Tribunale di Catanzaro, Sez. 2 Civile, 07 giugno 2018, n. 987 - Caduta del VPO che inciampa nel filo del microfono durante un'udienza: responsabile il Ministero della Giustizia


 

... Benché il D.M. Grazia e Giustizia del 18 novembre 1996, applicabile ratione temporis, abbia individuato, all’art. 1, n. 7, la figura del “datore di lavoro”, ai fini della normativa alla sicurezza del lavoro, nei capi degli uffici giudiziari e quindi, per i tribunali, nei presidenti degli stessi, l’art. 1, comma 3, del d.lgs. n. 81/2008 (il cui contenuto riproduce pressoché pedissequamente quello della previgente disposizione di cui all’art. 4, comma 12, del d.lgs. n. 626/1994, abrogato dall’art. 304 del d.lgs. n. 81/2008) stabilisce espressamente che “Gli obblighi relativi agli interventi strutturali e di manutenzione necessari per assicurare, ai sensi del presente decreto legislativo, la sicurezza dei locali e degli edifici assegnati in uso a pubbliche amministrazioni o a pubblici uffici, ivi comprese le istituzioni scolastiche ed educative, restano a carico dell’amministrazione tenuta, per effetto di norme o convenzioni, alla loro fornitura e manutenzione. In tale caso gli obblighi previsti dal presente decreto legislativo, relativamente ai predetti interventi, si intendono assolti, da parte dei dirigenti o funzionari preposti agli uffici interessati, con la richiesta del loro adempimento all’amministrazione competente o al soggetto che ne ha l’obbligo giuridico”.

La responsabilità dell’evento occorso all’attrice deve ascriversi solo ed esclusivamente al Ministero della Giustizia, il quale è titolare di una specifica competenza, esercitata per il tramite del Dipartimento dell’organizzazione giudiziaria, ad autorizzare gli interventi richiesti in materia di acquisizione di beni e servizi, ivi inclusi quelli inerenti la sicurezza, su specifica richiesta dell’ufficio interessato, ai sensi dell’art. 5, comma 2, lett. b), del D.P.R. n. 55/2001 recante il Regolamento di organizzazione del Ministero della Giustizia.
E invero, a fronte delle richieste ripetutamente avanzate dal presidente del tribunale di Melfi, il Ministero non ha provato, né richiesto di provare di avervi provveduto.




 

FattoDiritto


1. Con atto di citazione ritualmente notificato, An. Ma. ha convenuto in giudizio, davanti a questo tribunale, il Ministero della Giustizia e il dott. An. Pu., nella qualità di presidente del tribunale di Melfi, per sentirli condannare al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti a seguito dell’infortunio occorsole in data 17/7/2008, nell’aula di udienza posta al primo piano del palazzo di giustizia di Melfi, dove stava svolgendo le funzioni di V.P.O. nel corso dell’udienza penale monocratica presieduta dal giudice Ma. Ri., allorquando è rovinata a terra, dopo avere inciampato nel filo del microfono che penzolava dal proprio banco.
A seguito dell’occorso, l’attrice è stata trasportata presso il pronto soccorso del P.O. di Melfi, ove i sanitari hanno riscontrato le seguenti lesioni: “trauma contusivo spalla dx; E.O. atteggiamento dell’arto… antalgia con dolore alla tp. e nei movimenti articolari”.
L’attrice ha attribuito la responsabilità dell’accaduto al Ministero e al presidente del tribunale di Melfi per il mancato rispetto, da parte loro, dell’obbligo di tutelare la salute dei lavoratori e garantire la salubrità dei luoghi di lavoro, in considerazione del fatto che la causa del sinistro è da ascriversi al fatto che il filo del microfono era scoperto e penzolante.
Radicatosi il contraddittorio, si è costituito in giudizio il Ministero della Giustizia eccependo in via preliminare l’incompetenza per territorio del tribunale di Melfi, non potendo trovare applicazione, nel caso di specie, la norma derogatoria di cui all’art. 30-bis che rinvia all’art. 11 c.p.p. ai fini della determinazione del foro competente per le cause in cui siano parte i magistrati che esercitano le proprie funzioni nel distretto di corte d’appello in cui si trova il giudice che sarebbe competente secondo le regole ordinarie. Nel merito ha chiesto il rigetto della domanda per non avere l’attrice indicato le regole di condotta specificamente violate e ha contestato il quantum preteso. Ha comunque eccepito il concorso di colpa dell’attrice nella causazione del danno.
