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Paolo Pascucci

Dopo la legge n. 123 del 2007.
Prime osservazioni sul Titolo I del decreto legislativo n. 81 del 2008 in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro  
(*) (**)

Parte prima    Parte seconda    Parte terza


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8.6. Il servizio di prevenzione e protezione
La III sezione riguarda il servizio di prevenzione e di protezione dai rischi (SPP). A differenza dell’art. 8 del d.lgs. n. 626 del 1994 [398], l’art. 31 prevede che il possesso delle capacità e dei requisiti professionali, l’essere in numero sufficiente rispetto alle caratteristiche dell’azienda e la disponibilità di mezzi e di tempo adeguati per lo svolgimento dei compiti assegnati sono elementi che riguardano non solo i dipendenti che fanno parte del SPP, ma tutti i soggetti coinvolti e, quindi, gli addetti e i responsabili dei servizi, interni o esterni. Inoltre, mentre la norma del 1994 prevedeva l’obbligo del datore di lavoro di ricorrere a persone o servizi esterni all’azienda qualora le capacità dei dipendenti all’interno dell’azienda ovvero dell’unità produttiva fossero insufficienti, quella del 2008 rende obbligatorio il ricorso a persone o servizi esterni in assenza di dipendenti che, all’interno dell’azienda ovvero dell’unità produttiva, siano in possesso dei requisiti di cui all’art. 32.
Il SPP deve essere obbligatoriamente interno negli stessi casi già previsti dall’art. 8 del d.lgs. n. 626 del 1994, precisandosi che, per quanto riguarda le strutture di ricovero e cura pubbliche e private, esse debbano occupare oltre 50 lavoratori [399]. In tutti i casi in cui il SPP è obbligatoriamente interno, anche il responsabile del SPP deve essere interno. Nei casi di aziende con più unità produttive nonché nei casi di gruppi di imprese, può essere istituito un unico SPP e i datori di lavoro possono rivolgersi a tale struttura per l’istituzione del servizio e per la designazione degli addetti e del responsabile [400].
Dato che la delega prevedeva la revisione dei requisiti, delle tutele, delle attribuzioni e delle funzioni dei soggetti del sistema di prevenzione aziendale anche attraverso idonei percorsi formativi [401], il decreto delegato dà attuazione a tale criterio anche per quanto riguarda le figure soggettive del SPP [402].
Particolari disposizioni riguardano gli istituti di istruzione, di formazione professionale e universitari e le istituzioni dell’alta formazione artistica e coreutica, nei quali il datore di lavoro che non opta per lo svolgimento diretto dei compiti propri del servizio di prevenzione e protezione dei rischi designa il responsabile del servizio di prevenzione e protezione individuandolo tra una serie di soggetti [403].
Il datore di lavoro che si avvale di un esperto esterno per ricoprire l’incarico di responsabile del servizio deve comunque organizzare un servizio di prevenzione e protezione con un adeguato numero di addetti.
Mentre sono confermati i compiti del SPP già previsti dall’art. 9 del d.lgs. n. 626 del 1994 [404], rispetto a quest’ultima norma risultano più dettagliate le condizioni alla cui stregua il datore di lavoro può svolgere direttamente i compiti del SPP ricorrendo le ipotesi merceologiche e dimensionali di cui all’Allegato II (cfr. l’Allegato I del d.lgs. n. 626 del 1994) (art. 34) [405]. A tal fine il datore deve frequentare corsi di formazione, di durata minima di 16 ore e massima di 48 ore, adeguati alla natura dei rischi presenti sul luogo di lavoro e relativi alle attività lavorative, nel rispetto dei contenuti e delle articolazioni definiti mediante accordo in sede di Conferenza Stato-Regioni, entro il termine di 12 mesi dall’entrata in vigore del decreto legislativo [406]. Inoltre, il datore di lavoro è tenuto a frequentare corsi di aggiornamento nel rispetto di quanto previsto nell’accordo medesimo, applicandosi tale obbligo anche a coloro che abbiano frequentato i corsi di cui all’art. 3 del d.m. 16 gennaio 1997, nonché agli esonerati dalla frequenza dei corsi, ai sensi dell’art. 95 del d.lgs. n. 626 del 1994.
Presumibilmente per esigenze di semplificazione, nella nuova norma scompare l’obbligo, precedentemente previsto, per il datore di lavoro di trasmettere all’organo di vigilanza competente per territorio una serie di documenti [407].
Per quanto concerne la riunione periodica – che, nelle aziende ed unità produttive che occupano più di 15 lavoratori, il datore di lavoro, direttamente o tramite il servizio di prevenzione e protezione, indice almeno una volta all’anno – l’art. 35 (rispetto a quanto già previsto nell’art. 11 del d.lgs. n. 626 del 1994) dispone che, nel corso di tale riunione, il datore di lavoro sottopone all’esame dei partecipanti anche l’andamento degli infortuni e delle malattie professionali e della sorveglianza sanitaria e i criteri di scelta, le caratteristiche tecniche e l’efficacia dei dispositivi di protezione individuale [408].


8.7. L’informazione e la formazione
L’art. 36 conferma quanto previsto dall’art. 21 del d.lgs. n. 626 del 1994 in merito ai contenuti dell’informazione che il datore di lavoro deve fornire ai lavoratori [409], precisando peraltro che tali contenuti debbono essere facilmente comprensibili per i lavoratori e debbono consentire loro di acquisire le relative conoscenze. Si prevede inoltre, in linea con le indicazioni della delega, che, ove la informazione riguardi lavoratori immigrati, essa avvenga previa verifica della comprensione della lingua utilizzata nel percorso informativo [410].
In tema di formazione, l’art. 37 va ben oltre le disposizioni contenute nell’art. 22 del d.lgs. n. 626 del 1994 [411]. Infatti, da un lato, la norma precisa che il datore di lavoro assicura che ciascun lavoratore riceva una formazione sufficiente ed adeguata in materia di salute e sicurezza, anche rispetto alle conoscenze linguistiche, e, dall’altro lato, si premura di esplicitare i contenuti della stessa formazione, la quale in particolare deve riferirsi: a) ai concetti di rischio, danno, prevenzione, protezione, organizzazione della prevenzione aziendale, diritti e doveri dei vari soggetti aziendali, organi di vigilanza, controllo, assistenza; b) ai rischi riferiti alle mansioni e ai possibili danni e alle conseguenti misure e procedure di prevenzione e protezione caratteristici del settore o comparto di appartenenza dell’azienda [412].
Oltre a confermare quanto già previsto nel d.lgs. n. 626 del 1994 in ordine al momento dell’effettuazione della formazione [413], si precisa opportunamente che, qualora si tratti di somministrazione di lavoro, la formazione debba avvenire in occasione dell’inizio dell’utilizzazione. Tale ultima previsione non deve essere intesa come se, nel novero delle varie tipologie negoziali flessibili, l’obbligo di formazione valesse soltanto per la somministrazione: è infatti evidente che, fermo restando l’obbligo di formazione per tutti i lavoratori (anche flessibili), la norma de qua mira semplicemente a precisare quale sia il momento in cui va impartita la formazione nell’unico contratto di lavoro di cui il datore di lavoro (utilizzatore) non è parte [414].
All’obbligo di impartire la formazione si aggiunge ora quello dell’addestramento specifico, ove previsto, il quale viene effettuato da persona esperta e sul luogo di lavoro.
Un’ulteriore innovazione riguarda i preposti, i quali ricevono, a cura del datore di lavoro e in azienda, un’adeguata e specifica formazione e un aggiornamento periodico in relazione ai propri compiti in materia di salute e sicurezza del lavoro [415]. Un’altra novità è che i componenti dell’impresa familiare di cui all’art. 230-bis c.c., i lavoratori autonomi che compiono opere o servizi ai sensi dell’art. 2222 c.c., i piccoli imprenditori di cui all’art. 2083 c.c. e i soci delle società semplici operanti nel settore agricolo possono avvalersi dei percorsi formativi appositamente definiti tramite il predetto accordo adottato in sede di Conferenza Stato-Regioni.
Si conferma che i lavoratori incaricati dell’attività di prevenzione incendi e lotta antincendio, di evacuazione dei luoghi di lavoro in caso di pericolo grave ed immediato, di salvataggio, di primo soccorso e, comunque, di gestione dell’emergenza devono ricevere un’adeguata e specifica formazione nonché – e si tratta di una novità – un aggiornamento periodico [416]. Per quanto riguarda la formazione del RLS, le modalità, la durata e i contenuti specifici della stessa sono stabiliti in sede di contrattazione collettiva nazionale, nel rispetto di contenuti minimi [417].
Le competenze acquisite a seguito dello svolgimento delle attività di formazione sono registrate nel libretto formativo del cittadino (di cui all’art. 2, comma 1, lett. i, del d.lgs. n. 276 del 2003): il contenuto del libretto è considerato dal datore di lavoro ai fini della programmazione della formazione e di esso gli organi di vigilanza tengono conto ai fini della verifica degli obblighi previsti dal decreto legislativo.


8.8. La sorveglianza sanitaria
La V sezione ridisegna il quadro della sorveglianza sanitaria, con particolare attenzione per i compiti del medico competente [418]. Dato lo specifico criterio di delega di cui all’art. 1, comma 2, lett. g, della l. n. 123 del 2007 [419], l’art. 38, recependo gli auspici formulati da alcuni osservatori [420], non si limita a ridefinire i requisiti ed i titoli per lo svolgimento dell’attività di medico competente [421], ma richiede altresì la partecipazione al programma di educazione continua in medicina ai sensi del d.lgs. 19 giugno 1999, n. 229, a partire dal programma triennale successivo all’entrata in vigore del decreto legislativo [422], prevedendo inoltre che i medici in possesso dei titoli e dei requisiti previsti siano iscritti nell’elenco dei medici competenti istituito presso il Ministero della salute.
Il medico competente – che deve svolgere la propria attività secondo i principi della medicina del lavoro e del codice etico della Commissione internazionale di salute occupazionale (ICOH) – può essere, come era già previsto, oltre che un libero professionista o un dipendente del datore di lavoro, anche un dipendente o un collaboratore di una struttura esterna pubblica o privata convenzionata con l’imprenditore, ricomprendendosi ora anche le strutture costituite su iniziativa delle organizzazioni datoriali. Non ha quindi trovato accoglimento la proposta di una ripubblicizzazione del medico competente formulata almeno con riferimento alla sorveglianza sanitaria relativa a particolari fattori di rischio [423].
Più stringente che in passato è il limite relativo all’incompatibilità: mentre in precedenza era previsto che il dipendente di una struttura pubblica non potesse svolgere l’attività di medico competente qualora esplicasse attività di vigilanza, ora si dispone che il dipendente di una struttura pubblica, assegnato agli uffici che svolgono attività di vigilanza, non può prestare, ad alcun titolo e in alcuna parte del territorio nazionale, attività di medico competente.
La cooperazione del datore di lavoro risulta rafforzata. Infatti, mentre prima si prevedeva che qualora il medico competente fosse dipendente del datore di lavoro, questi doveva fornirgli i mezzi ed assicurargli le condizioni necessarie per lo svolgimento dei suoi compiti, ora si dispone che il datore di lavoro deve assicurare le condizioni necessarie per lo svolgimento di tutti i compiti del medico competente garantendone l’autonomia a prescindere dal fatto che esso sia o meno un suo dipendente [424]. Si conferma poi la possibilità per il medico competente di avvalersi, per accertamenti diagnostici, della collaborazione di medici specialisti scelti tuttavia non più dal datore di lavoro, ma in accordo con esso, il quale ne sopporta gli oneri.
Un’altra novità consiste nel fatto che, per le aziende con più unità produttive, per i gruppi d’imprese nonché qualora la valutazione dei rischi ne evidenzi la necessità, il datore di lavoro può nominare più medici competenti individuando tra essi un medico con funzioni di coordinamento.
Nuova, e sicuramente assai interessante nella prospettiva della costruzione di un sistema integrato per la prevenzione, è anche la disposizione (art. 40) sui rapporti del medico competente con il Servizio sanitario nazionale, prevedendosi che, entro il primo trimestre dell’anno successivo all’anno di riferimento, il medico competente trasmetta, esclusivamente per via telematica, ai servizi competenti per territorio le informazioni elaborate, evidenziando le differenze di genere, relative ai dati aggregati sanitari e di rischio dei lavoratori sottoposti a sorveglianza sanitaria [425].
Quanto alla sorveglianza sanitaria – oggetto anch’essa di un criterio di delega [426] – l’art. 41 prevede che essa sia effettuata dal medico competente: a) nei casi previsti dalla normativa vigente, dalle direttive europee nonché dalle indicazioni fornite dalla Commissione consultiva permanente; b) qualora il lavoratore ne faccia richiesta e la stessa sia ritenuta dal medico competente correlata ai rischi lavorativi [427]. In ogni caso, le visite mediche rientranti nella sorveglianza sanitaria non possono essere effettuate: a) in fase preassuntiva [428]; b) per accertare stati di gravidanza; c) negli altri casi vietati dalla normativa vigente [429]. Deve tuttavia rilevarsi che l’art. 4, comma 2, del recentissimo d.l. 3 giugno 2008, n. 97 ha temporaneamente disapplicato il divieto di effettuare le visite mediche rientranti nella sorveglianza sanitaria, prevedendo che la disposizione di cui all’art. 41, comma 3, lett. a, del d.lgs. n. 81 del 2008 si applichi a decorrere dal 1° gennaio 2009 [430]. Al di là delle considerazioni di merito su tale disapplicazione (riguardante un divieto entrato in vigore da pochi giorni) in sé alquanto discutibile [431], si può dubitare della sua legittimità sia per quanto concerne la sussistenza dei caratteri di necessità ed urgenza (richiesti dall’art. 77, comma 2, Cost., per l’adozione dei decreti legge), sia per quanto concerne più in generale la fonte con cui è stata disposta. Può invero notarsi che la suddetta temporanea disapplicazione modifica una disposizione del d.lgs. n. 81 del 2008 senza rispettare quanto previsto dall’art. 1, comma 6, della l. n. 123 del 2007, secondo cui le disposizioni integrative e correttive del decreto delegato possono essere adottate dal Governo, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore del medesimo, nel rispetto dei principi e criteri direttivi della delega e attraverso la procedura di cui ai commi 4 e 5, vale a dire mediante un ulteriore decreto delegato sul cui schema, fra l’altro, debbono pronunciarsi le competenti Commissioni parlamentari, la Conferenza Stato-Regioni e deve esercitarsi la consultazione con le parti sociali. Anche ammesso, ma non concesso, che sussista l’urgenza, resta il fatto che, mediante il decreto legge e la sua eventuale conversione (tramite una “normale" legge del Parlamento) si modificherebbe una disposizione che era emanabile (e modificabile) solo con quel particolare procedimento legislativo che lo stesso Parlamento ha delegato al Governo peraltro nel rispetto di un iter che, si badi bene, è incentrato sul rispetto sia dell’art. 76 Cost. sia dell’art. 117 Cost., trattandosi di materia rientrante nella competenza legislativa concorrente [432].
Sulla base delle risultanze delle visite mediche oggetto della sorveglianza sanitaria, il medico competente esprime uno dei seguenti giudizi relativi alla mansione specifica: a) idoneità; b) idoneità parziale, temporanea o permanente, con prescrizioni o limitazioni; c) inidoneità temporanea; d) inidoneità permanente. Confermandosi che di tali giudizi il medico competente informa per iscritto il datore di lavoro e il lavoratore, si prevede altresì che, nel caso di espressione del giudizio di inidoneità temporanea, occorre precisarne i limiti temporali di validità.
Ispirata anch’essa dalla delega [433] è la previsione contenuta nell’art. 42, in base alla quale il datore di lavoro, anche in considerazione di quanto disposto dalla l. 12 marzo 1999, n. 68 [434], in relazione ai predetti giudizi, attua le misure indicate dal medico competente e, qualora le stesse prevedano un’inidoneità alla mansione specifica, adibisce il lavoratore, ove possibile, ad altra mansione compatibile con il suo stato di salute [435]. Il lavoratore che venga adibito a mansioni inferiori conserva la retribuzione corrispondente alle mansioni precedentemente svolte, nonché la qualifica originaria [436]; qualora invece venga adibito a mansioni equivalenti o superiori si applica l’art. 2103 c.c. (che, in caso di assegnazione a mansioni superiori, riconosce il diritto al trattamento corrispondente all’attività svolta nonché la definitività dell’assegnazione dopo un periodo comunque non superiore a tre mesi), fatto salvo quanto previsto dall’art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001 che, nel settore delle pubbliche amministrazioni, in omaggio al principio costituzionale dell’obbligo del pubblico concorso, esclude l’applicabilità del meccanismo di promozione previsto dall’art. 2103 c.c.


