Cassazione Penale, Sez. 4, 18 maggio 2023, n. 21144 - Amianto. Tumori asbesto-correlati


 



In caso di assoluzione per insussistenza del fatto o per non aver commesso il fatto di datori di lavoro dai reati di omicidio colposo o lesioni personali colpose in danno di lavoratori esposti ad amianto ovvero di prossimi congiunti, e colpiti da carcinoma polmonare, adeno-carcinoma polmonare, asbestosi, mesotelioma pleurico, placche pleuriche, ispessimenti pleurici, non incorre in vizio motivazionale il giudice che, affrontando l'impegno dell'accertamento della causalità individuale, abbia ritenuto attraverso una serie di argomenti logico giuridici puntuali e privi di fratture non utilizzabile in relazione al caso affrontato quella legge esplicativa di carattere generale che assume di adottare.


Nota a cura di Raffaele Guariniello, in ISL, 7/2023, pag. 403 "Sui tumori asbesto-correlati la Sez. IV non recede"


 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIAMPI Francesco Maria - Presidente -

Dott. BELLINI Ugo - rel. Consigliere -

Dott. PEZZELLA Vincenzo - Consigliere -

Dott. MARI Attilio - Consigliere -

Dott. DAWAN Daniela - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA



 

sul ricorso proposto da:

PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D'APPELLO DI TORINO;

nel procedimento a carico di:

A.A., nato a (Omissis);

B.B., nato a (Omissis);

C.C., nato a (Omissis);

D.D., (DECEDUTO) nato a (Omissis);

inoltre:

PARTI CIVILI:

MONTEFIBRE Spa ;

EDISON Spa (MONTEDISON Spa );

E.E. -DECEDUTO;

avverso la sentenza del 07/10/2021 della CORTE APPELLO di TORINO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere BELLINI UGO;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore MARINELLI FELICETTA che ha concluso chiedendo per l'annullamento senza rinvio per D.D. per morte; annullamento con rinvio per tutte le altre posizioni.

uditi i difensori:

E' presente l'avv. MARA LAURA del foro di BUSTO ARSIZIO in difesa della parti civili MEDICINA DEMOCRATICA-MOVIMENTO DI LOTTA PER LA SALUTE ONLUS e ASSOCIAZIONE ITALIANA ESPOSTI AMIANTO (A.I.E.A.) NAZIONALE. Il difensore deposita conclusioni e nota spese di cui chiede l'accoglimento.

L'avv. MARA LAURA è altresì presente in sostituzione degli avvocati D'AMICO LAURA e MATTALIA GIACOMO per le parti civili eredi di F.F. ved. G.G. più altri, nonchè della CAMERA DEL LAVORO TERRITORIALE CGIL del Verbano Cusio Ossola. Il difensore deposita conclusioni scritte di cui chiede l'accoglimento.

E' presente l'avv. CRIPPA LETIZIA del foro di ROMA per la parte civile I.N.A.I.L. Il difensore deposita conclusioni e nota spese di cui chiede l'accoglimento.

Per il responsabile civile EDISON Spa (MONTEDISON Spa ) è presente l'avv. PADOVANI TULLIO del foro di PISA che conclude per l'inammissibilità del ricorso per manifesta l'infondatezza.

Per l'imputato B.B. sono presenti gli avv.ti Sas SI CARLO e DELUCA MARCO entrambi del foro di Milano. I difensori concludono per l'inammissibilità del ricorso.

Per l'imputato A.A. sono presenti gli avv.ti ACCINNI GIOVANNI PAOLO e CENTONZE FRANCESCO entrambi del foro di MILANO. I difensori concludono per l'inammissibilità del ricorso.

Per gli imputati C.C. e D.D. sono presenti gli avv.ti DELUCA MARCO e BACCAREDDA BOY CARLO entrambi del foro di MILANO. I difensori concludono per l'inammissibilità del ricorso.



 

Fatto




1. La Corte di Appello di Torino, con sentenza in data 7 Ottobre 2021, ha confermato la decisione del Tribunale di Verbania che aveva assolto gli imputati A.A., B.B., C.C. e D.D. dai reati loro rispettivamente contestati, consistenti in plurime ipotesi di omicidio colposo e di lesioni personali colpose consistite in malattia professionale ai danni di dipendenti dello stabilimento di (Omissis) e, in due ipotesi, ai danni di prossimi congiunti di persone esposte all'amianto, derivanti da esposizione domestica e ambientale. In particolare l'assoluzione interveniva perchè "il fatto non sussiste" in relazione ai decessi e alle lesioni personali derivate da carcinoma polmonare, adeno-carcinoma polmonare ed asbestosi e "per non avere commesso il fatto" in relazione ai decessi e alle lesioni personali da mesotelioma pleurico, placche pleuriche ed ispessimenti pleurici.