Si è costituito in giudizio anche il dott. An. Pu. eccependo in via preliminare l’avvenuta estinzione del giudizio nei suoi confronti, in virtù del fatto che la prima notifica dell’atto di citazione, eseguita presso un indirizzo ove il convenuto non ha mai risieduto, dovrebbe considerarsi inesistente con la conseguenza che l’attrice non avrebbe potuto richiedere, né avrebbe potuto essere autorizzata alla rinnovazione della citazione nei suoi confronti. Nel merito ha chiesto il rigetto della domanda attorea, eccependo peraltro il concorso di colpa dell’attrice nella causazione del sinistro. Per l’ipotesi di eventuale accoglimento delle istanze attoree, ha chiesto ed ottenuto di essere autorizzato a chiamare in causa le compagnie assicuratrici Allianz Ras s.p.a., Alleanza Toro Assicurazioni s.p.a., Fondiaria SAI s.p.a. e Reale Mutua Assicurazioni.
Si è costituita in giudizio Generali Business Solutions s.c.p.a., nella qualità di mandataria di Alleanza Toro Assicurazioni s.p.a., Fondiaria SAI s.p.a. e Reale Mutua Assicurazioni chiedendo il rigetto della domanda. La società ha anche richiesto ed ottenuto di essere autorizzata a chiamare in giudizio l’ing. Ma. Ce., nella qualità di responsabile del servizio prevenzione e sicurezza del tribunale di Melfi, che ha individuato quale unico del sinistro occorso all’attrice.
Si è costituito anche l’ing. Ma. Ce. per respingere ogni addebito, specificando di avere a suo tempo opportunamente segnalato al presidente del tribunale di Melfi che l’impianto microfonico non era dotato di alcuna canalizzazione e suggerito nel contempo di programmare a breve termine la installazione di apposita canalizzazione nuova, possibilmente con calate dall’alto, per tutte le aule del tribunale, con la sostituzione di tutti i cavi esistenti, in modo da avere un impianto completo di cablaggio che favorisse le esigenze di sicurezza per quanto attiene al rischio di intralcio degli utenti con i cavi stessi. In via subordinata l’ing. Ce. ha eccepito il concorso di colpa dell’attrice ai sensi del secondo e del primo comma dell’art. 1227 c.c. e domandato, in via ancora più gradata, di individuare nel presidente del tribunale di Melfi l’unico responsabile del sinistro occorso all’attrice.
Non si è costituita Allianz Ras s.p.a., benché l’atto di citazione le sia stato ritualmente notificato, onde ne è stata dichiarata la contumacia.
La causa è stata istruita mediante l’interrogatorio formale dell’attrice, l’escussione dei testimoni indicati dalle parti e l’espletamento di una c.t.u. medico – legale con il dott. Ra. De Ch..
All’udienza del 14/11/2016 fissata per la precisazione delle conclusioni le parti hanno dato atto dell’intervenuto decesso del difensore di parte attrice, avv. Francesco Lepore ed il giudizio è stato dichiarato interrotto.
Il giudizio è stato riassunto dall’attrice, costituitasi con il patrocinio dell’avv. Rossella Francesca Lepore, mediante ricorso ritualmente notificato a tutte le parti del giudizio.
All’udienza del 13/2/2017, fissata per la comparizione delle parti, il tribunale, in considerazione del fatto che dal certificato prodotto dall’attrice risulta che l’avv. Francesco Lepore è deceduto in data 13/3/2015, ha rilevato d’ufficio la questione relativa alla estinzione del giudizio per non essere stato lo stesso proseguito e/o riassunto nel termine di legge a seguito della sua estinzione automatica ed ha assegnato alle parti un termine per il deposito di note difensive sulla questione.