8.9. La gestione delle emergenze
La VI sezione concerne la gestione delle emergenze, confermando nella sostanza quanto già previsto dalla precedente disciplina. Le disposizioni generali di cui all’art. 43 sono di fatto le stesse di cui parlava l’art. 12 del d.lgs. n. 626 del 1994 [437], con l’unica differenza lessicale, non per questo irrilevante, per cui ciò che prima si chiamava “pronto soccorso" ora viene più correttamente denominato “primo soccorso". Parimenti confermati dall’art. 44 sono i diritti dei lavoratori in caso di pericolo grave e immediato già previsti dall’art. 14 del d.lgs. n. 626 del 1994 [438].
Quanto al primo soccorso (art. 45), sebbene non compaia più una previsione come quella dell’art. 15, comma 2, del d.lgs. n. 626 del 1994 [439], non sembra doversi ritenere che l’attuazione dei relativi provvedimenti spetti esclusivamente al datore di lavoro. Per le caratteristiche minime delle attrezzature di primo soccorso, i requisiti del personale addetto e la sua formazione, individuati in relazione alla natura dell’attività, al numero dei lavoratori occupati ed ai fattori di rischio, il d.lgs. n. 81 del 2008 effettua un rinvio al d.m. n. 388 del 2003 ed ai successivi decreti di adeguamento [440].
L’art. 46 puntualizza, quasi orgogliosamente, che la prevenzione incendi costituisce una funzione di preminente interesse pubblico, di esclusiva competenza statuale, diretta a conseguire, secondo criteri applicativi uniformi sul territorio nazionale, gli obiettivi di sicurezza della vita umana, di incolumità delle persone e di tutela dei beni e dell’ambiente ed aggiunge che nei luoghi di lavoro soggetti al decreto legislativo devono essere adottate idonee misure per prevenire gli incendi e per tutelare l’incolumità dei lavoratori [441]. Ogni disposizione contenuta nel decreto legislativo concernente aspetti di prevenzione incendi, sia per l’attività di disciplina che di controllo, deve essere riferita agli organi centrali e periferici del Dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile, di cui agli artt. 1 e 2, del d.lgs. n. 139 del 2006. Le maggiori risorse derivanti dall’espletamento della funzione di controllo sono rassegnate al Corpo nazionale dei vigili del fuoco per il miglioramento dei livelli di sicurezza antincendio nei luoghi di lavoro.


