Ministero della Giustizia
Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria
Direzione Generale del Personale
Ufficio IV - Relazioni Sindacali
 

Ai rappresentanti delle OO.SS. della
Area Negoziale dei Dirigenti di Polizia Penitenziaria
Non dirigente del Corpo di Polizia Penitenziaria


OGGETTO: Note scientifiche a cura del Dipartimento di Psicologia, Sapienza Università di Roma, per la redazione di linee guida per il supporto psicologico all'interno degli Istituti Penitenziari

Si trasmette, per opportuna informativa, la nota concernente l'argomento in oggetto indicato.
 

IL DIRETTORE GENERALE
Massimo Parisi
 

DIPARTIMENTO DI PSICOLOGIA
SAPIENZA
UNIVERSITÀ DI ROMA

 

Note scientifiche a cura del Dipartimento di Psicologia, Sapienza Università di Roma, per la redazione delle linee guida per il supporto psicologico all’interno degli Istituti Penitenziari


Per la progettazione di protocolli strutturati di intervento è necessario considerare i diversi aspetti che permettano una valutazione di efficacia (Rollo, 2016). In particolare, la definizione di un intervento non può prescindere da:
1. Analisi del contesto e diversificazione del bisogno: analisi del contesto, ovvero delle caratteristiche dell’ambiente e delle persone appartenenti a quel sistema, al fine di ottenere una visione integrata della situazione in cui si va ad operare e le potenziali interazioni e sinergie con i soggetti coinvolti, al fine di individuare obiettivi specifici, realistici e misurabili.
2. Metodologia di azione: individuazione di una metodologia adeguata e, parallelamente, delle figure più idonee allo svolgimento dell’intervento, in termini di competenza e conoscenza del contesto.
3. Monitoraggio dell’intervento: definizione dei risultati attesi, in linea con l’obiettivo dell’intervento, al fine di poter procedere ad una valutazione scientifica rispetto al potenziale di efficacia dello stesso.

