Corte Costituzionale, 25 ottobre 2022, n. 220 - "La misura della cd. quarantena obbligatoria è istituto che limita la libertà di circolazione non la libertà personale". Inammissibile la questione di legittimità costituzionale



Presidente Sciarra – Redattore Barbera
 


Ritenuto che

 

il Tribunale ordinario di Aosta, sezione penale, con ordinanza del 19 novembre 2021 (reg. ord. n. 19 del 2022), solleva, in riferimento all'art. 13 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 2, lettera e), e 4, comma 4 [recte: comma 6], del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19 (Misure urgenti per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 22 maggio 2020, n. 35;

che il censurato art. 1, comma 2, lettera e), stabilisce il «divieto assoluto di allontanarsi dalla propria abitazione o dimora per le persone sottoposte alla misura della quarantena, applicata dal sindaco quale autorità sanitaria locale, perché risultate positive al virus», ove tale misura sia adottata ai sensi del successivo art. 2;

che l'art. 4, comma 6, del medesimo d.l. n. 19 del 2020, aggiunge che «[s]alvo che il fatto costituisca violazione dell'articolo 452 del codice penale o comunque più grave reato, la violazione della misura di cui all'articolo 1, comma 2, lettera e), è punita ai sensi dell'articolo 260 del regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265, Testo unico delle leggi sanitarie, come modificato dal comma 7»;

che il giudice rimettente riferisce di dover giudicare un imputato tratto a giudizio in relazione alla contravvenzione così punita, perché tale persona, «pur essendo risultato positivo al test per il contagio al virus COVID-19 [sic] ed essendo stato destinatario delle ordinanze nn. 154 e 155 del 2020 emesse dal sindaco di La Thuile», «si allontanava dal proprio domicilio nonostante la persistente positività al virus»;

che sarebbe perciò palese la rilevanza della questione, che investe la legittimità costituzionale della norma incriminatrice;

che, in punto di non manifesta infondatezza, il giudice a quo osserva che l'istituto della quarantena per il malato restringerebbe la libertà personale tutelata dall'art. 13 Cost., in assenza di atto motivato dell'autorità giudiziaria, oppure di convalida da parte di quest'ultima, in violazione della riserva di giurisdizione;

che il rimettente, dopo avere preso in esame la giurisprudenza costituzionale relativa all'art. 13 Cost., sottolinea che la quarantena impone una rigida restrizione, perché priva di eccezioni, «neppure per provvedere alle fondamentali esigenze di vita»;

che tale «assolutezza» dovrebbe comportare che la misura sia ascritta all'art. 13 Cost., al pari di altre previste dall'ordinamento, vale a dire: a) quelle di cui agli artt. 380,381 e 384, commi 1 e 2, del codice di procedura penale; b) il trattenimento dello straniero presso un centro di permanenza, ai sensi dell'art. 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero); c) il trattamento sanitario obbligatorio, in relazione alla legge 13 maggio 1978, n. 180 (Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori) e agli artt. 33 e seguenti della legge 23 dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del servizio sanitario nazionale);

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o non fondata;

che l'Avvocatura ritiene che la misura alla quale è sottoposto chi risulti positivo al virus va ricondotta alla sfera della libertà di circolazione, anziché all'art. 13 Cost., ed eccepisce anzitutto la inammissibilità della questione per tale ragione;

che, aggiunge l'Avvocatura, le norme censurate introdurrebbero una legittima limitazione alla libertà di circolazione di cui all'art. 16 Cost.;

che, infatti, la restrizione avrebbe carattere lieve e non comprometterebbe la dignità della persona, sottoponendola ad un trattamento degradante;

che il divieto di mobilità previsto dalle disposizioni censurate sarebbe perciò una misura limitativa della libertà di circolazione;

che l'assenza di ogni carattere coercitivo e di finalità terapeutiche renderebbe, inoltre, improprio il riferimento operato dal rimettente al trattamento sanitario obbligatorio;

che il legislatore, a parere dell'Avvocatura, avrebbe introdotto in definitiva una misura di carattere necessario e proporzionato alla gravità della pandemia.

