Cassazione Penale. Sez. 4, 15 novembre 2018, n. 51530 - Lavori in quota e linee vita irregolari. Nessun sostituto del capocantiere assente: responsabilità del datore di lavoro per la caduta di due operai


 

 

 

Presidente: PICCIALLI PATRIZIA Relatore: CENCI DANIELE Data Udienza: 18/10/2018

 

Fatto

 

l. La Corte di appello di Firenze il 9 novembre 2017 ha integralmente confermato la sentenza, appellata dall'imputato, con la quale il Tribunale di Pistoia il 19 ottobre 2016, all'esito del dibattimento, ha riconosciuto R.F., in qualità di datore di lavoro - legale rappresentante della ditta "P.I. 2000 s.r.l.", responsabile del reato di lesioni colpose gravi, con violazione della disciplina antinfortunistica, nei confronti dei dipendenti L.M. e G.T., fatto commesso il 5 luglio 2012, in conseguenza condannando lo stesso alla pena di giustizia, oltre al risarcimento dei danni in favore della parte civile G.T., da liquidarsi da parte del giudice civile, con assegnazione di provvisionale, ed alla refuslone delle spese dalla stessa sostenute.
2. In breve i fatti, come ricostruiti dal giudici di merito.
Il datore di lavoro, legale rappresentante della s.r.l. "P.I. 2000 s.r.l.", R.F., è stato ritenuto responsabile delle gravi lesioni e fratture riportare dai lavoratori dipendenti L.M. e G.T., precipitati dall'altezza di sei metri mentre lavoravano sulla copertura di un tetto, dopo che si era sfondate alcune lastre, per colpa, sia generica che specifica, in particolare per la violazione dell'art. 71, comma 4, lett. a), d. Lgs. 9 aprile 2008, n. 81.
Il Tribunale e la Corte di appello hanno ritenuto l'imprenditore responsabile per avere consentito che i due, il giorno dell'infortunio, lavorassero in quota provvisti sì - dell'imbracatura ma non assicurati alle linee-vita, linee-vita che, peraltro, erano agganciate a due paletti infissi in un cemento friabile e mancanti di alcune viti; alcune parti del meccanismo della linee-vita non erano nemmeno state installate, tanto che alcune erano state trovate sul tetto (il cordino dissipatore e l'arrotolatore) ed altre, invece, erano state rinvenute dai tecnici della A.S.L. ancora dentro la confezione; gli stessi tecnici della A.S.L. hanno accertato che, anche ove i lavoratori fossero stati agganciati alle linee-vita, le stesse non avrebbero retto in caso di caduta e, inoltre, che non era rispettato il "tirante d'aria", cioè lo spazio che doveva essere mantenuto libero per evitare che, in caso di caduta, gli operai sbattessero contro i macchinari presenti nella zona sottostante, cosa che era accaduta nel caso di specie. Dunque, in tali concrete condizioni l'aggancio alla corda sarebbero stato - secondo la valutazione dei giudici di merito - del tutto inutile.
Si è sottolineato, inoltre, nelle sentenze di merito che il capocantiere e responsabile della sicurezza, G.B., era assente da giorni e che non era stato rimpiazzato da alcuno; alla richiesta della A.S.L. successiva all'infortunio, la ditta il 10 luglio 2012 trasmetteva un documento con la nomina proprio dell'infortunato G.T., che, però, risultava non avere competenze adeguate. Sotto il profilo della sostituzione di G.B., lo stesso G.B. dichiarava che sapeva che qualcuno, di pari esperienza, avrebbe dovuto sostituirlo, ma non sapeva che cosa in concreto si fosse deciso, mentre gli altri operai escussi dichiaravano che non vi era stata alcuna nomina del sostituto del capo cantiere e che, quindi, si erano organizzati tra loro. Oltre a non avere nominato il sostituto di G.B., R.F., secondo la ricostruzione del Tribunale e della Corte di appello, non era presente in cantiere al momento dell'infortunio.
3. Ricorre per la cassazione della sentenza l'imputato, tramite difensore, affidandosi a due motivi con i quali denunzia difetto motivazionale.
