G.A., infermiera professionale presso l'azienda ospedaliera (OMISSIS), poi incorporata dall'Azienda USL (OMISSIS), ha convenuto in giudizio il proprio datore di lavoro per sentire dichiarare l'illegittimità del proprio trasferimento e l'accertamento di avvenuto mobbing nei suoi confronti.

La domanda, rigettata in primo e secondo grado, viene rigettata anche in Cassazione.


 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCIARELLI Guglielmo - Presidente -
Dott. CURCURUTO Filippo - rel. Consigliere -
Dott. ZAPPIA Pietro - Consigliere -
Dott. CURZIO Pietro - Consigliere -
Dott. MELIADO' Giuseppe - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 19166/2006 proposto da:
G.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BRESCIA 29, presso  lo studio dell'avvocato ZACHEO FRANCESCO, rappresentata e difesa dall'avvocato BALDUCCI CATALDO, giusta mandato a margine del ricorso;
- ricorrente -
 
contro
AZIENDA AUSL(OMISSIS);
- intimata -
 
avverso la sentenza n. 1239/2005 della CORTE D'APPELLO di LECCE, depositata il 14/06/2005 R.G.N. 1596/04;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/11/2009 dal Consigliere Dott. FILIPPO CURCURUTO;
udito l'Avvocato CARACUTA FERNANDO per delega BALDUCCI CATALDO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PIVETTI Marco, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
 
 
Fatto

G.A., infermiera professionale presso l'azienda ospedaliera (OMISSIS), poi incorporata dall'Azienda USL (OMISSIS), ha convenuto in giudizio il proprio datore di lavoro esponendo:
di aver svolto, nel reparto di anatomia patologica, mansioni di organizzazione del personale paramedico, ausiliario ed infermieristico, di accettazione e di laboratorio, con compiti di segreteria, refertazione, controllo dei consumi ed ordinazione dei materiali;
di aver più volte portato a conoscenza dell'Azienda la situazione di superlavoro nella quale si trovava, foriera di logorio psichico-fisico, che in passato le aveva cagionato sindrome depressiva, ascritta nel (OMISSIS) a causa di servizio;
che, per scrupolo ed estrema diligenza, aveva segnalato le irregolarità commesse nella gestione delle liste di attesa dal Dott. V., responsabile del settore di citologia aspirativa;
che ciò aveva determinato un deterioramento dei rapporti di lavoro, provocando come reazione contro essa G. un provvedimento disciplinare di sospensione dal lavoro per otto giorni, poi trasformatosi, in sede conciliativa, nella multa di quattro ore;
che per l'insostenibile situazione di stress e di ostilità, nel (OMISSIS) aveva chiesto di essere trasferita;
che, tuttavia, successivamente, nell'(OMISSIS), migliorata la situazione lavorativa, aveva revocato la richiesta;
che, nonostante le assicurazioni in proposito del vicedirettore sanitario, con provvedimento del (OMISSIS) era stata trasferita presso il reparto di medicina nucleare dove era stata tenuta completamente inattiva.

Su tali premesse la G. chiedeva che fosse dichiarata l'illegittimità del trasferimento, che fosse accertato e dichiarato che il comportamento dell'azienda costituiva violazione dell'art. 2087 c.c., configurava mobbing e le aveva cagionato pregiudizio alla salute; che l'azienda fosse condannata a risarcirle il danno conseguente.

La domanda è stata rigettata in primo grado e la sentenza ha trovato conferma in grado di appello.
 