1. Analisi del contesto e diversificazione dei bisogni
Date le sue caratteristiche peculiari, l’ambiente degli Istituti Penitenziari ha acquisito sempre più rilevanza da un punto di vista organizzativo all’interno della letteratura scientifica nazionale ed internazionale con l’identificazione di una serie di fattori stressanti cui sono esposti gli Operatori di Polizia Penitenziaria. Lavorare come agente di Polizia Penitenziaria può comportare l'esposizione a situazioni avverse e stressanti di diversa entità (Kunst, 2011). La letteratura sottolinea come la tensione connessa al lavoro nel suddetto contesto derivi da fattori individuabili a dui principali livelli: organizzativo o amministrativo e individuale o psicosociale (Viotti, 2016; Rania et al., 2020; Evers et al-, 2019; Ricciardelli et al., 2020). Al primo livello si situano fattori come la distanza da casa, la scarsa comunicazione orizzontale e verticale, la carenza di personale, il carico e i turni di lavoro e la mancanza di riconoscimenti positivi (Finney et al., 2013; Andersenen et al., 2017; Steiner & Wooldredge, 2015; Baudino, 2014; Ferrari, 2016); al secondo livello sono invece presenti fattori come percezione di pericolo, carico emotivo, disimpegno, difficoltà di problem-solving, atteggiamenti nei confronti della richiesta di aiuto e assenza di strategie di coping efficaci (Misis et al., 2013; Dowden & Tellier, 2004; Isenhardt & Hostettler, 2020).
Al fianco di questi fattori di stress generali, gli operatori di Polizia Penitenziaria si trovano spesso nella condizione di dover affrontare un'emergenza, una situazione complessa, caratterizzata da una minaccia, che porta a un’attivazione emotiva e alla ricerca delle risorse disponibili per prendere una decisione rapida per far fronte alle criticità (Sbattella & Tettamanzi, 2013). Negli Istituti Penitenziari, le tipologie di emergenza possono essere diverse, tra cui violazioni delle regole e rivolte dei detenuti con episodi di aggressione fisica o verbale, rifiuto di prescrizioni, danneggiamenti, minacce strategiche (es. sciopero della fame o della sete), autolesionismo e suicidio (Babcock et al., 2014; Weinshenker & Siegei, 2002; Buffa, 2011; Konda et al. 2012; Trounson & Pfeifer, 2016; Trounson & Pfeifer, 2017; Lausi et al., 2022). L’esperienza di un’emergenza o evento critico, così come gli altri fattori di rischio evidenziati, possono portare a gravi conseguenze come la possibilità di sviluppare problemi di salute fisica e mentale, come malattie cardiovascolari, ansia, disturbi psicosomatici, disturbi da stress post-traumatico, uso di sostanze e disagio psicologico (Harvey, 2014; Morgan, 2009; Bourbonnais et al., 2007; Spinaris et al., 2012), con un effetto su turnover del personale, assenteismo e decremento nel livello delle prestazioni (Brower, 2013; Trounson et al., 2019). È, pertanto, necessario un intervento rapido e qualificato con specifiche strategie a seconda di quanto accaduto (Ghaddar et al., 2008; Trounson & Pfeifer, 2017).
E bene considerare che ciascun contesto, ruolo ed individuo presenta delle caratteristiche specifiche. A titolo esemplificativo si può far riferimento alla diversità del sistema carcerario italiano in termini di caratteristiche ambientali e/o di tipologie di detenuti (es. case circondariali; case di reclusione; regimi di massima sicurezza). Tali elementi possono influire sull’esposizione a specifici fattori di stress, così come a specifiche modalità di reazione agli eventi e, di conseguenza, sulla necessità di considerare e di rispondere a specifici bisogni. Al fine di garantire interventi in linea con le esigenze del personale e dello specifico contesto lavorativo di riferimento, si pone, pertanto, la necessità di impostare l’azione di supporto psicologico partendo dall’individuazione e dalla diversificazione dei bisogni degli utenti attraverso l’organizzazione di focus-group. Questa fase consente anche di aumentare la motivazione a prendere parte agli interventi, emersa come criticità nell’ambito della progettualità prevista per il 2022. Dagli interventi effettuati nell’ambito del Progetto di supporto psicologico al personale di Polizia Penitenziaria, in linea con i risultati appena esposti della letteratura scientifica, emergono delle condizioni predominanti, quali fattori di rischio, su cui è necessario dover intervenire per un miglioramento del benessere organizzativo e personale, diminuendo così la possibilità di sviluppare sintomi di stress post-traumatico, stress lavoro-correlato e burnout, nello specifico:
• Contenuti del lavoro: aver assistito o essere intervenuti in eventi critici, eccessivo carico di lavoro, assenza di protocolli operativi adeguati, difficoltà nella comprensione delle mansioni e dei confini del proprio ruolo a seconda delle diverse aree dell’organizzazione, difficoltà di comunicazione;
• Contesto di lavoro: assetto gerarchico delle relazioni, assenza di ruoli apicali e/o intermedi, elaborazione della conflittualità nelle relazioni verticali e orizzontali, demotivazione, ansia, frustrazione e rabbia, senso di solitudine e isolamento, Disagio lavorativo legato alla peculiarità di una istituzione ontologicamente totale e totalizzante per l’utenza, riconoscimento, più congruo al proprio ruolo e del proprio operato, sia interno all’Amministrazione che esterno da parte di altri Corpi di Polizia;
• Soft skill mancanti: comunicazione efficace, ascolto empatico, gestione delle emozioni, feedback funzionale, leadership.