3.1. Con il primo motivo lamenta nullità della sentenza per carenza di motivazione, manifesta illogicità e contraddittorietà in punto di mancata o erronea valutazione delle prove assunte, in particolare omessa valutazione delle doglianze difensive circa il denunziato difetto di credibilità della persona offesa costituita parte civile G.T., nonché travisamento delle deposizioni dei testi della A.s.l. (B.e.N.), dei testi introdotti dalla difesa (B., L.M. , A.M. e G.B.) e della prove fotografiche.
In particolare, il ricorrente ripercorre le motivazioni delle due sentenze di merito, ritenute non coincidenti su aspetti rilevanti: il Tribunale aveva ritenuto che il giorno dell'infortunio gli operai erano sganciati e ha attribuito credibilità alle parole della parte civile G.T., che aveva riferito che i due non erano legati per un preciso ordine del datore di lavoro, dettato dalla fretta di proseguire le lavirazioni; le linee-vita erano state ritenute incomplete ed irregolarmente installate ma nessuna verifica sull'effettivo funzionamento era stata svolta.
Rammenta di avere nei motivi di appello censurato la credibilità del teste - parte civile G.T., stralci delle cui dichiarazioni si riportano nel ricorso e si pongono a confronto con le dichiarazioni - che si indicano come difformi - di alcuni colleghi di lavoro (i due L.M. e B.), nessuno dei quali - si sottolinea - ha riferito di un ordine del datore di lavoro di non agganciarsi.
Nell'appello si indicava lo sganciamento volontario dei due, per andare a bere, come causa esclusiva dell'infortunio, circostanza che - si afferma - avrebbe interrotto il nesso causale rispetto alla condotta dell'imputato, sicché sarebbe divenuto irrilevante, secondo il ricorrente, verificare la regolarità nell'installazione e la efficienza delle linee-vita.
Tanto premesso, si segnala che la sentenza di appello non risponderebbe alle doglianze svolte in appello circa la credibilità della parte civile G.T., limitandosi - ma si stima in maniera insoddisfacente - a richiamare il vaglio di attendibilità già svolto in primo grado. 
L'affermazione della Corte territoriale circa l'irrilevanza che i due si siano o meno volontariamente distaccati dal cavo di protezione, dal momento che lo stesso era del tutto inidoneo a prevenire le cadute e ad evitare le lesioni (p. 5 della sentenza impugnata), sarebbe, poi, gravemente erronea poiché difetterebbe la prova in atti che il cavo di protezione fosse, in realtà, inidoneo.
Le severe valutazioni della Corte di appello sulla non efficienza dell'impianto, solo parzialmente montato ed insicuro (p. 5), infatti, deriverebbero o da mancanze degli stessi dipendenti e/o del responsabile della sicurezza ma non già del datore di lavoro, il quale non si era mai recato, nemmeno una volta, sul cantiere: la presenza di pezzi non montati dimostrerebbe in modi chiaro la negligenza dei lavoratori e, pur in assenza di una seconda linea-vita, in astratto sarebbe potuta bastare anche solo una di esse.
La friabilità del cemento su cui erano infissi i paletti di sostegno era stata desunta dai giudici di merito solo ed esclusivamente dall'esame visivo di alcune fotografie, che si allegano materialmente al ricorso alla Corte di legittimità onde dimostrare che nessun serio elemento dalle stesse si può trarre. In sostanza, si tratterebbe - si ritiene - di una fantasiosa illazione della Corte di merito.
Il teste della A.s.l. B. aveva, in realtà, effettuato valutazioni soggettive di tipo probabilistico circa la capacità di trattenuta degli impianti ma nessun serio accertamento era stato svolto. Né B. né il collega della A.s.l. N., peraltro, avrebbero apprezzato il dato del cemento friabile.
Si evidenzia che non sarebbe compito del datore di lavoro seguire "passo passo" i dipendenti, mentre spetta al responsabile di cantiere in materia di sicurezza o preposto vigilare e riferire al datore di lavoro circa eventuali mancanze nelle attrezzature e nella misure di sicurezza, ma né G.B. né i colleghi a seguire avevano effettuato segnalazioni di sorta.