 

Considerato che

il Tribunale ordinario di Aosta, sezione penale, con ordinanza del 19 novembre 2021 (reg. ord. n. 19 del 2022), solleva, in riferimento all'art. 13 Cost., questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 2, lettera e), e 4, comma 4 [recte: comma 6], del d.l. n. 19 del 2020, come convertito;

che le disposizioni censurate sanzionano penalmente la condotta di chi, risultato positivo al virus che genera il COVID-19, e sottoposto per tale ragione alla misura della quarantena da parte del sindaco, si allontani dalla propria dimora o abitazione;

che il rimettente giudica M. Y. imputato di tale reato;

che, a parere del giudice a quo, la misura della quarantena, per chi sia risultato positivo al virus, reca una restrizione della libertà personale, tutelata dall'art. 13 Cost.;

che, di conseguenza, tale misura sarebbe costituzionalmente illegittima, in quanto sottratta dal legislatore alla riserva di giurisdizione;

che non è fondata l'eccezione di inammissibilità della questione proposta dall'Avvocatura dello Stato, sulla base del rilievo per il quale la quarantena limiterebbe la libertà di circolazione preservata dall'art. 16 Cost.;

che, infatti, si tratta di un profilo che non coinvolge i requisiti di ammissibilità della questione di legittimità costituzionale, ma il merito di essa;

che dall'ordinanza di rimessione emerge che il fatto contestato all'imputato sarebbe stato commesso il 1° gennaio 2021;

che, di conseguenza, esso non è soggetto ratione temporis alle disposizioni censurate, ma agli artt. 1, comma 6, e 2, comma 3, del decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33 (Ulteriori misure urgenti per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 14 luglio 2020, n. 74;

che, in ragione della sostanziale identità delle norme e del contesto normativo in cui esse si collocano, la imprecisa indicazione della disposizione indubbiata non incide sulla ammissibilità della questione (sentenza n. 14 del 2019);

che quest'ultima va perciò traslata sugli artt. 1, comma 6, e 2, comma 3, del d.l. n. 33 del 2020, come convertito;

che, con sentenza n. 127 del 2022, questa Corte, pronunciando su tali disposizioni, ha già ritenuto non fondato il dubbio di legittimità costituzionale così prospettato, dopo avere escluso che avesse rilievo il sopravvenuto art. 4, comma 1, del decreto-legge 24 marzo 2022, n. 24 (Disposizioni urgenti per il superamento delle misure di contrasto alla diffusione dell'epidemia da COVID-19, in conseguenza della cessazione dello stato di emergenza, e altre disposizioni in materia sanitaria), convertito, con modificazioni, nella legge 19 maggio 2022, n. 52;

che, con la pronuncia appena citata, si è osservato che «la misura della cosiddetta quarantena obbligatoria è istituto che limita la libertà di circolazione, anziché restringere la libertà personale», in quanto «non viene direttamente accompagnato da alcuna forma di coercizione fisica, né in fase iniziale, né durante la protrazione di esso per il corso della malattia», e «non determina alcuna degradazione giuridica di chi vi sia soggetto»;

che il rimettente non adduce alcun argomento utile in senso contrario;

che, in particolare, è improprio il riferimento alle misure di cui agli artt. 380,381 e 384 cod. proc. pen., al trattenimento dello straniero presso un centro di permanenza, ai sensi dell'art. 14 del d.lgs. n. 286 del 1998 e al trattamento sanitario obbligatorio, in relazione alla legge n. 180 del 1978 e agli artt. 33 e seguenti della legge n. 833 del 1978;

che, infatti, si tratta di ipotesi accomunate dall'impiego della coercizione fisica nei riguardi di chi è soggetto a simili misure (sentenze n. 22 del 2022 e n. 105 del 2001);

che, pertanto, mentre l'applicazione di queste ultime deve essere assistita dalle garanzie proprie dell'art. 13 Cost., analoga conclusione è erronea, quanto alla quarantena obbligatoria imposta a chi sia positivo al test di rilevazione del virus che cagiona il COVID-19;

che, in definitiva, la questione di legittimità è manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 1, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, quest'ultimo nel testo vigente ratione temporis.

 

P.Q.M.
 


la Corte Costituzionale

dichiara manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 2, lettera e), e 4, comma 6, del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19 (Misure urgenti per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 22 maggio 2020, n. 35, traslata sugli artt. 1, comma 6, e 2, comma 3, del decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33 (Ulteriori misure urgenti per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 14 luglio 2020, n. 74, sollevata, in riferimento all'art. 13 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Aosta, sezione penale, con l'ordinanza indicata in epigrafe.