8.10.1. La partecipazione e la consultazione dei rappresentanti dei lavoratori
La VII sezione ricomprende le norme sulla rappresentanza collettiva dei lavoratori, su alcune delle quali aleggiano i criteri di delega e le innovazioni già previste dalla parte direttamente efficace della l. n. 123 del 2007. Quanto alla delega, vengono in gioco i criteri di cui all’art. 1, comma 2, lett.g [442] ed h [443], mentre, rispetto alle norme immediatamente operanti della predetta legge, qui rileva l’art. 3, comma 1, lett. c, d, e, ed f [444].
Come è noto, sulla figura del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RLS), introdotta con il d.lgs. n. 626 del 1994 in ossequio alla direttiva n. 89/391/CEE, ancora oggi permangono non poche incertezze, legate ad una serie di problemi, tra cui la natura della rappresentanza, l’ambito di riconoscimento del RLS, le sue modalità costitutive, le sue prerogative e le tutele che gli sono assicurate [445]. Non v’è dubbio che, fra tali problemi, il più denso sia quello connesso alla natura della rappresentanza per la sicurezza, su cui il nuovo decreto fornisce alcune indicazioni che delineano l’orientamento del legislatore.
L’art. 47 del d.lgs. n. 81 del 2008 stabilisce ora che nelle aziende o unità produttive che occupano fino a 15 lavoratori (e non più, come prima, solo dipendenti) il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza sia “di norma" – questa espressione rappresenta una novità – eletto direttamente dai lavoratori al loro interno, oppure sia individuato per più aziende nell’ambito territoriale o del comparto produttivo secondo quanto previsto dall’art. 48. Nulla è detto a proposito di quale sia la dimensione “territoriale" né di che cosa debba intendersi per “comparto produttivo", potendosi quindi ritenere che il rinvio che l’art. 47 opera all’art. 48 riguardi anche tali profili. Per la verità, l’unico riferimento in tal senso potrebbe essere reperito nel comma 2, il quale affida ai contratti collettivi nazionali (interconfederali o di categoria), stipulati dalle associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, l’individuazione delle modalità di elezione o designazione del RLST, prevedendo peraltro che, in mancanza della contrattazione, vi provveda con proprio decreto il Ministro del lavoro, sentite le predette associazioni. Al di là del dato lessicale del comma 2, apparentemente più limitativo, pare quindi – come del resto è opportuno – ricomprendere l’individuazione dei confini territoriali e la definizione del comparto produttivo fra le “modalità di elezione o designazione del RLST" di cui dovrà occuparsi l’autonomia collettiva, non dovendosi tuttavia trascurare il ruolo suppletivo ministeriale, indubbiamente finalizzato a rimarcare la necessarietà della rappresentanza di cui si sta parlando.
Per quanto riguarda le aziende o unità produttive con più di 15 lavoratori, si conferma la previsione antecedente secondo cui il RLS è eletto o designato dai lavoratori nell’ambito delle rappresentanze sindacali in azienda; in assenza di queste ultime, il rappresentante è eletto dai lavoratori della azienda al loro interno [446]. La novità consiste nel fatto che, ove non si proceda all’elezione (ma anche alla designazione), fatte salve diverse intese tra le associazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, le funzioni di RLS sono esercitate dai rappresentanti territoriali o di sito. Si tratta, dunque, di una ulteriore forte indicazione sulla necessarietà della rappresentanza, che risulta confermata anche dalla previsione (questa non nuova) sul numero minimo di RLS a seconda dell’organico aziendale, peraltro derogabile in melius in sede di contrattazione collettiva (apparentemente di qualunque livello essa sia: cfr. art. 47, comma 5): ricalcando l’art. 18, comma 6, del d.lgs. n. 626 del 1994, l’art. 47, comma 7, prevede: a) un rappresentante nelle aziende ovvero unità produttive sino a 200 lavoratori; b) tre rappresentanti nelle aziende ovvero unità produttive da 201 a 1.000 lavoratori; c) sei rappresentanti in tutte le altre aziende o unità produttive oltre i 1.000 lavoratori. Per queste ultime aziende, la nuova disposizione introduce peraltro una novità [447], prevedendo che il numero dei rappresentanti sia aumentato nella misura individuata dagli accordi interconfederali o dalla contrattazione collettiva. Anche a proposito del numero dei RLS, vale la base di computo riferita ai “lavoratori" e non più ai “dipendenti".
L’art. 48 si occupa diffusamente del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza territoriale (RLST) il quale, come già previsto dopo la modifica apportata dall’art. 3 della l. n. 123 del 2007, esercita le competenze del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza nei termini e con le modalità previste dall’art. 50 con riferimento a tutte le aziende o unità produttive del territorio o del comparto produttivo di competenza nelle quali non sia stato eletto o designato il RLS. A tale proposito può rilevarsi che, ove si valorizzi adeguatamente la peculiare natura “necessaria" ed “obbligatoria" della rappresentanza per la sicurezza [448], questa sorta di funzione erga omnes del RLS territoriale [449] non sembra in contrasto con il principio di libertà sindacale cui all’art. 39, comma 1, Cost. [450].
Trattandosi di una materia che tocca le prerogative delle organizzazioni sindacali, il decreto si limita a stabilire i principi, rinviando poi opportunamente all’autonomia collettiva la disciplina di dettaglio. Ciò avviene, come già anticipato, a proposito dell’individuazione, affidata alla contrattazione, [451] delle modalità di elezione o designazione del RLST, rendendosi così più elastica la previsione maggiormente prescrittiva della norma precedente, come modificata dall’art. 3 della l. n. 123 del 2007, la quale, riferendosi (ancorché “di norma") alla sola elezione, pareva accentuare la dimensione pubblicistica della rappresentanza [452], almeno con riferimento alle modalità della sua costruzione. Anche la nuova normativa sembrerebbe quindi ancora oscillare tra la dimensione “pubblicistica" e quella “volontaristica" della rappresentanza per la sicurezza e, in particolare, di quella del RLST. Senza potere in questa sede approfondire oltre misura la questione, non sembra azzardato ipotizzare che la finalità ed il ruolo della figura del RLS (compreso il RLST) sono tali da rendere non del tutto appagante (quando non fuorviante) una secca dicotomia tra dimensione pubblicistico-obbligatoria e dimensione privatistico-volontaristica. Presumibilmente, la fattispecie dovrebbe invece essere riguardata combinando le due ottiche, privilegiando la prima per quanto attiene all’an ed al quod, vale a dire alla presenza ed alle funzioni del RLS e, quindi alle sue relazioni (per così dire esterne) con il datore di lavoro, con gli altri protagonisti del sistema prevenzionistico aziendale, nonché con i soggetti del sistema istituzionale (organismi di vigilanza); la seconda ottica sembra invece riguardare le modalità delle sue relazioni (per così dire interne) sia con i soggetti che necessariamente rappresenta (lavoratori) sia con quelli con cui non può non rapportarsi, sia strategicamente sia anche in termini di “dipendenza" [453], per lo svolgimento della propria attività (organizzazioni sindacali, organismi paritetici, ma anche altri RLS nel caso del RLS di sito produttivo), con particolare riferimento al quomodo della sua individuazione.
Nella querelle sulla natura della rappresentanza del RLS si inserisce anche il discorso relativo al cosiddetto election day, che l’art. 47 riconferma, con qualche ulteriore precisazione [454], rispetto alla disciplina immediatamente previgente. Si tratta, come è noto, della previsione secondo cui l’elezione dei RLS aziendali, territoriali o di comparto, salvo diverse determinazioni in sede di contrattazione collettiva, avviene di norma in corrispondenza della giornata nazionale per la salute e sicurezza sul lavoro individuata, nell’ambito della settimana europea per la salute e sicurezza sul lavoro, con decreto del Ministro del lavoro di concerto con il Ministro della salute, sentite le confederazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. A tale proposito si è rilevato come la previsione dell’election day contraddica la dimensione privatistico-volontaristica della rappresentanza per la sicurezza, deponendo per una visione pubblicistica di tale istituto [455]. Si può tuttavia replicare che, adottando l’ottica plurale o mista a cui si è appena fatto cenno, l’equivoco sulla eccessiva pubblicizzazione può risolversi. D’altro canto, non può trascurarsi che, sempre in base all’art. 47, da un lato l’election day opera “di norma", facendosi salve diverse determinazioni in sede di contrattazione collettiva, e dall’altro lato il decreto ministeriale finalizzato ad individuare la data postula il parere delle confederazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. Né, a ben guardare, l’attribuzione al predetto decreto del compito di disciplinare anche le modalità di attuazione dell’election day contrasta, come si è sostenuto, con la previsione di cui all’art. 47, comma 5, che – riproponendo quanto già contemplato nell’art. 18, comma 4, del d.lgs. n. 626 del 1996 – affida alla contrattazione collettiva le modalità di designazione o di elezione del RLS [456]. Infatti, è da presumere che le modalità di attuazione dell’election day abbiano a che fare essenzialmente con questioni di carattere tecnico-organizzativo o strumentale (certamente non di secondaria importanza) che, pur essendo funzionali alla realizzazione delle modalità di designazione o di elezione del RLS di stretta competenza dell’autonomia collettiva, tuttavia non vi corrispondono né possono corrispondervi.
Tornando al RLST, per l’esercizio delle proprie attribuzioni questi accede ai luoghi di lavoro nel rispetto delle modalità e del termine di preavviso individuati dagli accordi collettivi: il termine di preavviso non opera tuttavia in caso di infortunio grave, nel qual caso l’accesso avviene previa segnalazione all’organismo paritetico. Ove l’azienda impedisca l’accesso, nel rispetto delle modalità previste dalla legge, al RLST, questi lo comunica all’organismo paritetico o, in sua mancanza, all’organo di vigilanza territorialmente competente: si tratta di una previsione discutibile, non comprendendosi perché, data la delicatezza della fattispecie, la comunicazione all’organo di vigilanza debba configurarsi solo come sussidiaria.
All’autonomia organizzativa delle organizzazioni sindacali spetterà individuare i possibili rapporti funzionali con il RLST [457], il cui nominativo è comunicato alle aziende, ai lavoratori interessati ed agli organi di vigilanza territorialmente competenti dall’organismo paritetico o, in mancanza, dal fondo di cui all’art. 52 [458]. È stato opportunamente rilevato che il presupposto necessario ai fini della predetta comunicazione è rappresentato dalla conoscenza della presenza o meno del RLS in azienda: un dato non facilmente appurabile visto che il datore di lavoro deve annualmente comunicare solo all’INAIL i nominativi dei RLS eletti o designati in azienda (art. 18, comma 1, lett. aa), e non anche agli organismi paritetici [459]. A tale difficoltà – generata dalla scomparsa, nel testo finale del decreto, della più che opportuna previsione che obbligava il datore di lavoro ad inviare agli organismi paritetici copia del verbale di elezione del RLS [460] – si potrebbe forse tentare di porre rimedio valorizzando il fatto che il fondo di cui all’art. 52 è costituito presso l’INAIL, cosicché, raccordando debitamente le predette comunicazioni datoriali da quest’ultimo ricevute, si potrebbe mettere il fondo in condizione di sapere se la tal impresa abbia o meno il proprio RLS; lo stesso fondo potrebbe quindi fornire i dati agli organismi paritetici (al sostegno dei quali lo stesso fondo è fra l’altro finalizzato) consentendo loro di comunicare alle aziende carenti di RLS il nome del RLST. Diversamente lo stesso fondo potrebbe fornire direttamente alle aziende quest’ultima comunicazione, come del resto prevede l’art. 48, comma 6: poiché però tale compito è attribuito al fondo “in mancanza" degli organismi paritetici, occorrerebbe interpretare elasticamente l’espressione “in mancanza" non solo come inesistenza dell’organismo paritetico, ma anche come mancanza da parte di quest’ultimo dei dati necessari per operare. Come si sarà avvertito, il problema di cui si discute è tutt’altro che marginale, giacché dalla sua soluzione dipende l’effettività della funzione generalizzata di tutela del RLST. Ad essere maliziosi, verrebbe da pensare che la soppressione in “zona Cesarini" della citata previsione sul verbale di elezione non sia stata del tutto casuale!
L’importanza strategica delle funzioni del RLST ai fini di un’adeguata rappresentanza nelle tante realtà di piccole dimensioni ha indotto il legislatore delegato a configurarne l’esercizio come incompatibile con l’esercizio di altre funzioni sindacali operative, senza peraltro specificare quali esse siano. Tale silenzio dovrebbe essere colmato, nella loro autonomia, dall’interpretazione delle organizzazioni sindacali, potendosi ritenere – come è stato rilevato – che l’incompatibilità riguardi “lo svolgimento di funzioni sindacali in aree diverse (‘altre’) di intervento ma non anche… incarichi nella stessa materia… (ad esempio componente di organismo paritetico)" [461]. Non pare comunque dubbio che la previsione dell’incompatibilità costituisca una ulteriore, e non marginale, indicazione circa la natura “pubblicistica" (nel senso di “obbligatoria" e “necessaria") della rappresentanza per la sicurezza di cui si parlava poc’anzi e, in particolare, di quella che prende corpo attraverso il RLST.
Alla valorizzazione del ruolo del RLST si affianca, nel rispetto della delega, l’introduzione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza di sito produttivo che è individuato in specifici contesti produttivi caratterizzati dalla compresenza di più aziende o cantieri [462]. Il legislatore valorizza così alcune esperienze realizzate in alcuni grandi porti italiani (Napoli e Genova) per i quali sono stati predisposti appositi protocolli sulla gestione della sicurezza [463].
Con una disposizione che riecheggia vagamente i toni dell’art. 19 Stat. lav., si prevede che, in tali contesti, il RLS di sito produttivo è individuato, su loro iniziativa, tra i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza delle aziende operanti nel medesimo sito. L’aver lasciato all’“iniziativa" dei vari RLS la decisione circa l’individuazione del RLS di sito costituisce una scelta particolarmente opportuna e responsabile, che tiene conto del delicato ruolo della nuova figura, la quale non può essere semplicemente imposta, ma deve essere valorizzata in ragione del grado di consapevolezza e di maturità dei vari soggetti dai quali dipende la sua individuazione e con i quali, in primo luogo, il RLS di sito deve rapportarsi. In tal senso è presumibile che il metodo migliore per la predetta individuazione sia la designazione, al loro interno, da parte dei RLS delle aziende operanti nel sito [464], ma assai opportunamente il legislatore ha assegnato ancora una volta alla contrattazione collettiva il compito di stabilire le modalità di individuazione del RLS di sito, nonché le modalità secondo cui egli esercita le attribuzioni di cui all’art. 50 in tutte le aziende o cantieri del sito produttivo in cui non vi siano RLS e realizza il coordinamento tra i RLS del medesimo sito [465]. Il RLS di sito è stato quindi opportunamente considerato essenzialmente come integrativo e non solo come sostitutivo dei RLS aziendali. È tuttavia presumibile che la messa a punto della nuova figura e delle sue prerogative richieda un confronto non semplice tra le organizzazioni sindacali, specialmente per quanto concerne le relazioni tra il RLS di sito e gli altri RLS.
Il riferimento del legislatore delegato alla funzione di supplenza del RLS di sito per le aziende del sito che non abbiano propri RLS induce a riflettere, almeno in astratto, sul fatto che, dipendendo l’individuazione del RLS di sito dall’iniziativa dei RLS aziendali, ove nessuna azienda operante nel sito avesse propri RLS, l’individuazione del RLS di sito sarebbe impossibile. Il che, al di là della ipotesi di scuola, sarebbe ancor più paradossale perché,non potendosi individuare il RLS di sito, nessuno potrebbe svolgere le funzioni di RLS per quelle aziende. Senza minimamente sconfessare la scelta del legislatore sull’“iniziativa", in simili casi estremi soccorrerebbe il “combinato disposto" degli artt. 47, comma 8, e 48, comma 1, dal quale emergerebbe come extrema ratio il RLST [466]. Resterebbe peraltro sullo sfondo il problema della effettiva capacità rappresentativa di tale figura, ancorata appunto alle peculiarità del territorio, nei confronti dei lavoratori di imprese che, come spesso accade nei grandi siti, essendo legate alla catena degli appalti e dei subappalti, difficilmente sono radicate nel sito e nel suo territorio, spesso emergendo e scomparendo con notevole facilità. Di qui l’esigenza di valorizzare il più possibile il rinvio alla contrattazione collettiva operato dall’art. 49, comma 3, la quale avrà anche il compito di studiare la soluzione più idonea per le ipotesi di confine come quella appena descritta.
Tra le nuove attribuzioni del RLS previste dall’art. 50, che si aggiungono a quelle già definite dall’art. 19 del d.lgs. n. 626 del 1994, figura la sua consultazione anche sulla designazione del medico competente, nonché in merito all’organizzazione della formazione senza più la limitazione precedente riferita agli addetti alle emergenze. Si estende il suo diritto di ricorrere alle autorità competenti qualora ritenga che le misure di prevenzione e protezione dai rischi e i mezzi impiegati per attuarle non siano idonei a garantire la sicurezza e la salute durante il lavoro anche qualora le predette misure siano adottate dai dirigenti e non solo dal datore di lavoro (come in precedenza). Inoltre, in occasione di visite e verifiche effettuate dalle autorità competenti, si prevede opportunamente che sia sentito da queste, anche se “di norma". Si prevede che possa disporre non solo, come prima, del tempo necessario allo svolgimento dell’incarico senza perdita di retribuzione, e dei mezzi necessari per l’esercizio delle funzioni e delle facoltà riconosciutegli, ma anche degli spazi e anche tramite l’accesso ai dati, di cui all’art. 18, comma 1, lett. r, contenuti in applicazioni informatiche. In caso di appalto, i RLS rispettivamente del datore di lavoro committente e delle imprese appaltatrici, su loro richiesta e per l’espletamento della loro funzione, ricevono copia del DUVRI. Il RLS è tenuto al rispetto delle disposizioni sulla privacy e del segreto industriale relativamente alle informazioni contenute nel DVR e nel DUVRI, nonché al segreto in ordine ai processi lavorativi di cui venga a conoscenza nell’esercizio delle funzioni [467].
Dissipando alcuni dubbi (peraltro alquanto inconsistenti) che pure erano stati avanzati sotto l’egida della precedente disciplina, il nuovo decreto legislativo prevede del tutto ragionevolmente che l’esercizio delle funzioni di RLS sia incompatibile con la nomina di responsabile o addetto al servizio di prevenzione e protezione.
Da ultimo, va osservato che l’articolata disciplina contenuta nella Sezione VII del Capo III del Titolo I, che arricchisce vieppiù quella precedente, dovrebbe eliminare i residui spazi di operatività dell’art. 9 Stat. lav. [468], ove beninteso non lo si ritenesse già implicitamente abrogato dalle disposizioni del d.lgs. n. 626 del 1994 [469]. Sorprende tuttavia non poco il silenzio del legislatore delegato (forse condizionato dal valore simbolico di un’abrogazione esplicita di una norma dello Stat. lav.), il quale non può non essersi posto la questione, che, contrariamente alle apparenze, non è secondaria. Ci si potrebbe infatti chiedere quali conseguenze potrebbero configurarsi ove i lavoratori appartenenti ad un’impresa in cui non fosse stato direttamente eletto il proprio RLS, dissentendo dalla strategia del RLST, intendessero tutelarsi collettivamente ex se invocando le prerogative previste dal formalmente sopravvissuto art. 9 Stat. lav., questo sì decisamente volto a configurare una rappresentanza tutta privatistico-volontaristica: al di là della scolasticità di tale ipotesi e della non sovrapponibilità tra la rappresentanza di cui all’art. 9 Stat. lav. e quella del RLS, la vicenda potrebbe comunque creare problemi sia sul piano dei rapporti tra lavoratori e RLST, sia su quello delle incombenze gravanti sul datore di lavoro, il quale, non potendo opporsi all’esercizio delle prerogative connesse alla rappresentanza collettiva per la sicurezza [470], rischierebbe di non sapere a chi “dare ascolto". Né, per altro verso, deve trascurarsi che proprio l’incertezza sull’uscita di scena della norma statutaria (inevitabilmente connessa al meccanismo dell’abrogazione implicita) potrebbe, ancorché indirettamente, contribuire ad alimentare la pur tenue fiammella dell’incostituzionalità della previsione dell’efficacia erga omnes delle funzioni del RLST. Pare quindi che il legislatore delegato non abbia percepito tutti i riflessi della giusta scelta di rafforzare il ruolo del RLS, in particolare del RLST, la quale non poteva non modificare sensibilmente lo scenario complessivo della tutela collettiva della sicurezza. In questo nuovo scenario, ove si ritenesse ancora vigente la norma statutaria, i modelli di rappresentanza ivi contemplati potrebbero ipoteticamente trovare ancora spazio solo se non si ponessero in conflitto con quelli “nuovi" di derivazione comunitaria, ma invece servissero a rafforzarne l’azione.
Un’ultimissima considerazione concerne il fatto che l’ampliamento dei destinatari della tutela e, nel contempo, la considerazione dei “lavoratori" (e non più dei soli dipendenti) come base di calcolo per l’applicazione delle disposizioni sull’individuazione dei RLS, non potranno non riverberare effetti sul piano sia dell’elettorato attivo sia di quello passivo. I “nuovi" RLS dovranno essere espressione dei “nuovi" lavoratori a cui si rivolge il d.lgs. n. 81 del 2008 e ben potranno essere, secondo le previsioni della contrattazione collettiva, anche lavoratori non subordinati o non standard.


8.10.2. Gli organismi paritetici e il fondo di sostegno
L’art. 51 prevede la costituzione a livello territoriale degli organismi paritetici, definiti, dall’art. 2, lett. ee, come organismi costituiti ad iniziativa di una o più associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, quali sedi privilegiate per: la programmazione di attività formative e l’elaborazione e la raccolta di buone prassi a fini prevenzionistici; lo sviluppo di azioni inerenti alla salute e sicurezza sul lavoro; l’assistenza alle imprese finalizzata all’attuazione degli adempimenti in materia; ogni altra attività o funzione assegnata loro dalla legge o dai contratti collettivi di riferimento [471].
Gli organismi paritetici possono supportare le imprese nell’individuazione di soluzioni tecniche e organizzative dirette a garantire e migliorare la tutela della salute e sicurezza sul lavoro. Per le stesse finalità di supporto, gli organismi paritetici possono effettuare sopralluoghi nei luoghi di lavoro rientranti nei territori e nei comparti produttivi di competenza, purché dispongano di personale con specifiche competenze tecniche in materia di salute e sicurezza sul lavoro [472]. In tal modo viene opportunamente superata la discutibile previsione introdotta con l’art. 7 della l. n. 123 del 2007 [473], che riconosceva agli organismi paritetici il diritto di effettuare sopralluoghi finalizzati a valutare l’applicazione delle norme in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, dei cui esiti veniva informata la competente autorità di coordinamento delle attività di vigilanza, alla quale gli organismi paritetici potevano richiedere di disporre l’effettuazione di controlli in materia di sicurezza del lavoro mirati a specifiche situazioni [474].
Un’altra importante novità è rappresentata dal fondo di sostegno alla piccola e media impresa, ai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza territoriali e alla pariteticità costituito presso l’INAIL. Il fondo opera a favore delle realtà in cui la contrattazione nazionale o integrativa non preveda o costituisca sistemi di rappresentanza dei lavoratori e di pariteticità migliorativi o, almeno, di pari livello ed ha quali obiettivi: a) il sostegno ed il finanziamento, in misura non inferiore al 50% delle disponibilità del fondo, delle attività delle rappresentanze dei lavoratori per la sicurezza territoriali, anche con riferimento alla formazione; b) il finanziamento della formazione dei datori di lavoro delle piccole e medie imprese, dei piccoli imprenditori, dei lavoratori stagionali del settore agricolo e dei lavoratori autonomi; c) il sostegno delle attività degli organismi paritetici.
Il fondo è finanziato: a) da un contributo delle aziende nel cui ambito non sia stato eletto o designato il RLS in misura pari a due ore lavorative annue per ogni lavoratore occupato presso l’azienda o l’unità produttiva; b) dalle entrate derivanti dall’irrogazione delle sanzioni previste dal d.lgs. n. 81 del 2008 per la parte eccedente quanto riscosso a seguito dell’irrogazione delle sanzioni previste dalla previgente normativa abrogata dallo stesso decreto nel corso dell’anno 2007, incrementato del 10%; c) con una quota parte delle risorse di cui all’art. 9, comma 3; d) relativamente all’attività formativa per le piccole e medie imprese di cui al comma 1, lett. b, anche dalle risorse di cui all’art. 11, comma 2 [475].


