Cassazione Civile, Sez. Lav., 18 giugno 2018, n. 16026 - Datore di lavoro responsabile ex art. 2087 anche se il lavoratore viola l'ordine di servizio anticipando l'intervento alla linea ferroviaria


Presidente: D'ANTONIO ENRICA Relatore: BELLE' ROBERTO Data pubblicazione: 18/06/2018

 

 

 

Rilevato

 


che M.G.F. e A.I. hanno agito, in proprio e quali eredi di N.I., nei confronti di Rete Ferroviaria Italiana s.p.a. (R.F.I.) e di I.N.A.I.L., al fine di far accertare la responsabilità del datore di lavoro R.F.I. per l'infortunio mortale occorso al loro congiunto, investito da un treno allorquando stava operando un controllo, prima dell'orario fissato per l'intervento, sugli scambi ferroviari che, dopo l'interruzione della circolazione dei treni, sarebbero dovuti servire per far passare carrelli e motoscale di una ditta da un binario all'altro per operazioni di sostituzione dei cavi della linea elettrica; che i ricorrenti chiedevano la condanna dell'I.N.A.I.L. al pagamento, iure hereditario, dell'indennizzo per il danno biologico subito dal de cuius, in misura pari a quanto previsto dalle tabelle per un danno del 100 % e che R.F.I. fosse condannata a risarcire i ricorrenti di tutti i danni subiti e subendi; che la domanda veniva respinta in primo grado dal Tribunale di Benevento, con sentenza poi confermata dalla Corte d'Appello di Napoli (sent. 6423/2011); che, secondo la Corte territoriale, l'inopinata decisione dello I. di intervenire prima del tempo, in assenza di prassi in tal senso e in violazione di una precisa indicazione datoriale rispetto all'orario di svolgimento dell'intervento sugli scambi, costituiva comportamento del tutto atipico ed eccezionale rispetto al procedimento lavorativo, sicché esso, ponendosi come causa esclusiva dell'evento, spezzava il nesso tra attività lavorativa e danno; che avverso tale sentenza M.G.F. e A.I. hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi, poi illustrati da memoria, cui hanno resistito, con controricorso, R.F.I. ed I.N.A.I.L.;
 

 

Considerato

 