La Corte territoriale nel pervenire a tale decisione ha messo in rilievo che il primo giudice aveva escluso l'illiceità di alcuni dei comportamenti dedotti come sintomi di "mobbing", quali il trasferimento e la dequalificazione asseritamente realizzata, in danno della G., nel reparto di medicina nucleare e che tali punti della decisione non erano stati oggetto di specifica censura, sicchè su di essi, e dunque sulla legittimità dell'esercizio dello jus variandi, realizzatosi senza danno alla professionalità della G., si era formato il giudicato.
La Corte ha poi ritenuto che la sanzione disciplinare, divenuta definitiva dopo il patteggiamento in sede conciliativa, non poteva essere rivalutata, non essendo stata allegata l'esistenza di indebiti condizionamenti circa la scelta di conciliare, e che ciò precludeva anche ulteriori indagini circa la fondatezza dell'esposto contro la G., sottoscritto da medici e personale del reparto di anatomia patologica, posto a base del procedimento disciplinare.
La Corte ha inoltre messo in rilievo che non vi era alcun collegamento ad episodi specifici che potesse dare fondamento alla deduzione della G. di essere stata vittima dell'invidia dei colleghi di lavoro a causa della sua relazione con il primario del reparto, cessata nel (OMISSIS), molto tempo prima dei fatti, il che rendeva poco verosimile il perdurare di tale sentimento in tante persone, senza alcuna manifestazione se non a sei anni di distanza.
La Corte ha anche notato che tale argomento contraddiceva l'affermazione della stessa G. secondo la quale il suo rapporto con i colleghi di reparto era normale, mantenendosi nei confini della fisiologica conflittualità di ogni ambiente di lavoro.
Sulla base di queste premesse la Corte ha ritenuto irrilevante, in assenza di allegazioni ulteriori, che l'infermiera Q. fosse stata poi adibita alle mansioni espletate dalla G., ossia da chi ne aveva segnalato le mancanze.
Altrettanto irrilevanti il giudice di merito ha ritenuto le vicende della carriera professionale del dottor D., primario del reparto cui era addetta la G., al quale era stato revocato l'incarico di dirigente di struttura complessa.
Secondo la Corte d'Appello doveva inoltre ritenersi preclusa ogni valutazione circa il giudizio di inidoneità formulato dall'azienda il (OMISSIS), fatto non dedotto nell'atto introduttivo perchè successivo al deposito di quest'ultimo.
Infine, non potevano esser espressi giudizi sulla professionalità del dottor V., essendo tardiva e inconferente la documentazione prodotta al riguardo dalla G..
In definitiva, secondo la Corte di merito era da escludere che l'azienda avesse assunto comportamenti vessatori o persecutori in danno della lavoratrice, mentre, d'altra parte, potendo l'adozione di una sanzione disciplinare per comportamenti serbati nel reparto essere fonte di una situazione di conflitto idoneo a turbarne la funzionalità, l'assegnazione ad altro reparto, lungi dal configurare "mobbing", era da considerare giustificata e persino doverosa sotto il profilo del buon andamento del servizio pubblico.
In ultimo, la Corte territoriale ha giudicato inutile ogni approfondimento istruttorio, ritenendo inammissibili i capitoli di prova dedotti dalla parte attrice vuoi perchè coincidenti con l'esposizione in fatto della domanda, vuoi perchè riguardanti circostanze in parte pacifiche, in parte documentate, in parte smentite ovvero questioni su cui le quali si era formato il giudicato, come le mansioni svolte presso il reparto di medicina nucleare o il trasferimento ad altro reparto.

G.A. chiede la cassazione di questa sentenza sulla base di due motivi di ricorso.
 
L'Azienda AUSL(OMISSIS) non ha svolto attività difensiva in questa sede.
 
 
Diritto

Il primo motivo di ricorso denunzia violazione falsa applicazione del combinato disposto di cui all'art. 32 Cost., artt. 2087, 2103, 1175 e 1375 c.c., anche con riferimento all'art. 324 c.p.c., addebitando alla sentenza da un lato di aver ritenuto legittimo e giustificato il provvedimento di trasferimento della ricorrente e di aver escluso che ne fosse derivato pregiudizio alla salute della stessa, d'altro lato di aver considerato coperta da giudicato la questione della illiceità del trasferimento e della dequalificazione subiti dalla ricorrente, senza considerare le specifiche censure contenute in proposito nell'atto di appello, dall'altro lato ancora di non aver valutato nel loro complesso i vari episodi posti a fondamento della domanda, come diretti a provocare alla ricorrente danni psico-fisici, rifiutandosi anche di prendere in considerazione l'episodio del giudizio di inidoneità al lavoro del (OMISSIS), in quanto successivo all'introduzione della causa, circostanza erroneamente ritenuta preclusiva, laddove si trattava di valutare il significato sintomatico dell'episodio all'interno della serie delle denunziate vessazioni.

Il motivo è infondato.
 