2. Metodologia di azione
2.1 Metodologia di azione: le figure coinvolte
Come accennato in precedenza, l’importanza della modalità di azione utilizzata riveste, tuttavia, solo un aspetto dell’efficacia dell’intervento. In letteratura emerge come, molto spesso, gli interventi sono fomiti da Operatori non specializzati all’interno del contesto carcerario che, pertanto, non riescono a comprendere la natura complessa e sfaccettata dei problemi affrontati in questo specifico campo, con un elevata diminuzione dell’efficacia degli interventi (Brower, 2013; Evers et al., 2019). L’Inter-Agency Standing Committee (IASC) nel documento “IASC Guidelines on Mental Health and Psychosocial Support in Emergency Setting” propone un sistema stratificato di supporti complementari la risposta differenziata in caso di emergenza da parte di specifiche figure e professionalità. Questo sistema può essere rappresentato come una piramide: alla base della stessa si situano i “servizi di base e sicurezza”, fomiti solitamente dai settori alimentari e sanitari; il livello successivo prevede il “sostegno alla comunità e alla famiglia” con la riattivazione della rete sociale; al terzo livello è presente il “supporto focalizzato non specializzato” che rappresenta interventi mirati individuali, familiari o di gruppo da parte di operatori accuratamente formati e supervisionati, come assistenza di base alla salute mentale; infine, al quarto livello si situano i “servizi specializzati”, come la terapia psicologica o psichiatrica, necessari quando la persona presenta una sofferenza tale da essere intollerabile con difficoltà significative nel funzionamento quotidiano di base.
Dato questo aspetto, è necessario affiancare a una metodologia efficace, l’introduzione, ovvero la formazione, di specifiche figure quali profonde conoscitrici di quel contesto. Al fine di valorizzare le risorse, è necessario impiegare figure formate sui temi d’interesse attraverso una strategia di esternalizzazione degli operatori, attivando e formando le risorse presenti sul territorio facendo riferimento, in primo luogo, all’Ordine Nazionale degli Psicologi e agli Ordini degli specifici territori. Le figure sopracitate dovrebbero fornire la propria disponibilità così da poter intervenire soprattutto nella fase acuta di una possibile emergenza. Si ritiene, altresì, necessaria l’introduzione di figure specifiche all’interno dell’Amministrazione che possa essere un punto di riferimento per gli interventi volti al miglioramento del benessere degli Operatori di Polizia Penitenziaria. Un punto essenziale nel coinvolgimento di nuove figure e nella possibilità di un potenziale di efficacia dell’intervento è la necessità di una formazione omogenea delle figure coinvolte a seconda del tipo di problematica, ovvero della domanda, su cui si è chiamati ad intervenire. Questo permette di porre fin dal primo momento dell’intervento le basi di un adeguato sostegno psicologico, contribuendo ad attenuare l’impatto dell’evento nell’individuo.

