Cassazione Penale, Sez. 4, 20 marzo 2023, n. 11513 - Investito dal carrello elevatore. In linea teorica è vero che potrebbe esserci un'ipotesi di omessa vigilanza tipica del preposto ma manca la delega


 

In linea teorica è vero che la suddetta situazione potrebbe integrare una ipotesi di omessa vigilanza tipica del preposto, ma è anche vero che la validità di tale asserzione presuppone l'esistenza di un preposto specificamente incaricato del controllo richiesto. Ebbene, sul punto il Tribunale ha adeguatamente risposto, osservando che dagli atti acquisiti al giudizio non è emersa l'esistenza di alcuna delega all'esercizio dei poteri-doveri di vigilanza nei confronti di alcun preposto, se non quella ricevuta dallo stesso A.A. quale consigliere delegato alla sicurezza sul lavoro.



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SERRAO Eugenia - Presidente -

Dott. ESPOSITO Aldo - Consigliere -

Dott. RANALDI Alessandro - rel. Consigliere -

Dott. CIRESE Marina - Consigliere -

Dott. ANTEZZA Fabio - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA



sui ricorsi proposti da:

A.A., nato a (Omissis);

B.B., nato a (Omissis);

avverso la sentenza del 24/11/2021 della CORTE APPELLO di TRIESTE;

Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

Udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Ranaldi Alessandro;

Lette le conclusioni del P.G..

 

Fatto


1. Con sentenza del 24.11.2021, la Corte di appello di Trieste, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha sostituito la pena detentiva con quella pecuniaria, revocato il beneficio della sospensione condizionale della pena e, per il resto, ha confermato la declaratoria di responsabilità di A.A. e B.B. per il reato di lesioni colpose del lavoratore C.C. (dipendente della ditta ZML Industries Spa), subite per essere stato investito da un carrello elevatore guidato dal B.B.; secondo l'accusa quest'ultimo, disattendendo le disposizioni aziendali, aveva invaso la corsia di transito dedicata ai pedoni, anche perchè tale corsia era occupata da cassoni contenenti materiale aziendale, circostanza che non era stata vigilata dal A.A., consigliere delegato alla sicurezza sul lavoro della ditta ZML (fatto del (Omissis)).

2. Avverso tale sentenza propone ricorso il difensore degli imputati, lamentando (in sintesi, giusta il disposto di cui all'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1) quanto segue.

I) Vizio di motivazione, per non avere valutato l'inattendibilità della persona offesa, trattandosi di un infortunato "seriale" che, nel (Omissis), aveva subito un grave infortunio per sua esclusiva responsabilità, rendendo dichiarazioni false, con archiviazione del relativo procedimento penale.

II) Violazione di legge e vizio di motivazione, per omessa indicazione delle norme in materia di prevenzione infortuni la cui violazione costituirebbe circostanza aggravante e mancata correlazione tra accusa e sentenza in relazione alla posizione del B.B., cui viene addebitato genericamente di avere disatteso le disposizioni aziendali.

III) Violazione di legge e vizio di motivazione, per omessa indicazione delle norme in materia di prevenzione infortuni la cui violazione costituirebbe circostanza aggravante e mancata correlazione tra accusa e sentenza in relazione alla posizione del A.A., cui viene addebitato genericamente di non avere protetto l'area di transito pedonale nel luogo aziendale dell'infortunio da possibili investimenti.

IV) Erronea applicazione dell'art. 590 c.p. nei confronti del A.A., risultando dalla deposizione della persona offesa che l'area pedonale, al momento dell'incidente, non era ingombra di cassoni, per cui la ritenuta presenza di cassoni nell'area destinata alla viabilità integra violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza.

V) Violazione di legge e vizio di motivazione, per non avere la Corte territoriale esaminato le doglianze prospettate dal A.A. secondo cui, anche a voler ritenere che l'errato posizionamento dei cassoni sulla zona riservata al transito dei carrelli fosse esistente al momento dell'infortunio e ad esso causalmente riconducibile, la responsabilità non avrebbe dovuto essere attribuita a lui che è l'amministratore delegato della ditta, ma ai preposti che dovevano sorvegliare l'esecuzione delle lavorazioni nel reparto alluminio e far rispettare le disposizioni aziendali sul corretto posizionamento dei cassoni. Non è stata dimostrata una prassi aziendale di scorretto posizionamento dei cassoni addebitabile al A.A..

VI) Violazione dell'art. 133 c.p., per omesso esame della censura di immotivata applicazione - da parte del Tribunale - della pena detentiva in luogo di quella pecuniaria.

