Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali

Partenza - Roma, 08/11/2013
Prot. 37/0019324/ MA007.A001

 

CIRCOLARE N. 43/2013

Roma,

Ministero del lavoro e delle politiche sociali
Direzione generale per l’Attività Ispettiva

 

Agli indirizzi in allegato

 

Oggetto: sentenza del Consiglio di Stato, sez. Vl, n. 4035/2013 del 31/7/2013 in materia di diritto di accesso alle dichiarazioni rilasciate dai lavoratori in sede ispettiva. Istruzioni operative.

La sentenza in oggetto, di conferma della sentenza TAR Lazio, sez. III, n. 168/2013, prima di decidere il rigetto del ricorso per una questione pregiudiziale, affronta, incidenter tantum, la tematica della legittimità del provvedimento di diniego inerente ad una richiesta di accesso alle dichiarazioni rese dai lavoratori, sentiti nel corso della verifica ispettiva, richiesta avanzata, nel caso di specie, da un coobbligato in solido del datore di lavoro.

La vicenda processuale si inserisce in un quadro giurisprudenziale connotato da orientamenti contrastanti ed oscillanti nel tempo che, a seconda degli anni ed in relazione alla tematica dell’acceso sopra richiamata, hanno visto ora l’affermazione della prevalenza del diritto di difesa sancito dall’art. 24 della Costituzione, ora il riconoscimento della legittimità dei dinieghi di accesso agli atti motivati dalle esigenze di tutela della riservatezza dei lavoratori unitamente a quella di preservazione della pubblica funzione di vigilanza.

In effetti, nel recente passato, si sono succedute diverse pronunce che ritenevano ammissibile l’accesso alle dichiarazioni rese dai lavoratori in sede di verifica ispettiva sul presupposto che l’esigenza di riservatezza e di protezione dei lavoratori intervistati fosse recessiva di fronte al diritto esercitato dal richiedente per la difesa di un interesse giuridico, nei limiti in cui esso risultasse necessario alla difesa di quell’interesse (ex multis Cons. St., sez. VI, n. 3798/2008 del 29.7.2008).

Le predette sentenze, in alcuni casi, fondavano le decisioni di accoglimento anche in base alla possibilità, evidentemente non esercitala, da parte dell’Amministrazione di intervenire con opportuni accorgimenti (cancellature o omissis attraverso cui ottenere l’espunzione dei nominativi dei dipendenti interessati), in modo da consentire il giusto contemperamento tra gli opposti interessi in gioco.

Il citato orientamento contrasto con altre pronunce (Cons. St., sez. VI, n. 1842/2008) che, in materia di accesso alle dichiarazioni rese dai lavoratori in sede di verifica ispettiva, hanno ritenuto legittimo il diniego opposto dall’Amministrazione sulla scorta degli artt. 2 e 3 del D.M. n. 757/1994 “a motivo della salvaguardia di possibili azioni pregiudizievoli, recriminatorie o di pressione nei confronti dei lavoratori e collaboratori della società”. In tali decisioni il Consiglio di Stato, al fine di coniugare l’esigenza di trasparenza ed imparzialità dell’Amministrazione, esplicitata dall’art. 22 L. n. 241/1990, rispetto ad altri interessi contrapposti, fra cui quelli dei soggetti “individuali o facilmente individuabili (...)” che dall’esercizio dell’accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza (art. 22 cit., comma 1 lett. c), prende in esame anche il successivo art. 24 della medesima Legge che disciplina i casi di esclusione al diritto in questione. Quest’ultimo, al comma 6, tra i casi di possibile sottrazione all’accesso da stabilirsi in via regolamentare, prevede al punto d), quelli relativi “a documenti che riguardano la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, persone giuridiche, gruppi, imprese e associazioni con particolare riferimento agli interessi epistolare, sanitario, professionale, finanziario, industriale di cui siano in concreto titolari, ancorché i relativi dati siano forniti all’Amministrazione dagli stessi soggetti a cui si riferiscono”.

In tale ottica, osserva il Consiglio di Stato che “correttamente il D.M n. 757/1994 inserisce fra tali categorie all’art. 2 lett. b) e c) i documenti contenenti richieste di intervento dell’Ispettorato del Lavoro nonché i documenti contenenti notizie acquisite nel corso delle attività ispettive, quando dalla loro divulgazione possano derivare azioni discriminatorie o indebite pressioni o pregiudizi a carico di lavoratori o di terzi”.

Il Supremo Organo di Giustizia Amministrativa rileva che la giurisprudenza ha più volte confermalo la sottrazione al diritto di accesso di documentazione acquisita dagli ispettori del lavoro nell’ambito dell’attività di controllo loro affidata (cfr., fra le tante, Cons. St. sez. VI, n. 65 del 27.1.1999, n. 1604 del 19.1.1996, n. 1842 del 22.4.2008), essendo necessario salvaguardare l’esigenza di riservatezza di chi abbia reso dichiarazioni, riguardanti se stessi o altri soggetti, senza autorizzarne la divulgazione, non attendendo la sfera di interessi in questione alla sola tutela delle posizioni del lavoratore ed essendo queste ultime, comunque rilevanti “anche in rapporto all’ambiente professionale di appartenenza, più largamente inteso”.

