Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 3, 18 giugno 2013, n. 26420 - Violazioni in materia di sicurezza e continuità normativa tra il D.Lgs. 626/94 e il D. Lgs. 81/08


 

 

 

 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TERESI Alfredo - Presidente -
Dott. FRANCO Amedeo - Consigliere -
Dott. MARINI Luigi - Consigliere -
Dott. ORILIA Lorenzo - rel. Consigliere -
Dott. GRAZIOSI Chiara - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza


sul ricorso proposto da:
F.A. N. IL (Omissis);
avverso la sentenza n. 42/2012 TRIBUNALE di CHIAVARI, del 16/03/2012;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 15/05/2013 la relazione fatta dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Pietro Gaeta che ha concluso per l'inammissibilità.

Fatto



1. Con sentenza 16.3.2012 il Tribunale di Chiavari ha dichiarato F.A. colpevole: a) del reato di cui all'art. 4, lett. A, modificato dal D.Lgs. n. 242 del 1996, in quanto nella sua qualità di datore di lavoro ometteva di nominare il responsabile del Servizio Prevenzione Aziendale secondo il disposto del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 8; b) del reato di cui al D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 12, comma 1, lett. B modificato dal D.Lgs. n. 242 del 1996 per avere omesso di designare i lavoratori incaricati di attuare le misure relative alla prevenzione incendi e lotta antincendi. In (Omissis). Ha quindi condannato l'imputato alla pena di Euro 2.500 per ciascun reato.

Dopo avere rilevato che le norme contestate risultano integralmente recepite nel D.Lgs. n. 81 del 2008, sussistendo continuità normativa, il Tribunale ha ritenuto provata la responsabilità dell'imputato sulla base dell'accertamento ispettivo eseguito dal Funzionario della Direzione Provinciale del Lavoro di Genova (che, sentito come teste, ne ha confermato il contenuto): in sede di ispezione presso il cantiere dell'impresa edile del F. era emersa l'inosservanza delle disposizioni antinfortunistiche contestate.

2. Avverso questa pronuncia l'imputato propone ricorso per cassazione con un due motivi.

 

Diritto



1. Col primo motivo denuncia la violazione dell'art. 2 c.p. in relazione all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b rilevando che le violazioni contestate, vennero accertate nel (Omissis) in vigenza del D.Lgs. n. 626 del 1994 modificato dal decreto 242/1996, e che le norme incriminarci, formalmente abrogate dall'entrata in vigore del D.Lgs. n. 81 del 2008 (art. 304, comma 1, lett. b), non possono ritenersi confluite nelle nuove disposizioni, come risulta dalla diversa struttura del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 8 rispetto all'art. 31 del vigente D.Lgs. n. 81 del 2008 (quanto al capo A) e della norma contestata al capo B rispetto all'art. 37 del D.Lgs.: di conseguenza, contrariamente a quanto affermato dal tribunale, non sussiste, ad avviso del ricorrente continuità normativa tra le predette disposizioni.

Il motivo è manifestamente infondato.

Come infatti già affermato ripetutamente da questa Corte, in tema di sicurezza nei luoghi di lavoro, sussiste continuità normativa tra il D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4 (concernente gli obblighi del datore di lavoro, del dirigente e del preposto) - ancorchè formalmente abrogato dal D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 304 (Testo unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro) - e la vigente normativa antinfortunistica, considerato che il contenuto delle predette disposizioni risulta recepito dal D.Lgs. n. 81 del 2008, artt. 28 e 29, in relazione ai rischi aziendali ed alle modalità di effettuazione della relativa valutazione, disposizioni che tutelano penalmente le predette cautele antinfortunistiche (cass. Sez. 4, Sentenza n. 42018 del 12/10/2011 Ud. dep. 15/11/2011 Rv.251932; cfr. anche Sez. 3, Sentenza n. 23968 del 03/03/2011 Ud. dep. 15/06/2011 Rv. 250375).

Stesse considerazioni valgono per la contravvenzione contestata al capo B (D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 12, comma 1, lett. B: omessa designazione dei lavoratori incaricati di attuare le misure relative alla prevenzione incendi e lotta antincendio), giacchè il D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 18 comma 1, lett. b) prevede, tra gli obblighi del datore di lavoro, anche quello di "designare preventivamente i lavoratori incaricati dell'attuazione delle misure di prevenzione incendi e lotta antincendio...") l'art. 43 poi (intitolato Disposizioni Generali), tra gli adempimenti del datore di lavoro prevede, al comma 1 lett. b, anche quello di "designare preventivamente i lavoratori di cui all'art. 18, comma 1, lett. b)" (cioè, appunto, quelli "incaricati dell'attuazione delle misure di prevenzione incendi e lotta antincendio"), mentre infine l'art. 55 al comma 5, lett. a) prevede la sanzione penale dell'arresto da due a quattro mesi o dell'ammenda da 750 a 4.000 Euro anche per la violazione dell'art. 43, comma 1, lett. b.

Si rivela, dunque, errata l'affermazione del ricorrente secondo cui la violazione di un tale obbligo non comporta alcuna sanzione penale, mentre invece del tutto corretto appare il ragionamento del Tribunale in materia di successione di leggi.

2. Col secondo motivo il ricorrente, denunziando violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b ed e in relazione all'art. 125 c.p.p., comma 3, artt. 62 bis, 81 e 133 c.p., si duole della mancata concessione delle attenuanti generiche (nonostante la documentazione prodotta dalla difesa) e della omessa unificazione dei reati col vincolo della continuazione sia tra i reati contestati sia con riferimento alle precedenti condanne riportate, in quanto conseguenti anch'esse a coeve violazioni di norme antinfortunistiche.

Anche questa censura è manifestamente infondata perchè investe valutazioni riservate al giudice di merito, il quale peraltro ha motivato sul diniego delle generiche richiamando i precedenti penali specifici dell'imputato. Quanto alla omessa unificazione dei reati col vincolo della continuazione, non sussisteva nessun obbligo di procedere in tal senso sia perchè compete al giudice l'apprezzamento discrezionale in ordine all'identità del disegno criminoso (tant'è che non si richiede neppure l'obbligo di una formale contestazione da parte del pubblico Ministero: cfr. cass. Sez. 3, Sentenza n. 15927 del 05/03/2009 Ud. dep. 16/04/2009 Rv. 243408), sia perchè l'imputato non ne aveva fatto neppure richiesta (cfr. conclusioni riportate in sentenza).

L'inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 c.p.p. (cass. sez. 3, Sentenza n 42839 del 08/10/2009 Ud. dep. 10/11/2009; cass. Sez. 4, Sentenza n. 18641 del 20/01/2004 Ud. dep. 22/04/2004; sez. un., Sentenza n. 32 del 22/11/2000 Cc. dep. 21/12/2000).

Non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sentenza 13.6.2000 n. 186), alla condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria ai sensi dell'art. 616 c.p.p. nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.



dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 15 maggio 2013.

Depositato in Cancelleria il 18 giugno 2013