8.10.3. Il ruolo della contrattazione collettiva e la dimensione collettiva della sicurezza sul lavoro
Come si è appena visto, in materia di rappresentanza dei lavoratori per la sicurezza il legislatore delegato opera vari rinvii alla contrattazione collettiva [476]. Purtroppo, non sempre la tecnica del rinvio risulta precisa. Può infatti osservarsi che, mentre l’art. 48, comma 2, attribuisce alla contrattazione collettiva “nazionale" l’individuazione delle modalità di elezione o designazione del RLST, l’art. 47, comma 5, affida genericamente alla contrattazione collettiva il compito di stabilire il numero dei RLS – prevedendo peraltro che la deroga in melius di tale numero nelle aziende con più di 1.000 lavoratori spetti agli accordi interconfederali o alla contrattazione collettiva (nazionale?) – nonché quello di definire il tempo di lavoro retribuito, gli strumenti per l’espletamento delle funzioni del RLS e le modalità di designazione o di elezione del medesimo. Identico riferimento generico alla contrattazione si rintraccia nell’art. 47, comma 6, a proposito delle determinazioni – relative all’elezione dei RLS aziendali, territoriali e di comparto – alternative all’election day, sebbene il parere sul decreto ministeriale sullo stesso election day debba essere espresso dalle confederazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. Altrettanto vale per l’art. 48, comma 7, in relazione alla determinazione di modalità, durata e contenuti specifici della formazione del RLST, nell’art. 49, comma 3, in ordine alle modalità di individuazione del RLS di sito produttivo e nell’art. 50, comma 1, in merito alla salvezza di diverse previsioni sulle attribuzioni del RLS, laddove il comma 3 della stessa norma rinvia peraltro alla contrattazione collettiva nazionale la definizione delle modalità per l’esercizio delle attribuzioni indicate ex lege nel comma 1. Parimenti generiche sono le previsioni contrattuali fatte salve dall’art. 51, comma 2, là dove riconosce gli organismi paritetici come prima istanza di riferimento in merito alle controversie sull’applicazione dei diritti di rappresentanza, informazione e formazione. La mancanza di precisione e di coordinamento fra queste previsioni rischia di creare incertezze sui livelli negoziali (anche quello territoriale o quello aziendale?) deputati a determinati compiti, sebbene, date le funzioni di cui trattasi, una disciplina omogenea a carattere nazionale appaia più opportuna [477].
Al di là di questi aspetti, occorre osservare che il legislatore delegato ha traslato in capo alla Commissione consultiva permanente il compito di dare attuazione al criterio di delega di cui all’art. 1, comma 2, lett. l, invitandola così a valorizzare sia gli accordi sindacali, sia i codici di condotta ed etici, adottati su base volontaria, che, in considerazione delle specificità dei settori produttivi di riferimento, orientino i comportamenti dei datori di lavoro, anche secondo i principi della responsabilità sociale, dei lavoratori e di tutti i soggetti interessati, ai fini del miglioramento dei livelli di tutela definiti legislativamente (art. 6, comma 8, lett. h) [478]. Si tratterà di verificare se il raccordo tra legge ed accordi previsto nel criterio di delega (“anche mediante rinvio legislativo") ne risulterà più attenuato, non dovendosi peraltro trascurare, da un lato, quanto rilevato sulla difficile operatività della contrattazione collettiva, specie aziendale, nelle piccole imprese [479] e, da un altro lato, quanto sottolineato in ordine alla possibilità che la contrattazione possa o affiancarsi alle buone prassi ed ai codici di condotta o favorirne la creazione [480].
Se è vero che sicurezza del lavoro e contrattazione collettiva costituiscono una coppia che è stata spesso guardata con sospetto, soprattutto a causa del rischio di monetizzazione di un bene non negoziabile qual è quello della salute e della sicurezza [481], è vero pure che gli spazi per la contrattazione non sono poi così esigui, a cominciare da quei compiti “integrativi" [482] (come già rilevato a proposito della disciplina della sicurezza in alcune tipologie flessibili: v. supra § 6.2.3.2) sia per quanto concerne l’adeguamento della disciplina generale sia per quanto attiene alla definizione di una rete di protezione minimale ove tale disciplina non sia applicabile. Né possono trascurarsi ulteriori spazi, come la “pianificazione concordata, soprattutto a livello aziendale, di investimenti in prevenzione", o la “definizione di modalità e strumenti per affrontare al meglio rischi e patologie nuovi" (come il mobbing), o, ancora, l’individuazione di “percorsi mirati di inserimento e di supporto per categorie di lavoratori particolarmente a rischio (flessibili, extracomunitari, donne, ecc.)" [483].
Vero è che la contrattazione collettiva gioca un ruolo decisivo in materia di salute e sicurezza anche quando non si occupa direttamente di questi temi. Il che accade tutte le volte in cui essa affronta tematiche legate all’organizzazione del lavoro [484], come accade ad esempio a proposito dei tempi di lavoro. Ciò avvalora quanto detto in precedenza, a proposito delle fonti (v. supra § 4), là dove si rilevava che la sicurezza del lavoro, in quanto “valore", più che una materia in senso tecnico rappresenta una materia trasversale o, se si vuole, una meta-materia. Tutto ciò induce a riflettere sull’importanza della contrattazione e, in particolare, su quali possano essere le conseguenze della sua crescente debolezza (o addirittura inesistenza) in certi ambiti [485].
Se la dimensione collettiva della sicurezza del lavoro trascende la pur fondamentale disciplina tecnica relativa al RLS per allargarsi a gran parte delle questioni legate alla protezione dei lavoratori nel rapporto di lavoro, essa ha sempre più a che fare anche con il ruolo che le parti sociali giocano nel sistema istituzionale della sicurezza del lavoro [486], dove, pur non negoziando, possono incidere sensibilmente sulle politiche della prevenzione e della sua effettività: si tratta di una rappresentanza collettiva per la sicurezza diversa da quella che si esercita nei luoghi di lavoro, ma che può offrire ad essa notevole sostegno.
Proprio la sottolineatura sulla dimensione istituzionale della rappresentanza collettiva per la sicurezza, che riguarda “entrambe" le parti sociali, evoca un’ultima considerazione (ultima non certo per importanza). Si tratta dell’attenzione da riservare alla rappresentanza collettiva dei datori di lavoro che, mai come sul terreno della sicurezza, necessitano di un costante supporto, specialmente quando si tratta di datori con pochi addetti. La frammentazione dei piccoli imprenditori, il loro frequente procedere isolati e il ricorso all’arte del “fai da te" non sono certo elementi che agevolano la crescita di un clima di sicurezza. Di qui l’importanza degli organismi paritetici e l’apprezzamento per quelle previsioni del nuovo decreto in cui si attribuisce un ruolo alle associazioni datoriali [487].


8.11. La semplificazione e le regole sulla documentazione tecnico-amministrativa e le statistiche
L’art. 1, comma 2, lett. d, della l. n. 123 del 2007 ha previsto come ulteriore criterio di delega la semplificazione degli adempimenti meramente formali [488] in materia di salute e sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro, nel pieno rispetto dei livelli di tutela, con particolare riguardo alle piccole, medie e micro imprese, nonché la previsione di forme di unificazione documentale.
Per quanto concerne il criterio delegante della semplificazione, al di là delle incertezze sull’identificazione degli “adempimenti meramente formali" [489], si era rilevato che, nonostante alcuni dubbi sulla perseguibilità dell’obiettivo della semplificazione con la legge dello Stato, “restituire leggerezza alla norma" equivale “a renderla autorevole", pur avvertendosi che la semplificazione delle regole non può comportare una riduzione delle tutele, “poiché l’esigenza che si vuole soddisfare non è quella di rendere la prescrizione meno onerosa per il datore e, di riflesso, più inconsistente e fragile la protezione del diritto alla salute del creditore di sicurezza" [490]. Nel Titolo I del nuovo decreto, di semplificazione si parla esplicitamente in due ipotesi: nell’art. 3, comma 13, che rinvia ad un decreto interministeriale l’emanazione di disposizioni per semplificare, nel settore agricolo, gli adempimenti relativi all’informazione, formazione e sorveglianza sanitaria previsti dal d.lgs. n. 81 del 2008; nell’art. 53, comma 5, in cui si prevede che le modalità per l’eventuale eliminazione o per la tenuta semplificata della documentazione rilevante in materia di igiene, salute e sicurezza sul lavoro siano definite con un successivo decreto da adottare entro 12 mesi dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 81 del 2008. Previsioni di semplificazione sono peraltro presenti in varie disposizioni: è il caso della previsione della prossima uscita di scena del registro degli infortuni (v. supra § 8.2) o della scomparsa degli obblighi per il datore di lavoro di trasmettere all’organo di vigilanza competente per territorio una serie di documenti ove intenda svolgere direttamente i compiti del SPP (v. supra § 8.6).
Ad una particolare semplificazione è dedicata anche la Sezione VII, relativa alla documentazione tecnico-amministrativa [491]. L’art. 53 prevede la possibilità di impiegare sistemi di elaborazione automatica dei dati per la memorizzazione di qualunque tipo di documentazione prevista dal decreto legislativo [492]. Ove le attività del datore di lavoro siano articolate su varie sedi geografiche o organizzate in distinti settori funzionali, l’accesso ai dati può avvenire mediante reti di comunicazione elettronica, attraverso la trasmissione della password in modalità criptata e fermo restando quanto previsto relativamente alla immissione e validazione dei dati da parte delle persone responsabili. La documentazione cartacea ed informatica deve essere custodita nel rispetto del d.lgs. n. 196 del 2003 in materia di protezione dei dati personali. Tutta la documentazione rilevante in materia di igiene, salute e sicurezza sul lavoro e tutela delle condizioni di lavoro può essere tenuta su unico supporto cartaceo o informatico [493].
L’art. 54 prevede infine che la trasmissione di documentazione e le comunicazioni a enti o amministrazioni pubbliche, comunque previste dal d.lgs. n. 81 del 2008, possano avvenire tramite sistemi informatizzati, nel formato e con le modalità indicati dalle strutture riceventi.


9. Brevi spigolature sull’apparato sanzionatorio
Dati i limiti di spazio di questa ricerca e soprattutto di specifica competenza di chi la conduce, non ci si può qui diffondere sul tema delle sanzioni, limitandocisi a qualche brevissima osservazione di contorno.
Alle analisi dei penalisti e dei processualpenalisti spetterà accertare se i complessi criteri di delega in materia sanzionatoria [494] abbiano trovato attuazione nel decreto delegato. Non ci si riferisce tanto a quelli che, ictu oculi, si colgono chiaramente nelle norme del d.lgs. n. 81 del 2008 (come, ad esempio, l’art. 13, comma 6, con riferimento al criterio di cui al n. 6 dell’art. 1, comma 2, lett.f; l’art. 56 rispetto al rilievo del preposto; l’art. 61 relativamente al criterio di cui al n. 5, al di là delle sue evidenti imprecisioni), quanto ai criteri più pregnanti. È il caso della valorizzazione del sistema del d.lgs. n. 758 del 1994, di cui apparentemente non v’è traccia a meno di non pensare che tale valorizzazione derivi implicitamente dal massiccio ricorso alla pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda che costituisce il presupposto per l’operatività del meccanismo della prescrizione ivi previsto. È il caso della distinzione tra natura sostanziale o formale della violazione, o della identificazione delle infrazioni che ledano interessi generali dell’ordinamento o della soglia che divide le infrazioni punite con sanzione penale da quelle assoggettate a sanzione amministrativa [495].
Certo è che il metodo seguito dal legislatore delegato lascia non poco a desiderare [496]. Al di là dei possibili dubbi sul fatto che la tecnica migliore per delineare l’apparato sanzionatorio fosse quella del “rinvio", peraltro già sperimentata nel d.lgs. n. 626 del 1994 [497], restano non poche perplessità sul modo in cui è stata applicata, non essendo sempre agevole individuare in che cosa consista il fatto illecito sanzionato [498]. È quanto accade, ad esempio, nell’art. 55, comma 1, lett. a, che, fra l’altro, punisce con l’arresto da 4 a 8 mesi o con l’ammenda da 5.000 a 15.000 euro il datore di lavoro che omette la valutazione dei rischi e l’adozione del documento di cui all’art. 17, comma 1, lett. a, ovvero che lo adotta in assenza degli elementi di cui alle lettere a, b, d ed f dell’art. 28. La parola “adozione" (del documento) che compare nell’art. 55 non figura nell’art. 17, comma 1, lett. a, che invece parla di “elaborazione", né tanto meno nell’art. 28 in cui si parla invece di “redazione" del documento. È evidente che alle indubbie discordanze presenti nelle norme contenenti il precetto si poteva e si doveva porre rimedio in sede di definizione della norma sanzionatoria, laddove quest’ultima ha invece introdotto un ulteriore concetto assente in quelle, rischiando di complicare oltremodo la vicenda. Al di là del fatto che l’“adozione" non può essere intesa se non come “elaborazione" del documento, non c’è dubbio che si tratti di un termine dal significato diverso, non dovendosi in ogni caso dimenticare che i principi di legalità e di tassatività vigenti in materia penale non consentono disinvolte operazioni qualificatorie.
Le criticità non si esauriscono però qui. Sempre a titolo esemplificativo, può rilevarsi, fra i comportamenti illeciti del datore di lavoro e del dirigente, l’assenza nell’art. 55, comma 4, della mancata formazione di cui all’art. 37. È vero che lo stesso art. 55, comma 4, lett. e, punisce la violazione dell’art. 18, comma 1, lett. l, vale a dire dell’obbligo generale di informazione, formazione e addestramento; è però altrettanto vero che, mentre nel caso della informazione l’art. 55, comma 4, lett. a, punisce espressamente le violazioni dell’art. 36, nulla dice invece per quelle dell’art. 37, dovendosi così ritenere che qualsivoglia violazione di tale norma sia ricompresa nella violazione dell’art. 18, comma 1, lett. l.
Spigolando qua e là, può cogliersi un’ulteriore criticità, che potrebbe comportare conseguenze rilevanti. Si tratta dell’evidente abbassamento di protezione, non consentito dalla delega, che si registra nell’art. 55, comma 3, il quale punisce con la sola pena dell’ammenda il datore di lavoro che effettui la valutazione dei rischi senza coinvolgere il RSPP ed il medico competente (ove sia da coinvolgere), ovvero senza consultare il RLS, o che non rielabori il documento in caso di significative modifiche del processo produttivo o dell’organizzazione del lavoro: tutte violazioni che l’art. 89, comma 1, del d.lgs. n. 626 del 1994 puniva con la più severa pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda. Né sembra potersi sostenere che la modificazione della natura della sanzione sia compensabile con l’elevazione dell’importo dell’ammenda rispetto al passato, giacché le violazioni di cui trattasi (analoghe alle altre violazioni relative alla valutazione dei rischi che l’art. 55, comma 1, punisce correttamente con la pena alternativa) non sembrano integrare gli estremi delle infrazioni formali per le quali la delega prevede la pena esclusiva dell’ammenda. E critiche del medesimo tenore possono riguardare l’art. 55, comma 4, lett. n,che irroga una sanzione amministrativa pecuniaria per la violazione di quanto previsto nell’art. 18, comma 1, lett. s (obbligo di consultare il RLS nelle ipotesi di cui all’art. 50 [499]), laddove l’art. 89, comma 2, lett. b, del d.lgs. n. 626 del 1994 puniva le analoghe violazioni dell’art. 4, comma 5, lett. p, con la pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda [500].
Al di là di questi rilievi, resta il rammarico per il fatto che il legislatore delegato non abbia saputo o voluto cogliere l’occasione, offertagli dal criterio generale del “riordino e del coordinamento delle norme vigenti", per attrarre nel decreto, affiancandole alle tradizionali sanzioni in una logica di sussidiarietà, ulteriori misure di dissuasione, peraltro debitamente razionalizzate e sistematizzate. Il riferimento è a quelle previsioni oggi sparse nell’ordinamento che, subordinando la costituzione di tipologie contrattuali flessibili alla effettuazione della valutazione dei rischi, puniscono la mancata valutazione con una sorta di “sanzione civile indiretta" che si ripercuote sulla validità del contratto “flessibile" eventualmente stipulato [501]. Come è stato autorevolmente suggerito, divieti di questo tipo meriterebbero di essere generalizzati per tutte le tipologie “flessibili" e probabilmente estesi anche alle altre violazioni della normativa prevenzionistica [502]. Per altro verso, come si è posto in luce in altra sede [503], quelle laconiche e standardizzate previsioni richiederebbero un intervento di affinamento, soprattutto per renderle più effettive di quanto siano attualmente. Esse, ancorché indirettamente, dovrebbero concorrere a fornire tutela in una delle zone più grigie della sicurezza del lavoro, dove la temporaneità dei rapporti di lavoro spesso accresce i rischi per i lavoratori.