che in via preliminare R.F.I. ha sollevato eccezione di inammissibilità del ricorso, per essere stato lo stesso notificato oltre il termine di un anno, applicabile ratione temporis, dalla pubblicazione della sentenza impugnata (art. 327, comma primo, c.p.c.);
che, effettivamente, i ricorrenti hanno dapprima proceduto a notificazione, ad opera del difensore, in base alla L. 53/1994, a R.F.I., con deposito della raccomandata presso l'ufficio postale nel rispetto del termine annuale; 
che tuttavia tale notificazione non è andata a buon fine, in quanto il domiciliatario presso il circondario di Napoli è risultato irreperibile presso lo studio indicato negli atti;
che i ricorrenti, ricevuto l'avviso dell'esito negativo della notificazione, hanno dato corso a nuova notificazione presso il predetto domiciliatario solo in data 18.1.2013 e quindi, assumendo essi di avere avuto contezza dell'esito negativo della notificazione precedente il 16.12.2012, oltre il termine (metà dei termini indicati dall'art. 325 c.p.c. e, quindi, trattandosi di ricorso per cassazione, trenta giorni, pari alla metà dei sessanta ivi previsti) entro il quale, secondo quanto precisato da Cass. S.U. 15 luglio 2016, n. 14594, la ripresa dell'attività notificatoria consente di conservare gli effetti collegati alla richiesta originaria; che tuttavia ogni questione in proposito risulta superflua, in quanto il ricorso è da aversi per ammissibile sulla base di un diverso ragionamento; che il processo è stato introdotto e condotto dai ricorrenti, in primo grado e poi in fase di gravame, nei riguardi di due controparti, richiedendosi, verso l'I.N.A.I.L. i benefici già asseritamente spettanti al de cuius riconnessi alla copertura assicurativa del relativo sistema obbligatorio e, verso R.F.I., il risarcimento dei danni ulteriori;
che è indubbia l'insussistenza di un litisconsorzio iniziale tra le due cause, in quanto i debitori rispetto a ciascuna pretesa sono diversi e la pronuncia di pagamento verso uno solo di essi è sempre utiliter data, che ricorre invece litisconsorzio c.d. processuale o successivo, finalizzato ad evitare il contrasto di giudicati;
che infatti il rigetto pronunciato nei gradi di merito sul presupposto del ricorrere di una colpa esclusiva del lavoratore (c.d. rischio elettivo) comporta l'esclusione in radice di ogni responsabilità datoriale;
che pertanto, ove si consentisse il passaggio in giudicato della pronuncia di rigetto emessa nei riguardi del datore, ma resa nel contraddittorio anche dell'I.N.A.I.L., si potrebbe determinare, sulla base dei soli meccanismi impugnatori, il rischio che la causa proseguita accerti l'esistenza di un obbligo I.N.A.I.L. e che al contempo si abbia il consolidamento della pronuncia, opponibile all'ente, che esclude la responsabilità datoriale, con contrasto che è giuridicamente rilevante, in quanto la posizione dell'I.N.A.I.L. e quella del datore di lavoro sono collegate dal diritto di regresso a favore dell'ente e verso il datore di lavoro (art. 11 d.p.r. 1124/1965), per quanto dall'ente pagato in ragione di una responsabilità di quest'ultimo nei termini di cui all'art. 10 d.p.r. 1124/1965;
che del resto la prosecuzione della causa nel contradditorio del datore coinvolge inevitabilmente ogni altra domanda (danno differenziale o complementare) cui l'I.N.A.I.L. è estranea, dovendosi evitare il maturare di contrasto di giudicati anche solo tra lavoratore e datore;
che pertanto ricorrono da ogni punto di vista i presupposti del litisconsorzio processuale, sicché risultando tempestivo il ricorso per cassazione nei riguardi dell'I.N.A.I.L. (in quanto la richiesta di spedizione all'ufficio postale, da parte del difensore notificante, è avvenuta l'ultimo giorno utile e poi la notifica verso l'ente è andata a buon fine) dovrebbe disporsi l'integrazione del contraddittorio ai sensi dell'art. 331 c.p.c. (Cass. 13 ottobre 2015, n. 20501; Cass. S.U. 11 giugno 2010, n. 14124);
che, tuttavia, essendovi poi stata notificazione, seppure oltre i termini, nei riguardi di R.F.I., difesasi anche nel merito con il controricorso, non vi è da disporre alcun ulteriore incombente, stante il pieno raggiungimento di ogni scopo (art. 156., co. 3, c.p.c.) di cui al predetto art. 331 c.p.c.; che pertanto l'eccezione di inammissibilità va rigettata;
che, venendo ai motivi del ricorso, con il primo di essi si denuncia vizio motivazionale, rispetto a vari aspetti tra cui quello in ordine all'apprezzamento in termini di grave anomalia ed imprevedibilità del comportamento tenuto dal lavoratore e si sostiene che l'interpretazione dei fatti violerebbe i principi in tema di onere della prova fissati da questa Corte in subiecta materia-, che, con il secondo motivo, si lamenta la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonché dell'art. 2697 c.c. in relazione all'art. 2 d.p.r. 1124/1965 ed all'art. 12 L. 38/2001, nonché all'art. 2721 c.c. ed infine la violazione dell'art. 437 c.p.c., ribadendosi come fosse onere del datore di lavoro dimostrare l'esistenza di un divieto rispetto al comportamento tenuto e l'inesistenza di una prassi conforme alla condotta del lavoratore, oltre che lamentandosi il mancato completamento e prosecuzione dell'istruttoria;
