Cassazione Penale, Sez. 4, 13 dicembre 2022, n. 47015 - Caduta dal ponteggio privo di protezione. Responsabilità del datore di lavoro e del coordinatore per la sicurezza. Sospensione delle lavorazioni in caso di pericolo grave e imminente


 

 

Nota a cura di Pierguido Soprani, Sospensione immediata delle lavorazioni e CSE: posizione netta della Cassazione, in ISL 1/2023, pp. 5-10

 

Presidente: DI SALVO EMANUELE
Relatore: SERRAO EUGENIA Data Udienza: 22/11/2022
 

 

Fatto




1. La Corte di appello di Napoli, con la sentenza indicata in epigrafe, ha confermato la sentenza con la quale il Tribunale di Avellino, il 4 marzo 2019, aveva dichiarato M.G. e O.G. responsabili del reato previsto dagli artt.113, 43 e 590, commi 2 e 3, cod. pen. in relazione all'art. 583, comma 1 n. l, cod. pen. perché, il M.G. quale datore di lavoro e l'O.G. in qualità di coordinatore per la sicurezza dei lavori presso il cantiere edile sito in Santa Lucia di Serino, per colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia nonché in violazione della normativa antinfortunistica, avevano cagionato a R.C., incaricato di provvedere al lavori di muratura e ristrutturazione dell'edificio, lesioni personali gravi, consistite in politrauma, frattura femore sinistro, gomito sinistro, lesione splenica determinanti un'incapacità ad attendere alle ordinarie occupazioni per un periodo superiore ai 40 giorni e una malattia in corso di valutazione in occasione dell'attività alla quale era stato adibito in quanto, mentre si apprestava a svolgere lavori di muratura e di ristrutturazione all'esterno del fabbricato, servendosi di un ponteggio privo delle protezioni richieste dalla normativa antinfortunistica, era caduto dallo stesso ponteggio precipitando al suolo in Santa Lucia di Serino il 7 marzo 2016.

2. Le norme cautelari che, secondo l'accusa erano state violate erano, in particolare, per il datore di lavoro l'art.122 d.lgs. 9 ottobre 2008, n.81, non avendo provveduto per lavori in quota ad adottare adeguati impalcatura o ponteggi o idonee opere provvisionali o comunque precauzioni atte a eliminare i pericoli di caduta di persone o cose, e per il coordinatore per la sicurezza l'art.92 d. lgs. n.81/2008 per non aver provveduto a verificare con opportune azioni di coordinamento e controllo l'applicazione da parte delle imprese esecutrici delle disposizioni loro pertinenti contenute nel piano di sicurezza e coordinamento e la corretta applicazione delle relative procedure di lavoro. nonché a verificare l'idoneità del piano operativo direttamente riscontrato.