10. Conclusione
Al di là delle perplessità relative alle sanzioni ed alla debole considerazione dei nuovi scenari del mercato del lavoro [504] – del resto evocati dalla stessa delega con il riferimento alle misure di particolare tutela per determinate categorie di lavoratori e lavoratrici e per specifiche tipologie di lavoro [505] –, il Titolo I del nuovo decreto merita un complessivo apprezzamento, specialmente perché (in particolare nelle norme sul sistema istituzionale) sembra aver colto quell’elemento che ormai tutti considerano decisivo per combattere efficacemente la piaga degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali: la costruzione della “cultura della prevenzione" [506], in vista della quale l’applicazione del nuovo decreto, che ora inizia il suo cammino, costituisce un’occasione imperdibile [507]. Per la verità, anche qui sarebbe stato auspicabile fare assai di più, giacché senza adeguati investimenti finanziari è arduo realizzare politiche efficaci. Spetterà in particolare alla Commissione consultiva permanente agire bene e in fretta per far sì che possano trovare attuazione le misure premiali previste dal decreto, quale, ad esempio, quella di cui all’art. 27, comma 2, secondo cui il possesso dei requisiti per ottenere la qualificazione dell’impresa (definita in base ai criteri individuati dalla predetta Commissione) costituisce elemento vincolante per la partecipazione alle gare relative agli appalti e subappalti pubblici e per l’accesso ad agevolazioni, finanziamenti e contributi a carico della finanza pubblica, sempre se correlati ai medesimi appalti o subappalti [508].
Affinché non si trasformi in un luogo comune, la “cultura della prevenzione" non deve confondersi con la retorica della prevenzione. È retorica, e non cultura della prevenzione, la “riduzione per la televisione" del dramma quotidiano delle cosiddette morti bianche; è ancora retorica l’accento posto dai mass media sugli infortuni sul lavoro senza far mai un cenno alla tragedia silenziosa delle malattie professionali; ed è retorica anche la mistificazione con la quale si invoca la “cultura della prevenzione" in alternativa alle sanzioni, come si è fatto ripetutamente anche nel dibattito che ha accompagnato la costruzione del d.lgs. n. 81 del 2008 [509]. In realtà, se non si vuole che la “cultura della prevenzione" continui ad essere solo un’immagine fantomatica, si dovrebbe invece affermare a chiare lettere che essa non solo non è alternativa alle regole e alle sanzioni, ma ne costituisce l’imprescindibile fondamento: le regole (e le sanzioni) non sono altro che gli strumenti serventi della “cultura" o, come sarebbe ormai meglio dire", dell’“etica" della prevenzione [510].
Da più parti si lamenta l’eccessiva produzione di norme, la continua alluvione di precetti e procedure, intollerabili orpelli formali e burocratici. Ci si è mai chiesti, però, perché ciò avvenga? Una risposta particolarmente polemica, ma non da sottovalutare, specie in questa epoca in cui il pragmatismo sta soppiantando l’ideologia (senza peraltro poter soppiantare i valori), è quella di chi ritiene che l’iperfetazione normativa sia essenzialmente funzionale alla conservazione ed alla riproduzione di chi deve gestire quelle norme, in particolare degli apparati burocratici: il tutto in una logica autoreferenziale che poco o nulla avrebbe a che vedere con le finalità di tutela dichiarate. Più che una risposta, questo forse è un rischio, che però diviene altamente probabile quando si perde di vista il vero scopo per cui si sono poste le regole.
Le regole, specialmente quelle che disciplinano i rapporti interprivati, sono necessarie, soprattutto quando in quei rapporti un interesse, in sé pur degno di rispetto come quello della produzione, può oggettivamente comprimere un valore di rango superiore, come quello della integrità fisica e morale delle persone che lavorano. Lo afferma a chiare lettere l’art. 2087 c.c., la norma cardine dell’intero sistema di prevenzione, che inserisce l’obbligo di sicurezza nel sinallagma del contratto di lavoro [511]: un obbligo, detto per inciso, al cui adempimento le regole del nuovo decreto offrono grande sostegno, ma che in esse non si esaurisce.
Tuttavia le regole, di per sé, non possono bastare. E non bastano soprattutto quando non se ne comprende o quando addirittura non se ne condivide il fondamento (non certo a parole, ma nel profondo). Se le regole, per così dire, “precedono" il proprio fondamento o se chi se le trova dinnanzi non ne percepisce il senso, ben poche speranze potranno nutrirsi sulla loro effettività. Né basta invocare la moltiplicazione dei controlli ed il rafforzamento delle strutture di vigilanza, perché o si fa in modo che i controllori siano almeno in numero pari ai controllati, o prima o poi ci si dovrà arrendere all’evidenza dei fatti.
Poiché, fortunatamente, la stragrande maggioranza non vuole né uno Stato di polizia né che si ripetano le stragi a cui purtroppo ci stiamo abituando, non resta che intraprendere la strada della costruzione dell’“etica della prevenzione". Una strada che – è bene non farsi illusioni – è lunga e difficile ed attraversa territori ancora scarsamente esplorati: innanzitutto, quello del rispetto della persona umana e della sua dignità, che nessun imperativo economico può comprimere [512]; in secondo luogo, quello di una società perfettamente consapevole che il bene primario della salute è effettivamente un bene collettivo oltre che individuale e che la sua privazione nuoce tanto all’individuo quanto alla comunità [513]; infine, quello di una razionale organizzazione produttiva e del lavoro, in cui “qualità" e “sicurezza" non sono due distinte parole, ma costituiscono una endiadi, un unico ed inestricabile concetto nonché un obiettivo da affermare e difendere strenuamente nell’economia globale delle grandi innovazioni e dei preoccupanti ritorni a modelli produttivi di un lontano passato [514]. Sono i territori della “grande frontiera" costituzionale, segnati da norme come gli artt. 32, comma 1, 35 e 41, comma 2, Cost.
Come principianti dell’etica della prevenzione e della sicurezza, occorre percorrere la strada che attraversa quei territori con qualcuno al fianco. Servono guide che svolgano una funzione pedagogica che riguarda tutti, compresi i datori di lavoro: anch’essi, al pari di tutti gli altri e forse prima degli altri, hanno bisogno di una formazione la quale, più ancora che sulla tecnica, deve incentrarsi sui valori. A tal fine molte delle regole del nuovo decreto possono offrire un importante contributo, specialmente tutte quelle – e non sono poche – finalizzate a sostenere lo sviluppo della cultura e dell’etica della prevenzione. Sono regole, queste, di soft law, come si usa dire, o di “diritto mite" [515], che il d.lgs. n. 81 del 2008 affianca a quelle di hard law, in un mix che appare equilibrato: l’unico, probabilmente, capace di modificare inveterati e intollerabili comportamenti.
Si diceva poc’anzi che se finora ci si è dati tante regole, soprattutto di hard law, è perché, in verità, è mancata l’etica. È ormai tempo di smettere. Non solo di darsi troppe regole, ma soprattutto di non avere l’etica.

Pesaro-Urbino, 20 giugno 2008


398 Cfr. R. Bortone, Il servizio di prevenzione, in L. Montuschi (a cura di), Ambiente, salute e sicurezza, cit., p. 135 ss.

399 Il SPP deve essere interno: a) nelle aziende industriali di cui all’art. 2 del d.lgs. n. 334 del 1999, soggette all’obbligo di notifica o rapporto, ai sensi degli artt. 6 e 8 del medesimo decreto; b) nelle centrali termoelettriche; c) negli impianti ed installazioni di cui agli artt. 7, 28 e 33 del d.lgs. n. 230 del 1995; d) nelle aziende per la fabbricazione ed il deposito separato di esplosivi, polveri e munizioni; e) nelle aziende industriali con oltre 200 lavoratori; f) nelle industrie estrattive con oltre 50 lavoratori; g) nelle strutture di ricovero e cura pubbliche e private con oltre 50 lavoratori. Anche in questo caso cfr. il criterio di delega di cui all’art. 1, comma 2, lett. c, n. 1, della l. n. 123 del 2007.

400 Nella nuova disposizione scompare l’obbligo per il datore di lavoro di comunicare all’Ispettorato del lavoro e alle ASL territorialmente competenti il nominativo della persona designata come responsabile del servizio di prevenzione e protezione interno ovvero esterno all’azienda.

401 Art. 1, comma 2, lett. g, della l. n. 123 del 2007.

402 Per svolgere le funzioni connesse al SPP occorre essere in possesso di titolo di studio non inferiore al diploma di istruzione secondaria superiore ed aver frequentato appositi corsi di formazione che devono rispettare quanto previsto dall’accordo sancito il 26 gennaio 2006 in sede di Conferenza Stato-Regioni (in GU n. 37 del 14 febbraio 2006). Possono altresì svolgere le funzioni di responsabile o addetto anche coloro che, pur non essendo in possesso del predetto titolo di studio, dimostrino di aver svolto una delle funzioni richiamate, professionalmente o alle dipendenze di un datore di lavoro, almeno da sei mesi alla data del 13 agosto 2003 previo svolgimento dei corsi secondo quanto previsto dal citato accordo del 26 gennaio 2006. Coloro che siano in possesso di particolari lauree (in una delle seguenti classi: L7, L8, L9, L17, L23, di cui al decreto del Ministro dell’università del 16 marzo 2007, o nelle classi 8, 9, 10, 4, di cui al decreto del Ministro dell’università del 4 agosto 2000 ovvero nella classe 4 di cui al decreto del Ministro dell’università del 2 aprile 2001), ovvero di altre lauree riconosciute corrispondenti ai sensi della normativa vigente sono esonerati dalla frequenza ai predetti corsi di formazione. Ulteriori titoli di studio possono essere individuati in sede di Conferenza Stato-Regioni. I responsabili e gli addetti dei SPP sono inoltre tenuti a frequentare corsi di aggiornamento secondo gli indirizzi definiti nel predetto accordo del 26 gennaio 2006. Le competenze acquisite a seguito dello svolgimento delle attività di formazione nei confronti dei componenti del servizio interno sono registrate nel libretto formativo del cittadino di cui all’art. 2, comma 1, lett. i, del d.lgs. n. 276 del 2003.

403 Vale a dire: a) il personale interno all’unità scolastica in possesso dei requisiti di cui all’art. 32 del d.lgs. n. 81 del 2008 che si dichiari a tal fine disponibile; b) il personale interno ad una unità scolastica in possesso dei requisiti di cui al predetto art. 32 che si dichiari disponibile ad operare in una pluralità di istituti. In assenza del predetto personale, gruppi di istituti possono avvalersi in maniera comune dell’opera di un unico esperto esterno, tramite stipula di apposita convenzione, in via prioritaria con gli enti locali proprietari degli edifici scolastici e, in via subordinata, con enti o istituti specializzati in materia di salute e sicurezza sul lavoro o con altro esperto esterno libero professionista.

404 L’unica differenza è che l’art. 33, comma 1, lett. e, prevede che il SPP partecipi non solo alle consultazioni in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro, ma anche alla riunione periodica di cui all’art. 35.

405 L’Allegato II prevede che il datore di lavoro possa svolgere direttamente i compiti del SPP nelle aziende artigiane e industriali che hanno fino a 20 addetti, nelle aziende agricole e zootecniche che hanno fino a 10 addetti, nelle aziende della pesca che hanno fino a 20 addetti, nelle altre aziende che hanno fino a 200 addetti. Il termine “addetti" deve essere inteso come sinonimo di “lavoratori" ai sensi del d.lgs. n. 81 del 2008, valendo i criteri di computo di cui all’art. 4.

406 Fino alla pubblicazione del predetto accordo conserva validità la formazione effettuata ai sensi dell’articolo 3 del d.m. 16 gennaio 1997, il cui contenuto è riconosciuto dalla Conferenza Stato-Regioni in sede di definizione del predetto accordo.

407 Si trattava di: a) una dichiarazione attestante la capacità di svolgimento dei compiti di prevenzione e protezione dai rischi; b) una dichiarazione attestante gli adempimenti di cui all’art. 4, commi 1, 2, 3 e 11; c) una relazione sull’andamento degli infortuni e delle malattie professionali della propria azienda elaborata in base ai dati degli ultimi tre anni del registro infortuni o, in mancanza dello stesso, di analoga documentazione prevista dalla legislazione vigente; d) l’attestazione di frequenza del corso di formazione in materia di sicurezza e salute sul luogo di lavoro.

408 Inoltre, nel corso della riunione possono essere individuati: a) codici di comportamento e buone prassi per prevenire i rischi di infortuni e di malattie professionali; b) obiettivi di miglioramento della sicurezza complessiva sulla base delle linee guida per un sistema di gestione della salute e sicurezza sul lavoro.

409 Cfr. R. Del Punta, Diritti e obblighi dei lavoratore: informazione e formazione, cit., p. 160 ss.

410 Un’identica previsione riguarda la formazione.

411 Cfr. R. Del Punta, Diritti e obblighi dei lavoratore: informazione e formazione, cit., p. 166 ss. Sulla ricomprensione della formazione antinfortunistica nell’oggetto di qualunque contratto di lavoro v. G.G. Balandi, Formazione e contratto di lavoro, in DLRI, 2007, p. 135 ss., qui p. 179 ss.