In tali statuizioni detto Organo sottolinea la prevalenza dell’interesse pubblico all’acquisizione di ogni possibile informazione, a tutela della sicurezza e regolarità dei rapporti di lavori rispetto al diritto di difesa delle società o imprese sottoposte ad ispezione: il primo infatti non potrebbe non essere compromesso dalla comprensibile reticenza di lavoratori, cui non si accordasse la tutela di cui si discute, mentre il secondo risulta comunque garantito dall’obbligo di motivazione per eventuali contestazioni e dalla documentazione che ogni datore di lavoro è tenuto a possedere.

In merito poi agli eventuali accorgimenti (cancellature, omissis) che, in sede di ostensione dei dati, l’Amministrazione potrebbe adottare, si deve osservare come tali cautele risultino del tutto insufficienti a tutelare la riservatezza dei dichiaranti laddove, soprattutto in ipotesi di imprese di piccole dimensioni, il semplice contenuto delle dichiarazioni possa far risalire alla persona che le ha rilasciate, facilmente individuabile attraverso, per esempio, l’individuazione delle mansioni ricoperte oppure la puntuale indicazione dell’orario di lavoro osservato, ovvero l’indicazione degli altri colleghi appartenenti al medesimo reparto.

In questa stessa direzione, conformemente alle sentenze appena citate, si è mossa anche la decisione n. 736/09 del Consiglio di Stato che, in situazione del tutto simili, evidenzia come l’accesso richiesto, per esempio, in rapporto alle dichiarazioni di un singolo lavoratore non consentirebbe di garantire in nessun caso allo stesso l’anonimato, con chiaro pregiudizio sia dell’esigenza di riservatezza che della funzione di controllo esercitata dagli organi di vigilanza.

A supporto della interpretazione operata dal Consiglio di Stato sembra muoversi anche la Corte di Cassazione che, in alcune pronunce, ribadisce come, ai fini dell’esigenza di tutela del destinatario di provvedimenti ispettivi, è sufficiente la possibilità per lo stesso di proporre davanti al Giudice le censure o contestazioni in merito alla documentazione che l’Amministrazione, in quella sede, è tenuta ad esibire ai fini processuali. Pertanto, in tale sede, sarà sempre possibile al datore di lavoro azionare le proprie difese anche in relazione a tali fonti di prova esibite in giudizio.

Da ultimo la sentenza del Cons. St. n. 4035/2013 del 31.7.2013 che, in controtendenza rispetto all’ultimo orientamento appena esaminato, interviene dopo un biennio di giurisprudenza favorevole all’accesso, riafferma, pur entro certi limiti e previa valutazione motivata caso per caso, la legittimità per le Direzioni territoriali di questo Ministero di sottrarre all’accesso le dichiarazioni dei lavorator rese durante l’accesso ispettivo.

In particolare la sentenza in questione, oltre a richiamare alcune valutazioni già espresse nelle menzionate pronunce, chiarisce con nettezza che “ferma restando, dunque, una possibilità di valutazione caso per caso, che potrebbe talvolta consentire di ritenere prevalenti le esigenze difensive in questione (cfr. Cons. St., sez. VI, n. 3798108 del 29.7.08, che ammette l’accesso al contenuto delle dichiarazioni dei lavoratori agli ispettori de/lavoro, ma con modalità che escludano l'identificazione degli autori delle medesime), non può però affermarsi in modo aprioristico una generalizzata recessività dell’interesse pubblico all’acquisizione di ogni possibile informazione, per finalità di controllo della regolare gestione dei rapporti di lavoro (a cui sono connessi valori, a loro volta, costituzionalmente garantiti), rispetto al diritto di difesa delle società o imprese sottoposte ad ispezione (... )”.

La sentenza in parola risolve, inoltre, anche la vexata quaestio della posizione dei lavoratori in ordine alle richieste di accesso alle dichiarazioni dagli stessi rilasciate in sede ispettiva, chiarendo come vada loro attribuita la qualifica di “controinteressati” con il conseguente riconoscimento, anche dal punto di vista del procedimento amministrativo, di tutti i diritti inerenti a tale qualificazione, spettanti anche nei confronti di eventuali obbligati solidali diversi dal datore di lavoro.

Alla luce della richiamata giurisprudenza si invitano gli uffici in indirizzo, nella istruttoria e decisione delle predette richieste di accesso, a voler tener conto dell’orientamento in parola.

Per delega
IL SEGRETARIO GENERALE
(Dott. Paolo Pennesi)


Allegati:
- Sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, n. 4035/2013 del 31/7/2013.