3. La situazione di fatto è stata così descritta nella sentenza impugnata: la comunicazione di notizia di reato redatta dai Carabinieri e il verbale di contestazione palesavano l'inadeguatezza del ponteggio in quanto difforme da quanto stabilito dall'art.122 AII. XVIII punti 2, 3.1, 3.2 e 3.3 per assenza di tavole fermapiede e di parapetti adeguati; l'assenza di tali presidi era visibile nelle fotografie acquisite, riconosciute anche dal consulente tecnico della difesa come corrispondenti al cantiere; la prova dichiarativa resa dal progettista, secondo il quale l'impalcato era provvisto di tavole fermapiede e barre parapetto, contrastava con quanto riferito dal medesimo teste a proposito della corrispondenza delle fotografie alla situazione del cantiere in cui si era verificato l'infortunio ed era poco credibile anche perché nel suo progetto mancava qualsiasi riferimento alle cautele prescritte per i ponteggi dai ricordati punti 2, 3.1, 3.2, 3.3.
3.1. La Corte ha ritenuto irregolare e palesemente pericoloso il ponteggio, tanto da rendere irrilevante la circostanza che il datore di lavoro fosse o meno presente sul posto, essendosi invece affermato che il lavoratore infortunato fosse stato soccorso da persona diversa dal M.G. il quale, peraltro, nell'immediatezza si era attivato per regolarizzare la posizione del lavoratore, che risultava assunto proprio il 7 marzo 2016 alle ore 16:48, dunque dopo l'incidente, seppure con decorrenza retroattiva.
3.2. I giudici di merito hanno considerato irrilevante accertare la causa della caduta una volta acclarato che il ponteggio era privo dei necessari presidi atti a scongiurarla, e hanno sottolineato la credibilità della persona offesa. Il lavoratore aveva riferito che, mentre scendeva dal ponteggio, si era appoggiato a uno dei tubi trasversali della balaustra fissato solo con del fil di ferro; il tubo si era staccato e, cedendo, aveva causato la caduta. Dalle fotografie in atti era visibile l'assoluta inadeguatezza del ponteggio, privo di tavole fermapiede e protetto dalle cadute laterali con semplici tubi metallici montati in parallelo rispetto al piano di calpestio. La circostanza che tali tubi fossero fissati tra loro con semplice fil di ferro non aveva trovato smentita e, per altro verso, ove l'impalcato fosse stato a norma, con tavole fermapiede e adeguati parapetti, il lavoratore non sarebbe caduto. Il comportamento del datore di lavoro, che accortosi del sinistro si era subito allontanato dal luogo dove giaceva l'operaio, non consentiva di escludere che il M.G. avesse anche alterato lo stato dei luoghi, anche perché i Carabinieri erano giunti circa 15 minuti dopo la chiamata e l'imputato non aveva partecipato al processo nè aveva rappresentato specifiche ragioni che avrebbero indotto il lavoratore a mentire o calunniare gli imputati.
3.3. In ogni caso, la Corte ha attribuito rilievo centrale alle carenze strutturali del ponteggio, sottolineando anche come non vi fosse però prova che il lavoratore indossasse una cintura di sicurezza o un'imbragatura, da considerare in ogni caso come presidio sussidiario o complementare.
3.4. Con riguardo alla posizione del coordinatore per la sicurezza, la Corte ha sottolineato come l'O.G. fosse anche direttore dei lavori e progettista in base alla scheda di cantiere acquisita e ha richiamato i principi elaborati dalla giurisprudenza in merito ai compiti di vigilanza gravanti su tale figura professionale, sia in relazione alla corretta osservanza delle prescrizioni del piano di sicurezza da parte delle imprese, sia in relazione alla scrupolosa applicazione delle procedure a garanzia dell'incolumità dei lavoratori, nonché in relazione all'adeguamento del piano di sicurezza all'evoluzione dei lavori con obbligo di sospensione delle singole lavorazioni in caso di pericolo grave e imminente. Il tempo necessario a montare il ponteggio, secondo i giudici di merito, era stato tale da consentire al coordinatore di rilevarne le irregolarità, peraltro segnalate dalla stessa vittima al datore di lavoro. La evidenza e pluralità delle violazioni rendeva inverosimile che il coordinatore non le avesse notate, dovendosi ritenere altrimenti gravemente negligente il fatto che non si fosse recato in cantiere per i prescritti controlli. Pur non essendo esigibile da tale figura professionale l'obbligo di essere costantemente presente in cantiere, anche una presenza periodica e uno scrupoloso controllo dello sviluppo delle opere, segnatamente di ciascuna fase dell'elevazione del ponteggio, gli avrebbe consentito di vigilare sull'effettiva realizzazione delle misure di sicurezza. A seguito della diffida che lo stesso O.G. aveva inviato il 3 marzo 2016, avrebbe dovuto sospendere i lavori fino alla regolarizzazione della situazione.