412 La durata, i contenuti minimi e le modalità della formazione sono definiti mediante accordo in sede di Conferenza Stato-Regioni adottato, previa consultazione delle parti sociali, entro il termine di 12 mesi dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 81 del 2008. Il datore di lavoro assicura, altresì, che ciascun lavoratore riceva una formazione sufficiente ed adeguata in merito ai rischi specifici di cui ai Titoli del decreto legislativo successivi al I, la quale, fermo restando quanto vigente in materia, è anch’essa definita mediante l’accordo adottato in sede di Conferenza Stato-Regioni.

413 Secondo cui la formazione doveva avvenire in occasione: a) dell’assunzione; b) del trasferimento o cambiamento di mansioni; c) dell’introduzione di nuove attrezzature di lavoro o di nuove tecnologie, di nuove sostanze e preparati pericolosi.

414 G. Nicolini, Disposizioni generali, cit., p. 246.

415 I contenuti di tale formazione comprendono: a) i principali soggetti coinvolti e i relativi obblighi; b) la definizione e individuazione dei fattori di rischio; c) la valutazione dei rischi; d) l’individuazione delle misure tecniche, organizzative e procedurali di prevenzione e protezione.

416 In attesa dell’emanazione delle disposizioni di cui al comma 3 dell’art. 46 (su cui v. oltre), continuano a trovare applicazione le disposizioni di cui al d.m. 10 marzo 1998 attuativo dell’art. 13 del d.lgs. n. 626 del 1994.

417 Tali contenuti riguardano: a) principi giuridici comunitari e nazionali; b) legislazione generale e speciale in materia di salute e sicurezza sul lavoro; c) principali soggetti coinvolti e relativi obblighi; d) definizione e individuazione dei fattori di rischio; e) valutazione dei rischi; f) individuazione delle misure tecniche, organizzative e procedurali di prevenzione e protezione; g) aspetti normativi dell’attività di rappresentanza dei lavoratori; h) nozioni di tecnica della comunicazione. La durata minima dei relativi corsi è di 32 ore iniziali, di cui 12 sui rischi specifici presenti in azienda e le conseguenti misure di prevenzione e protezione adottate, con verifica di apprendimento. La contrattazione collettiva nazionale disciplina le modalità dell’obbligo di aggiornamento periodico, la cui durata non può essere inferiore a 4 ore annue per le imprese che occupano dai 15 ai 50 lavoratori e a 8 ore annue per le imprese che occupano più di 50 lavoratori.

418 Su tale figura v. R. Romei, Il campo di applicazione del d.lgs. n. 626 del 1994, cit., pp. 81-82, e R. Bortone, La sorveglianza sanitaria, in L. Montuschi (a cura di), Ambiente, salute e sicurezza, cit., p. 149 ss.

419 Che allude alla revisione dei requisiti, delle tutele, delle attribuzioni e delle funzioni dei soggetti del sistema di prevenzione aziendale, compreso il medico competente, anche attraverso idonei percorsi formativi.

420 Cfr. S. Vergari, Ancora una delega per il riassetto e la riforma, cit., p. 48; O. Bonardi, Ante litteram. Considerazioni «a caldo» sul disegno di legge delega, cit., p. 49.

421 Si tratta di: a) specializzazione in medicina del lavoro o in medicina preventiva dei lavoratori e psicotecnica; b) docenza in medicina del lavoro o in medicina preventiva dei lavoratori e psicotecnica o in tossicologia industriale o in igiene industriale o in fisiologia e igiene del lavoro o in clinica del lavoro; c) autorizzazione di cui all’art. 55 del d.lgs. n. 277 del 1991; d) specializzazione in igiene e medicina preventiva o in medicina legale. Tali titoli non sono tuttavia totalmente fungibili, giacché si prevede che i medici specializzati in igiene e medicina preventiva o in medicina legale siano tenuti a frequentare appositi percorsi formativi universitari da definire con apposito decreto del Ministero dell’università di concerto con il Ministero della salute. In ogni caso, tali medici specializzati che, alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 81 del 2008, svolgano le attività di medico competente o dimostrino di avere svolto tali attività per almeno un anno nell’arco dei tre anni anteriori all’entrata in vigore dello stesso decreto, sono abilitati a svolgere le medesime funzioni: a tal fine sono tenuti a produrre alla Regione attestazione del datore di lavoro comprovante l’espletamento di tale attività. Per una ricostruzione delle problematiche sottese ai titoli del medico competente v. G. Campurra, La nuova sorveglianza sanitaria, in F. Bacchini (a cura di), Speciale Testo Unico sicurezza del lavoro cit., p. 276 ss., qui pp. 277-278.

422 I crediti previsti dal programma triennale dovranno essere conseguiti nella misura non inferiore al 70% del totale nella disciplina “medicina del lavoro e sicurezza degli ambienti di lavoro".

423 O. Bonardi, Ante litteram. Considerazioni «a caldo» sul disegno di legge delega, cit., p. 50.

424 Ovviamente, secondo i principi generali, qualora non sia lavoratore dipendente, il medico provvederà autonomamente ai mezzi necessari per lo svolgimento della propria attività.

425 Le Regioni e le Province autonome trasmettono poi all’ISPESL le informazioni aggregate dalle ASL.

426 L’art. 1, comma 2, lett. t, della l. n. 123 del 2007 prevede la rivisitazione delle modalità di attuazione della sorveglianza sanitaria, adeguandola alle differenti modalità organizzative del lavoro, ai particolari tipi di lavorazioni ed esposizioni, nonché ai criteri ed alle linee guida scientifici più avanzati, anche con riferimento al prevedibile momento di insorgenza della malattia.

427 Costituiscono oggetto della sorveglianza sanitaria, come già previsto in precedenza, sia le visite mediche preventive intese a constatare l’assenza di controindicazioni al lavoro cui il lavoratore è destinato al fine di valutare la sua idoneità alla mansione specifica, sia le visite mediche periodiche per controllare lo stato di salute dei lavoratori ed esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica: la periodicità di tali accertamenti, qualora non prevista dalla relativa normativa, viene stabilita, di norma, in una volta l’anno, ma può anche assumere una diversa cadenza, stabilita dal medico competente in funzione della valutazione del rischio. Peraltro, l’organo di vigilanza, con provvedimento motivato, può disporre contenuti e periodicità della sorveglianza sanitaria differenti rispetto a quelli indicati dal medico competente. Rientrano nella sorveglianza sanitaria anche le visite mediche in occasione del cambio della mansione onde verificare l’idoneità alla mansione specifica, nonché le visite mediche effettuate alla cessazione del rapporto di lavoro nei casi previsti dalla normativa vigente. Come anticipato, la sorveglianza sanitaria comprende anche la visita medica su richiesta del lavoratore, qualora sia ritenuta dal medico competente correlata ai rischi professionali o alle sue condizioni di salute, suscettibili di peggioramento a causa dell’attività lavorativa svolta, al fine di esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica.

428 Dovrebbe così risolversi una querelle che era stata alimentata dalla mancanza di un’espressa previsione in tal senso nel d.lgs. n. 626 del 1994, il quale peraltro, riferendo le visite ai “lavoratori", lasciava intendere che si trattasse di soggetti già assunti: cfr. G. Campurra, La nuova sorveglianza sanitaria, cit. p. 281: pertanto, il divieto di effettuare visite in fase preassuntiva di cui all’art. 41 (la cui violazione peraltro non risulta sanzionata) riguarda solo le visite rientranti nella sorveglianza sanitaria e la correlativa attività del medico competente. Sulla differenza tra le visite inerenti alla sorveglianza sanitaria (imposte per legge e finalizzate a verificare l’adeguatezza delle misure prevenzionali adottate in azienda e se lo svolgimento della prestazione possa nuocere al lavoratore) e gli accertamenti di cui all’art. 5 Stat. lav. (i quali sono esercizio della facoltà datoriale di accertare l’idoneità fisica del lavoratore alla specifica mansione e devono quindi essere svolti soltanto da enti pubblici al fine di garantire elementari esigenze di imparzialità) cfr. F. Stolfa, Diritto della sicurezza nel lavoro, Bari, 2001, p. 64 ss., qui p. 69.

429 Nei casi ed alle condizioni previste dall’ordinamento, le visite mediche preventive, quelle periodiche e quelle in occasione del cambio della mansione sono altresì finalizzate alla verifica di assenza di condizioni di alcol dipendenza e di assunzione di sostanze psicotrope e stupefacenti. Gli esiti della visita medica devono essere allegati alla cartella sanitaria e di rischio (art. 25, comma 1, lett. c) secondo i requisiti minimi contenuti nell’Allegato 3A e predisposta su formato cartaceo o informatizzato, secondo quanto previsto dall’art. 54.

430 Ciò vale anche per quanto riguarda l’obbligo di cui all’art. 18, comma 1, lett. r: v. supra § 8.2.

431 V. supra la nota 428.

432 In quanto relative alla tutela della salute, le visite mediche de quibus dovrebbero rientrare sia nella “tutela e sicurezza del lavoro" sia nella “tutela della salute" di cui all’art. 117, comma 3, Cost. È evidente che, al di là delle questioni di merito. qui si pone il problema costituzionalistico dell’operatività dei decreti d’urgenza (e della loro conversione in legge) nelle materie che, dopo la riforma del Titolo V Cost., rientrano nella legislazione concorrente.

433 Cfr. l’art. 1, comma 2, lett. u, della l. n. 123 del 2007, che prevede il rafforzamento e la garanzia delle tutele previste dall’art. 8 del d.lgs. n. 277 del 1991.

434 L’art. 1, comma 7, di tale legge prevede che i datori di lavoro pubblici e privati siano tenuti a garantire la conservazione del posto di lavoro a quei lavoratori che, non essendo disabili al momento dell’assunzione, abbiano acquisito per infortunio sul lavoro o malattia professionale eventuali disabilità. In base all’art. 4, comma 4, della stessa legge, per tali lavoratori l’infortunio o la malattia professionale non costituiscono giustificato motivo di licenziamento qualora essi possano essere adibiti a mansioni equivalenti o, in mancanza, inferiori: in quest’ultimo caso conservano il diritto al trattamento più favorevole corrispondente alle mansioni di provenienza. Ove invece non sia possibile l’assegnazione a mansioni equivalenti o inferiori, i lavoratori sono avviati dai Centri per l’impiego presso altra azienda in attività compatibili con le residue capacità lavorative.

435 Su questi aspetti si vedano le considerazioni di O. Bonardi, Ante litteram. Considerazioni «a caldo» sul disegno di legge delega, cit., p. 50.

436 V. art. 4, comma 4, della l. n. 68 del 1999.

437 Cfr. R. Bortone, Il servizio di prevenzione, cit., p. 146 ss.

438 Pertanto, il lavoratore che, in caso di pericolo grave, immediato e che non può essere evitato, si allontani dal posto di lavoro o da una zona pericolosa, non può subire pregiudizio alcuno e deve essere protetto da qualsiasi conseguenza dannosa. Inoltre, il lavoratore che, in caso di pericolo grave e immediato e nell’impossibilità di contattare il competente superiore gerarchico, adotti misure per evitare le conseguenze di tale pericolo, non può subire pregiudizio per tale azione, a meno che non abbia commesso una grave negligenza.

439 Secondo cui il datore di lavoro, qualora non vi provveda direttamente, designa uno o più lavoratori incaricati dell’attuazione dei provvedimenti di primo soccorso.

440 Con appositi decreti ministeriali, acquisito il parere della Conferenza Stato-Regioni, verranno inoltre definite le modalità di applicazione in ambito ferroviario dello stesso d.m. n. 388 del 2003.

441 Ad alcuni decreti adottati in relazione ai fattori di rischio dai Ministri dell’interno e del lavoro spetta definire: A) i criteri diretti ad individuare: 1) misure intese ad evitare l’insorgere di un incendio ed a limitarne le conseguenze qualora esso si verifichi; 2) misure precauzionali di esercizio; 3) metodi di controllo e manutenzione degli impianti e delle attrezzature antincendio; 4) criteri per la gestione delle emergenze; B) le caratteristiche dello specifico servizio di prevenzione e protezione antincendio, compresi i requisiti del personale addetto e la sua formazione. Fino all’emanazione dei predetti decreti continuano ad applicarsi i criteri generali di sicurezza antincendio e per la gestione delle emergenze nei luoghi di lavoro di cui al decreto del Ministro dell’interno del 10 marzo 1998. Al fine di favorire il miglioramento dei livelli di sicurezza antincendio nei luoghi di lavoro, ed ai sensi del d.lgs. n. 139 del 2006, con decreto del Ministro dell’interno sono istituiti, presso ogni Direzione regionale dei vigili del fuoco, nuclei specialistici per l’effettuazione di una specifica attività di assistenza alle aziende. Il medesimo decreto contiene le procedure per l’espletamento della attività di assistenza.

442 Che prevede la revisione dei requisiti, delle tutele, delle attribuzioni e delle funzioni dei soggetti del sistema di prevenzione aziendale... anche attraverso idonei percorsi formativi, con particolare riferimento al rafforzamento del ruolo del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza territoriale, nonché la introduzione della figura del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza di sito produttivo.

443 Dove si prevede la rivisitazione e il potenziamento delle funzioni degli organismi paritetici, anche quali strumento di aiuto alle imprese nell'individuazione di soluzioni tecniche e organizzative dirette a garantire e migliorare la tutela della salute e sicurezza sul lavoro.

444 Quest’ultimo articolo (alla lett. c), modificando l’art. 18 del d.lgs. n. 626 del 1994, ha previsto, da un lato, che il RLS territoriale sia di norma eletto dai lavoratori e, da un altro lato, che l’elezione dei RLS aziendali, territoriali o di comparto avvenga di norma in un’unica giornata su tutto il territorio nazionale (election day) (lett. d). È stato inoltre introdotto l’obbligo per il datore di lavoro di consegnare al RLS, su richiesta di questi e per l’espletamento della sua funzione, copia del documento di valutazione dei rischi, nonché del registro degli infortuni sul lavoro (lett. e). Di notevole significato, pur se foriera di qualche incertezza sul piano dei principi, è poi la previsione secondo cui i RLS territoriali o di comparto esercitano le proprie attribuzioni con riferimento a tutte le unità produttive del territorio o del comparto di rispettiva competenza (lett. f).

