CGIL CISL UIL


Assemblea nazionale unitaria dei Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza aziendali e territoriali (RLS/RLST)

Piattaforma CGIL-CISL-UIL

16 ottobre 2013


1. Strategia Nazionale in materia di Salute e Sicurezza sul lavoro

Le recenti modifiche normative in materia di salute e sicurezza sul lavoro hanno reso ancor più evidente come, in assenza di una Strategia nazionale, le azioni unilaterali oltre a peggiorare le condizioni di lavoro (come abbiamo sostenuto e dimostrato nei documenti unitari del luglio scorso), minino il terreno già non facile della collaborazione tra le parti sociali e degli istituti di partecipazione di cui si sono dotati.

La necessità di operare anche nel nostro Paese con coerenti azioni di sistema è stata posta da tempo (quasi esclusivamente) dalle Organizzazioni sindacali all’attenzione delle controparti e delle istituzioni.

La definizione di una Strategia, in grado di integrare obiettivi comunitari e specificità nazionali in un quadro coerente di azioni, presuppone:

• l’impegno di elaborazione da parte dell’Organismo preposto (Comitato di indirizzo e valutazione delle politiche di prevenzione e vigilanza di cui all’art. 5 del d.lgs. 81/08 s.m.) per la definizione di obiettivi, interventi e tempistica nel raggiungerli, modalità di monitoraggio e di valutazione dei progressi (o delle battute di arresto) nella realizzazione delle politiche e negli interventi pianificati
• il coinvolgimento delle parti sociali
• l’impegno politico del Governo a realizzare tale strategia mediante atti, definiti dalle istituzioni competenti nazionali e locali alla luce del sistema di legislazione concorrente (ai sensi dell’art. 117 della Cost.), risorse umane ed economiche.

La Strategia nazionale deve prevedere perlomeno le seguenti tematiche:

• interventi nel quadro normativo che attuino prioritariamente i tasselli mancanti del sistema delineato dal d.lgs. 81/08 s.m. e correggano le storture introdotte dalle disposizioni unilaterali della recente Legge 98/2013
• definizione di un progetto complessivo di riordino dei Servizi di vigilanza e dell’assetto istituzionale, anche a partire dalle funzioni dell’Inail
• riprogettazione delle modalità di diffusione dei dati Inail, con particolare attenzione all’emersione degli infortuni e delle malattie professionali non denunciate
• definizione di un Piano di interventi con riferimento alle priorità che emergono dai dati che è previsto confluiscano e vengano elaborati dal Sistema informativo nazionale della prevenzione, ponendo in evidenza le modalità attraverso le quali si intende realizzare il consenso (modello del tripartitismo); tra le priorità in particolare va considerata la ricerca attiva delle malattie professionali
• valorizzazione ed estensione delle modalità di intervento (prevenzione e vigilanza) già in atto e previste dal Piano nazionale per la prevenzione come ad es. le Campagne nazionali di prevenzione in edilizia e in agricoltura
• interventi per rendere coerenti le disposizioni in materia di formazione
• completamento del quadro legislativo
• attuazione del Piano amianto

2. Progetto di riordino dell’assetto istituzionale

Il buon funzionamento del Sistema di Prevenzione Nazionale richiede interventi su tre aspetti e livelli fondamentali:

attuare le disposizioni previste dal Capo I del d.lgs. 81/08 s.m. con la piena assunzione da parte del Comitato (di cui all’art. 5 dello stesso decreto) del ruolo di “indirizzo e valutazione” ad esso attribuito dalla legge, superando le ancora persistenti difficoltà nel coordinamento dell’attività di vigilanza e i limiti dell’attività di pianificazione e programmazione delle iniziative di prevenzione (va in sostanza estesa e generalizzata la modalità di intervento per Piani mirati di prevenzione);
potenziare il sistema dei Dipartimenti di prevenzione delle Asl, garantendo prioritariamente:

