Categoria: Documentazione sindacale
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Nota illustrativa CISL
delle modifiche previste dal decreto “fare”
n. 69 del 21 giugno 2013

a cura del
Dipartimento nazionale CISL
Salute e Sicurezza sul Lavoro


Con l’emanazione del Decreto legge n. 69, il 21 giugno u.s., è iniziato il conto alla rovescia del tempo previsto di vigenza di tale atto normativo che, vista la sua natura di intervento utilizzato nei casi di necessità ed urgenza (come disposto dal livello costituzionale, art. 77), è definita in un massimo di sessanta giorni.
Convertendo, o meno, le disposizioni previste nel decreto, passandole a definitive mediante approvazione di un preciso atto legislativo, il parlamento si troverà, entro la data del 21 agosto, a dimostrare sui diversi temi trattati nel decreto qual’ è concretamente la posizione che intende perseguire e, di conseguenza, quali sono le scelte delle maggioranza su alcuni aspetti di grande rilievo, tra cui quelli relativi alla tutela della salute e sicurezza sul lavoro.
Motivati gli interventi di modifica legislativa, nell’introduzione del decreto, con richiami a ragioni di alto valore, quali «la crescita economica» e «le semplificazioni del quadro amministrativo e normativo», finalizzato il tutto a «dare impulso al sistema produttivo del Paese attraverso il sostegno alle imprese, il rilancio delle infrastrutture, operando anche un riduzione degli oneri amministrativi per i cittadini e le imprese», a parere di chi scrive, tali obiettivi non sembrano essere stati puntualmente perseguiti nella redazione delle disposizioni di modifica introdotte nel decreto, in tema di prevenzione.
Seppur concentrate tutte le modifiche previste, in due soli articoli (il 32 e il 35), a colpire prioritariamente con maggior evidenza sono alcuni dei temi trattati, visto che si riferiscono ad aspetti di maggior rilevanza e di più ricorrente esposizione a rischio e incidenza infortunistica, sia per il contesto lavorativo di riferimento (vedi i cantieri, gli appalti, la valutazione dei rischi nelle piccole imprese), sia per le pratiche operative (vedi le notifiche e le comunicazioni in caso di infortunio), così come per le tipologie contrattuali (nello specifico i lavoratori con contratti di breve durata, cioè fino a cinquanta giornate).
Puntando ad esprimere un giudizio complessivo, immediata non può che essere la considerazione rivolta al dover, ancora una volta, registrare (purtroppo) l’utilizzo della pratica che punta a mascherare, dietro apparenti interventi di semplificazione formale e burocratica, precisi interventi di alleggerimento delle tutele in materia di prevenzione; seppur occorre, di contro, positivamente registrare che, attraverso il decreto legge n. 76 (denominato decreto “lavoro”) le sanzioni in materia di salute sicurezza sono state aumentate di circa il 10%.

Analizzando tutte le diverse modifiche previste dall’articolato nel decreto legge n. 69, riferite al tema della salute e sicurezza sul lavoro, è importante precisare che:

Art. 32, comma 1, lett. a), DL del 21 giugno 2013 – Riduzione dell’utilizzo del DUVRI (Modifiche all’art. 26, commi 3, e 3-bis del D.Lgs. 81/2008 s.m.)

→ La modifica prevista all’art. 26, comma 3, non è condivisibile in quanto fa emergere svariati problemi. In primo luogo, la sostituzione dell’utilizzo del DUVRI con l’individuazione di un «incaricato», in qualità di preposto (pur formato e con competenze adeguate e conoscenze specifiche dell’ambiente nel quale si svolge il lavoro in appalto), determina sostanzialmente una concentrazione di responsabilità troppo alta per una figura dalle caratteristiche essenzialmente operative e non dirigenziali (quindi, in mancanza di precisi poteri di organizzazione e gestione). Inoltre, pur aprendosi la possibilità di scelta tra il DUVRI e l’«incaricato», nei soli casi in cui l’attività del committente risulti a basso rischio (sulla base di quanto dovrà essere definito da specifico decreto), non va sottovalutato che le problematiche di rischio che si possono determinare nell’ambito del lavoro in appalto possono essere a più alto rischio di quelle svolte ordinariamente dall’impresa committente, così come lo possono essere anche quelle svolte dalla stessa impresa che si impegna a realizzare il lavoro in appalto. Infine, alla luce del combinato disposto con quanto previsto nel comma 3bis (di seguito commentato) emerge evidente una contraddizione che andrebbe a sancire che un lavoro in appalto, della durata superiore a dieci uomini-giorno, pur risultando avviato da un committente dall’attività lavorativa classificata a basso rischio, richiederebbe il DUVRI, che potrebbe però essere sostituito dall’individuazione di un «incaricato», al quale verrebbe richiesto di controllare un lavoro di così ampia dimensione ed interferenze (poniamo solo ad esempio il lavoro di cinque persone per la durata di due giorni interi).
Tenuto conto, inoltre, del mero potere di controllo, previsto in capo alla figura del preposto, è facile immaginare quanto poca forza coercitiva tale figura potrebbe concretamente avere in costanza di lavori in appalto, durante i quali i lavoratori (dipendenti non dalla propria impresa) non dovessero rispettare le procedure corrette di lavoro e le regole di prevenzione. D’altro canto riesce difficile pensare a quanti committenti, su segnalazione del preposto, di irregolarità nello svolgimento del lavoro sarebbero realmente disponibili a richiamare al rispetto delle regole l’azienda in appalto, fino ad arrivare a rompere il contratto.