Si prende atto che le misure di sicurezza erano state fornite dal datore di lavoro, che esse erano state male installate e che nessuno aveva segnalato il problema al datore di lavoro, che, dunque, ne era inconsapevole.
La motivazione della sentenza di appello sarebbe, inoltre, illogica e contraddittoria, non avendo spiegato se, ed eventualmente in quale misura, l'assorbitore di energia non installato ed i pezzi rimasti nella scatola e relativi ai paletti di ancoraggio avrebbero influito negativamente sulla efficienza del sistema di ritenuta.
La sentenza sarebbe illogica anche nell'affrontare e spiegare perché gli infortunati avevano l'imbracatura ma non erano agganciati alle linee-vita (p. 5).
Ulteriormente illogico ed in contrasto con le emergenze istruttorie, secondo il ricorrente, sarebbe il modo in cui la sentenza affronta il tema della mancanza, al momento dell'Infortunio e già da qualche giorno, del capo cantiere preposto 
alla sicurezza G.B., in quanto, a ben vedere, non vi era obbligo di nominare formalmente il sostituto e, comunque, l'infortunato G.T. aveva le competenze per svolgere le mansioni di sostituto preposto alla sicurezza in conseguenza dell'allontanamento di G.B., avendo G.T. frequentato idonei corsi, emergendo la sua competenza dalle parole degli ispettori della A.s.l. e di un collega ed avendo G.T. persino conseguito l'abilitazione di addetto alle attività di rimozione, bonifica e smaltimento dell'amianto, che si allega materialmente al ricorso di legittimità. Secondo la testimonianza di G.B. poi, in caso di sua mancanza, doveva, per anzianità, subentrare G.T.. Né è provato che il datore di lavoro sapesse dell'assenza di G.B.. I compagni di lavoro, peraltro, hanno riferito di una specie di coordinamento interno aziendale in caso di assenza di G.B..
Comunque il responsabile della sicurezza non era tenuto a vigilare "passo passo" né " a vista" sui dipendenti ma sul funzionamento e sul corretto utilizzo degli strumenti di sicurezza approntati, dovendo, per consolidato insegnamento, la presenza del preposto essere - sì - assidua ma non costante.
L'infortunio sarebbe, insomma, avvenuto per imprevedibile iniziativa autonoma dei due lavoratori, che ad un certo punto avevano deciso di sganciarsi.
Si richiama precedente di legittimità stimato pertinente (Cass., n. 29323 del 15 dicembre 2008), evidenziando che, applicando il medesimo principio, sarebbe spettato proprio a G.T. attivarsi per la prevenzione degli infortuni.
Infine, sarebbe illegittima, illogica ed irragionevole la motivazione di diniego della richiesta di rinnovazione dell'istruttoria in appello onde acquisire la certificazione che G.T. aveva conseguito l'abilitazione di addetto alle attività di rimozione, bonifica e smaltimento deH'amianto (allegata al ricorso di legittimità sub n. 4), di cui si è detto, ovvero sentire un testimone sul punto.
3.2. Mediante il secondo motivo di ricorso si denunzia difetto di motivazione in relazione al rigetto della eccezione di nullità della sentenza ai sensi degli artt. 521-522 cod. proc. pen. per difetto di correlazione tra accusa e decisione.
Nei motivi di appello - rammenta il ricorrente - si era sostenuto che l'imputato era stato giudicato per un fatto (per avere costretto le maestranze a lavorare non protette, come sostenuto dalla p.c. G.T.) diverso da quello contestato dal P.M. (per avere, cioè, approntato linee-vita non conformi): donde - si assume - l'ipotizzata nullità.
La reiezione dell'eccezione di nullità è stata motivata in maniera che il ricorrente definisce tautologica ed apparente, in quanto alla p. 6 della sentenza impugnata si legge soltanto che non sussiste difformità poiché la palese inidoneità dei sistemi di protezione dalle cadute dall'altro ha determinato la loro non utilizzazione da parte dei lavoratori. 
3.3. Con memoria pervenuta il 15 ottobre 2018 dell'avv. OMISSIS si è insistito nei motivi di ricorso, chiedendo l'annullamento della sentenza.
 