o sul territorio nazionale che i lavoratori godano degli stessi livelli essenziali di assistenza (Lea) impegnando le Regioni all’utilizzo almeno di quel 5% del Fondo sanitario nazionale che deve essere destinato alle attività dei Servizi di prevenzione e sicurezza degli ambienti di lavoro (anche mediante l’utilizzo del “potere di sostituzione” nei confronti delle Regioni inadempienti previsto dall’art. 120 della Costituzione);
o il rispetto delle disposizioni di cui all’art. 13 comma 6 del d.lgs. 81/08 s.m. e l’utilizzo da parte dei Spisal delle somme provenienti dalla sanzioni comminate da questi ultimi in fase di vigilanza, eliminando le storture introdotte dall’art. 9 comma 2 della Legge 99/2013 dell’agosto scorso e prevedendo la possibilità di spendere le somme disponibili per l’acquisizione di risorse umane competenti, risorse tecnologiche, attività finalizzate al supporto (ad es. realizzazione di piani mirati di prevenzione, iniziative di formazione e informazione rivolte a imprese e lavoratori);
o l’impegno in iniziative di formazione nei confronti degli organi di vigilanza e la presenza di figure specializzate che sono da tempo carenti nei servizi quali ad es. chimici, ergonomi, ingegneri, psicologi, mediatori culturali;
o la collaborazione attiva e il coinvolgimento degli organismi paritetici ( e dove non presenti delle parti sociali) nelle attività di prevenzione e in particolare nei Piani mirati;

sviluppare iniziative nei confronti dell’Inail perché attivi un progetto coerente e trasparente che integri le sue fondamentali funzioni di:

o gestore del Sistema informativo nazionale della prevenzione
o garante della continuità della ricerca nel campo della prevenzione dei rischi connessi al lavoro e di estensione delle iniziative di trasferimento dei risultati della ricerca mediante una completa e organica riprogettazione delle Banche dati esistenti (ex Ispesl e Inail)
o finanziatore delle attività promozionali.




3. Conoscere per prevenire

Il complesso quadro delle attività di prevenzione realizzate sia dalle istituzioni che dalle parti sociali deve assumere come riferimento il principio “Conoscere per prevenire” principio che è alla base della costruzione del Sistema informativo nazionale per la prevenzione (Sinp), ideato appunto come strumento per “Pianificare, programmare, scegliere le priorità degli interventi preventivi, valutarne l’efficacia”, con l’obiettivo di “impostare gradualmente un sistema dinamico in grado di rispondere efficacemente alle esigenze di conoscenza e di programmazione, pianificazione e valutazione dell’efficacia delle attività di prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali, di tutti i soggetti coinvolti nella tutela della salute dei lavoratori”.

Ma se questo principio deve rappresentare il perno attorno al quale sviluppare la Strategia nazionale, deve essere anche di riferimento per le azioni di prevenzione attuate dalle organizzazioni sindacali e datoriali autonomamente e mediante gli organismi paritetici. Gli strumenti fondamentali di cui il Sinp dispone sono in realtà in gran parte operativi al di là della istituzione formale del Sinp e della pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale del decreto istitutivo:
• Flussi Informativi Inail – ex Ispesl – Regioni relativi a dove accadono gli infortuni (azienda per azienda, territorio per territorio)
• Dati del Sistema di rilevazione dell’attività dei Servizi di Prevenzione e sicurezza negli Ambienti di Lavoro delle Asl
• Registri tumori di origine professionale
• Sistema nazionale di sorveglianza degli infortuni Flussi Informativi Inail – ex Ispesl - Regioni mortali e gravi
• Sistema di sorveglianza delle malattie professionali Malprof

Strumenti quindi in grado di fornire da tempo indicazioni per muoversi sul terreno della prevenzione sapendo cosa fare e come farlo.

È quindi urgente e di fondamentale importanza correggere una delle principali criticità del Sistema nazionale di prevenzione, colmando la lacuna relativa al trasferimento delle conoscenze nei confronti degli utilizzatori finali (datori di lavoro, rls/rlst, lavoratori, rspp aspp, mc), progettando e realizzando un sistema di divulgazione, anche articolato per livelli e competenze, che permetta al maggior numero di utenti di usufruire e utilizzare praticamente il grande potenziale di informazioni ad oggi di fatto accessibile solo a figure esperte.