→ La modifica prevista all’art. 26, comma 3-bis, non è condivisibile in quanto il limite dei dieci uomini-giorno, quale criterio dirimente per l’obbligo della redazione del DUVRI (o dell’individuazione dell’«incaricato») è troppo ampia. Inoltre, come detto nel punto precedente, anche a fronte di un rischio basso, un lavoro che richiede l’impegno di dieci uomini-giorno, comporta potenzialmente sempre un’esposizione a rischio di natura interferenziale, vista la possibile presenza di più uomini contemporaneamente.

Art. 32, comma 1, lett. b), DL del 21 giugno 2013 – Utilizzo delle procedure standardizzate (Modifiche all’art.29, commi 5 e 6 del D.Lgs. 81/2008 s.m.)

→ La modifica prevista all’art. 29, comma 6, che prevede l’introduzione del comma 6-ter e 6-quater, non è condivisibile per almeno quattro ragioni.
- Il primo motivo è riferito alle modalità con cui viene previsto di poter giungere all’individuazione dei settori di attività a basso rischio. Oltre a prevedere il coinvolgimento della Commissione consultiva permanente nella sola modalità del «sentita», limitando così il contributo ad un mero parere, i criteri e parametri di riferimento per la definizione delle attività a rischio basso vengono ad essere «desunti» dai soli «indici infortunistici di settore», lasciando così fuori l’analisi degli indici relativi alle malattie professionali, anch’essi di grande rilievo per stabilire il grado di rischio di un settore lavorativo.
- Il secondo motivo è riferito alle stesse ragioni per le quali anche per le modifiche del punto precedente (sul DUVRI) si è espressa contrarietà. Le procedure standardizzate, ancor più di tutti gli altri strumenti, sono state elaborate dopo anni di lavoro da parte di un gruppo tripartito, andando a colmare una mancanza gravissima che acconsentiva alle imprese fino a dieci lavoratori di poter autocertificare la propria valutazione del rischio. Entrate in vigore da pochissimo tempo, con le attuali modifiche apportate dal decreto legge n. 69, rischiano di perdere il loro valore, spingendo i datori di lavoro a non capire più come agire. Difatti, per le aziende rientranti tra quelle a basso rischio (sulla base di quanto dovrà essere disposto), si aprirà la possibilità, sia di continuare ad utilizzare le procedure standardizzate, così come anche di utilizzare un altro modello (che però deve essere ancora elaborato).
- Il terzo motivo è riferito al considerare che tali interventi, più che andare verso le “semplificazione” giungono determinare un clima di incertezza e confusione così alto da spingere i datori di lavoro a permanere in condizione di illecito, non sapendo come agire, o a scegliere la via dell’immobilismo, vedendo in questo atteggiamento alla fine una premialità data dalle continue modifiche introdotte sempre al momento dell’avvio degli adempimenti. Se la conferma della vigenza delle procedure standardizzate (prevista dal comma 6-quater), per tutto il periodo di elaborazione dei decreti di modifica, è senz’altro positiva (visto i tempi che serviranno per la definizione dei settori a rischio basso e del modello di valutazione del rischio per tali aziende), la condizione di poca stabilità non aiuta a favorire il radicamento di un sistema e di una gestione adeguata della prevenzione nei luoghi di lavoro.
- Il quarto motivo è riferito alla procedura di infrazione aperta da parte del livello europeo nei riguardi del nostro Paese, proprio sul tema della valutazione del rischio per le micro-imprese, che per anni è stata risolta con una mera autocertificazione.


Art. 32, comma 1, lett. c), DL del 21 giugno 2013 – Percorsi formativi per RSPP/ASPP (Modifiche all’art. 32, comma 5 del D.Lgs. 81/2008 s.m.)