VII) Eccessività della pena, irrogata con motivazione apparente.

VIII) Erronea quantificazione della pena pecuniaria sostitutiva di quella detentiva, mediante applicazione del valore minimo (250 Euro al giorno) previsto dalla normativa dichiarata incostituzionale dal giudice delle leggi con sentenza n. 28/2022, che ha rideterminato in 75 Euro al giorno il valore minimo di conversione.

3. Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha concluso per il rigetto dei ricorsi.

 

Diritto


1. Il primo motivo - con cui si deduce l'erronea valutazione in ordine alla ritenuta attendibilità della persona offesa - è privo di pregio.

1.1. I giudici di merito, nelle conformi sentenze di condanna, hanno adeguatamente vagliato le dichiarazioni della persona offesa, formulando un giudizio di attendibilità della stessa sia in considerazione della congruità, completezza e linearità del narrato, sia in considerazione dei riscontri esterni acquisiti, rappresentati dalla documentazione medica in atti e dalla compatibilità delle lesioni riportate con la dinamica dell'evento per come riferita.

1.2. Rispetto ai rilievi dei ricorrenti riguardanti l'asserita mancata valutazione di aspetti fattuali idonei ad incidere sulla valutazione di credibilità del teste, si deve rammentare che, per giurisprudenza costante, il giudice non è tenuto a compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una loro valutazione globale, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo; ne consegue che, in tal caso - come verificatosi nella fattispecie - debbono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr. Sez. 6, n. 49970 del 19/10/2012, Muià, Rv. 254107). Del resto, è pacifico che la valutazione della credibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che, come tale, non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice sia incorso in manifeste contraddizioni, nel caso insussistenti (Sez. 2, n. 41505 del 24/09/2013, Rv. 257241).

2. Il secondo motivo - con cui si deduce l'omessa indicazione delle norme in materia di prevenzione infortuni la cui violazione costituirebbe circostanza aggravante e la mancata correlazione tra accusa e sentenza in relazione alla posizione del B.B. - è manifestamente infondato.

2.1. Diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, la sentenza di primo grado ha chiaramente indicato la norma prevenzionistica violata dal B.B., vale a dire il D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 20, comma 2, lett. b), in relazione alla mancata osservanza delle disposizioni impartite ai fini della protezione collettiva ed individuale, con particolare riguardo alla conduzione del carrello senza prestare la dovuta attenzione al percorso predisposto, in tal modo invadendo la corsia di transito pedonale ed investendo il lavoratore C.C..

2.2. Quanto alla correlazione tra accusa e sentenza, è appena il caso di rilevare che la Corte territoriale ha fatto buon governo dei principi più volte affermati dalla Corte regolatrice sul tema in disamina, con specifico riferimento ai reati colposi, essendo pacificamente consentito al giudice di aggiungere agli elementi di fatto contestati altri profili di colpa emergenti dagli atti processuali e, come tali, non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa (cfr., fra le più recenti, Sez. 4, n. 7940 del 25/11/2020 - dep. 2021, Rv. 280950 - 01; Sez. 4, n. 53455 del 15/11/2018, Rv. 274500 - 02).

3. Il terzo motivo - con cui si deduce l'omessa indicazione delle norme in materia di prevenzione infortuni la cui violazione costituirebbe circostanza aggravante e mancata correlazione tra accusa e sentenza in relazione alla posizione del A.A. - è manifestamente infondato.

3.1. Anche in questo caso, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, la sentenza di primo grado ha chiaramente indicato la disciplina prevenzionistica violata dal A.A., vale a dire il D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 63, comma 1, art. 64, comma 1 - Allegato IV punti 1.4.1, 1.4.10 in relazione alla mancata adozione di misure di prevenzione specifiche relative alla protezione delle aree di transito pedonale all'interno dei locali aziendali.

3.2. Quanto alla correlazione tra accusa e sentenza, vale quanto già osservato nel precedente paragrafo 2.2., cui ci si richiama integralmente. Va solo aggiunto - e questo vale per entrambi gli imputati - che del tutto legittimamente la sentenza impugnata ha ritenuto che l'estinzione delle contravvenzioni integrative dei profili di colpa specifica ravvisati in sentenza, mediante pagamento della relativa sanzione amministrativa, non aveva recato alcuna menomazione o pregiudizio del diritto di difesa, trattandosi di fatto estintivo che non aveva inciso in alcun modo sulla concreta ravvisabilità delle condotte addebitate ai prevenuti ex art. 590 c.p. 4. Il quarto motivo - con cui si deduce la erronea applicazione dell'art. 590 c.p. nei confronti del A.A., risultando dalla deposizione della persona offesa che l'area pedonale, al momento dell'incidente, non era ingombra di cassoni - è inammissibile.