Questa azione di sistema, su cui da tempo le Organizzazioni sindacali richiamano l’attenzione e la responsabilità di Istituti (ex Ispesl e oggi Inail) e Ministeri, rappresenterebbe un punto di forza per le attività degli Organismi paritetici e la loro partecipazione ad iniziative di più vasta portata, in collaborazione con le istituzioni nazionali e locali, nell’ambito dei Piani mirati di prevenzione.


4. Rappresentanza e pariteticità

Consolidando i principi fissati nel passato e valorizzando l’esperienza maturata negli anni, declinando quanto disposto dalla normativa di riforma, il percorso di rinnovo degli Accordi interconfederali è andato sviluppandosi nel tempo raggiungendo tappe importanti come l’Accordo sulla rappresentanza e pariteticità nel settore dell’Artigianato (siglato nel settembre 2011) così come quello con le piccole e medie imprese di Confapi (siglato anch’esso nel settembre 2011).

Confermando la centralità del sistema di rappresentanza e la figura dell’RLS aziendale, in linea con quanto indicato, prima dalla legge delega (del 2007), poi dallo stesso d.lgs. 81/08 s.m., il ruolo dell’RLS territoriale (RLST) è divenuto maggiormente determinante, sia quale forma di rappresentanza più adeguata per le realtà aziendali di minor dimensione che quale forma di rappresentanza alternativa, a garanzia di tutela dei diritti del lavoratore in materia di salute e sicurezza sul lavoro, in ogni ambito lavorativo. Una linea di affermazione della rappresentanza che, recuperando a ruolo primario il dettato comunitario, ha riportato a figura centrale della prevenzione aziendale il ruolo dell’RLS, quale attore fondamentale, nell’ambito del suo ruolo e in sinergia con altri, della promozione della tutela dei lavoratori in ogni contesto lavorativo.

Mirando al rafforzamento della rappresentanza, il legislatore non solo ha determinato una più ampia e specifica articolazione normativa in confronto al passato, ma ha portato alla determinazione di una ulteriore innovativa figura quale l’RLS di sito, chiamata a svolgere quel ruolo cardine di coordinamento necessario tra gli RLS aziendali (o RLST) all’interno di una dimensione complessa quel il sito produttivo, in presenza di più realtà produttive.

Concretizzando, quindi, quanto disposto dal livello legislativo, l’azione contrattuale degli ultimi cinque anni ha visto e richiesto un grande impegno che, su iniziativa delle organizzazioni sindacali e risposta della associazioni datoriali, ha determinando il raggiungimento di significativi risultati (come gli Accordi interconfederali per l’artigianato e le pmi, così come nel settore dei porti, delle fiere, in edilizia), e l’apertura di tavoli di confronto, dal ritardo più marcato nell’avanzamento, a partire dal settore dell’industria, individuando, invece, quali impegni futuri, l’apertura dei tavoli per i settori del pubblico impiego, della scuola, ma non meno della cooperazione, del commercio e dell’agricoltura, visto il rilievo occupazionale che tali settori rappresentano nel nostro Paese, a fronte di tassi di infortunio spesso elevati, ed al contempo, una scarsa attenzione alla salute e sicurezza degli occupati.

La valorizzazione degli organismi paritetici, invece, da parte del legislatore nazionale – attento al lavoro svolto sul territorio negli anni, a sostegno di tali realtà (quale esempio concreto del modello partecipativo) – ha reso definitivamente coerente il sistema a rete, su cui la rappresentanza deve poggiare le proprie basi per costruire un dialogo costante e costruttivo con tutti gli attori della prevenzione, aziendale e territoriale, a partire dal datore di lavoro, per perseguire in modo comune l’obiettivo del miglioramento continuo delle condizioni di lavoro.

In questo senso, occorre, quindi, moltiplicare l’impegno nel far crescere e consolidare la rete degli organismi paritetici su tutto il territorio nazionale, garantendo l’applicazione di quanto previsto dagli accordi, ponendo in dialogo il sistema della bilateralità con quello della pariteticità, rendendo l’agire di ciascuno, nel proprio ambito di intervento, fattivo e in grado di supportare l’azione dell’impresa e dei lavoratori.