 

Diritto

 


l. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
Va premesso che la richiesta di rinvio avanzata dal difensore dell'imputato in udienza è stata respinta per le ragioni di cui all'ordinanza a verbale (riportata nell'intestazione della sentenza).
1.1.Quanto al primo motivo di ricorso, osserva il Collegio che esso è costruito in fatto, e che, in realtà, mira, ma inammissibilmente, sotto l'apparente richiamo al parametro del travisamento, di cui non ricorrono invece le condizioni, alla rivalutazione parziale di alcune fonti di prova e a sostenere una ricostruzione degli accadimenti storici alternativa rispetto a quella - logicamente - svolta dai giudici di merito nella doppia decisione conforme. Ove è appena il caso di rammentare che, dinanzi ad doppia pronuncia di eguale segno, come nel caso di specie, il vizio di travisamento della prova (nell'accezione di vizio di tale gravità e centralità da scardinare il ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale / probatorio non considerato ovvero alterato quanto alla sua portata informativa, secondo la nozione pacificamente accolta nella giurisprudenza di legittimità: v., ex plurimis, Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, Del Gaudio e altri, Rv. 258774; Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499; Sez. 4, n. 19710 del 03/02/2009, Buraschi, Rv. 243636; Sez. 1, n. 24667 del 15/06/2007, Musumeci, Rv. 237207) può essere rilevato in sede di legittimità solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti, con specifica deduzione, che l’argomento probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado: ciò che non si evidenzia nel caso di specie.
La sentenza impugnata non contiene alcun travisamento della prova o dei fatti e, sotto il profilo del denunziato, sotto più profili, difetto motivazionale, regge al vaglio di legittimità, non palesandosi assenza, contraddittorietà o illogicità della motivazione.
In realtà, il quadro di insieme che emerge dalle sentenze di merito e persino dal contenuto dello stesso ricorso dell'imputato è quello di un cantiere in cui l'aspetto della sicurezza dei lavoratori era del tutto trascurato: nonostante si lavorasse in quota (sei metri), le - necessarie - linee-vita non erano nemmeno compiutamente installate, essendo stati trovati alcuni pezzi sulla copertura ed altri ancora nella scatola di imballaggio, non si esigeva che gli operai si assicurassero, non era rispettato il "tirante d'aria", cioè lo spazio che andava mantenuto libero per evitare che, in caso di caduta, come in effetti accaduto, gli operai sbattessero contro i macchinari presenti nella zona sottostante, il capo cantiere e responsabile della sicurezza, assente da giorni, non era stato sostituito, sicché gli operai presenti sul luogo di lavoro si auto-organizzavano, quanto alla sicurezza, e il datore di lavoro non era mai presente sul cantiere.
Né appare illogico né illegittimo il diniego, adeguatamente giustificato, per irrilevanza, da parte della Corte di appello (p. 5 della sentenza impugnata), di acquisire il documento, ulteriormente allegato al ricorso di legittimità (sub n. 4), relativo alla frequenza da parte di G.T. di un corso per addetto alla rimozione, bonifica e smaltimento dell'amianto, che, con ogni evidenza, non è equivalente all'attestazione di competenza professionale per gestire la sicurezza di un cantiere in quota, che, in ogni caso, non è risultata espressamente delegata dall'imprenditore all'infortunato.