4.1. La censura sviluppa non consentite doglianze di merito, essendo tesa a dimostrare che i giudici di merito avrebbero erroneamente ritenuto la presenza di cassoni nell'area destinata alla viabilità al momento dell'infortunio, sicchè l'addebito sarebbe insussistente in fatto, come dimostrato dalle foto richiamate in sentenza, a detta del ricorrente scattate un anno e mezzo dopo l'evento. In realtà, è la stessa sentenza di primo grado a specificare che lo stato dei luoghi nel giorno dell'infortunio è identico o comunque quasi del tutto coincidente con quello rappresentato nel fascicolo fotografico del 20.9.2016 e nei verbali di ispezione e prescrizione redatti a carico dei coimputati. Una simile affermazione è incensurabile in sede di legittimità, non avendo questa Corte alcun potere di sindacare la ricostruzione fattuale e gli elementi di prova specificati nelle sentenze di merito, se non attraverso il riscontro di evidenti vizi logici o di errori in diritto nel tessuto motivazionale della sentenza impugnata, nel caso insussistenti.4.2. Si può aggiungere che nella contestazione si accenna a cassoni collocati "anche nell'area pedonale", e rispetto a tale contestazione il Tribunale ha adeguatamente riscontrato che i detti cassoni erano collocati in maniera disordinata, sia nell'area pedonale che in quella di transito dei carrelli elevatori, in maniera tale da ostacolare la normale circolazione. Tale profilo di colpa è stato legittimamente ravvisato in rapporto al fatto in contestazione e ha formato oggetto di accertamento nel contraddittorio processuale, con conseguente insussistenza di ipotetiche lesioni del diritto di difesa degli imputati.

5. Il quinto motivo - con cui si deduce che la Corte territoriale non avrebbe esaminato le doglianze prospettate dal A.A. secondo cui, anche a voler ritenere che l'errato posizionamento dei cassoni sulla zona riservata al transito dei carrelli fosse esistente al momento dell'infortunio e ad esso causalmente riconducibile, la responsabilità non avrebbe dovuto essere attribuita a lui che è l'amministratore delegato della ditta, ma ai preposti che dovevano sorvegliare l'esecuzione delle lavorazioni nel reparto alluminio e far rispettare le disposizioni aziendali sul corretto posizionamento dei cassoni - è infondato.

5.1. In linea teorica è vero che la suddetta situazione potrebbe integrare una ipotesi di omessa vigilanza tipica del preposto, ma è anche vero che la validità di tale asserzione presuppone l'esistenza di un preposto specificamente incaricato del controllo richiesto. Ebbene, sul punto il Tribunale ha adeguatamente risposto, osservando che dagli atti acquisiti al giudizio non è emersa l'esistenza di alcuna delega all'esercizio dei poteri-doveri di vigilanza nei confronti di alcun preposto, se non quella ricevuta dallo stesso A.A. quale consigliere delegato alla sicurezza sul lavoro.

5.2. Ne discende che l'addebito di non avere distanziato e differenziato nell'ambiente di lavoro i percorsi destinati ai carrelli elevatori e quelli destinati ai pedoni, così come quello di non avere vigilato sull'osservanza delle disposizioni di corretto posizionamento dei cassoni nell'ambiente aziendale, configurano violazioni di regole cautelari che attengono (anche) alla fase esecutiva del lavoro. Come tali, esse rientrano normalmente nell'area di rischio gestita dalla figura del preposto, vale a dire del soggetto specificamente deputato all'obbligo di vigilare sull'osservanza delle misure di prevenzione adottate, mediante la previsione, da parte del datore di lavoro, di procedure che assicurino la conoscenza da parte del preposto delle attività lavorative effettivamente compiute e delle loro concrete modalità esecutive, in modo da garantire la persistente efficacia delle misure di prevenzione scelte a seguito della valutazione dei rischi (cfr. Sez. 4, n. 14915 del 19/02/2019, Rv. 275577 - 01). Tuttavia, in mancanza della nomina del preposto, il compito di vigilare sulla corretta osservanza delle disposizioni prevenzionistiche non può che gravare sul datore di lavoro, quale soggetto deputato per legge alla tutela della incolumità dei lavoratori. Del resto, l'onere gravante sulla parte datoriale di predisporre il documento di valutazione dei rischi comporta, come visto, la necessità di predisporre anche specifiche procedure di controllo e vigilanza delle misure di sicurezza adottate in funzione dei rischi oggetto di valutazione e prevenzione. Tali procedure, in assenza di soggetti specificamente preposti, non possono che incombere sul datore di lavoro che le ha predisposte, non essendo configurabili vuoti di tutela nel sistema di prevenzione degli infortuni sul lavoro delineato dal D.Lgs. n. 81 del 2008.