All’esito del deposito delle suddette note, la causa è stata rinviata per la precisazione delle conclusioni all’udienza del 16/11/2017, all’esito della quale è stata trattenuta in decisione, previa assegnazione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c.
2. Non può trovare accoglimento l’eccezione di incompetenza per territorio sollevata dalla difesa erariale.
Com’è noto, infatti, con la decisione n. 147/2004, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 30-bis c.p.c., nella parte in cui prevede che le cause in cui sono comunque parti magistrati che, in base alle disposizioni del codice di procedura civile, sarebbero attribuite alla competenza di un ufficio giudiziario compreso nel distretto di corte d’appello in cui il magistrato esercita le proprie funzioni, sono di competenza del giudice, ugualmente competente per materia, avente sede nel capoluogo di distretto di corte d’appello determinato ai sensi dell’art. 11 c.p.p., ad eccezione della parte relativa alle azioni civili concernenti le restituzioni e il risarcimento del danno da reato, di cui sia parte una magistrato, nei termini di cui all’art. 11 c.p.p.
In definitiva, dunque, oltre alle particolari ipotesi disciplinate dalle leggi speciali (cfr., artt. 4 e 8 della legge n. 117/1988, in tema di azioni di risarcimento del danno nei confronti dei magistrati per fatti concernenti l’esercizio delle loro funzioni; nonché art. 3 della legge n. 89/2001, per le domande di indennizzo all’equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo), in forza della richiamata pronuncia del giudice delle leggi, l’ambito di applicabilità dell’art. 30-bis finisce con l’essere limitato esclusivamente alle cause in cui sia richiesto al giudice civile di accertare incidenter tantum, ai sensi dell’art. 34, il compimento ad opera ovvero in danno di un magistrato di un fatto avente rilevanza penale.
Nel caso di specie, il fatto ascritto al presidente del tribunale di Melfi, che è stato chiamato a rispondere per non avere valutato i potenziali rischi per la salute e la sicurezza dei luoghi di lavoro e comunque per le lesioni procurate all’attrice, assume astrattamente rilevanza penale, con la conseguente competenza del tribunale di Catanzaro, quale foro territorialmente competente ai sensi del combinato disposto degli articoli 30-bis c.p.c. e 11 c.p.p. (cfr. cass. n. 2382/2012).
3. Prima di affrontare il merito della controversia, occorre esaminare la fondatezza della questione rilevata d’ufficio all’udienza del 13/2/2017, sulla quale le parti hanno lungamente discusso.
Nelle note difensive depositate in data 23/2/2017, l’attrice ha allegato di avere avuto effettiva contezza dell’avvenuto decesso del proprio difensore solamente in data 29/9/2016, allorquando ha preso contatti con lo studio per avere informazioni sullo stato della causa. Di conseguenza, poiché il ricorso per la riassunzione del giudizio è stato depositato in data 25/11/2016, la prosecuzione deve ritenersi tempestivamente avvenuta, dovendo aversi riguardo, ai fini della decorrenza del termine di cui all’art. 305 c.p.c., alla data di conoscenza effettiva dell’evento interruttivo e non a quella in cui l’evento si è verificato.
E in effetti, per costante insegnamento giurisprudenziale, nelle ipotesi di interruzione automatica del processo, qual è quella di cui all’art. 301 c.p.c. occorsa nel caso di specie (morte del procuratore) il termine trimestrale per la riassunzione decorre dalla data della conoscenza “legale” dell’evento; conoscenza cioè acquisita non in via di mero fatto, ma per il tramite di una dichiarazione, notificazione o certificazione rappresentativa dell’evento che determina l’interruzione del processo, assistita da fede privilegiata (cfr., ex pluribus, cass. n. 21375/2017; cass. n. 27165/2016; cass. n. 5650/2013; cass. n. 6331/2013).
Nel caso in esame l’attrice ha allegato di avere avuto contezza dell’evento solamente in data 29/9/2016. A fronte di tale allegazione, nessuno dei convenuti ha offerto dimostrazione che la conoscenza in forma legale dell’evento si è verificata antecedentemente alla suddetta data, né risultano evidenze documentali di contrario avviso rispetto all’allegazione dell’attrice, con la conseguenza che la riassunzione del giudizio deve ritenersi tempestivamente avvenuta con il ricorso depositato in data 25/11/2016.