4. M.G. propone ricorso per cassazione censurando la sentenza impugnata, con un primo motivo, per insussistenza del fatto, violazione dell'art. 533 e dell'art. 192 cod. proc. pen., omessa motivazione sulla rilevanza delle altre deposizioni testimoniali e dei documenti, motivazione illogica e contraddittoria, travisamento della prova. Lamenta che la Corte di appello, condividendo quanto asserito dal Tribunale, ha attribuito rilevanza probatoria a sostegno della responsabilità del datore di lavoro alla relazione dei Carabinieri, al verbale di contestazione dell'Ispettorato del lavoro e alla personale percezione delle fotografie acquisite, trascurando che la difesa aveva depositato la prova scientifica redatta dall'ing. Carovello, consulente di parte, che aveva evidenziato come il ponteggio fosse perfettamente conforme alla normativa vigente in relazione alle caratteristiche del cantiere. I ponteggi, secondo quanto indicato dal consulente, dovevano essere utilizzati solo in funzione di sicurezza per i lavori in quota e non per lo stoccaggio di materiali su impalcati; lo stesso consulente aveva verificato la rispondenza di quanto riportato nei calcoli strutturali rispetto ai materiali utilizzati e alla posa in opera degli stessi per un corretto funzionamento statico del complesso, nel rispetto di quanto riportato nei libretti matricolari dei ponteggi, in linea con l'uso di manutenzione di edificio di modesta entità e con un numero di ancoraggi sovrabbondante rispetto a quanto previsto dalle prescrizioni minime riferibili all'Ali. XVIII del T.U. n.81/2008. Gli elementi costituenti il ponteggio avevano carico di sicurezza come da autorizzazione ministeriale, l'estremità inferiore dei montanti era sostenuta da piastra di base di adeguate dimensioni, corredata da elementi di ripartizione del carico trasmesso dai montanti con dimensioni e caratteristiche adeguate, la piastrella era corredata di un dispositivo di collegamento col montante a regolare il centraggio del carico su di essa, i ponteggi erano controventati opportunamente sia in senso longitudinale che trasversale, le ganasce non erano a contatto dalla parte del bullone, le parti costituenti il giunto di collegamento erano unite fra di loro permanentemente e solidamente in modo da evitarne l'accidentale distacco, corretti erano i piedi dei cavalletti che poggiavano sul piano stabile ben livellato e la larghezza dell'impalcato non era inferiore a cm. 90, così come le tavole che lo costituivano, oltre a risultare ben accostate fra loro, erano fissate a cavalletti di appoggio; gli impalcati erano dotati di elementi fermapiede e di barre parapetto per l'utilizzo in sicurezza degli stessi. La difesa lamenta che la Corte abbia disatteso quanto riferito dal testimone e quanto risultante dalla relazione acquisita a seguito della sua deposizione, privilegiando l'interpretazione soggettiva visiva delle fotografie senza dare motivazione con riguardo alle regole scientifiche introdotte dalla difesa, valorizzando la dichiarazione della parte civile, priva di supporto scientifico, senza effettuare un adeguato giudizio di ponderazione con le prove difensive. La testimonianza del consulente di parte è stata smentita sul presupposto che egli avesse riferito la situazione alla data del 14 febbraio 2016, ossia tre settimane prima dell'infortunio, senza che vi fosse alcun indizio atto a giustificare un mutamento dello stato dei luoghi rispetto al momento in cui il ponteggio era stato montato. Del tutto omessa risulta la motivazione su una circostanza importante, ossia sull'ammissione fatta dallo stesso lavoratore ai Carabinieri circa il fatto che fosse stato fornito dal datore di lavoro tutto il materiale antinfortunistico. Tale circostanza risulta travisata dalla Corte, che ha invece affermato che il lavoratore non fosse provvisto di dispositivi di sicurezza, in contrasto con la dichiarazione sottoscritta dalla parte civile di avvenuta consegna DPI. Si trattava, peraltro, di lavoratore che aveva ricevuto un attestato di frequenza al corso di formazione per montaggio e smontaggio dei ponteggi, come documentato dalla difesa in contrasto con quanto affermato nella sentenza.
4.1. Con un secondo motivo deduce insussistenza del fatto, violazione dell'art. 533 e dell'art. 192 cod. proc. pen., violazione degli artt. 107 e 122 d. lgs. n.81/2008, motivazione illogica e contraddittoria, travisamento della prova. Il tema affrontato con tale motivo di ricorso riguarda l'altezza dalla quale è caduto il lavoratore, che,- secondo la difesa non sarebbe stata dimostrata dalla pubblica accusa. Posto che l'art. 122 d. lgs. n.81/2008 prescrive alcune misure antinfortunistiche nei lavori in quota e che a norma dell'art. 107 del medesimo testo normativo si intendono lavori in quota quelle attività lavorative che espongono i lavoratori a rischio di caduta da una quota posta ad altezza superiore a 2 metri rispetto a un piano stabile, la difesa evidenzia come non sia stata raccolta alcuna prova che il lavoratore sia caduto da un piano superiore a m. 2; in ogni caso, si assume, si sarebbe dovuta dimostrare la correlazione causale tra la violazione della norma antinfortunistica e l'evento, mentre nel caso in esame il parapetto dal quale il R.C. ha detto di essere precipitato non poteva materialmente cedere in quanto era agganciato al cavalletto e incastrato nella portella di chiusura. Una volta dimostrato che il fissaggio era conforme alla normativa o comunque non essendo dimostrato che il fissaggio non lo fosse, non si sarebbero dovuti ritenere dimostrati il nesso di causalità materiale né la causalità della colpa tra il montaggio dell'impalcato e l'incidente, essendo emerso che il rischio di caduta dei lavoratori fosse stato governato in modo appropriato e che la struttura fosse intatta poco prima dell'avvio dell'attività lavorativa dalla quale è scaturito l'infortunio.