6. Il sesto motivo - con cui si deduce l'omesso esame della censura concernente la immotivata applicazione della pena detentiva in luogo di quella pecuniaria - è manifestamente infondato, atteso che la Corte territoriale ha accolto il motivo di gravame, operando la richiesta sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria.

7. Il settimo motivo - con cui si deduce la eccessività della pena irrogata è inammissibile, trattandosi di una censura che attiene al merito, a fronte di una sentenza che ha motivatamente accolto il motivo in punto di mancata conversione della pena detentiva nella corrispondente pena pecuniaria.

8. L'ottavo motivo - con cui si deduce l'erronea quantificazione della pena pecuniaria sostitutiva di quella detentiva, mediante applicazione del valore minimo (250 Euro al giorno) previsto dalla normativa dichiarata incostituzionale dal giudice delle leggi con sentenza n. 28/2022, che ha rideterminato in 75 Euro al giorno il valore minimo di conversione - è fondato, nei termini indicati dal ricorrente.

8.1. Difatti, la Corte costituzionale, nella sentenza dianzi indicata, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della L. n. 689 del 1981, art. 53, comma 2 (nella formulazione all'epoca vigente), nella parte in cui prevede che "(11 valore giornaliero non può essere inferiore alla somma indicata dall'art. 135 c.p. e non può superare di dieci volte tale ammontare", anzichè "(11 valore giornaliero non può essere inferiore a 75 Euro e non può superare di dieci volte la somma indicata dall'art. 135 c.p.". Con tale intervento, il giudice delle leggi aveva sostanzialmente ridotto, in via generale, a 75 Euro il valore giornaliero minimo di sostituzione delle pene detentive brevi, prendendo come parametro di riferimento la normativa di cui all'art. 459 c.p.p., comma 1 bis vigente (dal 3.8.2017) per le sostituzioni operate in sede di decreto penale di condanna.

8.2. Conseguentemente, la sentenza impugnata, nel considerare, per la sostituzione in disamina, il valore giornaliero minimo di 250 Euro (in luogo di quello corretto di 75 Euro), convertendo la pena detentiva in Euro 20.000 per A.A. ed Euro 15.000 per B.B., ha operato un calcolo erroneo in diritto, come tale meritevole di annullamento.

8.3. Va, peraltro, a questo punto segnalato che il recente D.Lgs. n. 150 del 2022 ha introdotto il nuovo art. 56-quater della L. n. 689 del 1981, vigente dal 30.12.2022, che ha ridotto ulteriormente il valore giornaliero minimo di sostituzione delle pene detentive brevi, portandolo a 5 Euro. La nuova disciplina prevede, fra l'altro, che il valore giornaliero di sostituzione debba essere determinato fra il minimo di 5 Euro e il massimo di 2.500 Euro, e che esso deve corrispondere "alla quota di reddito giornaliero che può essere impiegata per il pagamento della pena pecuniaria, tenendo conto delle complessive condizioni economiche, patrimoniali e di vita dell'imputato e del suo nucleo familiare". Si tratta di una tipica valutazione discrezionale che deve essere rimessa al giudice del rinvio, il quale provvederà ad operare la sostituzione sulla base della norma ritenuta più favorevole ai sensi dell'art. 2 c.p., comma 4.

9. Tirando le fila delle superiori considerazioni, la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente alla misura della sanzione pecuniaria sostitutiva, con rinvio, per nuovo giudizio sul punto, ad altra sezione della Corte di appello di Trieste, la quale si atterrà ai principi indicati. Nel resto i ricorsi devono essere rigettati.

 

P.Q.M.


Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla misura della sanzione pecuniaria sostitutiva e rinvia, per nuovo giudizio sul punto, ad altra sezione della Corte di appello di Trieste. Rigetta nel resto i ricorsi.

Così deciso in Roma, il 19 gennaio 2023.

Depositato in Cancelleria il 20 marzo 2023