4. E’ priva di rilievo anche l’eccezione di estinzione del processo avanzata dal dott. Pu. in considerazione del fatto che la prima notifica dell’atto di citazione, eseguita presso un indirizzo ove il convenuto non ha mai risieduto, dovrebbe considerarsi inesistente con la conseguenza che l’attrice non avrebbe potuto richiedere, né avrebbe potuto essere autorizzata alla rinnovazione della citazione nei suoi confronti.
E’ sufficiente richiamare al riguardo la recentissima decisione della corte di cassazione, secondo cui “L’inesistenza della notificazione è configurabile, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconducibile quell’atto. Il luogo in cui la notificazione viene eseguita non attiene agli elementi costitutivi essenziali dell’atto, sicché i vizi relativi alla sua individuazione, anche quando esso si rilevi privo di alcun collegamento con il destinatario, ricadono sempre nell’ambito della nullità dell’atto, in quanto tale sanabile con efficacia ex tunc o per raggiungimento dello scopo, a seguito della costituzione della parte intimata (anche se compiuta al solo fine di eccepire la nullità), ovvero in conseguenza della rinnovazione della notificazione effettuata dalla parte stessa o su ordine del Giudice ex art. 291 c.p.c.” (cfr. cass. n. 5663/2018).
5. Passando alla trattazione del merito, le circostanze di fatto narrate dall’attrice, devono ritenersi comprovate, alla luce delle dichiarazioni rese dai testimoni escussi ed in particolare di quelle del teste, avv. Em. Br., il quale ha riferito di avere personalmente assistito al sinistro, perché, al momento dell’occorso, si trovava seduto accanto alla postazione del P.M. Il teste ha descritto la dinamica del sinistro nei seguenti termini: “l’Avv. Ma. si alzò dalla sua postazione per portare un documento al giudice. Appena mosso qualche passo, cadde a terra inciampando nei cavi dei microfoni. Dico che è inciampata in quanto, se ben ricordo, il microfono è volato via nel momento ed a causa della caduta”. Il teste ha pure dichiarato di avere personalmente prestato soccorso all’attrice, che non riusciva ad alzarsi ed “era dolorante al braccio e se non ricordo male anche alla caviglia ed è stata accompagnata da altri al pronto soccorso”.
Il teste ha confermato lo stato dei luoghi così come descritto dall’attrice nell’atto di citazione, specificando che “erano esistenti delle canaline per i microfoni, ma i cavi fuoriuscivano da esse. In particolare le canaline erano montate sul pavimento, mediante applicazione, ma si arrestavano a 30/40 cm. dal banco dei difensori e del P.M. Da quel punto, il cavo era libero fino a raggiungere il microfono. A terra vi era la presenza di qualche cavo. La situazione dei cavi nell’aula di udienza si presentava sempre per come ho detto. Aggiungo che diverse persone sono inciampate ed anch’io. Preciso che quando si era seduti al banco della difesa e dell’accusa i cavi non si scorgevano perché i tavoli sono larghi”.
La situazione dei luoghi è stata descritta nei medesimi termini anche dagli altri testi escussi. In particolare, il teste An. Sc., dipendente del Ministero della Giustizia ed addetto alla Procura presso il tribunale di Melfi, ha riferito che “i cavi non sono incanalati, ma pendono dai banchi e si aggrovigliano proprio lungo il percorso che il rappresentante della Procura deve fare per avvicinarsi al banco del giudice”.
Anche la testimone Maria Teresa Ma., che ha prestato soccorso all’attrice, pur non avendo assistito al sinistro, perché si trovava immediatamente fuori dall’aula di udienza quando esso è avvenuto, ha confermato che “prima che si verificasse l’incidente e nella stessa giornata ero stata all’interno dell’aula ed avevo notato i cavi dei microfoni pendenti dai banchi ed avevo visto che essi erano aggrovigliati a terra. Ero stata altre volte nell’aula di udienza ed avevo notato che la situazione era quella che avevo scritto”.