→ La modifica prevista all’art. 32, comma 5, non è condivisibile in quanto, se la formazione è svolta in modo adeguato e rispettoso, non solo delle materie previste dai programmi obbligatori, ma anche degli obiettivi specifici per i quali viene svolta (compreso i settori lavorativi di riferimento e le caratteristiche del ruolo per i quale ci si forma) in nessun caso si possono avere sovrapposizioni tali da dover considerare ripetizioni. Nel caso specifico dei percorsi formativi per RSPP/ASPP, nella situazione in cui ciascuno di questi si dovesse trovare a dover frequentare più corsi (in realtà solo più Moduli B), al fine di acquisire i riconoscimenti per svolgere il ruolo in più aziende a codice Ateco diverso, alcuna sovrapposizione si dovrebbe avere visto che in ciascuno dei percorsi formativi gli argomenti dovrebbe essere mirati alle tipologie di rischio presenti nei settori produttivi riferiti al quello specifico codice Ateco, per il quale il corso è stato organizzato. Inoltre non va trascurato che è in atto la revisione dei programmi per i corsi di formazione per RSPP/ASPP, e pertanto non risulta utile intervenire su tali ambiti che saranno oggetto di una modifica complessiva in autunno.


Art. 32, comma 1, lett. d), DL del 21 giugno 2013 – Percorsi formativi per dirigenti, preposti e lavoratori (Modifiche all’art. 37, comma 14 del D.Lgs. 81/2008 s.m.)

→ La modifica prevista all’art. 32, comma 14, non è condivisibile per le stesse ragioni espresse nel punto precedente (e, comunque, ancor più, visto che nel caso dei lavoratori, preposti e dirigenti, i programmi formativi individuati dall’Accordo Stato-Regioni del 2011 sono specificatamente diversi). Quanto previsto dalla modifica, però, fa sorgere alcune perplessità anche analizzando solo ragioni organizzative. Considerando, infatti, di non prevedere sovrapposizioni di contenuti nell’ambito dei diversi corsi di formazione, rimane difficile poter pensare come realizzare concretamente quanto previsto dalla modifica, visto che concretamente si tradurrebbe nell’avere aule a composizione altamente variabile per ogni argomento trattato, dovendo riconoscere credito formativo a coloro che hanno già svolto in altri percorsi gli stessi argomenti.


Art. 32, comma 1, lett. e), DL del 21 giugno 2013 – Notifiche agli organi di vigilanza (Modifiche all’art. 67, del D.Lgs. 81/2008 s.m.)

→ La modifica prevista all’art. 67, non è condivisibile in quanto le modifiche proposte mutano sostanzialmente l’aspetto procedurale, non apportando concretamente alcun vantaggio, ma minando profondamente un’azione adeguata di prevenzione e il controllo sulle irregolarità. Eliminare l’obbligo di comunicazione preventiva all’organo di vigilanza esclude per quest’ultimo l’esercizio del proprio ruolo in costanza di lavori di costruzione, relegando gli interventi solo al momento dell’attività di vigilanza, e quindi a lavori finiti.


Art. 32, comma 1, lett. f), DL del 21 giugno 2013 – Verifiche periodiche (Modifiche all’art.71, commi 11 e 12 del D.Lgs. 81/2008 s.m.)

→ La modifica prevista all’art. 67, è condivisibile. In questo caso intervenire sulla riduzione dei tempi e sulla maggior organizzazione tra lo svolgimento delle verifiche da parte dei soggetti pubblici e quelli privati porta senza dubbio un vantaggio ai fini di una più certa attività di verifica e di rispetto dei tempi. Necessario diviene comunque l’individuazione di regole precise che autorizzino i privati a svolgere tale attività nel rispetto di parametri di qualità e competenza tecnica specifica, così come per gestire i mancati interventi da parte del sistema pubblico.


Art. 32, comma 1, lett. g), DL del 21 giugno 2013 – Lavori di realizzazione e manutenzione delle infrastrutture (Modifiche all’art. 88, comma 2, lett. g-bis del D.Lgs. 81/2008 s.m.)

→ La modifica prevista all’art. 88, comma 2, lett. g-bis, sarebbe condivisibile se non sussistesse anche la modifica che prevede che non si debba redigere il DUVRI sotto la soglia dei dieci uomini-giorno (tenuto conto che la realizzazione o manutenzione delle infrastrutture per servizi avviene nella quasi totalità dei casi in forma di appalto) . Escludendo, pertanto, tali lavorazioni dal quadro del titolo IV porta a che non vengano redatti i documenti previsti per le attività di cantiere. La combinazione delle due disposizione prevede che, in caso di lavori rientranti nella dicitura in parola, non si debba redigere alcun documento inerenti la valutazione specifica dei rischi determinati dalla lavorazione.


