Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 30 agosto 2013, n. 35826 - Impianto elettrico di fortuna e morte per fulminazione


 

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BIANCHI Luisa - Presidente -
Dott. BLAIOTTA Rocco Marco - Consigliere -
Dott. CIAMPI Francesco Mari - Consigliere -
Dott. PICCIALLI Patrizia - Consigliere -
Dott. GRASSO Giuseppe - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza

 

sul ricorso proposto da: CO.LU. N. IL (Omissis);
C.S. N. IL (Omissis); C.G. N. IL (Omissis);
avverso la sentenza n. 1073/2011 CORTE APPELLO di FIRENZE, del 12/04/2012;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 27/06/2013 la relazione fatta dal Consigliere Dott. GRASSO GIUSEPPE;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. GAETA Pietro, che ha concluso per l'inammissibilità dei ricorsi di C.S. e C.G. e il rigetto del ricorso di CO.Lu..
Udito il difensore Avv. ROSSI Livia del Foro di Roma, la quale si riporta ai motivi.


Fatto


1. Il Tribunale di Firenze, per quel che qui rileva, con sentenza del 15/4/2010, dichiarati Co.Lu., C.S. e C. G. colpevoli dei reati di cui all'art. 589 c.p., e L. 27 aprile 1955, n. 547, art. 374, (per aver causato, inosservando le disposizioni di cui alla L. n. 46 del 1990 e l'art. 374 cit., per colpa, la morte per fulminazione elettrica di F.I., il primo, quale responsabile del cantiere, all'interno del quale la donna veniva precariamente alloggiata in un locale, utilizzato abusivamente da C.G. e C.S., i quali avevano realizzato, col concorso del primo, impianto elettrico di fortuna), condannò predetti alla pena stimata di giustizia.
1.1. La Corte d'appello di Firenze, con sentenza del 12/4/2012, alla quale gli imputati si erano rivolti, confermò la statuizione di primo grado.
2. Per un'adeguata intelligenza delle questioni poste al vaglio di questa Corte appare necessario riprendere, in sintesi, la vicenda, siccome ricostruita dai giudici di merito.
La vittima, fidanzata di C.G., venne ospitata dai fratelli C., operai alle dipendenze della ditta che aveva in appalto lavori di ristrutturazione, per conto della Provincia fiorentina della (Omissis), in un immobile adiacente la ristrutturanda villa, occupato dai due operai. Il giorno 2/10/2004 la donna moriva folgorata mentre era intenta a fare la doccia. Assolti vari altri imputati, i giudici avevano affermato la penale responsabilità degli odierni ricorrenti in quanto i fratelli C., che avevano ammesso di aver adibito il locale a loro foresteria, coadiuvati dal Co. (capocantiere) avevano dotato d'impianto elettrico l'appartamento. Alle prime avvisaglie della dispersione elettrica, i due fratelli, invece che disattivare il collegamento dal quadro elettrico del cantiere, avevano chiesto l'intervento del Co., che aveva peggiorato la situazione e promesso un prossimo intervento risolutivo, limitandosi, inoltre, a staccare la spina dello scaldabagno e ad avvertire l'ospite di non fare la doccia.
3. Tutti gli imputati propongono ricorso per cassazione.
4. Con l'unica censura esposta con ricorsi formalmente distinti, ma d'identico contenuto, i fratelli C. denunziano vizio motivazionale per avere la Corte territoriale omesso di valutare l'elemento soggettivo del reato.
In particolare, la decisione appariva illogica nella parte in cui non aveva considerato che, così come emerso al dibattimento, era stato il Co. a realizzare il collegamento esterno dell'impianto elettrico.
5. Il Co. con il primo motivo, denunziante violazione della legge processuale e vizio motivazionale, si duole della circostanza che risulta essere stato svolto accertamento tecnico irrepetibile, senza che fossero state assicurate le garanzie difensive, ad opera del tecnico dell'ASL intervenuto, il quale non poteva considerarsi mero ausiliario, nè teste, in quanto aveva espresso vere e proprie valutazioni.
5.1. Con il secondo motivo, deducente i medesimi vizi, il ricorrente espone che la Corte territoriale, errando, lo aveva ritenuto responsabile per un fatto colposo antecedente (aver fatto abitare, permesso di ristrutturare e dotare d'impianto elettrico l'immobile), senza che, peraltro, fosse dato comprendere quale fosse la fonte che vietava l'uso dell'immobile in parola. Inoltre, a parere del ricorrente, la Corte territoriale aveva travisto la prova, in quanto "assume apoditticamente ciò che al contrario si sarebbe dovuto dimostrare, e cioè che il Co., in qualità di capo - cantiere, avesse impartito ordini".
Infine: il Co. aveva allacciato i fili al quadro elettrico del cantiere, ma la folgorazione si era verificata per un fatto indipendente dal detto quadro.
5.2. Con l'ultimo motivo il Co., denunziando vizio motivazionale, addebita alla Corte territoriale di non avere valutato il comportamento della vittima ai sensi dell'art. 41 c.p., comma 2: la situazione di
pericolo era a costei nota e il fatto che la medesima decise ugualmente di utilizzare lo scaldabagno costituisce, a parere del ricorrente, evento eccezionale sopravvenuto che elide il nesso di causalità.