D’altronde la mancata canalizzazione dei cavi dei microfoni è stata ammessa dallo stesso presidente del tribunale di Melfi, convenuto nel presente giudizio, e dall’ing. Ma. Ce., responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione del medesimo tribunale, e trova riscontro nelle segnalazioni dagli stessi trasmesse S.I.I.T. – Settore Infrastrutture di Potenza e al Ministero della Giustizia in data antecedente al verificarsi del sinistro (v. note del dott. Pu. del 16/5/2006, prot. n. 916, 13/7/2006, prot. n. 1337/06 e del 14/9/2006, prot. n. 1586/2006).
6. Tanto premesso, deve escludersi la responsabilità del presidente del tribunale di Melfi e del responsabile per la prevenzione e la sicurezza del medesimo tribunale per le conseguenze dannose subite dall’attrice in seguito all’infortunio occorsole.
E invero, benché il D.M. Grazia e Giustizia del 18 novembre 1996, applicabile ratione temporis, abbia individuato, all’art. 1, n. 7, la figura del “datore di lavoro”, ai fini della normativa alla sicurezza del lavoro, nei capi degli uffici giudiziari e quindi, per i tribunali, nei presidenti degli stessi, l’art. 1, comma 3, del d.lgs. n. 81/2008 (il cui contenuto riproduce pressoché pedissequamente quello della previgente disposizione di cui all’art. 4, comma 12, del d.lgs. n. 626/1994, abrogato dall’art. 304 del d.lgs. n. 81/2008) stabilisce espressamente che “Gli obblighi relativi agli interventi strutturali e di manutenzione necessari per assicurare, ai sensi del presente decreto legislativo, la sicurezza dei locali e degli edifici assegnati in uso a pubbliche amministrazioni o a pubblici uffici, ivi comprese le istituzioni scolastiche ed educative, restano a carico dell’amministrazione tenuta, per effetto di norme o convenzioni, alla loro fornitura e manutenzione. In tale caso gli obblighi previsti dal presente decreto legislativo, relativamente ai predetti interventi, si intendono assolti, da parte dei dirigenti o funzionari preposti agli uffici interessati, con la richiesta del loro adempimento all’amministrazione competente o al soggetto che ne ha l’obbligo giuridico”.
Dalla documentazione in atti prodotta dal dott. An. Pu. e dall’ing. Ma. Ce. deve ritenersi ampiamente comprovato l’assolvimento, da parte loro, degli obblighi su di loro gravanti, ai sensi della menzionata disposizione, per avere gli stessi ripetutamente segnalato e richiesto al Ministero della Giustizia l’intervento necessario alla canalizzazione dei cavi nelle aule di udienza.
E invero risulta che con nota del 16/5/2006, prot. n. 916, il presidente del tribunale di Melfi ha segnalato al S.I.I.T. – Settore Infrastrutture di Potenza la necessità “di predisporre appositi fori per il passaggio dei cavi dell’impianto fonico per evitare intralci con il passaggio delle persone”, sottolineando la necessità di intervenire “con assoluta urgenza anche alla luce delle segnalazioni in merito da parte del responsabile del Servizio Prevenzione e Protezione”.
Con la successiva nota del 13/7/2006, prot. n. 1337/06, il presidente del tribunale di Melfi ha ancora una volta sollecitato il S.I.I.T. – Settore Infrastrutture di Potenza ad “intervenire con la massima urgenza per l’esecuzione dei lavori di messa in sicurezza della pedana esistente nell’aula di udienza in oggetto indicata”, vale a dire all’aula di udienza n. 4 posta al piano primo che corrisponde pacificamente a quella nella quale è accaduto l’infortunio. Nella medesima nota il dott. Pu. ha peraltro segnalato che, a causa degli inconvenienti rappresentati, “in data 12 Luglio u.s. si stava per verificare un ennesimo increscioso episodio che poteva comportare serie conseguenze per l’incolumità personale”.