2.2 Metodologia di azione: le modalità e le fasi di intervento
Nel complesso, dati gli effetti specifici del contesto carcerario sull’individuo, la letteratura scientifica indica la necessità di sviluppare interventi in grado di ridurre i livelli di stress e aumentare il benessere negli Operatori di Polizia Penitenziaria (Trounson & Pfeifer, 2016; Trounson et al., 2017; Evers et al., 2019). Al fine di poter definire l’efficacia di uno specifico intervento è necessario, tuttavia, partire da una visione comune di ciò che si intende per benessere, così da poter intervenire con un obiettivo chiaro e misurabile. In questo contesto, è possibile considerare il benessere come un costrutto multidimensionale che si esplica a livello psicologico, fisico e sociale e fa riferimento allo stato di equilibrio tra l’insieme stabile di risorse - psicologiche, sociali e fisiche - possedute dall’individuo e le richieste e le sfide da affrontare (Dodge et al., 2012).
È importante considerare che, soprattutto in caso di esperienza di eventi critici, sebbene una parte della popolazione può reagire con resilienza agli eventi critici (Bonanno, 2004), alcuni possono subire un’importante interruzione dell’equilibrio psicologico con conseguente compromissione funzionale (Caplan, 1961; 1964). Nelle emergenze le persone possono essere colpite in diversi modi e sotto diversi aspetti, di conseguenza, è necessario intervenire con adeguati programmi psicosociali e diverse forme di supporto per impedire il possibile sviluppo di una condizione psicopatologica (Bleich et al., 2003; Ania, 2017). A titolo esemplificativo, in letteratura sono stati proposti diversi interventi volti al miglioramento del benessere negli Operatori di Polizia Penitenziaria, da interventi sulla crisi (es. Crisis Intervention Team Model', Tucker et al., 2012; Comartin et al., 2020) a programmi di esercizio fisico (Evers et al., 2019). Intervenire con azioni adeguate vuol dire modulare il tipo di intervento a seconda della domanda, ovvero della casistica specifica che si ha davanti.
Si sottolinea, tuttavia, che l’intervento psicologico ha l’obiettivo di favorire l’elaborazione dell’evento critico diminuendo il suo impatto emotivo sull’individuo. Pertanto, non ha il fine di ricercare nella persona la responsabilità di quanto accaduto. Inoltre, il professionista della salute mentale deve rispondere al segreto professionale, sottolineare ciò durante l’intervento permette di incrementare la motivazione e l’apertura dell’operatore di Polizia Penitenziaria. Nel considerare l’intervento più adeguato è importante partire dalla considerazione dei diversi livelli di coinvolgimento degli utenti e dei diversi momenti in cui è possibile intervenire. Per quanto riguarda il livello di coinvolgimento degli utenti, possono essere sviluppati interventi a livello gruppale e/o a livello individuale considerando come centrale la persona all’interno dello specifico contesto, ovvero sia il singolo individuo che la comunità colpita dall’evento. Così come emerso nell’ambito della progettualità prevista per l’anno 2022, aspetto comune, ed efficace, è stato il carattere gruppale degli interventi, in prima istanza, che ha permesso l’abbattimento delle resistenze individuali per poter, gradualmente, passare a supporti di maggiore prossimità tramite un avvicinamento al personale coinvolto. Infatti, a seguito di una eventuale richiesta emersa a livello di gruppo, così come in presenza di necessità che richiedono un’attivazione di specifiche risorse personali, risulta utile e necessario prevedere la presa in carico tramite colloqui individuali degli Operatori di Polizia Penitenziaria, al fine di fornire uno spazio in cui elaborare emozioni e vissuti legati alla sfera personale e lavorativa.
Per quanto riguarda, invece, i diversi momenti in cui è possibile intervenire è importante differenziare tra tre fasi principali, ognuna con specifici bisogni per l’individuo:
• Fase di prevenzione: azioni da compiere prima che si presenti un’emergenza, al fine di incrementare le risorse dell’individuo e facilitare una reazione adeguata, che diminuisca il rischio di incorrere in problematiche di salute mentale, al possibile verificarsi di un evento critico;
• Fase peri-traumatica: risposte immediate da attivare durante la fase acuta di un’emergenza, al fine di attivare le risorse dell’individuo, promuovere processi di stabilizzazione emotiva e diminuire, così, la possibilità di sviluppare successivi sintomi post-traumatici;
• Fase post-critica: risposta complessiva da attuare successivamente alla fase acuta, al fine di sostenere il processo di adattamento dell’individuo all’evento traumatico verificando, di volta in volta, la presenza di eventuali conseguenze psicologiche, sociali e pratiche.
Sulla base delle prove di efficacia degli interventi nelle fasi suddette (Mitchell, 1983; Finn, 2000; APA, 2004; Va/DoD, 2004; NICE, 2005; ACPMH, 2007; Trounson & Pfeifer, 2016; Ania, 2017), di seguito verranno indicate le metodologie da attuare, a seconda che si lavori in gruppo o tramite colloqui individuali, nelle diverse fasi dell’intervento. Si specifica, tuttavia, che la scelta del tipo di attività può variare a seconda delle circostanze e delle esigenze manifestate di volta in volta.