Art. 32, comma 1, lett. h), DL del 21 giugno 2013 – Documentazione di cantiere (Modifiche all’art. 104-bis del D.Lgs. 81/2008 s.m.)

→ La modifica prevista all’art.104-bis, non è condivisibile in quanto, oltre a prevedere il coinvolgimento della Commissione consultiva permanente nella sola modalità del «sentita», limitando così il contributo ad un mero parere, non si ritiene utile intervenire nel modificare due documenti (POS e PSC) così importanti e nodali per la gestione della salute e sicurezza in cantiere, quando ancora oggi si fatica a farli redigere in modo adeguato ed efficace (e non perché complicati e lunghi, ma per la scarsa attenzione da parte dei datori di lavoro/committenti di imprese edili agli obblighi di legge previsti in tema di prevenzione e per la considerazione – sbagliata – che gli obblighi documentali sono solo sterili appesantimenti burocratici).


Art. 32, comma 1, lettere i, l, m, n), DL del 21 giugno 2013 – Notifiche (Modifiche agli artt. 225, comma 8; 240, comma 3; 250, comma 1; 277, comma 2 del D.Lgs. 81/2008 s.m.)

→ Le modifiche previste agli artt. 225, comma 8; 240, comma 3; 250, comma 1; 277, comma 2, non sono condivisibili. Il legislatore del D.Lgs. 81/08 s.m., a tale riguardo, valutando l’importanza dei temi oggetto delle notifiche (di rilevante intensità di rischio), non solo ha ritenuto giustamente di porle in capo esclusivo al datore di lavoro, ma ha rafforzato tale obbligo di comunicazione prevedendone l’adempimento «senza indugio» o nell’altra forma «al più presto».
Modificare, quindi, la disposizione nel senso di prevedere tale obbligo adempiuto anche da altri soggetti (ancor più non titolari di responsabilità di natura penale individuale, come l’organismo paritetico) non trova alcuna ragione a sostegno.
Se si intende valorizzare il ruolo degli organismi paritetici, non è certo la via passa dall’attribuzione di ruoli non propri, ma favorendo l’attività, oggi già legislativamente prevista, a partire dalla formazione e dal supporto alle imprese e agli RLST.

Art. 32, commi 2 e 3, DL del 21 giugno 2013 – Tempistica e oneri (Modifiche relative agli artt. 29, comma 6-ter; 71, commi 11 e 12; 104-bis del D.Lgs. 81/2008 s.m.)

→ Le modifiche previste agli artt. 29, comma 6-ter; 71, commi 11 e 12; 104-bis non sono condivisibili in quanto si riferiscono a modifiche sostanziali già illustrate in precedenti punti (art. 32, comma 1, lettere b) e h) e comma 1, lett. f, stesso articolo) e ritenute non condivisibili.


Art. 32, commi 4 e 5, DL del 21 giugno 2013 – Documentazione di cantiere, lavori pubblici (Modifiche all’art. 131, comma 2 del D.Lgs. 163/2006)

→ La modifica prevista all’art. 131-bis, non è condivisibile in quanto ripropone quanto già commentato al punto relativo alla modifica prevista per all’art. 31, comma 1, lett. h), in tema di POS e PSC.


Art. 32, comma 6, lettere a), b), DL del 21 giugno 2013 – Denuncia di infortuni mortali o superiori a 3 gg. (Modifiche relative agli artt. 54 e 56 del Dpr. 1124/1965 s.m.)

→ La modifica prevista all’art. 54, che ne prevede l’abrogazione, non è condivisibile. Attuandosi l’abrogazione (come da modifica prevista dal DL del 21 giugno 2013) sostanzialmente viene ad essere eliminato l’obbligo, a carico dei datori di lavoro, di denunciare i casi di infortunio mortale o, comunque, i casi di infortunio sul lavoro che prevedono un’assenza (inabilità al lavoro) superiore a 3 giorni lavorativi, all’autorità di pubblica sicurezza. In tale caso, tali Autorità (una per tutte, le ASL, così come le autorità portuali, le direzioni territoriali del lavoro...) in caso di mancata attivazione su propria iniziativa, si verrebbero a trovare all’oscuro dell’accadimento dei fenomeni infortunistici (dai più gravi ai più lievi) verificatisi in azienda. La perdita del monitoraggio sul problema degli infortuni, così come la possibilità di indirizzare azioni di prevenzione mirate ai problemi rilevati in un settore e/o in un ambito territoriale sarebbe totale, senza considerare che un’autorità locale di pubblica sicurezza che non può disporre delle informazioni in tempo reale, è quanto mai una condizione contraria a qualsiasi logica. Inoltre acconsentire a che le Autorità possano accedere ai dati (su loro esclusiva iniziativa) unicamente quando riguardanti gli infortuni che determinato un’inabilità dal lavoro superiore a 30gg. è una disposizione per la quale non si riesce a coglierne il senso e le motivazioni a sostegno.