Da ultimo, con la nota del 14/9/2006, prot. n. 1586/2006, trasmessa successivamente alla esecuzione dei lavori di rifacimento e posizionamento di pedane e su segnalazione dell’ing. Ma. Ce. avvenuta con nota del 13/9/2006, il dott. Pu. ha segnalato al Ministero della Giustizia e alla società esecutrice dei lavori che “l’impianto microfonico al servizio dell’aula “Collegio penale PZ 0015”, a seguito degli interventi di rifacimento della pedana di servizio è rimasto sostanzialmente invariato in quanto alcuni microfoni che erano risultati inefficienti prima dell’intervento di sistemazione della pedana tali sono rimasti a seguito della sistemazione della stessa. L’impianto, inoltre, non era dotato di alcuna canalizzazione”. Nella nota il dott. Pu. ha evidenziato e sollecitato la necessità di “programmare, a breve termine, la installazione di apposite nuove canalizzazioni, possibilmente con “calate dall’alto”, per tutte le aule del Tribunale, con la sostituzione di tutti i cavi esistenti perché ormai logorati in più punti, in modo da avere degli impianti completi di cablaggio per garantire, da un lato, le esigenze di sicurezza per quanto attiene al rischio di intralcio degli utenti con i cavi stessi e, dall’altro, una facile e rapida manutenzione dello stesso impianto”.
7. In considerazione dell’integrale rigetto della domanda proposta dall’attrice nei confronti del dott. An. Pu., va ritenuta assorbita non solo la domanda di garanzia da quest’ultimo avanzata nei confronti delle compagnie assicuratrici convenute, ma anche quella proposta da Generali Business Solutions s.c.p.a. nei confronti dell’ing. Ma. Ce..
8. La responsabilità dell’evento occorso all’attrice deve ascriversi solo ed esclusivamente al Ministero della Giustizia, il quale è titolare di una specifica competenza, esercitata per il tramite del Dipartimento dell’organizzazione giudiziaria, ad autorizzare gli interventi richiesti in materia di acquisizione di beni e servizi, ivi inclusi quelli inerenti la sicurezza, su specifica richiesta dell’ufficio interessato, ai sensi dell’art. 5, comma 2, lett. b), del D.P.R. n. 55/2001 recante il Regolamento di organizzazione del Ministero della Giustizia.
E invero, a fronte delle richieste ripetutamente avanzate dal presidente del tribunale di Melfi, il Ministero non ha provato, né richiesto di provare di avervi provveduto.
9. Una volta accertata la responsabilità del Ministero della Giustizia, può passarsi alla determinazione del quantum debeatur in favore dell’attrice.
Con riferimento al danno non patrimoniale, il CTU medico-legale, dott. Raffaele DC., nella relazione depositata in data 4/6/2013, sulla base della documentazione sanitaria allegata agli atti, ha stabilito che, a seguito dell’evento lesivo descritto in atti, An. Ma. è affetta da “spalla dolorosa destra post-traumatica in esito e tendinopatia della cuffia dei rotatori (sovraspinato) e del capo lungo del bicipite brachiale”, così come riscontrato nell’immediatezza dell’evento dai sanitari del pronto soccorso del presidio ospedaliero di Melfi.
Conseguentemente i danni cagionati devono essere determinati nella misura che il C.T.U. - con valutazione logica e medica pienamente condivisibile, per come esposta nella relazione peritale - ha indicato nell’ 1% quanto al danno biologico permanente; in giorni 15 di inabilità temporanea totale, in giorni 20 di inabilità temporanea parziale al 75%, in giorni 20 di inabilità temporanea parziale al 50% e in giorni 185 di inabilità temporanea parziale al 25%.
Con specifico riguardo ai criteri di liquidazione del predetto danno, deve pure precisarsi che, alla luce di quanto stabilito dalla corte di cassazione a sezioni unite con decisione n. 26972/2008, la considerazione del danno non patrimoniale non può che essere unitaria, nel senso indicato dall’interpretazione pienamente condivisibile di cui alla menzionata decisione.
Nel caso di specie, peraltro, tenuto conto dell’età della danneggiata al momento del sinistro (39 anni) e del pregiudizio che l’evento occorso ha comunque determinato sullo svolgimento delle attività quotidiane (guidare, vestirsi, lavarsi i capelli), appare equo aumentare il risarcimento dovuto nella misura del 15%.