2.2.1 Intervento a livello gruppale
• Fase di prevenzione: in questa fase è utile intervenire attraverso attività di psico-educazione e formazione con seminari, attività didattiche interattive, simulazioni e role-playing, al fine di sviluppare conoscenze e competenze pratiche coinvolgendo armonicamente il singolo operatore, il gruppo di lavoro e, indirettamente, il sistema più esteso. Allo stesso modo, può essere utile organizzare specifici laboratori su regolazione emotiva, rilevazione dello stress lavoro correlato e supporto nelle relazioni interpersonali e nella comunicazione efficace. Potranno quindi essere affrontate le modalità di azione e reazione in caso di eventi critici fornendo un adeguato livello di percezione di autoefficacia nella gestione di questi eventi, condividere strategie di intervento, approfondire le dinamiche proprie dei contesto penitenziario e i diversi fattori di rischio presenti, promuovere il senso di appartenenza e la motivazione, sviluppare soft-skills utili alla gestione dello stress e del conflitto tra gruppi e tra individui così da prevenire eventuali problematiche generate da una possibile emergenza.
• Fase peri-traumatica: in questa fase è utile intervenire con un intervento di defusing, prima, e di debriefing, poi. Nello specifico, il defusing potrà essere utilizzato per ridurre lo shock emotivo derivato dall’evento nell’immediato. L’intervento, breve e in piccoli gruppi, ha l’obiettivo di sviluppare un senso di sicurezza, favorire un pensiero costruttivo sull’evento e sentire appoggio da parte della comunità colpita. In questa fase ci si limita alla condivisione verbale dell’esperienza appena vissuta (percezione dei fatti), piuttosto che a un’indagine approfondita, per evitare di scatenare reazioni difficilmente contenibili. Se il soggetto è molto scosso, è possibile intervenire individualmente e fornire un ambiente sicuro per arrivare a una “normalizzazione”. Successivamente (24-96 ore dall’evento), quando l’esperienza si è strutturata ma non è ancora cristallizzata nel vissuto dell’individuo, sarà utile impiegare un intervento di Debriefing che ha l’obiettivo di offrire la possibilità di esternare i propri pensieri, ricordi ed emozioni riducendo l’impatto dell’evento, normalizzando l’esperienza individuale, aumentando la coesione interna al gruppo e aiutando a contenere e gestire reazioni e le emozioni intense comprendendo le strategie più efficaci di fronteggiamento.
• Fase post-critica: in questa fase è possibile sostenere l’adattamento del gruppo specifico all’evento. In particolare, è possibile sviluppare gruppi di auto-aiuto o mutuo-aiuto in cui è possibile confrontarsi, con astensione di giudizio, e comprendere i cambiamenti ottenuti dalle strategie attuate a livello individuale mobilitando così ulteriori risorse di tipo non solo individuale e sociale, ma anche organizzativo. Potranno quindi essere utilizzati gli incontri per sviluppare abilità di gestione dello stress e abilità sociali, rafforzando il sostegno reciproco e il senso di efficacia individuale e collettiva.