Nell’ambito poi della formazione prevenzionale, ancor più dopo l’entrata in vigore di quanto disposto dagli Accordi Stato-Regioni del 2011, portare a sistema la rete su tutto il territorio nazionale diviene oggi, non solo una priorità per le Parti sociali, ma l’azione concreta dell’onorare il mandato previsto sul tema, a partire dal d.lgs. 81/08 s.m.

Alla luce, pertanto, del ruolo e dell’azione fondamentale alla quale gli organismi paritetici sono chiamati, risulta quanto mai fondamentale e necessario il riconoscimento di quegli organismi che incarnano a pieno, a partire dalle Parti che li compongono, così come per i principi che li orientano, il mandato previsto dai precetti normativi, ponendo l’attività a sostegno della rappresentanza quale prioritaria missione. In questo senso, l’imminente (si spera) emanazione del decreto ministeriale che
andrà a definire i criteri identificativi degli organismi paritetici, nel rispetto dei disposti normativi, non solo ci trova in una posizione di più ampio sostegno, ma raccoglie tutto quanto da noi indicato a priorità, durante i lavori di costruzione e definizione del decreto. L’istituzione di un repertorio ufficiale degli organismi paritetici, presso il ministero del lavoro e delle politiche sociali, porterà difatti ad una chiarezza necessaria che andrà a favore della buona pariteticità, ponendo quella giusta distinzione tra chi opera a supporto delle aziende e dei rappresentanti e chi al solo fine di promuovere una mera attività di mercato.

Occorre dare, in tempi ravvicinati, piena e completa attuazione a quanto previsto nell’art. 52 del d.lgs. 81/08 s.m., mediante il quale si realizzerà il Fondo che garantirà, anche sul piano del sostegno economico, la copertura completa della rappresentanza (nelle sue diverse forme), in ogni settore, contesto e dimensione aziendale, non regolati da accordi tra le parti, così come un adeguato sostegno, anche economico, all’azione degli organismi paritetici che risulteranno registrati nel repertorio ministeriale.

Intanto sarà fondamentale che ad ogni rinnovo contrattuale venga inserito quanto disposto negli Accordi in tema di pariteticità e rappresentanza, determinando così una piena applicazione di quanto concordato e previsto, sul livello regolativo nazionale.


5. Rapporti contrattuali

La contrattazione è il cardine centrale dell’azione sindacale. Attraverso la contrattazione, ad ogni livello, si determinano i piani che poggiano sui pilastri fondamentali dell’attività lavorativa, coniugando i principi alle esigenze e specificità di ogni ambito settoriale e contesto lavorativo, al fine di garantire le migliori condizioni di lavoro, per gli occupati e per la produzione, nel complessivo esercizio dell’attività.

La salute e sicurezza sul lavoro costituendo uno dei pilastri fondamentali, deve trovare nella contrattazione, non solo una necessaria collocazione, ma l’alveo più consono per la definizione delle modalità di esercizio di quanto disposto sul piano normativo e, ancor più, su quanto rispondente al garantire le basi per una concreta realizzazione di condizioni permanenti di tutela e di miglioramento continuo.

I tanti rimandi, pertanto, alla contrattazione collettiva da parte della normativa vigente, in campo prevenzionale, devono trovare, da un lato, interventi volti alla piena applicazione di quanto già previsto, rafforzandone i termini di esercizio e le forme di rivendicazione, dall’altro, ampi e permanenti spazi negoziali volti a regolare quanto non già stabilito, ponendo a priorità la definizione del pieno svolgimento delle attribuzioni previste in capo all’RLS, quale figura primaria del presidio aziendale delle garanzie di tutela e dell’affermazione della prevenzione.

La sinergica azione tra le forme diverse di rappresentanza aziendale, sui temi della salute e sicurezza sul lavoro deve divenire, per questo, nel rispetto dei ruoli, la forma stabile dell’agire sindacale per promuovere l’attenzione costante sulle condizioni di lavoro e far sviluppare una sensibilità viva e diffusa al tema della salute e sicurezza.