Del resto, secondo tradizionale e sempre valido insegnamento della S.C., nel caso di infortunio sul lavoro, qualora il capocantiere cui sia stato delegato il compito di assicurare il rispetto e l'osservanza delle norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro sia assente, deve essere ascritta a colpa del legale rappresentante della società, datrice di lavoro, la mancata previsione della supplenza di tale soggetto, eventualmente anche con la diretta e personale assunzione del suddetto compito, anche quando l'infortunio sia eventualmente riconducibile alla omessa adozione, da parte del lavoratore, delle misure di sicurezza obbligatoriamente prescritte; né ad escludere la responsabilità del legale rappresentante della società varrebbe l'eventuale ignoranza dell'assenza dal luogo di lavoro della persona addetta al compito in questione, atteso che egli, quale destinatario delle norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro, ha l'obbligo di accertarsi della relativa presenza in cantiere (v. Sez. 4, n. 1352 del 09/10/1992, dep. 1993, Gesess ed altro, Rv. 193037).
1.2.In relazione al secondo motivo di ricorso, con cui si contesta la violazione dell'art. 521 cod. proc. pen., si osserva che «In tema di reati colposi, non sussiste la violazione del principio di correlazione tra l'accusa e la sentenza di condanna se la contestazione concerne globalmente la condotta addebitata come colposa, essendo consentito al giudice di aggiungere agli elementi di fatto contestati altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti processuali e, come tali, non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa» (Sez. 4, n. 51516 del 21/06/2013, Miniscalco e altro, Rv. 257902; in conformità, tra le numerose, Sez. 4, n. 35943 del 07/03/2014, Denaro e altro, Rv. 260161, Sez. 4, n. 31968 del 19/05/2009, Raso, Rv. 245313; di recente, Sez. 4, n. 18390 del 15/02/2018, P.C. in proc. Di Landa, Rv. 273265); non senza osservare che la, pur sintetica, risposta fornita dalla Corte di appello alla p. 6 non è né incongrua né illegittima e che la difesa deM'imputato rispetto ai profili di colpa si è potuta esercitare in concreto nei gradi di merito.
2. Consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Affinché l'agire o il resistere in giudizio non si risolva in danno di chi ha ragione, il ricorrente va condannato anche alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile G.T. nel giudizio di legittimità, spese che si liquidano in complessivi 2.500,00 euro, oltre accessori come per legge.
La circostanza che nelle conclusioni scritte depositate in udienza il 18 ottobre 2018 il difensore di parte civile non abbia depositato nota spese ma si sia espressamente rimesso alla valutazione equitativa, infatti, non è ostativa alla liquidazione delle spese. Occorre, infatti, dare continuità all'insegnamento, sullo specifico punto, risalente a Sez. U, n. 20 del 27/10/1999, Fraccari, Rv. 214641, secondo cui in tema di spese relative all'azione civile, poiché l'art. 153 disp. att. cod. proc. pen. non commina alcuna sanzione di nullità o di inammissibilità per l'inosservanza del dovere della parte civile di produrre l'apposita nota, la mancanza di questa, ove la domanda di rifusione sia stata tempestivamente proposta, non ne preclude la liquidazione in favore della stessa parte civile sulla base della tariffa professionale vigente (in conformità v., tra le Sezioni semplici successive, Sez. 6, n. 5680 del 03/12/2007, dep. 2008, Garofalo, Rv. 238730, e Sez. 3, n. 31865 del 17/03/2016, P.C. in proc. Vacca, Rv. 267666).
 

 

P.Q.M.

 


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile G.T. in questo giudizio di legittimità che liquida in euro 2.500,00, oltre accessori come per legge.
Così deciso il 18/10/2018.