445 Per un’accurata ricognizione di questi problemi v. amplius P. Campanella, La dimensione collettiva di tutela della salute dei lavoratori e la figura del rappresentante per la sicurezza, in P. Pascucci (a cura di), Il testo unico sulla sicurezza del lavoro, cit., p. 53 ss.; Ead., Profili collettivi di tutela della salute e rappresentanza dei lavoratori per la sicurezza: disciplina legislativa, bilancio applicativo, prospettive di riforma, in RGL, 2007, supplemento al n. 2, p. 153 ss.; M. Ricci, Sicurezza sul lavoro: controllo e partecipazione sindacale tra iure condito e de iure condendo, in LG, 2008, p. 113 ss.

446 Sembra così confermata la tendenza già manifestatasi verso la “sindacalizzazione" e “contrattualizzazione" della composizione e dei poteri delle rappresentanze per la sicurezza di cui parlava già G. Natullo, La tutela dell’ambiente di lavoro, Utet, Torino, 1995, pp. 106 e 255, pur non dovendosi interpretare tutto ciò come una “totale sovrapposizione" tra le rappresentanze per la sicurezza e quelle sindacali: così M. Lai, Il ruolo delle parti sociali, cit., p. 204.

447 V. gli auspici di M. Lai, Il ruolo delle parti sociali, cit., p. 206.

448 In tal senso può deporre, sul piano letterale, anche la previsione di cui all’art. 47, comma 1, primo periodo, in base alla quale il RLS “è istituito": cfr. C. Frascheri, Intervento al Convegno di Urbino del 10 maggio 2008 su “Le nuove regole sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori. Un confronto a più voci", cit..

449 Così la definisce anche F. Carinci, La telenovela del T.U. sulla sicurezza, cit., p. 350.

450 Cfr. in tal senso anche M. Lai, Il ruolo delle parti sociali, cit., p. 208, secondo il quale, dal lato del datore di lavoro, la violazione dell’art. 39, comma 1, Cost. va esclusa in quanto i diritti e le attribuzioni del RLST si configurano come “diritti potestativi, a fronte dei quali sta un ‘pati’ del datore di lavoro, esercitabili dunque anche senza il suo preventivo assenso". La maggior parte della dottrina propende per la natura obbligatoria della rappresentanza: cfr. tra gli altri B. Veneziani, L’impatto sulle relazioni industriali, in Aa.Vv., La nuova normativa su prevenzione e sicurezza, F. Angeli, Milano, 1995, p. 104; G. Proia, Consultazione e partecipazione dei lavoratori, in L. Montuschi (a cura di), Ambiente, salute e sicurezza, cit., p. 194 ss.; G. Natullo, La tutela dell’ambiente di lavoro, cit., p. 254. Il carattere privatistico-volontaristico della rappresentanza è invece sottolineato da P. Campanella, Profili collettivi di tutela della salute, cit., p. 153 ss.; Ead., La dimensione collettiva di tutela della salute dei lavoratori, cit., p. 53 ss.; M. Lai, I rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza e gli organismi paritetici, in M. Rusciano e G. Natullo (a cura di), Ambiente e sicurezza del lavoro. Appendice di aggiornamento, cit., p. 25 ss., qui p. 26; M. Ricci, Sicurezza sul lavoro: controllo e partecipazione sindacale, cit., p. 120 ss.

451 Si tratta degli accordi collettivi nazionali, interconfederali o di categoria, stipulati dalle associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. In mancanza di questi accordi, le modalità di elezione o designazione sono individuate con decreto del Ministro del lavoro, sentite le predette associazioni sindacali.

452 F. Carinci, La telenovela del T.U. sulla sicurezza, cit., p. 350.

453 Si pensi al delicatissimo problema della configurazione della posizione lavorativo-professionale del RLST, giustamente rilevato da C. Frascheri, Intervento, cit.

454 Che non sembra in grado di dissipare le ambiguità intraviste da F. Carinci (La telenovela del T.U. sulla sicurezza, cit., pp. 350-351) nella fonte regolatrice dell’elezione dei RLS.

455 P. Campanella, Profili collettivi di tutela della salute, cit., p. 173; M. Lai, Il ruolo delle parti sociali, cit., p. 204; C. Frascheri, Non solo efficienza, ma anche efficacia per il riordino delle norme di sicurezza, in Amb. & Sic., 2007, n. 16, p. 57 ss.

456 M. Lai, Il ruolo delle parti sociali, cit., p. 205; Id., Consultazione e partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori, in F. Bacchini (a cura di), Speciale Testo Unico sicurezza del lavoro, cit., p. 290 ss.

457 Il quale ha diritto ad una formazione particolare in materia di salute e sicurezza concernente i rischi specifici esistenti negli ambiti in cui esercita la propria rappresentanza, tale da assicurargli adeguate competenze sulle principali tecniche di controllo e prevenzione dei rischi stessi. Le modalità, la durata e i contenuti specifici di tale formazione sono stabiliti in sede di contrattazione collettiva secondo un percorso formativo di almeno 64 ore iniziali, da effettuarsi entro 3 mesi dalla data di elezione o designazione, e 8 ore di aggiornamento annuale.

458 A tale fondo il RLST invia una relazione annuale sulla attività svolta.

459 Così M. Lai, Consultazione e partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori, cit., p. 291.

460 Come nota ancora M. Lai, Consultazione e partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori, cit., p. 291.

461 M. Lai, Consultazione e partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori, cit., p. 291.

462 Si tratta di: a) porti di cui all’art. 4, comma 1, lett. b, c e d della l. 28 gennaio 1994, n. 84, sedi di autorità portuale nonché quelli sede di autorità marittima da individuare con decreto dei Ministri del lavoro e dei trasporti da emanare entro dodici mesi dall’entrata in vigore del decreto legislativo; b) centri intermodali di trasporto di cui alla direttiva del Ministro dei trasporti del 18 ottobre 2006, n. 3858; c) impianti siderurgici; d) cantieri con almeno 30.000 uomini-giorno, intesa quale entità presunta dei cantieri, rappresentata dalla somma delle giornate lavorative prestate dai lavoratori, anche autonomi, previste per la realizzazione di tutte le opere; e) contesti produttivi con complesse problematiche legate alla interferenza delle lavorazioni e da un numero complessivo di addetti mediamente operanti nell’area superiore a 500.

463 Osserva M. Lai, Consultazione e partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori, cit., p. 291, come in tali esperienze sia emersa l’esigenza di individuare, accanto al RLS di sito, anche un’autorità di riferimento per la sicurezza per l’intero sito con compiti di promozione e coordinamento dei vari interventi.

464 Come auspicato già da M. Lai, Il ruolo delle parti sociali, cit., p. 210.

465 Come già rilevato da O. Bonardi, Ante litteram. Considerazioni «a caldo» sul disegno di legge delega, cit., p. 44.

466 Ai sensi della prima disposizione, in mancanza di elezione del RLS, le funzioni di RLS sono esercitate dal RLST, salvo diverse intese tra le associazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale; in base alla seconda norma, il RLST esercita le competenze del RLS di cui all’art. 50 nei termini e con le modalità ivi previste con riferimento a tutte le aziende o unità produttive del territorio o del comparto di competenza nelle quali non sia stato eletto o designato il RLS.

467 A proposito di prerogative del RLS, è interessante ricordare la recentissima proposta di integrare l’art. 28 Stat. lav. con ulteriori commi, prevedendo l’applicabilità del procedimento ivi disciplinato “anche nelle ipotesi di violazione della normativa in materia di infortuni sul lavoro e malattie professionali ove sussista grave ad attuale pericolo per l’incolumità fisica e la salute dei lavoratori e delle lavoratrici". A tal fine, la proposizione del ricorso spetta, oltre che agli organismi locali delle associazioni sindacali nazionali che vi abbiano interesse, anche al RLS di cui all’art. 47 del d.lgs. n. 81 del 2008, congiuntamente o disgiuntamente ai predetti organismi. Con il decreto che decide sul ricorso, il giudice “ordina la cessazione del comportamento illegittimo e adotta ogni altro provvedimento idoneo a rimuovere gli effetti delle violazioni accertate, ivi compreso l’ordine al datore di lavoro di definizione e attuazione di un piano di realizzazione delle misure antinfortunistiche e di prevenzione omesse, fissandone i criteri temporali. La definizione e la attuazione del piano da parte del datore di lavoro avviene con la partecipazione e sotto il controllo degli organismi di vigilanza ai quali il decreto del giudice è comunicato a cura della cancelleria". Infine si prevede, da un lato, che, nelle ipotesi di violazioni de quibus, sia legittimo il rifiuto dei lavoratori e delle lavoratrici di eseguire la prestazione di lavoro e, da un altro lato, che al RLS si applichino le tutele di cui all’art. 50, comma 2, del d.lgs. n. 81 del 2008 anche in relazione all’esercizio della facoltà di proporre il ricorso de quo (v. C. Ponterio, Le proposte di Magistratura democratica, intervento presentato al Seminario di studi di Magistratura democratica su “La sicurezza sul lavoro", cit.). Rinviando ad altra sede l’esame della proposta di introduzione di questa sorta di interdictum, di natura squisitamente cautelare, e della sua plausibilità, può qui rilevarsi come la legittimazione attiva spetterebbe non solo al RLS aziendale, ma anche al RLST ed al RLS di sito produttivo, dovendosi intendere il riferimento all’art. 47 del d.lgs. n. 81 del 2008 come relativo a tutte le figure contemplate nel primo periodo del comma 1 di tale norma. Più in generale, sulla esperibilità del procedimento di cui all’art. 28 Stat. lav. in caso di lesione delle prerogative del RLS, v. P. Campanella, Profili collettivi di tutela della salute, cit., p. 168 ss.

468 Su cui v. G.G. Balandi, Individuale e collettivo nella tutela della salute nei luoghi di lavoro: l’art. 9 dello statuto, in LD, 1990, p. 219 ss. Sul carattere non oggettivo della responsabilità di cui all’art. 2087 c.c. cfr. M. Persiani, Introduzione, in Problemi della sicurezza nei luoghi di lavoro, in Quaderni di ADL, 5, 2003, p. 1 ss., qui p. 4.

469 Come sostenuto dalla maggior parte degli interpreti: cfr. in tal senso L. Galantino, Il contenuto dell’obbligo di sicurezza, in Ead. (a cura di), La sicurezza del lavoro cit., p. 1 ss., qui p. 34; C. Zoli, Sicurezza del lavoro: contrattazione e partecipazione, in RGL, 2000, I, p. 613 ss., qui p. 622; G. Proia, Consultazione e partecipazione dei lavoratori, cit., p. 200; G. Natullo, Rappresentanze dei lavoratori per la sicurezza e rappresentanze sindacali in azienda, in ADL, 1997, p. 205 ss., qui p. 209; M. Franco, La responsabilità del datore e del prestatore di lavoro in materia di sicurezza nel d. leg. 19 settembre 1994, n. 626, in RIDL, 1996, I, p. 261. In senso contrario v. E. Ghera, Diritto del lavoro, Cacucci, Bari, 2006, pp. 115-116; M.G. Garofalo, La legislazione nel 1993-1994, in DLRI, 1995, p. 105 ss., qui p. 110; M. Lai, La sicurezza sul lavoro tra legge e contrattazione collettiva, Giappichelli, Torino, 2002, p. 207.

470 Cfr. M. Lai, Il ruolo delle parti sociali, cit., p. 208.

471 È stata rilevata la parziale analogia tra la definizione di organismi paritetici e quella di enti bilaterali di cui all’art. 2, comma 1, lett. h, del d.lgs. n. 276 del 2003: cfr. M. Lai, Consultazione e partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori, cit., p. 292, nota 3.

472 Come tempestivamente suggerito da M. Lai, Il ruolo delle parti sociali, cit., p. 212.

473 Cfr. F. Carinci, La telenovela del T.U. sulla sicurezza, cit., p. 351; M. Ricci, Sicurezza sul lavoro: controllo e partecipazione sindacale, cit., p. 121; M. Lai, Il ruolo delle parti sociali, cit., pp. 210-211.

474 Gli organismi paritetici trasmettono al Comitato regionale di coordinamento anche una relazione annuale sull’attività svolta.

475 Le modalità di funzionamento del fondo ed i criteri di riparto delle risorse tra le sue finalità sono definiti con decreto dei Ministri del lavoro e della salute, di concerto con il Ministero dell’economia, adottato, previa intesa con le associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, sentita la Conferenza Stato-Regioni, entro dodici mesi dall’entrata in vigore del decreto legislativo.

476 Cfr. anche A. Baldassarre, Le rappresentanze dei lavoratori per la sicurezza e il rilancio della “filosofia partecipativa", in M. Tiraboschi (a cura di), Il testo unico della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, cit., p. 531 ss., qui p. 535 ss.

477 Sempre a proposito di rappresentanza per la sicurezza, vanno ricordati due ulteriori rinvii all’autonomia collettiva. Il primo si rinviene nell’art. 3, comma 13, che attribuisce ai contratti collettivi stipulati dalle contrapposte organizzazioni comparativamente più rappresentative del settore agricolo sul piano nazionale il compito di definire specifiche modalità di attuazione delle previsioni del d.lgs. n. 81 del 2008 concernenti il RLS nel caso in cui le imprese utilizzino esclusivamente lavoratori stagionali ciascuno dei quali non superi le cinquanta giornate lavorative. Il secondo è contenuto nell’art. 37, comma 11, che, ancorché entro una cornice minima legale, affida alla contrattazione collettiva nazionale la determinazione delle modalità, della durata e dei contenuti specifici della formazione del RLS, nonché la disciplina delle modalità dell’obbligo di aggiornamento periodico.

478 Alla stessa Commissione, in base all’art. 6, comma 8, lett. d, spetta il compito di validare le buone prassi in materia di salute e sicurezza del lavoro – previa istruttoria tecnica dell’ISPESL, che provvede a assicurarne la più ampia diffusione – definite, nell’art. 2, comma 1, lett. v, come le soluzioni organizzative o procedurali coerenti con la normativa vigente e con le norme di buona tecnica, adottate volontariamente e finalizzate a promuovere la salute e sicurezza sui luoghi di lavoro attraverso la riduzione dei rischi e il miglioramento delle condizioni di lavoro, elaborate e raccolte dalle Regioni, dall’ISPESL, dall’INAIL e dagli organismi paritetici. Sulle buone prassi, che per essere tali, devono rispondere a requisiti “qualitativi" e a connotati “funzionali" o “teleologici" (idoneità a perseguire determinati obiettivi “virtuosi"), cfr. G. Natullo, Riassetto normativo e sistema delle fonti, cit., p. 20 del dattiloscritto.

479 Cfr. L. Montuschi, Verso il testo unico sulla sicurezza del lavoro, cit., p. 30.

480 G. Natullo, Riassetto normativo e sistema delle fonti, cit., p. 22 del dattiloscritto.

481 Cfr. L. Montuschi, Diritto alla salute ed organizzazione del lavoro, F. Angeli, Milano, 1989; M. Rusciano, “Retorica", “cultura" ed “effettività" della sicurezza del lavoro, in P. Pascucci (a cura di), Il testo unico sulla sicurezza del lavoro, cit., p. 149 ss., qui p. 152.