Dopo il varo degli accordi Stato-Regioni, del dicembre 2011, in tema di formazione obbligatoria in materia di prevenzione, si è aperta una stagione di formazione (rilevante dal punto di vista quantitativo) finalizzata a coinvolgere le diverse figure aziendali, a partire dai lavoratori fino ai dirigenti. Se il percorso avviatosi segna senz’altro alcuni positivi risultati, pur scontando il ritardo di attuazione degli obblighi formativi dilazionatisi negli anni e protrattosi anche dopo l’emanazione degli accordi, non si può non riscontrare ancora una volta la purtroppo ancora diffusa o insufficiente consultazione dei rappresentati sull’organizzazione dei percorsi formativi. Un diritto pienamente affermato sul piano legislativo che segna ancora un ritardo inaccettabile sul livello della pratica aziendale dove, se in alcuni casi viene ad essere ridotto alla mera informazione dell’avvio dei corsi, in molti altri è la totale assenza di comunicazione ad essere la prassi seguita, negando profondamente quanto invece previsto, dove la modalità di rapporto con il rappresentante dovrebbe essere di totale coinvolgimento, a partire dalla prima fase di merito, la programmazione.


6. Relazioni con le istituzioni locali

Gli spazi di interlocuzione interistituzionale sul livello locale necessitano di un segnale forte da parte sindacale indirizzato a rinvigorire l’impegno dei diversi attori della prevenzione verso una programmazione attiva e dinamica sui temi della prevenzione, correlata alle esigenze provenienti dal tessuto aziendale e dai lavoratori. I comitati di coordinamento regionale, ex art. 7, del d.lgs. 81/08 s.m., in questo senso, devono rinnovare e potenziare la loro mission, utilizzando le diverse forze presenti al tavolo come leva per tenere in primo rilievo il monitoraggio delle questioni che intersecano i problemi legati agli infortuni e alle malattie professionali, ponendo al primo posto la salvaguardia dei posti di lavoro, nel rispetto della dignità e tutela dei lavoratori, così come delle regole dettate dalla normativa prevenzionale.

Più quotidiano ed intenso deve risultare anche il dialogo tra le OO.SS. e i servizi di prevenzione e protezione presenti nei diversi territori. Fuoriuscendo da una mera logica governata dalla necessità ed urgenza di certi interventi da svolgere nella forma del controllo, l’ampio raggio di azione e contributo che può esprimersi dall’impegno dei Servizi in sinergia con le OO.SS., così come con gli organismi paritetici, non può registrare ancora ritardi, come quelli evidenti del passato. Partendo dall’analisi contestuale dei dati locali, occorre favorire un’azione di progettazione e pianificazione delle priorità, andando a delineare concretamente gli interventi da realizzare sul territorio con il contributo di tutti, nell’esercizio del proprio ambito di intervento e collaborazione. L’Inail, in questo senso, deve svolgere a pieno il ruolo che gli deriva dal nuovo assetto istituzionale, sostenendo gli interventi (sul piano economico e dal lato delle risorse professionali messe a disposizione) ,e ponendosi in stretta relazione con l’ente Regione e le Parti sociali, promuovendo piani di lavoro e progetti di ricerca-azione, a valle dell’analisi dei dati specifici di monitoraggio della situazione sul territorio, in base alle informazioni provenienti dalle realtà lavorative.

Nei riguardi, poi, dei lavori di recepimento dell’Accordo europeo sulla violenza sul lavoro (siglato nel 2007 a Bruxelles) deve essere messa una parola fine, portando le controparti a concludere un percorso di definizione delle modalità operative che ormai si è dilatato nel tempo in modo inaccettabile, recuperando così anche nei riguardi del tavolo del dialogo europeo una credibilità, essendosi già da tempo espresso sulla questione con reiterate note di biasimo.


7. Problematiche ancora aperte

A oltre cinque anni dal varo del d.lgs. 81/08 s.m. e a circa vent’anni dall’entrata in vigore del d.lgs. 626/94 nessuna questione aperta dovrebbe più esserci nei riguardi del rispetto dell’esercizio dei diritti di rappresentanza in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Come noto, però, questo minimo traguardo non si può ritenerlo sufficientemente e in modo diffuso raggiunto, dovendo ancora oggi riscontrare una condizione che presenta luci e ombre ancora troppo evidenti.