2.2.2 Intervento a livello individuale
• Fase di prevenzione: l’intervento individuale dovrebbe scaturire da una specifica domanda o necessità da parte dell’individuo, pertanto si ritiene più utile prevedere la possibilità di colloqui individuali a seguito dell’evento critico, più che in fase di prevenzione. Tuttavia, è possibile intervenire anche a questo livello al fine di incrementare la consapevolezza dei propri bisogni, focalizzare e pianificare gli obiettivi che si vogliono raggiungere e potenziare le specifiche risorse personali da poter attuare in presenza di difficoltà.
• Fase peri-traumatica: durante questa fase è necessario instaurare un primo contatto con l’individuo per identificare i bisogni immediati e rispondere alle richieste evitando atteggiamenti intrusivi. L’obiettivo è quello di offrire conforto, in uno spazio privato ed emotivamente accogliente, e la possibilità di ristabilire un senso di sicurezza e protezione. Pertanto, sarà necessaria un’azione di contenimento promuovendo la calma, ovvero diminuendo lo stato di attivazione e intorpidimento nell’immediato dell’evento critico. Successivamente, possono essere previsti degli incontri in cui analizzare le dinamiche della situazione e iniziare un processo di elaborazione delle emozioni, entrandone in contatto.
• Fase post-critica: in questa fase è necessario attivare un processo di empowerment dell’individuo che permetta di passare da una situazione di impotenza appresa (learned helplessness), spesso successiva all’esperienza dell’evento traumatico, ad una situazione di speranza appresa (learned hopeness). Potranno essere attivate, pertanto, le risorse personali e sociali dell’individuo, promuovendo la capacità di ricorrere a persone che possono offrire supporto formale o informale e si aiuterà l’individuo nel processo di adattamento alle nuove condizioni derivate dal trauma. Inoltre, è possibile fornire indicazioni riguardo strategie di gestione dello stress, promuovere lo sviluppo di adeguate abilità di coping per gestire i problemi legati all’evento (coping focalizzato sul problema) o le emozioni disfunzionali (coping focalizzato sulle emozioni) e l’utilizzo di tecniche di rilassamento. Infine, se necessario potranno essere impiegate, da psicologi esperti, tecniche impiegate per la riduzione di condizioni psicopatologiche conseguenti al trauma, come alcune tecniche di CBT (Cognitive Behavioral Therapy) e EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing).

3. Monitoraggio dell’intervento
L’ultimo elemento della progettazione sistematica di un intervento è il monitoraggio continuo attraverso la definizione dei risultati attesi, in linea con gli obiettivi, al fine di poter procedere ad una valutazione scientifica rispetto al potenziale di efficacia dello stesso (Powell, 1995; Rollo, 2016). Per questa fase è necessario prevedere criteri e metodi attendibili che possano certificare la riuscita dell’intervento. L’obiettivo è la misurazione quantitativa dei risultati attraverso la primaria individuazione dei criteri e degli indicatori utili, ovvero delle caratteristiche che forniscono indicazioni sul fenomeno o esito. La valutazione può essere prevista:
• Pre-intervento: analisi della motivazione e delle caratteristiche su cui si intende intervenire, per poter verificare, a conclusione dell’intervento, l’effettiva efficacia dello stesso;
• In itinere: monitoraggio dell’intervento attraverso riunioni, osservazioni e questionari ad hoc, per evidenziare eventuali risorse o criticità a livello applicativo;
• Post-intervento: valutazione dell’efficacia dell’intervento nel realizzare i risultati attesi.
Dati questi tre punti fondamentali in cui prevedere le misurazioni, al fine di valutare l’efficacia degli interventi, i risultati dovranno essere opportunamente valutati attraverso una metodologia di misurazione e confronto pre e post, con esperti in grado di consigliare opportuni aggiustamenti in itinere, se necessari. Le misurazioni avranno luogo partendo dall’identificazione degli indicatori più opportuni a seconda dell’intervento effettuato, ovvero dei diversi livelli considerati, per esempio:
• Misure relative alla salute fisica e mentale;
• Misure di stress;
• Indicatori positivi, con misurazione di motivazione, atteggiamenti e soft-skill;
• Indicatori negativi, con misurazione di rabbia, ostilità e conflitto;
• Misurazioni oggettive relativamente alla tendenza all’assenteismo e al turnover.
Allo stesso modo, si consigliano periodiche sessioni di confronto, anche fra le diverse realtà geografiche, che consentiranno un andamento omogeneo delle varie progettualità pur nel rispetto delle differenze e delle opportune scelte del Provveditorato.

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Data 28.03.2023

Firma
Anna Maria Giannini
Direttrice del Dipartimento di Psicologia
Facoltà di Medicina e Psicologia
Sapienza Università di Roma