4.2. Con un terzo motivo deduce insussistenza del fatto, violazione degli artt. 533 e 192 cod. proc. pen., motivazione illogica e contraddittoria nonché travisamento della prova. Con tale censura ci si duole del fatto che i giudici di merito abbiano affermato che M.G. avrebbe ripristinato lo stato dei luoghi, e, in particolare, il parapetto ceduto, sulla base di una mera congettura, essendo stato provato che l'imputato ha soccorso l'operaio unitamente a un vicino e che il comandante dei Carabinieri è sopraggiunto pochi minuti dopo l'accaduto senza che nessuno dei testi abbia affermato di aver visto il M.G. aggiustare l'impalcatura. Tale punto della decisione è altresì contraddittorio in quanto si afferma che al ricorrente sarebbero bastati pochi minuti per stringere pochi bulloni mentre in precedenza si era affermato che i tubi metallici, secondo quanto dichiarato dalla persona offesa, erano collegati con filo di ferro. Dall'istruttoria dibattimentale è emerso come fosse impossibile che il lavoratore fosse precipitato dal luogo che egli aveva indicato a causa del cedimento del parapetto posto che, in quel punto, non vi è stato alcun cedimento, come evincibile dalle fotografie.
4.3. Con un quarto motivo deduce violazione dell'art. 131 bis cod. pen. e vizio di motivazione sul punto. Il ricorrente si duole del fatto che i giudici di merito abbiano escluso l'applicabilità della norma nonostante il lavoratore avesse una particolare competenza in materia di ponteggi, avesse contribuito alla costruzione del ponteggio, fosse fornito di tutti i dispositivi di sicurezza e fosse adeguatamente addestrato e formato, risultando esistenti tutti i presupposti per l'applicabilità della norma invocata.
4.4. Con un quinto motivo deduce violazione dell'art. 62 bis cod. pen. e vizio di motivazione sul punto in quanto la Corte territoriale, da un lato, ha fatto riferimento al mancato risarcimento del danno, laddove la persona offesa viene indennizzata dall'Inail e l'eventuale danno differenziale non era allo stato quantificabile e, dall'altro, ha fatto riferimento al grado della colpa valutando due volte lo stesso elemento sia per negare le circostanze attenuanti generiche sia nella quantificazione della pena.
5. O.G. propone ricorso per cassazione censurando la sentenza impugnata per i seguenti motivi:
a) violazione del combinato disposto degli artt. 92 d. lgs. n.81/2008, 40, comma 2, cod. pen., 533, comma 1, cod. proc. pen. nonché contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza della violazione dell'art. 92 d. lgs. n.81/2008 nonché omessa motivazione in ordine alla sussistenza del nesso di causalità. Secondo il ricorrente, la condotta richiesta, ossia l'ordine di sospensione dei lavori, non era esigibile in quanto l'infortunio si è verificato il 7 marzo 2016, ossia prima della scadenza del termine di cinque giorni assegnato dall'O.G. al datore di lavoro per adeguare il ponteggio alle previsioni del piano di sicurezza. E' mancato, inoltre, ogni approfondimento in ordine alla concreta efficacia impeditiva dell'evento dannoso in caso di adempimento del comportamento atteso da parte del ricorrente, non avendo la Corte di merito esplicitar le ragioni che l'hanno indotta a ritenere che la sospensione dei lavori sarebbe stata osservata, così svolgendo efficacia impeditiva dell'evento. La Corte di merito ha trascurato il fatto che il coordinatore della sicurezza in fase di esecuzione svolge un ruolo di alta vigilanza per cui, anche se fosse vero che la mancata installazione della tavola fermapiede fosse rilevabile de visu, occorre precisare che tale carenza del ponteggio non è stata la causa della caduta del lavoratore e che la stessa era stata puntualmente segnalata al datore di lavoro con diffida del 3 marzo 2016. Non sono state indicate le molteplici irregolarità inerenti al ponteggio, sono solo genericamente richiamate, né sono altrimenti riscontrabili dall'esame delle fotografie allegate al rapporto dei Carabinieri, fatta eccezione per la mancanza delle tavole fermapiede. La circostanza che il cedimento della balaustra sia stata causata dall'errato ancoraggio mediante filo di ferro è stata riferita dalla sola parte offesa ma contrasta con la deposizione del consulente dell'imputato e con le stesse risultanze fotografiche, dalle quali si evince che la barra di protezione fosse saldamente ancorata al ponteggio. Avendo i carabinieri impiegato solo 15 minuti per giungere sul luogo del sinistro, tale tempo sarebbe stato insufficiente a consentire al datore di lavoro di riposizionare la barra di protezione e nel contempo recarsi presso i competenti uffici per regolarizzare il lavoratore assunto in nero. Con riferimento alle dotazioni antinfortunistiche, lo stesso lavoratore aveva riferito in occasione delle sommarie informazioni rese ai Carabinieri di essere munito delle dotazioni previste dalla normativa antinfortunistica; se il lavoratore non indossava le dotazioni antinfortunistiche, tale negligenza non è imputabile al coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione dei lavori;
b) con un secondo motivo deduce erronea applicazione dell'art. 131 bis e dell'art. 62 bis cod. pen. nonché contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione su tali punti. Il ricorrente ritiene inadeguata e insoddisfacente la motivazione offerta dai giudici di merito per negare l'applicabilità dell'art. 131 bis cod. pen. nonché in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche. Contraddittorio e illogico è equiparare la condotta del datore di lavoro e la condotta del coordinatore per la sicurezza, che si è prontamente attivato per effettuare la segnalazione prevista dall'art. 92 d. lgs. n.81/2008. Con riferimento alla motivazione offerta dalla Corte di merito per negare le circostanze attenuanti generiche, osserva che il ricorrente non avrebbe potuto fornire alcun contributo alla ricostruzione della verità processuale, non essendo presente nel cantiere al momento dell'infortunio, e che la parte offesa non ha formulato alcuna richiesta risarcitoria in pendenza del giudizio, neppure incardinando il giudizio per la determinazione del quantum. Inoltre, si sarebbe dovuto considerare il concorso di colpa del lavoratore, che non indossava le dotazioni antinfortunistiche delle quali, tuttavia, aveva dichiarato di essere stato fornito.

5. Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha concluso per l'inammissibilità dei ricorsi.

6. Con memoria tempestivamente depositata il difensore di O.G. ha concluso insistendo per l'accoglimento del ricorso.

7. La parte civile R.C. ha depositato memoria, concludendo per l'inammissibilità o, in subordine, per il rigetto dei ricorsi.


 

Diritto
 



1. Occorre premettere che i primi tre motivi del ricorso di M.G. tendono a dimostrare la fallacia delle pronunce di merito nella parte in cui hanno ritenuto credibile la versione dei fatti fornita dal lavoratore, persona offesa costituita parte civile.
1.1. Giova, sul punto, ricordare che, per principio consolidato nella giurisprudenza della Corte di legittimità, le regole dettate dall'art. 192 comma 3 cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone e opportunamente corroborata da riscontri nel caso in cui la persona offesa si sia costituita parte civile (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell'Arte, Rv. 253214). Nel caso in esame, i giudici di entrambi i gradi di merito hanno fornito ampia motivazione in merito alla intrinseca attendibilità e alla soggettiva credibilità del lavoratore, indicando anche elementi di riscontro esterno, acquisiti per il tramite della prova documentale e testimoniale nel corso dell'istruttoria dibattimentale.
1.2. In particolare, entrambi i giudici delle fasi di merito hanno addotto plurimi argomenti a sostegno del giudizio di credibilità del lavoratore R.C.: innanzitutto la prova fotografica, attestante la mancanza di fermapiede lungo l'intero tavolato e per ciascuno dei piani nonché l'interruzione del piano di calpestio senza apposizione di parapetti a delimitazione, ossia una prova documentale particolarmente qualificata, che la deposizione della parte civile ha semplicemente corroborato, dunque la compatibilità di tale deposizione con lo stato dei luoghi fotografato nell'immediatezza dai Carabinieri; la circostanza che il lavoratore era stato trovato riverso al suolo ancora in abiti da lavoro dal proprietario di un'abitazione vicina richiamato dalle grida dell'infortunato; non ultima, la circostanza che il 3 marzo 2016 il coordinatore ing. O.G. avesse diffidato il datore di lavoro a mettere in sicurezza il ponteggio; infine, l'assenza di qualsivoglia allegazione difensiva circa indizi di mendacio o calunnia riferibili al lavoratore (pag.8 sentenza di appello).

2. Una seconda considerazione di ordine generale riguarda l'esatta ricostruzione del percorso causale che ha condotto all'infortunio, alla quale entrambi i ricorrenti hanno fatto accenno. Le difese ritengono dirimente la controversa dimostrazione del fatto che vi fossero o meno segni di cedimento di un elemento del ponteggio in corrispondenza del punto dal quale il lavoratore ha affermato di essere caduto. Ma, una volta risolto positivamente il giudizio di attendibilità del portato dichiarativo della vittima e una volta acclarato che il ponteggio era privo dei necessari presìdi atti a scongiurare il rischio di caduta nel vuoto, e logicamente corretta la valutazione espressa dai giudici di appello a proposito del fatto che non assuma particolare rilievo accertare cosa in concreto abbia fatto precipitare l'operaio. Nella sentenza di appello risulta, dunque, chiarito per quale ragione il fatto generatore della perdita di equilibrio fosse da considerare non dirimente nella prospettiva del rischio al quale è esposto il lavoratore in caso di lavori in quota. Si tratta, evidentemente, del rischio di caduta da altezze tali da comportare l'eventualità di lesioni o decesso. Letta da questa posizione prospettica, la motivazione è esente da vizi, avendo puntato l'attenzione, con logica ineccepibile, sulla regola cautelare idonea ad evitare il rischio di caduta e, a monte, sull'antecedente causale di una caduta involontaria, ossia sulla perdita di equilibrio comunque incontestata. In tal senso, l'asserita mancanza di certezza processuale circa l'esatta dinamica dell'infortunio ha trovato puntuale e coerente replica nel provvedimento impugnato.