A fronte del mancato rispetto del diritto alla consegna al rappresentante del documento di valutazione dei rischi da parte del datore di lavoro, determinando non solo una grave inadempienza legislativa, ma la concreta impossibilità di poter mettere in condizione il rappresentante stesso di svolgere il proprio ruolo in piena sinergia con le altre figure della prevenzione aziendale - come previsto dal livello comunitario – non ridotti risultano i ritardi in merito alla consegna del/dei documento/i unico/idi valutazione dei rischi da interferenza (Duvri), così come l’esercizio delle altre importanti consultazioni.

Anche in merito all’obbligo di svolgere in ogni ambito lavorativo la valutazione dello stress lavoro- correlato, i dati che si hanno, seppur frammentati, presentano un quadro complessivo non certo confortante per quanto riguarda lo svolgimento di tale procedimento che, se attuato in rilevante ritardo nelle grandi aziende, diviene pressoché assente in una grossa parte di quelle piccole.

Ben conosciuto da tutti il problema della frammentazione del sistema produttivo italiano (con il 98% delle aziende di dimensione intorno ai cinque addetti), l’impegno che oggi deve essere preso da tutti, nell’ambito dei propri ruoli e livelli di intervento, è quello di colmare le troppe evidenti mancanze sul piano almeno del rispetto dei precetti minimi normativi previsti, non appellandosi esclusivamente all’intensificare dei controlli e del peso delle sanzioni (aspetto questo sul quale la Legge 99/2013 /”pacchetto “lavoro è comunque intervenuta), ma individuando percorsi di supporto alla realizzazione.

È in questo senso che l’attività quasi quotidiana svolta dalla Commissione consultiva permanente, mediante il lavoro dei comitati speciali (in ognuno dei quali le OO.SS, svolgono un’attività di presidio e collaborazione intensa) è da considerarsi uno degli esempi di maggior rilievo dell’impegno preso congiuntamente in questi ultimi anni nel promuovere in modo concreto la prevenzione e protezione sui luoghi di lavoro.

Ma se le parti sociali e le istituzioni lavorano compiutamente al cammino di sviluppo della salute e sicurezza sul lavoro, anche la politica non può far mancare il suo contributo fondamentale.

In attesa, difatti, dell’approvazione del decreto sui criteri di identificazione degli organismi paritetici e del relativo repertorio ministeriale, non si può più ritenere accettabile il trascorrere di ulteriore tempo per il varo dei decreti per il settore dei porti, della pesca, dei marittimi e delle ferrovie, ancor più essendo già da tempo, per ciascun settore, pronti i testi di riferimento.

Con il recente poi recepimento in legge del decreto “fare”, se da un lato, grazie agli interventi emendativi proposti anche delle OO.SS., molte delle modifiche peggiorative sono state ridimensionate, dall’altro, è stata disposta un’ampia attività di decretazione che dovrà andare a regolare ogni questione affrontata dal testo legislativo. In tal senso, avendo posto in capo anche alla commissione consultiva permanente un ruolo centrale nella definizione delle regole, l’autunno che si apre prevede un impegno di grande rilievo sul piano nazionale, che dovrà però essere supportato da un’azione di collaborazione e confronto con le reti sul territorio, a partire proprio dal dialogo costante con gli organismi paritetici (quale anello di collegamento con le imprese e la rappresentanza), ma non meno con i comitati regionali di coordinamento, rappresentando in concreto quella diramazione sul livello regionale della composizione tripartita proprio della Commissione consultiva permanente, necessaria per poter avere costantemente l’eco degli interventi che si vanno ad avallare.


8. La prevenzione delle malattie professionali: obiettivi concreti di emersione delle malattie dell’apparato muscolo-scheletrico e dei tumori professionali

Anche per quest'anno si è riscontrato, nel rapporto Inail, un aumento del numero delle denunce significativo. Ciò è dovuto in parte alle campagne di sensibilizzazione delle parti sociali e delle istituzioni, ma anche all'emanazione delle tabelle delle malattie professionali, nelle quali sono state inserite per la prima volta alcune patologie precedentemente non previste e, pertanto, di difficile indennizzo. È, pertanto, evidente come sia quanto mai pregnante il richiamo costante da parte delle OO.SS. al rispetto della disposizione che prevede l’obbligo di aggiornamento a cadenza annuale degli elenchi delle malattie professionali (ai sensi dell’art. 10, c. 4, d.lgs. 38/2000), tenuto conto che l’ultimo aggiornamento per decreto risale al dicembre 2009. Occorre dunque proseguire nel lavoro per l'emersione delle malattie, e anche all'aggiornamento delle tabelle relative, nel rispetto di quanto previsto dalla legislazione vigente, ma non ancora effettuato secondo la tempistica prescritta.

