto dei limiti di legge) e l'insorgenza di una malattia, trascurando qualsiasi analisi sulla violazione da parte del datore degli obblighi di prevenzione stabiliti dalla legge o dallo sviluppo tecnologico; in particolare la sentenza richiamata dalla Corte territoriale, resa nel giudizio fra la lavoratrice e l'Inail, non poteva avere alcuna valenza ai fini della prova sulla sussistenza del nesso di causalità necessario per configurare la responsabilità ai sensi dell'art. 2087 c.c., in quanto tale giudizio non aveva avuto ad oggetto la verifica del collegamento eziologico tra condotta datoriale (vietata) e malattia, ma, al più, tra la prestazione lavorativa, che poteva intrinsecamente contenere dei fattori di rischio nonostante tutte le cautele adottate dal datore di lavoro, e la malattia; per contro la responsabilità colpevole del datore di lavoro poteva ravvisarsi solo in caso di esposizione vietata dalla normativa di riferimento; al contempo doveva rilevarsi l'irrilevanza della radiodermite al fine della prova del nesso causale; doveva inoltre ritenersi che sarebbe stato possibile configurare una responsabilità datoriale solo qualora fossero state violate norme di legge o tecniche utilizzate dai datori di lavoro della medesima categoria professionale; nel caso specifico il nosocomio aveva rispettato ogni prescrizione di legge e di cautela; le missive ricordate, risalenti al 1989, 1990, 1992-93 e a firma dei primari del reparto, non potevano ritenersi idonee a provare la colpevolezza e la noncuranza dell'Ospedale.

Con il secondo motivo, denunciando vizio di motivazione, il ricorrente si duole che la Corte territoriale, in relazione alla natura multi eziologica della malattia, non abbia tenuto conto di altri fattori, quali l'età e i livelli ormonali della lavoratrice, nonché dell'attività lavorativa espletata dalla medesima, sempre in un reparto di radiologia, prima della sua assunzione da parte di esso ricorrente.

Con il terzo motivo, denunciando violazione di plurime norme di legge (artt. 1218, 1223, 1176, 2087, 2697 c.c. e 115 c.p.c.) e ricollegandosi ad argomentazioni già svolte nel primo, il ricorrente si duole che la Corte territoriale non abbia tenuto conto che esso ricorrente aveva provato il rispetto di ogni obbligo di legge ed altresì una particolare attenzione nel garantire standard di sicurezza adeguati, documentando livelli di esposizione sempre largamente inferiori alla dose massima ammessa dalla legge, onde non era dato comprendere cosa avrebbe dovuto far di più per proteggere la lavoratrice.

Con il quarto motivo, denunciando vizio di motivazione e ancora ricollegandosi ad argomentazioni già svolte nel primo, il ricorrente deduce che i malfunzionamenti di cui alle missive ricordate dalla Corte territoriale non potevano avere avuto alcuna rilevanza nel caso di specie, sia alla luce delle testimonianze acquisite al riguardo, sia tenuto conto della data della prima di tali missive e del coevo insorgere del carcinoma a carico della lavoratrice.

Con il quinto motivo, denunciando violazione della normativa specifica in tema di esposizione a radiazioni (dpr n. 185/64 e dm 6.6.1968), il ricorrente si duole che la Corte territoriale non abbia attribuito alcun rilievo alla predetta normativa specifica e non abbia tenuto presente che esso ricorrente aveva sempre rispettato i limiti ivi stabiliti, dovendosi così escludere la possibilità di configurare qualsivoglia ipotesi di responsabilità colposa ai sensi dell'art. 2087 c.c..

Con il sesto motivo il ricorrente denuncia vizio di motivazione, dolendosi che la Corte territoriale non abbia motivato la ragione per cui le deduzioni e le prove offerte da esso ricorrente sarebbero state prive di fondamento, laddove, al contrario, era stato dimostrato il rispetto dei precetti di legge e il mancato raggiungimento delle soglie massime stabilite per l'esposizione a radiazioni.

Con il settimo motivo il ricorrente, denunciando nullità parziale della sentenza, violazione di norme di diritto e vizio di motivazione, si duole che la Corte territoriale, non tenendo in considerazione lo specifico motivo di gravame svolto al riguardo, non abbia affrontato la questione relativa all'applicabilità al caso di specie della polizza di assicurazione contro gli infortuni stipulata sempre con l'Assitalia (contraddistinta dal n. 73/50/819473/17 e successivamente modificata e integrata con diverse appendici), in luogo di quella relativa alla responsabilità civile (contraddistinta dal n. 73/60/828631/57).