3. Deve essere, inoltre, ricordato che il vizio di travisamento della prova può essere dedotto con il ricorso per cassazione, anche qualora le sentenze dei due gradi di merito siano conformi, sia nell'ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, sia quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (Sez.4, n.35963 del 03/12/2020, Tassoni, Rv. 280155; Sez. 5, n.48050 del 2/07/2019, S., Rv. 277758). Ma è anche necessario che il ricorrente prospetti la decisività del travisamento nell'economia della motivazione (Sez.6, n.36512 del 16/10/2020, Villari, Rv.280117). Tale decisività risulta del tutto obliterata.

4. Esaminando, alla luce delle suestese premesse, il primo motivo del ricorso di M.G., se ne rileva la manifesta infondatezza nella parte in cui lamenta l'omessa valutazione delle prove fornite dalla difesa dell'imputato. Tanto nella sentenza di primo grado (pag. 6) quanto nella sentenza di appello (pag. 6) è presente la disamina critica della deposizione del consulente della difesa. In particolare, in linea con quanto peraltro allegato nello stesso ricorso, il giudice di primo grado ha evidenziato che le valutazioni tecniche fornite dal predetto consulente dimostravano la rispondenza strutturale dell'impalcato all'entità dei carichi da sopportare in relazione a dimensioni e tipo di impiego, lasciando privo di riferimento il rilevante profilo, specificamente contestato, per cui fossero stati omessi gli accorgimenti prescritti ai punti 2, 3.1, 3.2, 3.3.
Con riguardo alle argomentazioni che tendono ad attribuire il mero significato di una fallace percezione a quanto visionato dai giudici di merito nelle fotografie scattate dalla polizia giudiziaria nell'immediatezza del fatto, il Collegio ritiene trattarsi di allegazioni di fatto volte a sminuire la valenza probatoria del documento fotografico a fronte dell'asserito maggior valore del dato tecnico­ scientifico fornito dalla difesa; ma si tratta di allegazioni manifestamente infondate in quanto la prova fotografica, dalla quale i giudici di merito hanno desunto tanto la mancanza di fermapiede lungo l'intero tavolato e per ciascuno dei piani quanto l'interruzione del piano di calpestio senza apposizione di parapetti a delimitazione in corrispondenza del punto dal quale il lavoratore ha dichiarato di essere caduto, è stata considerata, senza che sia ravvisabile alcun vizio motivazionale e tantomeno alcun travisamento, idonea a dimostrare lo stato dei luoghi al momento dell'infortunio a fronte di una prova dichiarativa a difesa non perfettamente allineata rispetto alle violazioni contestate.

5. Il secondo motivo del ricorso di M.G. è manifestamente infondato e aspecifico in quanto omette di confrontarsi con il punto della decisione (pag. 7 sentenza di primo grado) in cui si è ritenuto accertato che il lavoratore sia precipitato a circa 6 metri di altezza. L'intera censura si fonda sull'indimostrata falsità delle dichiarazioni rese dalla parte civile circa il punto di caduta, ossia su un assunto che confligge frontalmente con le conclusioni alle quali sono pervenuti i giudici delle due sentenze di merito, e propone alla Corte di legittimità una inammissibile rilettura delle emergenze istruttorie.

6. Anche il terzo motivo del ricorso di M.G. si presenta inammissibile in quanto propone una versione dei fatti, in base alla quale il lavoratore infortunato sarebbe stato soccorso dal datore di lavoro, che contrasta frontalmente con quanto accertato nel giudizio. I giudici di merito hanno, infatti, ritenuto acclarato che, nel momento in cui il lavoratore è caduto, il datore di lavoro si trovava al lavoro in cantiere e aveva chiesto al R.C. di scendere per prendergli della calce. Dopo la caduta dell'operaio, il M.G. era tuttavia rimasto sul tetto, tanto che a richiedere l'intervento del 118 e a soccorrere il lavoratore era stato D.E., proprietario di un'abitazione vicina la cui attenzione era stata richiamata dalle grida dell'infortunato. Il maresciallo Grosso, giunto a distanza di circa 15 minuti dalla richiesta di intervento, aveva rinvenuto sul luogo solo il personale sanitario e il vicino di casa, mentre il titolare dell'impresa si sarebbe presentato dopo qualche tempo. La censura, in fatto, è stata svolta per contrastare, in quanto congetturale, la deduzione che lo stato dei luoghi sarebbe stato immutato dal datore di lavoro, non accorso in aiuto dell'operaio.