→ La modifica prevista all’art. 56 non è condivisibile perché, rimanendo all’interno della denuncia di infortunio mortale o grave, si prevede che le indagini che devono essere svolte nei riguardi dei datori di lavoro delle realtà lavorative nelle quali è accaduto l’infortunio, vengano avviate solo se «agli adempimenti di cui al presente articolo si provvede con le risorse umane, strumentali e finanziare disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica», quindi solo se vi sono risorse “libere” da impiegare. Vista la condizione generalizzata delle risorse disponibili, si può concretamente sintetizzare che poche saranno le indagini che nel futuro verranno svolte a seguito di un infortunio mortale o grave. La semplificazione, in questo caso, sembra assumere contorni che vanno ben oltre all’alleggerimento degli obblighi burocratici.........come annunciato.


Art. 35, DL del 21 giugno 2013 – Prestazioni lavorative di breve durata (Modifiche all’art. 3 del D.Lgs. 81/2008 s.m.)

→ La modifica prevista all’art. 3, relativa alle prestazioni lavorative di breve durata, non è condivisibile. Oltre a prevedere, anche in questo caso, il coinvolgimento della Commissione consultiva permanente nella sola modalità del «sentita», limitando così il contributo ad un mero parere, l’intenzione di prevedere «misure di semplificazione» degli adempimenti relativi all’informazione, alla formazione e alla sorveglianza sanitaria per tutte le prestazioni lavorative di breve durata (che, a differenza dell’agricoltura, ad oggi non hanno alcuna regolazione specifica), non convince, almeno per tre ragioni fondamentali:
- indipendentemente dalla durata del lavoro, la formazione è fondamentale per permettere ai lavoratori di conoscere i rischi specifici dell’azienda nella quale sono chiamati a svolgere il lavoro e le misure di prevenzione e protezione previste per affrontarli. Inoltre, non va trascurato che ogni contesto lavorativo ha i propri rischi, al di là dello svolgimento, anche della stessa mansione e dello stesso comparto produttivo nella quale questa viene svolta. Anzi è proprio nei lavori di breve durata che viene a mancare l’esperienza e la conoscenza dell’azienda e dei suoi rischi, ancor più vista la variabilità delle concrete condizioni di lavoro che rende quanto mai determinante una sorveglianza sanitaria pienamente coerente con i rischi specifici ai quali il lavoratore è esposto (senza trascurare che le condizioni di salute di un soggetto possono modificarsi da un giorno all’altro).
- non trascurando che spesso questi lavoratori non vengono ad essere impiegati in realtà appartenenti allo stesso comparto produttivo, anche nel caso di continuità di prestazioni di breve durata all’interno di un unico comparto, la dimensione dell’azienda, le procedure di lavoro, l’utilizzo dei DPI, le condizioni di lavoro, possono modificare in maniera così rilevante il modo di lavorare e, di conseguenza, l’esposizione a rischio, pensare di poter ridurre anche solo di uno dei tre aspetti rilevanti della tutela (informazione, formazione e sorveglianza sanitaria) fa emergere evidenti contrarietà. A tale riguardo, non va di certo dimenticato che già nell’Accordo Stato-Regioni del 21 dicembre 2011 viene prevista la possibilità di poter esonerare il lavoratore dallo svolgimento della formazione relativa alla parte generale, quando già svolta. Per la sorveglianza sanitaria dovrà essere il medico competente a valutare la necessità e la tempistica delle visite mediche. In particolare, infatti, su questo aspetto così delicato quale la tutela sanitaria, alcun intervento regolativo generale può essere efficace e adeguato.
- difficile risulta poter pensare a quali «misure di semplificazione» potrebbero essere realizzate nei riguardi degli obblighi di informazione visto che questi attengono proprio al fornire fondamentali indicazioni di sicurezza e tutela della salute in occasione di lavoro (vedi la cartellonistica negli ambienti di lavoro, sulle macchine e attrezzature, così come le informazioni riportate sui prodotti chimici..).


Fonte: http://www.salutesicurezza.cisl.it/