Con l'ottavo motivo, svolto nell'ipotesi di rigetto del precedente, il ricorrente, denunciando violazione delle norme relative ai canoni dì ermeneutica (artt. 1362, 1362, 1367, 1369 e 1370 c.c.), si duole che la Corte territoriale abbia ritenuto che la polizza sulla responsabilità civile (contraddistinta dal n. 73/60/828631/57) non sarebbe stata applicabile al caso di specie, deducendo che, nella polizza R.C. Fonti radioattive, per terzi dovevano essere intesi gli estranei al rapporto assicurativo, ivi compresi quindi anche i dipendenti, e che, sempre in base alle condizioni particolari della polizza (e non a quelle generali), in difetto di esclusione al riguardo, anche le malattie professionali dovevano essere incluse tra gli eventi coperti.

2. I primi sei motivi di ricorso, fra loro connessi, possono essere esaminati congiuntamente.

2.1 Il ricorrente ha dedotto che alla sentenza resa nel giudizio fra la lavoratrice e l'Inail non poteva essere attribuita valenza probatoria della sussistenza del nesso di causalità necessario per configurare la sua responsabilità ai sensi dell'art. 2087 c.c., posto che quel giudizio aveva riguardato soltanto il collegamento tra la prestazione lavorativa e la malattia.

La censura, così come svolta, non coglie tuttavia nel segno, atteso che la Corte territoriale ha fatto riferimento alla predetta sentenza non già per fondarvi la responsabilità datoriale, ma al limitato scopo di inferirne la natura professionale della malattia, ossia la dipendenza dalla prestazione lavorativa svolta; circostanza che, sotto tale e limitato profilo, non è stata oggetto di specifica censura (avendo anzi il ricorrente riconosciuto che tale prestazione lavorativa poteva intrinsecamente contenere dei fattori di rischio nonostante tutte le cautele adottate dal datore di lavoro).

2.2 Piuttosto, secondo quanto già diffusamente esposto nello storico di lite, la Corte territoriale ha invece riconosciuto la responsabilità datoriale facendo riferimento alla pregressa patologia di radiotermite, riscontrata nella C. sin dal 1990, in corrispondenza con il cattivo funzionamento dei macchinari in uso presso il reparto di radiologia (secondo quanto risultante dalle richiamate lettere di segnalazione guasti e di emissione eccessiva di radiazioni da parte dei macchinari), derivandone la conoscenza o, quanto meno, la conoscibilità da parte del datore di lavoro di una situazione di rischio, che il medesimo avrebbe avuto l'onere di prevedere e garantire da possibili conseguenze negative.

Al contempo la Corte territoriale ha evidenziato come il datore di lavoro sia tenuto ad individuare tutte le situazioni di specifico rischio, anche al di là dell'osservanza delle singole misure dettate da legislazioni speciali, siccome non sempre sufficienti a regolare il caso concreto; tale impostazione deve ritenersi conforme all'orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui l'adempimento dell'obbligo di tutela dell'integrità fisica del lavoratore imposto dall'art. 2087 c.c. è un obbligo di prevenzione che impone al datore di lavoro di adottare non solo le particolari misure tassativamente imposte dalla legge in relazione allo specifico tipo d'attività esercitata e quelle generiche dettate dalla comune prudenza, ma anche tutte le altre misure che in concreto si rendano necessarie per proteggere il lavoratore dai rischi connessi tanto all'impiego d'attrezzi e macchinari quanto all'ambiente di lavoro, e deve essere verificato, nel caso di malattia derivante dall'attività lavorativa svolta, esaminando le misure in concreto adottate dal datore di lavoro per prevenire l'insorgere della patologia (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 17314/2004; 2444/2005; 6337/2012). Non appare quindi condivisibile l'assunto del ricorrente secondo cui il dedotto rispetto della normativa specifica di cui al dpr n. 185/64 e del dm 6.6.1968 (in vigore all'epoca dei fatti per cui è causa) escluderebbe la possibilità di configurare una sua responsabilità colposa ai sensi dell'art. 2087 c.c..

Né è condivisibile l'ulteriore doglianza secondo cui la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto delle emergenze probatorie asseritamente confermative del rispetto delle prescrizioni stabilite dalla ridetta normativa speciale, anche con riferimento ai livelli di esposizione massima consentita, avendo invece la sentenza impugnata rilevato, nei termini già indicati, l'esistenza di una concreta situazione di rischio dovuta all'emissione eccessiva di radiazioni da parte dei macchinari (con ciò implicitamente esprimendo la prevalenza, sotto il profilo probatorio, delle richiamate risultanze rispetto agli altri elementi di giudizio acquisiti) ed al contempo evidenziando, con rilievo che deve logicamente essere riferito alla situazione di rischio concretamente accertata, come il datore di lavoro non avesse fornito la prova di avere adottato tutte le misure utili a prevenire i rischi legati alla prestazione lavorativa. Il che appare giuridicamente conforme all'orientamento di questa Corte, secondo cui, stante la natura contrattuale della responsabilità ex art. 2087 c.c., una volta che il lavoratore abbia allegato e provato l'esistenza dell'obbligazione lavorativa, il danno ed il nesso causale di questo con la prestazione, è onere del datore di lavoro, in ottemperanza al disposto dell'art. 1218 c.c., provare che il danno è dipeso da causa a lui non imputabile e cioè di avere adempiuto al suo obbligo di sicurezza, apprestando tutte le misure per evitare il danno (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 21590/2008; 9817/2008; 4184/2006).