6.1. Occorre, in proposito, rimarcare che l'elemento congetturale rappresenta l'esito di un ragionamento del tutto disancorato dalla realtà fattuale e piuttosto riconducibile ad un fenomeno soggettivo di ipotesi con prove da ricercare, ovvero con l'indizio debole o equivoco, tale da assecondare distinte, alternative ed anche contrapposte ipotesi nella spiegazione dei fatti oggetto di prova (Sez. 5, n. 5209 del 11/12/2020, dep. 2021, Ottino, Rv. 280408 - 02).
6.2. E il ragionamento proposto dal giudice di merito, secondo il quale dopo la caduta dell'operaio e prima dell'arrivo dei Carabinieri egli avrebbe operato la mutazione dello stato dei luoghi, in particolare il riposizionamento della balaustra il cui cedimento avrebbe causato la caduta del lavoratore, risulta al ricorrente meramente congetturale. Tale censura non tiene conto, in primo luogo, del fatto che i giudici di appello hanno ritenuto non dirimente tale punto della decisione, secondo quanto chiarito al par.2; in secondo luogo, la doglianza sembra ignorare che nei due gradi di merito i giudici hanno ritenuto pienamente provato sia che il datore di lavoro, pur presente in cantiere, non avesse soccorso il lavoratore, sia che in quella stessa data, dopo l'infortunio, il M.G. si fosse recato a presentare la denuncia di assunzione del lavoratore, alle 16.48 dello stesso 7 marzo 2016. Si tratta, dunque, di due fatti certi dai quali i giudici hanno desunto la spiegazione del fatto che dal fascicolo fotografico redatto dai Carabinieri la traversina il cui cedimento avrebbe causato la caduta del lavoratore risultava ancora regolarmente agganciata al ponteggio.
6.3. Ad ulteriore chiarimento, i giudici di appello hanno precisato che la presenza del datore di lavoro nel cantiere non fosse stata negata dal giudice di primo grado, essendo nella sentenza del Tribunale indicato che proprio il M.G., prima dell'incidente, avesse ordinato al lavoratore di scendere per prendergli del materiale, sottolineando piuttosto che il M.G. non fosse intervenuto in soccorso dell'infortunato, e che comunque non fosse in cantiere al momento degli arrivo dei Carabinieri.
6.4. In ogni caso la Corte (pag.8) ha fornito esaustiva replica ad analoga censura già sottoposta al suo esame con l'atto di appello, affermando che la caduta per il cedimento della barra di protezione laterale non implicasse la caduta della barra al suolo insieme al lavoratore, essendovi dunque compatibilità tra la versione dei fatti fornita dalla vittima e la documentazione fotografica in atti. Anche i giudici di appello hanno, poi, desunto come non inverosimile, in base alla condotta del M.G., che si era subito allontanato dal luogo ove , giaceva l'operaio, l'immutazione dello stato dei luoghi senza, tuttavia, attribuire valore dirimente a tale deduzione. Sebbene nella sentenza impugnata si faccia riferimento al breve periodo di tempo che sarebbe bastato al datore di lavoro per «stringere pochi bulloni» in riferimento ad una traversina che il lavoratore aveva lamentato essere ancorata all'impalcato con il filo di ferro, non è possibile da tale incongruenza desumere la destrutturazione dell'intero impianto motivazionale, considerato che gli stessi giudici di appello hanno indicato le diverse ragioni decisive della pronuncia, da tanto potendosi evincere l'omesso confronto del motivo di ricorso con la motivazione nella sua integralità.

7. Il quarto motivo e il quinto motivo di ricorso, che ricalcano nella sostanza il secondo motivo del ricorso di O.G., non superano il vaglio di ammissibilità in quanto tendono a ottenere dalla Corte di legittimità un compito che le è precluso, ossia quello di rivisitare il giudizio discrezionale spettante al giudice di merito, nel caso in esame adeguatamente svolto a pag. 11 della sentenza sulla base dei criteri previsti dall'art. 131 bis cod. pen. Nel medesimo punto della decisione impugnata viene fornita congrua giustificazione della scelta dei giudici di merito di negare le circostanze attenuanti generiche. Quanto alla valutazione della gravità della colpa tanto ai fini della determinazione della pena quanto ai fini del diniego delle circostanze attenuanti generiche si osserva che è stato più volte chiarito che «Ai fini della determinazione della pena, il giudice può tenere conto più volte del medesimo dato di fatto sotto differenti profili e per distinti fini senza che ciò comporti lesione del principio del ne bis in idem» (Sez. 3, n. 17054 del 13/12/2018, dep. 2019, M., Rv. 275904 - 03; Sez. 2, n.933 del 11/10/2013, dep.2014, Debbiche, Rv. 258011 - 01).