La concreta prevenzione delle malattie professionali richiede inoltre che si attivi una collaborazione fra strutture di cura e strutture di medicina del lavoro per una precisa attribuzione al lavoro dei casi emergenti. Rimane, comunque, centrale il ruolo dei medici competente che, a fronte dell’attività relativa alle visite periodiche di sorveglianza sanitaria, devono rafforzare il loro ruolo sul piano della collaborazione con le altre figure della prevenzione aziendale, a partire dal rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RLS/RLST), adempiendo, anche solo in modo specifico, all’obbligo di svolgere la visita degli ambienti di lavoro (in ogni locale) almeno una volta all’anno, potendo così monitorare le condizioni di lavoro e i contesti nei quali si svolgono. In questo senso emerge con evidenza l’importanza del rispetto dell’obbligo di consultazione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RLS/RLST) nei riguardi della figura del medico competente potendo così in questo modo segnalare eventuali importanti mancanze nello svolgimento di un tale ruolo di centrale importanza nell’ambito della prevenzione.

Resta inoltre da mettere in campo (in sinergia con le istituzioni e le parti sociali) azioni di sensibilizzazione dei medici di base. Inoltre ai fini dell’emersione, in collaborazione con i patronati (Inca, Inas, Ital), intendiamo ragionare in merito a sistemi di premialità a favore dell'emersione.

Per quanto concerne i tumori professionali, se è vero che oggi l'esposizione all'amianto, riferita soprattutto agli scoibentatori, lavoratori ESEDI e lavoratori all'estero è fortemente limitata, è altrettanto vero che l'esposizione a cancerogeni è ancora una realtà presente e fortemente sottovalutata, come evidenziano i dati del Sistema di sorveglianza delle malattie professionali (MalProf, uno dei tasselli funzionanti del Sistema informativo nazionale della prevenzione). “Il contenimento dei rischi di patologie con particolare riguardo ai tumori” è d’altronde uno degli obiettivi generali di salute negli ambienti di lavoro del Piano nazionale di prevenzione 2010-2012 prorogato al 2013. Inoltre le “Indicazioni ai Comitati regionali di coordinamento per la definizione della programmazione per l’anno 2013 delle attività di vigilanza” individuano le neoplasie professionali, insieme alle patologie muscoloscheletriche, come prioritarie per quanto riguarda le azioni di vigilanza: ne consegue che, seppur con le differenze note di capacità di intervento delle Asl, la prevenzione dei cancri professionali è un obiettivo condiviso di intervento da parte dei Servizi di prevenzione nei luoghi di lavoro su tutto il territorio nazionale.

Per quanto concerne le patologie muscolo-scheletriche occorre, poi, che i medici competenti siano maggiormente propensi alla segnalazione non limitandosi a tenere conto di dette patologie nell'espressione del giudizio di idoneità.

Tale maggiore propensione alla segnalazione avrebbe come ricaduta, anche, quella di individuare le situazioni lavorative in cui dette patologie compaiono ex novo o con maggiore frequenza rispetto al passato con possibilità di definire e mettere in atto misure di prevenzione sia di tipo organizzativo che strutturale.


9. Modelli organizzativi del lavoro e ricadute sulle condizioni di lavoro

Tutte le indagini internazionali e nazionali ci confermano l'incremento delle malattie professionali. Tale fenomeno, di rilevante proporzione (esclusa la positiva emersione delle denuncie) registra tra le sue principali cause scatenanti le nuove modalità di lavoro, se non adeguatamente regolate, le nuove tipologie contrattuali, se non supportate da specifiche forma di tutela della salute e sicurezza sul lavoro e i diversi ritmi di lavoro, se non rispondenti a criteri ergonomici e di benessere.

