Cassazione Civile, Sez. Lav., 19 febbraio 2018, n. 3971 - Nesso causale tra l'esposizione alle radiazioni ionizzanti subite dal medico radiologo e l'insorgenza della malattia neoplastica


Presidente: MAMMONE GIOVANNI Relatore: RIVERSO ROBERTO Data pubblicazione: 19/02/2018
 

 

Fatto

 


che la Corte d'appello di Perugia con sentenza n. 23/2012 ha respinto l'appello proposto da B.L. avverso la sentenza che in primo grado, sulla base di CTU medico legale, aveva rigettato la sua domanda svolta nei confronti dell'Inail intesa ad ottenere il riconoscimento della natura professionale della patologia denunciata all'istituto (adenocarcinoma dell'endometrio), con costituzione di una rendita permanente commisurata al grado di inabilità permanente del 30%; che a fondamento della decisione la Corte sosteneva che le critiche mosse nell'atto d'appello alla CTU e quindi alla sentenza che l'aveva recepita, non inficiavano le conclusioni cui erano pervenute, sulla base di corrette considerazioni medico legali, negando l'esistenza del nesso causale tra l'esposizione alle radiazioni ionizzanti subite dalla B.L. come medico radiologo, presso varie strutture ospedaliere delle Marche e dell'Umbria, e l'insorgenza della malattia neoplastica (adenocarcinoma dell'endometrio) diagnosticata nel settembre 1999; che in particolare, secondo la Corte, non poteva essere considerata rilevante la critica fondata sull'incidente da radiazioni, risalente al 1985-1986, che aveva prodotto un'esposizione ad una "quantità indefinibile" di radiazioni ionizzanti (a causa del mal funzionamento di un apparecchio radio portatile utilizzato per l'esecuzione di radiografie ad addome aperto su pazienti sottoposti a intervento chirurgico, inconveniente eliminato solo dopo alcuni mesi dai tecnici addetti al controllo periodico dell'apparecchio); poiché questo fatto - cui anche il CTU in primo grado accennava nel paragrafo della relazione dedicata al criterio anamnestico lavorativo - non poteva essere valutato in quanto fatto nuovo, inammissibilmente allegato per la prima volta in appello, oltre che ovviamente sfornito di prova;
che contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione B.L. con un motivo di censura cui resiste l'Inail con controricorso.
 

 

Diritto
 

 

che col motivo di ricorso la ricorrente deduce la contraddittorietà della motivazione in ordine a fatti decisivi per il giudizio, ivi compresa l'omessa valutazione della istanza istruttoria riproposta in grado di appello (ai sensi dell'articolo 360 comma 1, n. 5 c.p.c.), e ciò in quanto la Corte d'appello aveva sostenuto che l'incidente da radiazioni, su cui la B.L. aveva fondato le proprie critiche alla CTU svolta in primo grado e conseguentemente alla sentenza di primo grado, costituisse un fatto nuovo dedotto soltanto in appello;
che il motivo è fondato posto che, come risulta dal ricorso per cassazione, il fatto in oggetto risulta dedotto nell'atto introduttivo del giudizio in primo grado al punto 13 della premessa, ove tra l'altro si dice che "nel periodo in cui ha prestato servizio presso l'ospedale di Montefalco - dal 1986 al 1999 - la ricorrente si è trovata esposta ad un rischio di assorbimento di radiazioni ionizzanti non quantificabile e comunque particolarmente elevati a causa di un guasto alla testata dell'apparecchio radiogeno portatile, rilevato solo dopo mesi di malfunzionamento dello stesso ovviamente ignorato dal personale medico (doc. 17)
che lo stesso fatto era altresì attestato da una dichiarazione rilasciata da un tecnico di radiologia riportato nel documento n. 17, ove si parla della mancanza di misure di protezione; ed inoltre esso era stato dedotto a contenuto dell'istanza di prova testimoniale articolata in primo grado e riproposta in appello;
che a riprova dell'esistenza, rilevanza e gravità dello stesso fatto, la ricorrente nel corso del giudizio di primo grado aveva pure prodotto la sentenza n. 525/2010 - pronunciata successivamente all'introduzione della causa da altro giudice della sezione lavoro del tribunale di Perugia - nei confronti del dott. V., pure indicato come teste, il quale aveva a sua volta azionato la domanda di riconoscimento della malattia professionale con riferimento all'attività ospedaliera svolta e alla dose non quantificabile di radiazioni assorbita in conseguenza del medesimo incidente da radiazioni, in discorso; che la Corte d'appello ha pertanto omesso di valutare ai fini della decisione della causa un fatto decisivo relativo appunto all'esposizione subita dalla lavoratrice in conseguenza dell'incidente di cui si discute; e ciò ha comportato l'esistenza di un vizio della motivazione atteso che per fatti decisivi vanno intesi anche quelli secondari dedotti a contenuto di istanze probatorie (Cass.7983/2014); che il vizio è particolarmente evidente poiché nell'affermare la sua inammissibilità per novità della circostanza, la Corte rilevava che essa fosse stata dedotta a confutazione della ctu e che anche il ctu in primo grado vi accennasse genericamente nel paragrafo della relazione dedicata al criterio anamnestico lavorativo (giudicandolo fatto remoto e vago);che si tratta di circostanza su cui non è stato consentito il dispiegarsi del diritto alla prova, pur integrando fatto decisivo ai fini del nesso di causa anche con riferimento ai criteri assunti nella ctu e nella sentenza a contenuto della relativa nozione; che invero proprio il criterio anamnestico lavorativo - ritenuto "uno dei più importanti" tra quelli utilizzati dal ctu e dalla sentenza per giudicare l'esistenza del nesso di causa - si fonda sulla rilevanza della dose, della durata dell'esposizione e delle misure di sicurezza adottate, dei risultati dei films dosimetrici e di "dettagliate relazioni di ogni eventuale incidente da radiazioni osservati durante la presenza del soggetto nell'ambiente professionale"; che tra le premesse della ctu e della sentenza, a proposito dell'incidenza della radiazioni sulla salute dell'uomo ai fini degli effetti deterministici, si richiama pure il concetto di valore dose assorbita e si evidenzia che la gravità delle manifestazioni cliniche è proporzionale alla dose assorbita; e si precisa inoltre che esse compaiono dopo un periodo di latenza che è inversamente proporzionale alla dose assorbita; che sulla scorta delle precedenti considerazioni il ricorso deve essere quindi accolto e la sentenza cassata con rinvio della causa al giudice designato in dispositivo, per un nuovo esame in conformità alle premesse e per la statuizione sulle spese anche di questa fase del giudizio.
 

 

P.Q.M.

 


la Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla Corte di Appello di Perugia in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nell'adunanza camerale del 14.11.2017