La ricorrente critica la sentenza per aver ritenuto che sulla questione del trasferimento si sarebbe formato il giudicato interno.
Per confutare tale affermazione rinvia, in modo per la verità piuttosto sommario e cumulativo "alle pagg. 6, 7, 8 e 9 " del ricorso in appello dove sarebbe stato "ben evidenziato che del tutto illegittimo risultava il provvedimento di trasferimento operato dal datore di lavoro nei confronti della lavoratrice con una precisa e specifica censura" e dove sarebbero state riprodotte le risultanze della fase cautelare a supporto della illegittimità.
La natura della questione implicherebbe, da parte della Corte, l'esame diretto degli atti, non impedito dalla genericità della critica alla puntuale affermazione della sentenza impugnata, la quale ha in sostanza ritenuto che il riferimento generico all'art. 2103 c.c., non integrasse una specifica censura alla ricostruzione articolata della sentenza di primo grado.
Tuttavia, nel caso di specie, la necessità di tale esame è superata dalla circostanza che il giudice di merito, pur ritenendo coperta da giudicato la questione del trasferimento, ha in realtà autonomamente, benchè sommariamente, riesaminato il problema, affermando - come si è riferito - che in conseguenza della sanzione disciplinare irrogata alla G. il trasferimento di quest'ultima dal reparto nonchè illegittimo era addirittura funzionale al buon andamento del servizio pubblico.
Questa autonoma valutazione della Corte, in quanto aggiuntiva rispetto al rilievo del giudicato, supera quindi il problema dell'ipotetico errore commesso dal giudice di merito e rende irrilevante la censura formulata in proposito dalla ricorrente.
Del pari irrilevante è la censura concernente la mancata valutazione della dichiarazione di inidoneità formulata nei confronti della G. il (OMISSIS), non essendo allegato (e per la verità neppure astrattamente ipotizzabile) che l'esame della circostanza avrebbe condotto con giudizio di certezza e non di mera probabilità (v., per tutte, Cass. 2005/14304) ad una diversa soluzione della controversia.
Le ulteriori censure sviluppate nel motivo sono in realtà un tentativo per ottenere in questa sede una impossibile ulteriore rivalutazione dei fatti di causa.

Il secondo motivo di ricorso denunzia, omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, costituito dalla mancata assunzione dei mezzi di prova richiesti in ordine alla illegittimità del trasferimento irrogato.
Il motivo, contenente critiche alla autonoma valutazione della Corte circa la legittimità del trasferimento, contiene profili di inammissibilità non essendo stati testualmente riprodotti i capitoli di prova non ammessi.
Esso è, per il resto, infondato, avendo la Corte - come sopra riferito - puntualmente motivato sulle ragioni della non ammissione. Infine, dalla stessa esposizione del motivo risulta che la Corte ha valutato le diverse testimonianze assunte mentre la ricorrente le addebita, in sostanza, di aver privilegiato ai fini della decisione alcune di esse a scapito di altre, il che integra, come noto, una censura inammissibile in questa sede, visto che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, la valutazione delle risultanze delle prove e il giudizio sull'attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie, risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un'esplicita confutazione degli altri elementi non accolti anche se allegati dalle parti; consegue che il controllo di legittimità da parte della corte di cassazione non può riguardare il convincimento del giudice di merito sulla rilevanza probatoria degli elementi considerati, ma solo la sua congruenza dal punto di vista dei principi di diritto che regolano la prova (v. per tutte, Cass. 2003/12747).
Del resto, e in termini più generali il vizio di omessa o insufficiente motivazione, denunciabile con ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 5, non sussiste quando - come nella specie - nella motivazione, sia chiaramente illustrato il percorso logico seguito per giungere alla decisione e risulti comunque desumibile la ragione per la quale ogni contraria prospettazione sia stata disattesa, senza però che il giudice abbia l'obbligo di esaminare tutti gli argomenti logici e giuridici prospettati dalle parti per sostenere le loro domande ed eccezioni, (v., per tutte, Cass. 2007/11193).

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, senza pronunzie sulle spese in assenza di attività difensiva della parte intimata.

P.Q.M.
 
Rigetta il ricorso; nulla per le spese.
Così deciso in Roma, il 12 novembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2010