In questo senso, diviene certamente, più difficile evidenziare il rischio presente nei luoghi di lavoro ma soprattutto rende più difficile il controllo da parte dei lavoratori e dei loro rappresentanti (RLS) rispetto ai contenuti del DVR , difficoltà acuite dalle modifiche del 106 rispetto alla disponibilità del DVR da parte dell'RLS.
Stante la tipologia dimensionale delle nostre aziende l'evidenziazione dei nuovi rischi appare di difficile realizzazione se non si attiva un concreto meccanismo di sorveglianza epidemiologica.

Occorre quindi approfondire il tema dei modelli organizzativi e, in sinergia con le nostre categorie, elaborare strategie per affrontare il problema.
Occorre inoltre, più precisamente, intervenire nel nesso fra DVR e riconoscimento delle malattie professionali da parte dell'Inail, diffondendo fra i nostri rappresentanti elementi di conoscenza della questione, chiarendo loro che per l'istituto c'è una corrispondenza diretta fra quanto evidenziato nel DVR e i diritti dei lavoratori.
Altre azioni da programmare sono quelle relative al problema stress lavoro correlato; nello specifico, sollecitare le istituzioni ad una valutazione di cosa sia realmente successo nei contesti aziendali dopo l'entrata in vigore dell'obbligo, come sia stata effettuata la rilevazione di questo rischio, e quali siano le eventuali correzioni da apportare alle indicazioni metodologiche.


10. Il Piano Nazionale Amianto: come attivarlo nel suo insieme

Il Piano Nazionale Amianto realizzato a valle della seconda Conferenza Nazionale Amianto di Venezia del Novembre 2012, è un importante punto di partenza per rilanciare e cercare di migliorare le soluzioni alle diverse problematiche relative all’amianto.
Il Piano attualmente è fermo al Tavolo della Conferenza Stato Regioni e deve essere al più presto sbloccato. A tal fine sono stati già richiesti dalle Confederazioni incontri specifici ai Ministeri della Salute, dell’Ambiente e del Lavoro per fare il punto della situazione.
Una situazione quindi da affrontare nel merito al più presto, cercando di migliorare il PNA stesso nell’ambito delle risorse messe a disposizione per incrementare ulteriormente la ricerca, la sorveglianza sanitaria e per le bonifiche, i censimenti regionali e gli smaltimenti.
Poche regioni ad oggi hanno individuato obiettivi precisi sull’eliminazione dell’amianto nel proprio territorio. Non tutte le regioni hanno inoltre realizzato un censimento puntuale dei siti contenenti materiali di amianto, e molte che lo hanno fatto lo hanno redatto in maniera superficiale.
Un importante intervento di miglioramento da realizzare riguarda inoltre il Fondo Vittime Amianto, che ha iniziato ad erogare le prime prestazioni aggiuntive per le vittime dell’amianto che usufruiscono dell’indennità di malattia professionale per il mesotelioma previste dalla legge, ma che deve essere corretto con la destinazione finale anche alle vittime civili, cioè ai cittadini che non hanno la copertura assicurativa professionale dei lavoratori.
Un lavoro da fare nel quale il Sindacato deve essere presente a tutti i livelli, rilanciando una stagione di contrattazione ampia e diversificata verso i diversi interlocutori, cercando di incalzare il Governo, i Ministeri competenti e, a caduta per le varie responsabilità, le Regioni, le Province e i Comuni.
Le priorità in sintesi:

• una adeguata sorveglianza sanitaria per gli ex-esposti all’amianto;
• finanziamenti certi per la ricerca per la cura delle malattie dovute all’amianto;
• finanziamento per le bonifiche dall’amianto per gli edifici pubblici;
• incentivi per la bonifica dell’amianto per gli edifici privati;
• mappatura completa a livello Regionale dei siti amianto;
• creazioni di adeguate discariche;
• dare un assetto permanente e strutturato al Coordinamento Nazionale delle strutture CGIL, CISL e UIL sulle problematiche dell’amianto.


Fonte: uiltrasporti.it