che i motivi, esaminabili congiuntamente per la loro connessione sono fondati nei termini che seguono;
che in particolare è fondato il rilievo, sviluppato dai ricorrenti attraverso il richiamo a Cass. 7 giugno 2007, n. 13309, in ordine alla violazione del regime, da riportare alla disciplina dell'art. 2087 c.c., inerente il rischio c.d. elettivo, nonché rispetto alla violazione degli oneri probatori (da cui evidentemente è scaturito il richiamo anche all'art. 2697 c.c.), rispetto ai possibili comportamenti di salvaguardia; 
che, pur essendo tali censure contenute anche in un motivo più ampio rubricato ai sensi dell'art. 360, primo comma n. 5, c.p.c., per orientamento ormai consolidato, a partire da Cass. SS.UU. 24 luglio 2013, n. 17931 (poi anche Cass. 20 febbraio 2014, n. 4036 e Cass. 7 novembre 2017, n. 26310), l'erronea intitolazione non è causa di inammissibilità qualora dall'articolazione argomentativa siano chiaramente individuabili i tipi di vizio denunciato, come è nel caso di specie, nei termini della denuncia di errori di diritto (art. 360, primo comma n. 3, c.p.c.)
che, in effetti, secondo un consolidato ed univoco orientamento interpretativo, il datore di lavoro è tenuto a prevenire anche le condizioni di rischio insite nella possibile negligenza, imprudenza o imperizia degli stessi lavoratori, quali destinatari della tutela (Cass. 4 dicembre 2013, n. 27127; Cass. 25 febbraio 2011, n. 4656), dimostrando, secondo l'assetto giuridico posto dall'art. 2087 c.c., di aver messo in atto ogni mezzo preventivo idoneo a scongiurare che, alla base di eventi infortunistici, possano esservi comportamenti colposi dei lavoratori;
che unico limite a quanto sopra è quello del comportamento del lavoratore - c.d. rischio elettivo - che ponga in essere una "condotta personalissima (...) avulsa dall'esercizio della prestazione lavorativa o ad essa riconducibile, esercitata ed intrapresa volontariamente in base a ragioni e a motivazioni del tutto personali, al di fuori dell'attività lavorativa e prescindendo da essa, come tale idonea ad interrompere il nesso eziologico tra prestazione ed attività assicurata" (Cass. 5 settembre 2014, n. 18786; Cass. 22 febbraio 2012, n. 2642; Cass. 24 settembre 2010, n. 20221);
che la Corte d'Appello, limitandosi ad evidenziare la pur grave anomalia della condotta dello I. (per essersi indotto ad un intervento anticipato rispetto all'orario stabilito con ordine di servizio) per concludere che ciò solo avrebbe realizzato una situazione del tutto atipica ed eccezionale rispetto al procedimento lavorativo, non ha adeguatamente considerato tali principi; che, infatti, la Corte territoriale, per quanto abbia motivatamente tratto dall'Istruttoria testimoniale il dato in merito alla sussistenza di un ordine di servizio contenente la fissazione di un preciso orario di intervento e quello in merito all'assenza di prassi di interventi anticipati rispetto all'interruzione della circolazione (se non sul presupposto, in questo caso non sussistente, di una previa organizzazione in tal senso), ha poi affermato l'esistenza del rischio elettivo pur a fronte di una lavorazione pacificamente attuata sui binari e dunque almeno in apparenza attinente al lavoro, senza neppure che fosse evidenziata la ricorrenza di un qualche motivo personale del lavoratore, rispetto alla anticipazione temporale da cui è derivato il sinistro, tale da poter in ipotesi interrompere il nesso causale tra prestazione lavorativa e verificarsi del danno; che, inoltre, la Corte d'Appello non ha tenuto conto del fatto che la consegna ampiamente anticipata delle chiavi necessarie all'operazione sul deviatoio, pacificamente emersa, rispetto all'orario di interruzione della circolazione, se anche non possa intendersi (come riterrebbero i ricorrenti) quale autorizzazione ad un intervento prima del tempo, milita in senso contrario rispetto all'adozione di cautele preventive di salvaguardia, della cui dimostrazione è onerato, come detto, il datore di lavoro, anche rispetto a comportamenti anticipatori (seppur anomali o colposi) dei lavoratori;
che, pertanto, vi è stata violazione dell'art. 2087 c.c., sia per quanto riguarda l'individuazione dei presupposti del c.d. rischio elettivo, sia per quanto riguarda l'adozione delle misure di salvaguardia imposte dalla norma, restandone congiuntamente violato, come denunciato dai ricorrenti, anche l'art. 2697 c.c., stanti gli oneri probatori in proposito posti a carico del datore di lavoro; che, in definitiva, la sentenza impugnata deve essere cassata, in relazione ai motivi per come accolti, con rinvio alla medesima Corte d'Appello affinché essa, in diversa composizione, riesamini le circostanze di causa alla luce dei principi di diritto come sopra delineati;
 

 

P.Q.M.

 


La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d'Appello di Napoli, in diversa composizione.
Così deciso in Roma nell'adunanza camerale del 15.2.2018.