Categoria: Cassazione civile
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Cassazione Civile, Sez. Lav., 12 settembre 2013, n. 20908 - Violazione dell'obbligo di vigilanza del rispetto delle procedure e degli adempimenti prescritti nelle fasi di lavorazione spettante ad un dirigente


 

 

 

 

Fatto

G.P. - dirigente con funzioni di Direttore tecnico dell'Officina Farmaceutica di produzione della P. Italiana s.p.a. - impugnava innanzi al Tribunale di Roma il licenziamento per giusta causa e giustificato motivo oggettivo intimatogli dalla società in data 5.7.2002.
L'adito giudice, con sentenza del 28.6.2006, in accoglimento della domanda, annullava il licenziamento e - avendo ritenuto il G. "pseudo-dirigente" benché inquadrato come dirigente -ordinava alla P. di reintegrarlo nel posto di lavoro con condanna al pagamento delle retribuzioni globali di fatto maturate dal licenziamento al 30.8.2002, oltre accessori di legge, nonché di ulteriori somme per retribuzioni dovute e non pagate in relazione a due settimane nel periodo di giugno 2002 ed a 40 giorni nei mesi di luglio - agosto 2002, oltre accessori di legge. Veniva, inoltre, rigettata la domanda riconvenzionale di risarcimento danni spiegata dalla società. Il Tribunale, partendo dalla constatazione che nel corso dell'ispezione ministeriale effettuata nell'officina farmaceutica di cui il G. era direttore erano state rilevate "carenze nelle condizioni igieniche dei locali, irregolarità nel sistema di stoccaggio, irregolarità nella produzione dovute a deficienze strutturali, igieniche e di manutenzione", aveva ritenuto provato l'assunto del ricorrente secondo il quale le mancanze riscontrate nel verbale ispettivo erano addebitabili esclusivamente alla società che - nonostante le segnalazioni intervenute nel corso degli anni da parte del G. ed anche di una società di consulenza e di società committenti - non aveva provveduto a dar corso alle indicazioni formulate.
Tale decisione veniva riformata dalla Corte di appello di Roma, con sentenza del 24.9.2010, che in parziale accoglimento del gravame della P., rigettava la domanda proposta dal G. . Per quello che ancora interessa, la Corte territoriale - premesso che era incontestato l'inquadramento del G. quale dirigente - riteneva che la qualifica dirigenziale attribuita al predetto corrispondeva alla sua effettiva posizione nell'ambito aziendale e perche direttore tecnico dell'officina farmaceutica, settore di rilevante importanza per l'attività imprenditoriale di produzione di farmaci svolta dalla società, e per le responsabilità previste per detto incarico dal dLgs. n. 178/1991 nonché per la circostanza che a lui si riportassero altri tre dipendenti con la qualifica di quadro. Evidenziava, altresì, la Corte che l'attività svolta dal G. , quale capo dell'officina di produzione farmaci, fosse strettamente correlata e diretta alla realizzazione degli obiettivi imprenditoriali precisando che non poteva giungersi e differenti conclusioni - come, invece, affermato nell'impugnata sentenza -sulla base della mancanza del potere di spesa il quale oltre a non essere considerato nella norma contrattuale, ben poteva essere riservato agli organi societari. Rilevava, inoltre, che, contrariamente a quanto affermato dal Tribunale, degli addebiti mossi al G. numerosi erano allo stesso imputabili in considerazione del ruolo ricoperto ed erano di gravità tale da ledere irreversibilmente il vincolo fiduciario necessario per lo svolgimento del rapporto, tenuto conto della sua elevata qualifica professionale e della posizione di responsabilità rivestita nell'azienda.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso il G. affidato a tre motivi.
P. Italiana s.p.a. in liquidazione resiste con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto


Preliminarmente, va rilevato che nella memoria ex art. 378 c.p.c. la P. Italiana s.r.l. in liquidazione ha evidenziato che in data 1 marzo 2013 è stata cancellata dal Registro delle imprese e, quindi, ha chiesto che venisse dichiarata l'interruzione del presente giudizio.
L'assunto non può essere condiviso alla luce della costante giurisprudenza di questa Corte secondo cui, al giudizio di cassazione, in quanto dominato dall'impulso d'ufficio, non sono applicabili le comuni cause di interruzione previste in via generale dalla legge (ex multis, Cass., SU, 14385/2007; Cass. n. 88685/2012; Cass. 21153/2010; Cass. 12967/2008). Del resto, anche la decisione delle Sezioni Unite richiamata in memoria (la n. 6070/2013) precisa che non vi è motivo per non ritenere applicabili alla fattispecie della società cancellata le disposizioni dettate dagli art. 299 e segg. c.p.c. in tema di interruzione e di eventuale prosecuzione o riassunzione della causa.
Ciò premesso, con il primo motivo di ricorso viene dedotta violazione o falsa applicazione degli artt. 1 CCNL per i Dirigenti delle aziende industriali e 4 del d.Lgs. n. 178/1991.
Si assume che nelle mansioni del Direttore tecnico così come individuate nell'art. 4 comma 5 del dLgs cit. non vi era traccia dell'elevato grado di professionalità, autonomia e potere decisionale richiesti dall'art. 1 CCNL menzionato. Inoltre, il ricorrente, un chimico, certamente in possesso di una elevata professionalità che lo rendeva idoneo a sobbarcarsi tutta l'attività puramente produttiva dell'officina nonché i controlli sulla medesima, sicuramente esplicava una propria autonomia di natura chiaramente tecnica, ma non aveva alcun potere in relazione alle scelte relative agli investimenti in materiali e macchinari all'interno dell'officina, alla formazione ed all'assunzione del personale da utilizzare, sui prodotti farmaceutici da sintetizzare, sulle spese per le forniture. In altri termini, le attività descritte normativamente dall'art. 4 comma 5 del dLgs. cit. non erano espressione di un elevato grado di autonomia e potere decisionale da utilizzare per il conseguimento degli obiettivi della datrice di lavoro e la cui sussistenza era considerata un carattere essenziale della figura di dirigente così come delineata dall'art. 1 CCNL menzionato.
Con il secondo motivo si deduce omessa e/o contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio nonché falsa applicazione dell'art. 111 Cost. in quanto la Corte di merito, senza motivare, avrebbe implicitamente presupposto e ritenuto: accertati i fatti di cui alla contestazione; di poter attribuire la responsabilità degli stessi al lavoratore piuttosto che all'azienda; che le esimenti di responsabilità addotte dal ricorrente non avessero alcun valore. Più in particolare avrebbe negato valore probatorio a determinate circostanze indicate nel ricorso introduttivo del giudizio e cioè: che la società aveva l'obbligo di mettere a disposizione del direttore tecnico i mezzi necessari all'espletamento delle sue funzioni; che il ricorrente non aveva alcun potere di decidere in concreto della necessarie misure tecniche da adottare per l'adeguamento delle strutture dell'officina agli "standards" tecnici di volta in volta imposti dalle normative né aveva poteri di spesa; che l'azienda non aveva mai riscontrato le numerose segnalazioni del G. concernenti la necessità di adeguare gli impianti e di formare il personale ma, anzi, aveva continuato a richiedere un "alleggerimento" delle procedure alfine di comprimere i tempi di produzione per incrementare la produzione stessa.
Con il terzo motivo si denuncia violazione e/o falsa applicazione dell'art. 420 c.p.c. nonché omessa e contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio per non avere la Corte di appello motivato l'implicito rigetto della richieste istruttorie formulate dal ricorrente intese a provare che egli, in qualità di direttore tecnico, aveva solo un potere/dovere di segnalazione e di controllo e nessun potere di iniziativa o di gestione e che aveva adempiuto ai suoi doveri di vigilanza con l'effettuare tutte le segnalazione del caso ma senza ottenere alcun riscontro dalla società e che non aveva alcun potere decisionale o di spesa.
Il primo motivo è infondato.
La declaratoria dell'art. 1 CCNL Dirigenti Aziende Industriali prevede espressamente che rientrano nella figura di dirigente, esemplificativamente, i direttori, i condirettori, coloro che sono posti con ampi poteri direttivi a capo di importanti uffici o servizi.
Orbene, la struttura di cui il G. era Direttore tecnico era senza dubbio alcuno, come correttamente rilevato dalla Corte di merito, un servizio di rilevante importanza nell'ambito di una azienda la cui attività era la produzione di farmaci. Inoltre, giustamente è stato evidenziato come tre dipendenti con qualifica di "quadro" rispondessero del proprio operato al G. e che la norma contrattuale non prevedeva il potere di spesa tra le caratteristiche proprie della qualifica di dirigente. Quanto alla denunciata violazione del dLgs. n. 178/1991 si rileva che i compiti, le responsabilità ed i poteri che tale norma pone a carico del Direttore tecnico presuppongono necessariamente un elevato grado di professionalità oltre che autonomia e potere decisionale, dipendendo, in buona sostanza, dal Direttore tecnico il funzionamento dell'officina farmaceutica la cui attività era strettamente correlata alla realizzazione dei fini aziendali. Del pari infondato è il secondo motivo di ricorso.