482 P. Campanella, Profili collettivi di tutela della salute, cit., p. 175 ss.

483 G. Natullo, Riassetto normativo e sistema delle fonti, cit., pp. 22 e 23 del dattiloscritto.

484 Cfr. A.R. Tinti, Il diritto del lavoro e il paradosso della sicurezza contrattata, di prossima pubblicazione in RDSS, 2008; G. Natullo, Riassetto normativo e sistema delle fonti, cit., p. 22 del dattiloscritto.

485 Cfr. A.R. Tinti, Il diritto del lavoro e il paradosso della sicurezza contrattata, cit.

486 Cfr. M. Lai, Il ruolo delle parti sociali, in M. Tiraboschi (a cura di), Il testo unico della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, cit., p. 519 ss., qui p. 521 ss.

487 Cfr., oltre alle varie norme della Sezione VII del Capo III, gli artt. 10, 31, comma 1, e 32, comma 4.
488 Su tale aspetto cfr. O. Bonardi, Ante litteram. Considerazioni «a caldo» sul disegno di legge delega, cit., pp. 37-38; S. Vergari, Ancora una delega per il riassetto e la riforma, cit., p. 24.

489 S. Vergari, Ancora una delega per il riassetto e la riforma, cit., p. 24.

490 L. Montuschi, Verso il testo unico sulla sicurezza del lavoro, cit., p. 31.

491 Cfr. A. D’Amore, Documentazione e statistiche, in F. Bacchini (a cura di), Speciale Testo Unico sicurezza del lavoro, cit., pp. 293-294.

492 Le modalità di memorizzazione dei dati e di accesso al sistema di gestione della predetta documentazione devono essere tali da assicurare che: a) l’accesso alle funzioni del sistema sia consentito solo ai soggetti a ciò espressamente abilitati dal datore di lavoro; b) la validazione delle informazioni inserite sia consentito solo alle persone responsabili, in funzione della natura dei dati; c) le operazioni di validazione dei dati siano univocamente riconducibili alle persone responsabili che le hanno effettuate mediante la memorizzazione di codice identificativo autogenerato dagli stessi; d) le eventuali informazioni di modifica, ivi comprese quelle inerenti alle generalità e ai dati occupazionali del lavoratore, siano solo aggiuntive a quelle già memorizzate; e) sia possibile riprodurre su supporti a stampa, sulla base dei singoli documenti, ove previsti dal decreto legislativo, le informazioni contenute nei supporti di memoria; f) le informazioni siano conservate almeno su due distinti supporti informatici di memoria e siano implementati programmi di protezione e di controllo del sistema da codici virali; g) sia redatta, a cura dell’esercente del sistema, una procedura in cui siano dettagliatamente descritte le operazioni necessarie per la gestione del sistema medesimo. Nella procedura non devono essere riportati i codici di accesso.

493 Ferme restando le disposizioni relative alla valutazione dei rischi, le modalità per l’eventuale eliminazione o per la tenuta semplificata della documentazione sono definite con successivo decreto, adottato, previa consultazione delle parti sociali, sentita la Conferenza Stato-Regioni, entro 12 mesi dall’entrata in vigore del decreto legislativo. Fino ai sei mesi successivi all’emanazione del decreto interministeriale che definisce le regole tecniche per la realizzazione ed il funzionamento del SINP, restano in vigore le disposizioni relative al registro degli infortuni ed ai registri degli esposti ad agenti cancerogeni e biologici.

494 L’art. 1, comma 2, lett. f, della l. n. 123 del 2007, ha previsto la riformulazione e razionalizzazione dell’apparato sanzionatorio, amministrativo e penale, tenendo conto della responsabilità e delle funzioni svolte da ciascun soggetto obbligato, con riguardo in particolare alla responsabilità del preposto, nonché della natura sostanziale o formale della violazione, attraverso: 1) la modulazione delle sanzioni in funzione del rischio e l’utilizzazione di strumenti che favoriscano la regolarizzazione e l’eliminazione del pericolo da parte dei soggetti destinatari dei provvedimenti amministrativi, confermando e valorizzando il sistema del d.lgs. n. 758 del 1994; 2) la determinazione delle sanzioni penali dell’arresto e dell’ammenda, previste solo nei casi in cui le infrazioni ledano interessi generali dell’ordinamento, individuati in base ai criteri ispiratori degli artt. 34 e 35 della l. n. 689 del 1981, da comminare in via esclusiva ovvero alternativa, con previsione della pena dell’ammenda fino a euro 20.000 per le infrazioni formali, della pena dell’arresto fino a 3 anni per le infrazioni di particolare gravità, della pena dell’arresto fino a tre anni ovvero dell’ammenda fino a euro 100.000 negli altri casi; 3) la previsione della sanzione amministrativa consistente nel pagamento di una somma di denaro fino ad euro 100.000 per le infrazioni non punite con sanzione penale; 4) la graduazione delle misure interdittive in dipendenza della particolare gravità delle disposizioni violate; 5) il riconoscimento ad organizzazioni sindacali ed associazioni dei familiari delle vittime della possibilità di esercitare, ex artt. 91 e 92 c.p.p., i diritti e le facoltà attribuiti alla persona offesa, con riferimento ai reati commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all’igiene del lavoro o che abbiano determinato una malattia professionale; 6) la previsione della destinazione degli introiti delle sanzioni pecuniarie per interventi mirati alla prevenzione, a campagne di informazione e alle attività dei dipartimenti di prevenzione delle ASL.

495 Su tali aspetti cfr., prima dell’emanazione del d.lgs. n. 81 del 2008, S. Dovere, L’impatto della l. 3.8.2007, n. 123 sull’apparato sanzionatorio della tutela della salute e della sicurezza del lavoro, in M. Rusciano e G. Natullo (a cura di), Ambiente e sicurezza del lavoro. Appendice di aggiornamento, cit., p. 105 ss.; S. Vergari, Ancora una delega per il riassetto e la riforma, cit., p. 28 ss. Dopo l’emanazione del d.lgs. n. 81 del 2008 v. P. Rausei, Il sistema sanzionatorio nel Testo Unico, in F. Bacchini (a cura di), Speciale Testo Unico sicurezza del lavoro, cit., p. 295 ss.

496 Cfr. A. Bondi, L’apparato sanzionatorio, relazione presentata al Convegno di Urbino del 10 maggio 2008 su “Le nuove regole sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori. Un confronto a più voci", cit.

497 Tale tecnica consiste nel fatto che, nella norma in cui è prevista la sanzione, il comportamento da sanzionare non è esplicitato mediante una precisa descrizione della fattispecie illecita, ma si ricava solo “per rinvio" alla norma in cui è contenuto il precetto violato.

498 A. Bondi, L’apparato sanzionatorio, cit.

499 Qui, evidentemente, ci si riferisce alle ipotesi di consultazione del RLS ulteriori rispetto a quella relativa alla valutazione dei rischi (peraltro ricompresa anche nell’art. 18, comma 1, lett. p), la cui violazione è già sanzionata con la pena dell’ammenda dall’art. 55, comma 3.

500 Cfr. M. Lai, Consultazione e partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori, cit., p. 292.

501 Ciò era già contemplato per il contratto di lavoro interinale (art. 1, comma 4, lett. e, della legge 24 giugno 1997, n. 196, ora abrogato) ed è attualmente previsto per il contratto di lavoro a tempo determinato (art. 3, comma 1, lett. d, del d.lgs. 6 settembre 2001, n. 368) e il contratto di somministrazione di lavoro (art. 20, comma 5, lett. c, del d.lgs. n. 276 del 2003): dopo la recente abolizione del contratto di somministrazione di lavoro a tempo indeterminato di cui al Titolo III, Capo I, del d.lgs. n. 276 del 2003, intervenuta ad opera dell’art. 1, comma 46, della legge 24 dicembre 2007, n. 247 (che ha attuato quanto previsto nel Protocollo del 23 luglio 2007), il divieto di cui all’art. 20, comma 5, lett. c, del d.lgs. n. 276 del 2003 riguarda soltanto la stipulazione del contratto di somministrazione di lavoro a tempo determinato. Alle ipotesi citate potrebbe forse aggiungersi anche il contratto di inserimento, almeno se si conviene che l’art. 58, comma 1, del d.lgs. n. 276 del 2003, richiamando l’applicabilità delle norme sul contratto a termine, richiami implicitamente anche il divieto ivi previsto.

Per la verità, il divieto di stipulazione conseguente alla mancata valutazione dei rischi valeva in origine anche per il contratto di lavoro intermittente (cfr. art. 34, comma 3, lett. c, del d.lgs. n. 276 del 2003), ma tale istituto è stato recentemente abolito mediante l’abrogazione degli artt. 33-40 del d.lgs. n. 276 del 2003 da parte dell’art. 1, comma 45, della legge n. 247 del 2007. Va peraltro rilevato che, nonostante l’abrogazione delle norme in materia di contratto di lavoro intermittente, l’art. 1, comma 47, della legge n. 247 del 2007, al fine di contrastare il possibile ricorso a forme di lavoro irregolare o sommerso per sopperire ad esigenze di utilizzo di personale per lo svolgimento di prestazioni di carattere discontinuo nel settore del turismo e dello spettacolo, prevede che i relativi contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative a livello nazionale possano prevedere la stipula di specifici rapporti di lavoro per lo svolgimento delle predette prestazioni durante il fine settimana, nelle festività, nei periodi di vacanze scolastiche e per ulteriori casi, comprese le fattispecie già individuate ai sensi dell’art. 10, comma 3, del d.lgs. n. 368 del 2001 (il quale ammette l’assunzione diretta di manodopera, nei settori del turismo e dei pubblici esercizi, per l’esecuzione di speciali servizi non superiori a tre giorni, determinata dai contratti collettivi stipulati con i sindacati locali o nazionali aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale, prevedendo altresì che i relativi rapporti di lavoro sono esclusi dal campo di applicazione del d.lgs. n. 368 del 2001). Orbene, sia la esplicita sottrazione di queste ultime fattispecie alla disciplina del d.lgs. n. 368 del 2001 (nella quale, come si è visto, è previsto il divieto di stipulazione in caso di mancata valutazione dei rischi), sia la sopravvivenza delle altre ipotesi di lavoro intermittente a fronte dell’abrogazione dell’art. 34, comma 3, lett. c, del d.lgs. n. 276 del 2003 (che anch’esso prevedeva il divieto di stipulazione in caso di mancata valutazione dei rischi) sembrano comportare una paradossale conseguenza: infatti, in tutti questi casi, nonostante l’omessa valutazione dei rischi, il datore di lavoro sembrerebbe potersi avvalere di forme di lavoro discontinuo, le quali, però, data la loro estrema flessibilità, espongono i lavoratori ai maggiori rischi per la propria salute e sicurezza!

502 L. Montuschi, Aspettando la riforma, cit., p. 770.

503 P. Pascucci, Il rebus dell’effettività delle cosiddette “sanzioni civili indirette" in tema di sicurezza sul lavoro, in P. Pascucci (a cura di), Il testo unico sulla sicurezza del lavoro, cit., p. 131 ss.; L. Angelini, Lavori flessibili e sicurezza nei luoghi di lavoro, cit., p. 105 ss.; F. Scarpelli, Le malattie da lavoro. La tutela civilistica e previdenziale, relazione presentata al convegno su “Le malattie da lavoro: prevenzione e tutela", organizzato dalla Fondazione Malagugini, Milano, 1° febbraio 2008 (in corso di pubblicazione negli Atti), p. 4 del dattiloscritto.

504 C. Smuraglia, Il sistema normativo italiano, cit., p. 343; M. Tiraboschi, Restyling necessario, cit.

505 Art. 1, comma 2, lett. c, n. 1, della l. n. 123 del 2007.

506 L. Montuschi, Verso il testo unico sulla sicurezza del lavoro, cit., p. 34; M. Rusciano, “Retorica", “cultura" ed “effettività" della sicurezza del lavoro, cit., p. 149 ss.; S. Vergari, Ancora una delega per il riassetto e la riforma, cit., pp. 53-54. V. altresì i contributi di P.P. Poggio, P. Apostoli, L. Calafà, G. Kilger e O. Tallone pubblicati nella sezione IV “Formare una cultura della sicurezza: esperienze a confronto" del volume curato da L. Guaglianone e F. Malzani, Come cambia l’ambiente di lavoro, cit., p. 275 ss.

507 Per considerazioni su questo aspetto cfr. O. Bonardi, Ante litteram. Considerazioni «a caldo» sul disegno di legge delega, cit., pp. 59-60.

508 In generale, sulla legislazione premiale cfr. E. Ghera, Le c.d. clausole sociali: evoluzione di un modello di politica legislativa, in DRI, 2001, p. 133 ss.

509 Cfr. G. Usai, Con le sanzioni non si crea una vera tutela, in Il Sole 24 ORE del 6 maggio 2008, inserto “Sicurezza&lavoro. Il nuovo testo unico", p. 1.

510 Sull’importanza dei riferimenti alla responsabilità sociale delle imprese si vedano le giuste osservazioni di L. Montuschi, Verso il testo unico sulla sicurezza del lavoro, cit., pp. 30-31. Sul tema cfr. altresì A. Tursi, Responsabilità sociale, «etica d’impresa» e diritto del lavoro, in LD, 2006, p. 65 ss.

511 L. Montuschi, Diritto alla salute e organizzazione del lavoro, cit., p. 75; G. Natullo, La tutela dell’ambiente di lavoro, cit., p. 3 ss.; M. Franco, Diritto alla salute e responsabilità civile del datore di lavoro, F. Angeli, Milano, 1995.

512 Cfr. C. Smuraglia, La tutela della salute del lavoratore tra principi costituzionali, norme vigenti e prospettive di riforma, in RIDL, 1988, p. 414 ss.

513 Cfr. L. Montuschi, Art. 32, I c., in G. Branca (a cura di), Commentario della Costituzione, Zanichelli-Il foro italiano, Bologna-Roma, 1976.

514 Cfr. T. Treu, L’influenza dei processi di globalizzazione sulla trasformazione del sistema delle fonti, in S. Scarponi (a cura di), Globalizzazione e diritto del lavoro. Il ruolo degli ordinamenti sovranazionali, Giuffrè, Milano, 2001, p. 123 ss.; B. Caruso, Gli esiti della globalizzazione: disintegrazione o trasformazione del diritto del lavoro?, ivi, p. 207 ss.; A. Perulli, La promozione dei diritti sociali fondamentali nell’era della globalizzazione, ivi, p. 103 ss.

515 G. Zagrebelsky, Il diritto mite. Legge, diritti, giustizia, Einaudi, Torino, 1992.