2.3 Non possono parimenti essere accolte le censure inerenti alla (pretesa) irrilevanza degli elementi di giudizio valorizzati dalla Corte territoriale, risolvendosi quella inerente alla radiotermite nell'enunciazione di considerazioni di carattere medico in relazione alle quali neppure viene indicata la fonte di eventuale acquisizione in giudizio ed essendo quella afferente alle lettere richiamate nella sentenza impugnata priva del requisito dell'autosufficienza, stante la mancata trascrizione in ricorso del loro contenuto. Del tutto generica e, come tale, inammissibile, risulta altresì la doglianza inerente alla dedotta omessa verifica di altre cause o concause nell'insorgenza della malattia, non essendo state neppure indicate le fonti probatorie dalle quali avrebbe dovuto desumersi che la pregressa attività lavorativa della C. si era svolta in un reparto di radiologia e, tanto meno, in base a quali elementi probatori avrebbe potuto ritenersi che a tale attività dovesse essere ricondotta la malattia.

Più in generale deve peraltro osservarsi che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la deduzione con il ricorso per cassazione di un vizio di motivazione non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito della vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, essendo del tutto estranea all'ambito del vizio in parola la possibilità, per la Corte di legittimità, di procedere ad una nuova valutazione di merito attraverso l'autonoma disamina delle emergenze probatorie; con la conseguenza che il vizio dì motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza e contraddittorietà della medesima, può dirsi sussistente solo qualora, nel ragionamento del giudice di merito, siano rinvenibile tracce evidenti del mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d'ufficio, ovvero qualora esista un insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l'identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 824/2011; 13783/2006; 11034/2006; 4842/2006; 8718/2005; 15693/2004; 2357/2004; 12467/2003; 16063/2003; 3163/2002); il che, per le ragioni già espresse, deve escludersi nel caso in esame, avendo la Corte territoriale specificamente indicato le fonti probatorie del proprio convincimento attraverso un percorso argomentativo immune da vizi logici.

2.4 I motivi all'esame, nei distinti profili in cui ai articolano, non possono quindi trovare accoglimento.

3. Il settimo motivo deve invece ritenersi fondato.

La Corte territoriale non ha infatti esaminato la questione (oggetto di censura) relativa all'applicabilità al caso di specie della polizza di assicurazione contro gli infortuni stipulata con l'Assitalia e contraddistinta dal n. 73/50/819473/17, limitando la sua indagine alla diversa polizza relativa alla responsabilità civile.

Né appare condivisibile l'assunto della controricorrente Generali Business Solutions s.c.p.a secondo cui non sarebbe configurabile il vizio di omessa pronuncia stante la novità e conseguente inammissibilità della domanda; risulta infatti dalla stesso controricorso che l'Ospedale, già nella memoria di costituzione di primo grado, aveva allegato la titolarità della polizza n. 73/50/819473/17 e dedotto, in relazione a tale polizza, che "L'evento de quo rientra dunque nell'oggetto dell'assicurazione e pertanto, nell'inconcessa ipotesi in cui trovasse conferma la ricostruzione dei fatti di causa esposta da controparte, del danno lamentato dovrebbe rispondere la società assicuratrice, oggi "Assitalia - Le Assicurazioni d'Italia" S.p.A. alla quale l'Ospedale ha presentato denuncia cautelativa a norma di contratto"; dal che discende che la questione dell'applicabilità di tale polizza era stata tempestivamente introdotta in causa fin dal primo grado di giudizio.

L'accoglimento del settimo motivo comporta l'assorbimento dell'ottavo, siccome svolto nell'ipotesi di rigetto del precedente.

4. In definitiva il ricorso merita accoglimento nei limiti testé indicati, con conseguente cassazione della sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvio, per nuovo esame, al Giudice designato in dispositivo, che provvedere altresì sulle spese del giudizio di cassazione.



P.Q.M.




Accoglie il settimo motivo di ricorso, dichiara assorbito l'ottavo e rigetta gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'Appello di Roma in diversa composizione.