Diritto

 


6. Va osservato che dopo la sentenza di secondo grado è venuto a maturare il termine massimo prescrizionale previsto dalla legge per il reato contestato di anni sette e mesi sei alla data del 2/4/2012, prorogata, tenuto conto delle sospensioni causate dai rinvii operati su richiesta e nell'interesse della difesa, al 2/6/2012. I proposti motivi, sibbene, come si vedrà, non meritevoli di accoglimento, tuttavia, legittimamente radicano il giudizio di cassazione e, quindi, s'impone la declaratoria estintiva agli effetti penali.
7. Occorre, a questo punto, come anticipato, prendere in esame le proposte censure agli effetti civili della statuizione.
8. La doglianza prospettata dai C. non può essere condivisa.
Non corrisponde ad una puntuale lettura della statuizione impugnata affermare che la stessa non affronti l'elemento soggettivo del reato ed ignori il contributo del Co.. Esattamente al contrario, pur valorizzato il contributo di quest'ultimo, al fine di rispondere a precipua ragione impugnatoria, la ricostruzione dell'avvenimento non lascia adito a dubbi in ordine alla colpevole condotta dei due imputati. Costoro, infatti, che il Co. fece alloggiare nel locale di cui s'è detto (che quest'ultimo intendeva adibire a foresteria per gli operai provenienti da fuori) approntarono, non solo autorizzati, ma anche materialmente collaborati dal Co., l'impianto elettrico, non avendo alcuna specifica competenza, con la conseguenza che lo stesso, per come consta dalle dichiarazioni rese dal tecnico dell'USL, risultò essere fonte di specifico e grave pericolo e causa della morte della donna.
9. Anche le censure mossa dal Co. sono infondate.
9.1. Quanto al primo motivo basta osservare che in tanto può ipotizzarsi la sussistenza di una lesione del diritto di difesa nel compimento di accertamento tecnico urgenti non ripetibili, senza il rispetto della procedura di legge, in quanto sia individuabile sin da subito la persona nei cui confronti si procede (Cass., Sez. 4^, n. 20591 del 23/2/2010), cosa che qui deve escludersi nel momento in cui, accaduto l'evento letale, ricollegabile ad un "normale" incidente domestico, sui luoghi intervenne, quale ausiliario della P.G. tecnico inviato dall'USL, il quale svolse accertamenti, sui quali venne legittimamente sentito al dibattimento.
9.2. Anche il secondo ed il terzo motivo non colgono nel segno.
Quanto al secondo emerge piuttosto nitidamente dalla sentenza gravata che il Co. non è stato condannato per un fatto antecedente colposo estraneo ed indipendente dall'evento letale (aver consentito ai C. di occupare l'immobile), ma, sulla base dell'incontroversa istruttoria, per avere fattivamente concorso alla predisposizione del fatidico impianto elettrico: egli lo collegò al quadro generale del cantiere ed intervenne al primo verificarsi di dispersioni, manipolando lo scaldabagno, che da quel momento aumentò le dispersioni elettriche, promettendo un futuro ulteriore intervento risolutivo. Per queste ragioni non assume rilievo di sorta verificare se il predetto ebbe o meno ad impartire direttive ai C., in quanto, appunto, non operò quale preposto sul luogo di lavoro, stante che il suo decisivo contributo ebbe natura extralavorativa o, se si vuole, di cortesia.
Anche l'ultimo motivo non convince. Ammesso che la vittima fosse stata adeguatamente avvertita del pericolo derivante dall'uso dello scaldabagno, il fatto che la detta, trasgredendo l'avvertimento, decise ugualmente di fare una doccia non può costituire affatto causa sopravvenuta da sola sufficiente ad determinare l'evento.
Esattamente al contrario, trattavasi d'ipotesi del tutto prevedibile e, quindi, per nulla imprevedibilmente anomala, rientrando nella natura umana la spinta a sottovalutare le indicazioni di pericolo e trasgredirle, credendole mere esagerazioni ingiustificate, che avrebbe dovuto essere prevenuta disattivando radicalmente (di talchè non potesse essere riallacciato) lo scaldabagno o, se necessario, l'intero impianto elettrico.
10. Ciò posto, s'impone l'annullamento della sentenza ai soli effetti penali, con conferma delle statuizioni civili.



P.Q.M.


Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il reato è estinto per prescrizione; rigetta il ricorso agli effetti civili.
Così deciso in Roma, il 27 giugno 2013. Depositato in Cancelleria il 30 agosto 2013