Vale ricordare che il controllo di legittimità sulla motivazione delle sentenze riguarda unicamente (attraverso il filtro delle censure mosse con il ricorso) il profilo della coerenza logico-formale delle argomentazioni svolte, in base all'individuazione, che compete esclusivamente al giudice di merito, delle fonti del proprio convincimento, raggiunto attraverso la valutazione delle prove, il controllo della loro attendibilità e concludenza, scegliendo tra di esse quelle ritenute idonee a sostenerlo all'interno di un quadro valutativo complessivo privo di errori, di contraddizioni e di evidenti fratture sul piano logico, nel suo intero tessuto ricostruttivo della vicenda (v. ex multis, S.U. 5802/1998; Cass. 4770/2006 e Cass. 1754/2007). Né appare sufficiente, sul piano considerato, a contrastare le valutazioni del giudice di merito, il fatto che alcuni elementi invocati dal ricorrente, possano essere in contrasto con le valutazioni del giudice o con la sua ricostruzione complessiva e finale. Il controllo, in sede di legittimità, sul giudizio di fatto del giudice di merito non può infatti spingersi fino alla rielaborazione dello stesso alla ricerca di una soluzione alternativa rispetto a quella ragionevolmente raggiunta, da sovrapporre, in una sorta di terzo grado di giudizio di merito, a quella operata nei gradi di merito, dovendosi viceversa muovere esclusivamente nei limiti segnati dall'art. 360 c.p.c., n. 5 (ex multis, Cass. 6064/2008, Cass. 9477/2009). Occorre, pertanto, che gli specifici dati della controversia, dedotti per invalidare la motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione, siano autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l'intero ragionamento svolto dal giudicante o determini, al suo interno, radicali incompatibilità si da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione (v., tra le varie, Cass. 24744/2006, Cass. 17076/2007). In tale ottica l'impugnata sentenza si presenta immune dai lamentati vizi.
Ed infatti il giudice di appello ha ben distinto i livelli di responsabilità individuando le mancanze addebitate al G. che concernevano la violazione di doveri a lui imposti, quale direttore tecnico del settore produttivo, dall'art. 4 comma 5 lett. a), c) e g) del DLgs n. 178/1991 e quelle carenze, invece, imputabili all'azienda.
In effetti il mezzo in esame non tiene conto della motivazione, sul punto, fornita dalla Corte di merito in cui è, in modo chiaro ed esaustivo, detto che le contestazioni contenute nella relazione ispettiva del 22 gennaio 2002 inerenti la mancata osservanza delle procedure e degli adempimenti prescritti (mancata campionatura dei contenitori dei principi attivi, mancate registrazioni delle attività di pulizia e manutenzione nei registri macchina, mancato lavaggio dei filtri mescolatori, mancanza del libro macchina per il dissolutore che viene pulito con detergenti senza convalida delle pulizie, mancata pulizia dell'armadio essiccatore tra un lotto e quello successivo e, comunque, pulizia effettuata "solo con acqua a dispetto del fatto che non tutti i prodotti fabbricati sono solubili in acqua", registrazione dei dati grezzi dei controlli in corso di fabbricazione non sulla documentazione del lotto etc. - vedi l'elenco della mancanze a pag 6 della sentenza) erano imputabili ad omessa vigilanza del G. ed erano quelle poste a fondamento del provvedimento espulsivo. Quanto alle circostanze definite "esimenti" non considerate dalla Corte di appello va rilevato che nella impugnata sentenza è stato evidenziato che le omissioni imputabili al G. erano sostanzialmente indipendenti dalle carenze strutturali ascrivibili, invece, alla società ed alla stessa segnalate dal predetto. In altri termini, il giudice del gravame ha ritenuto che la responsabilità derivante dalla violazione dei doveri facenti capo al G. per la funzione ricoperta non poteva ritenersi esclusa e neppure attenuata dalle carenze strutturali indicate alla dirigenza della società.
Quanto sin qui esposto comporta anche la infondatezza del terzo motivo.
Ed infatti le circostanze oggetto dei mezzi prova non ammessi sono prive del carattere della decisività.
Il ricorrente, anche nel presente ricorso, finisce con il riconoscere di non aver mai contestato l'esistenza delle irregolarità ma solo che le stesse fossero a lui imputabili. Ebbene, in questa situazione le istanze istruttorie implicitamente disattese dalla Corte di appello non appaiono decisive ai fini della risoluzione della controversia proprio in considerazione del fatto che il giudice del gravame ha distinto tra le carenze riscontrate dalla ispezione ministeriale quelle che erano da addebitare alla società e quelle di cui il G. era responsabile in considerazione dei doveri a lui imposti come direttore tecnico con una valutazione di merito non sindacabile in questa sede.
Il ricorso va, pertanto, rigettato.
Le spese del presente giudizio, per il principio della soccombenza, sono poste a carico del ricorrente e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.


La Corte, rigetta il ricorso, condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio liquidate in Euro 50,00 per esborsi ed in Euro 3.000,00 per compensi, oltre accessori di legge.