Ne deriva, dunque, che dovendosi applicare le tabelle aggiornate all’anno 2018, predisposte dal tribunale di Milano, avendo all’epoca dell’incidente la danneggiata l’età di trentanove anni, l’importo deve essere determinato nella complessiva misura di Euro 1.376,55, a titolo di danno biologico permanente.
Alla tale somma deve essere aggiunta quella di Euro 8.452,50 per danno da invalidità temporanea (di cui Euro 1.470,00 a titolo di I.T.T., Euro 1.470,00 a titolo di I.T.P. al 75%, Euro 980,00 a titolo di I.T.P. al 50% ed Euro 4.532,50 a titolo di I.T.P. al 25%) sulla base teorica di Euro 98,00 giornaliere, sempre secondo i criteri tabellari meneghini di cui innanzi.
Deve ulteriormente aggiungersi la somma di Euro 612,82 a titolo di spese mediche documentate e ritenute congrue dal c.t.u., in assenza di obiezioni delle controparti.
Nessun concorso di colpa può peraltro attribuirsi alla danneggiata. Se è vero infatti che la stessa doveva ritenersi a conoscenza dello stato dei luoghi in ragione della sua lunga esperienza di giudice onorario presso il tribunale di Melfi, è anche vero che il sinistro si è verificato, per come comprovato dai testimoni escussi e non contestato dalle controparti, mentre l’attrice stava svolgendo le proprie funzioni di V.P.O. ed in particolare mentre stava recandosi al banco del giudice per consegnare un documento, in una situazione che non le consentiva di prestare attenzione ai fili penzolanti dell’impianto microfonico.
Deriva da quanto innanzi che alla parte istante dovrà essere liquidata la complessiva somma di Euro 10.441,37 a titolo di risarcimento del danno.
Non occorre procedere alla rivalutazione della somma così liquidata, il cui importo è determinato all’attualità.
Devono essere, invece, applicati gli interessi, al tasso legale, a titolo di danno da lucro cessante, sulla somma così liquidata, devalutata al momento del sinistro, e successivamente rivalutata di anno in anno dal dì del sinistro (17/7/2008) fino alla data di pubblicazione della presente sentenza (complessivamente pari ad Euro 1.370,00) per un valore finale totale di Euro 11.811,37.
Dalla data di pubblicazione della sentenza (che liquida il danno e lo converte in debito di valuta) fino all’effettivo soddisfo, dovranno poi essere calcolati gli interessi legali sulla somma come sopra determinata.
10. Quanto al regolamento delle spese, sussistono delle gravi ed eccezionali ragioni, ai sensi dell’art. 92 c.p.c. nel testo introdotto dalla legge n. 69/2009, applicabile ratione temporis al caso di specie, per la loro integrale compensazione tra tutte le parti. Siffatte ragioni, in particolare, sono ravvisabili nella peculiarità e nella complessità fattuale e giuridica della presente controversia, in considerazione della obiettiva scarsità di pronunzie della giurisprudenza di merito e di legittimità sulla individuazione del responsabile per la sicurezza dei luoghi di lavoro negli uffici giudiziari.
Le spese di c.t.u. devono invece porsi definitivamente a carico del Ministero soccombente.

P.Q.M.



Il tribunale di Catanzaro, definitivamente pronunciando disattesa ogni contraria istanza, difesa ed eccezione, così provvede:
a) accoglie parzialmente la domanda attorea e per l’effetto condanna il Ministero della Giustizia, in persona del Ministro p.t., al pagamento in favore di An. Ma. della somma di Euro 11.811,37, in moneta attuale e già comprensiva degli interessi compensativi, oltre agli interessi legali dalla data di pubblicazione della presente sentenza al soddisfo;
b) rigetta la domanda proposta dall’attrice nei confronti del dott. An. Pu.;
c) dichiara assorbita la domanda di garanzia avanzata dal dott. An. Pu. nei confronti delle compagnie assicuratrici chiamate in causa, così come quella avanzata da Generali Business Solutions s.c.p.a. nei confronti dell’ing. Ma. Ce.;
d) compensa integralmente le spese di lite fra tutte le parti del presente giudizio;
e) pone le spese di c.t.u., liquidate come da separato decreto, definitivamente a carico del Ministero della Giustizia.