8. Il primo motivo del ricorso di O.G. è manifestamente infondato. L'assunto difensivo secondo il quale non sarebbe stata esigibile dal coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione dei lavori la sospensione dei lavori stessi sino alla regolarizzazione antinfortunistica del ponteggio, contrasta frontalmente con il ragionamento, non manifestamente illogico, seguito dai giudici di merito secondo i quali, contrariamente a quanto ritenuto dalla difesa del ricorrente, l'ordine di sospensione non sarebbe dovuto intervenire allo scadere dei cinque giorni assegnati al datore di lavoro per adeguare il ponteggio alle previsioni del piano di sicurezza ma avrebbe dovuto essere adottato immediatamente, sussistendo il grave pericolo previsto dall'art.92 d. lgs. n.81/2008.
8.1. Ogni ulteriore considerazione contenuta nel motivo di ricorso, segnatamente la mancanza di prova dell'efficacia impeditiva della sospensione dei lavori, la circostanza che la mancata installazione della tavola fermapiede non sia stata la causa della caduta, l'inconsistenza delle denunciate carenze e irregolarità inerenti al ponteggio, la circostanza che il cedimento della balaustra non sarebbe stato determinato dall'errato ancoraggio mediante filo di ferro, rappresentano deduzioni in fatto tendenti a confutare l'esito dell'istruttoria consacrato nelle conformi sentenze di merito, peraltro con motivazione esente da vizi secondo quanto già espresso.

8.2. E' manifestamente infondato, in particolare, l'argomento difensivo secondo il quale è rimasta indimostrata l'efficacia impeditiva dell'evento dell'ordine di sospensione dei lavori. Premesso che nel percorso causale che dall'omissione ascritta al primo garante conduce all'evento non è richiesta la prova che ciascuno dei successivi garanti si sarebbe attivato, e premesso anche che la causalità della colposa omissione dell'obbligo di impedire un evento non deriva esclusivamente dalla titolarità in capo al garante di poteri direttamente impeditivi dello specifico rischio concretizzatosi, potendosi anche affermare sulla base dell'omissione di meri poteri sollecitatori dell'agire altrui, nel caso concreto è indiscusso che il ricorrente, pur avendo segnalato il pericolo, non abbia nella sua imminenza provveduto a disporre la sospensione dei lavori. Trova, dunque, applicazione al caso in esame il principio secondo il quale, allorquando l'obbligo di impedire l'evento ricada su più persone, che debbano intervenire od intervengano in tempi diversi, il nesso di causalità tra l'evento e la condotta omissiva o commissiva di uno dei soggetti titolari di una posizione di garanzia non viene meno per effetto del successivo mancato intervento di un altro garante, configurandosi, in tale ipotesi, un concorso di cause ai sensi dell'art. 41, comma primo, cod. pen. (Sez. 4, n.17887 del 02/02/2022, Bello, Rv. 283208 - 01; Sez. 4, n. 43078 del 28/04/2005, Poli, Rv. 232416 - 01).

9. Il secondo motivo del ricorso è sovrapponibile al quarto e al quinto motivo del ricorso di  M.G., onde si rimanda al punto della presente decisione in cui si sono esplicitate le ragioni dell'inammissibilità di tale censura (par.7).

10. I ricorsi, per tale ragione, non superano il vaglio di ammissibilità. Alla inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali; tenuto conto della sentenza della Corte Costituzionale n.186 del 13 giugno 2000 e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che i ricorrenti abbiano proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, segue, a norma dell'art.616 cod.proc.pen. l'onere del versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, determinata, in considerazione delle ragioni di inammissibilità del ricorso stesso, nella misura di euro 3.000,00 ciascuno. Non si provvede alla liquidazione delle spese in favore della parte civile, tenuto conto del princìpio secondo il quale nel giudizio di legittimità, in caso di ricorso dell'imputato rigettato o dichiarato, per qualsiasi causa, inammissibile, la parte civile ha diritto di ottenere la liquidazione delle spese processuali purché abbia effettivamente esplicato, anche solo attraverso memorie scritte, un'attività diretta a contrastare l'avversa pretesa a tutela dei propri interessi di natura civile risarcitoria, fornendo un utile contributo alla decisione (Sez. 2, n.12784 del 23/01/2020, Tamborrino, Rv. 278834 - 01; Sez. 5, n. 31983 del 14/03/2019, Di Cioccio, Rv. 277155 - 01).

 

P.Q.M.



Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle Ammende. Nulla sulle spese in favore della parte civile.
Così deciso il 22 novembre 2022