2. Gli imputati erano chiamati a rispondere delle suddette violazioni per la posizione di garanzia assunta all'interno della azienda MONTEFIBRE Spa , in particolare A.A. quale componente del consiglio di amministrazione dal 7 Aprile 1972 al 9 Dicembre 1973, D.D. quale amministratore delegato dal 30 Aprile 1977 al 29 Giugno 1981 e successivamente quale presidente del consiglio di amministrazione dal 20 Giugno 1981 al 1988, C.C. e B.B. in qualità di direttori dello stabilimento di (Omissis) rispettivamente dal 28 Novembre 1975 al Novembre 1976 il primo a dal novembre 1976 al luglio 1983 il secondo. Era loro contestata la colpa generica e comunque di avere omesso accorgimenti e presidi organizzativi, tecnici, strutturali ed igienici, pure imposti dalla normativa prevenzionale specifica che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sarebbero valse a tutelare la integrità fisica dei prestatori di lavoro operanti all'interno del suddetto stabilimento; in particolare del D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, art. 377 commi 1 e 2, art. 387, nonchè del D.P.R. 19 marzo 1956, n. 303, art. 4, 19 e 21 in relazione ai rischi relativi alle malattie professionali, alla silicosi e all'asbestosi, omettendo di fornire mezzi personali di protezione appropriati al rischio dagli stessi ingenerato, sia per la esposizione diretta che per esposizione indiretta di inalazione di polveri-fibre di amianto, minerale diffusamente impiegato nel luogo di lavoro, in particolare per la coibentazione di tubazioni e rivestimenti e più in generale a protezione delle strutture degli impianti di produzione, omettendo di mettere a disposizione dei lavoratori maschere respiratorie e altri dispositivi di protezione idonei ovvero di esigerne l'effettivo impiego (ai sensi del D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, art. 4 lett. c), ed del D.P.R. 19 marzo 1956, n. 303, art. 4, lett. c) e d), non attuando le misure di igiene ivi previste e non rendendo i lavoratori edotti del rischio specifico di inalazione di polveri-fibre di amianto (D.P.R. 19 marzo 1956, n. 303, art. 4 lett. b)); omettendo di fare eseguire in ambienti separati le lavorazioni pericolose o insalubri allo scopo di non esporre senza necessità i lavoratori al rischio di inalazione delle sostanze nocive, non adottando le misure tecniche atte a impedire o a ridurre efficacemente e la dispersione e la diffusione nell'ambiente di lavoro delle polveri di amianto in relazione agli interventi che davano luogo alla formazione o alla dispersione di quelle polveri (interventi di de-coibentazione consistenti nella rottura, sfaldatura e rimozione dei rivestimenti in amianto); nè adottando e facendo adottare gli accorgimenti di cui al D.P.R. 19 marzo 1956, n. 303, art. 21 commi 2, 3 e 4, in relazione alle dimensioni e alla concentrazione nell'ambiente di polveri di amianto.

3. La motivazione della sentenza del giudice di primo grado si muove sul fronte del rapporto di causalità in relazione alle diversificate patologie che avevano colpito i lavoratori e, in relazione alle persone offese H.H. e I.I. i prossimi congiunti conviventi con soggetti (l'imputato C.C. e L.L.) esposti alla inalazione di fibre di amianto nell'ambiente di lavoro. Veniva appunto operata una distinzione tra le patologie che avevano nella relazione con le polveri-fibre di amianto una matrice sostanzialmente univoca (quali l'asbestosi, il mesotelioma pleurico e, in larga misura le placche pleuriche e gli inspessimenti della pleura), rispetto a patologie che, pur rientrando nel novero di malattie multifattoriali, dall'inalazione delle polveri di amianto sul luogo di lavoro avrebbero potuto ricevere un apporto sinergico rispetto a concorrenti fattori di induzione (precedenti o successive esperienze lavorative, tabagismo).

3.1 Il Tribunale di Verbania riportava partitamente tutti contributi scientifici offerti dai consulenti tecnici del pubblico ministero e delle parti private, massimi esperti del mondo scientifico in campo epidemiologico, biologico, nello studio delle malattie professionali, autori di pubblicazioni scientifiche in materia di patologie asbesto correlate, autori di studi di settore e di coorte in ambiente di lavoro e più in generale di approfondimenti a livello geografico-lavorativo nella individuazione degli ambienti lavorativi e professionali maggiormente esposti alle patologie asbesto correlate e, in relazione al Dott. M.M. medico chirurgo consulente del PM, esperto in cancerogenesi industriale il quale, presso l'Istituto Ramazzini aveva proceduto a studi sperimentali relativi alla somministrazione su animali di fibre di amianto.

3.2 Richiamate le relazioni depositate agli atti, le deposizioni rese in aula dai C.C.T.T. e la documentazione tecnico scientifica depositata, ravvisava una posizione di garanzia per ciascun imputato in relazione all'arco temporale in cui era stato investito di poteri apicali all'interno della società MONTEFIBRE, al fine del riconoscimento di una personale responsabilità per i decessi ovvero per le malattie professionali occorse ai lavoratori in coincidenza con l'assunzione di tale veste; riconosciuta una eziogenesi delle patologie riscontrate nelle persone offese certamente riconducibile alla inalazione di polveri di amianto con riferimento alle patologie pleuriche, e verosimilmente sinergica con altri fattori in relazione ai tumori polmonari, escludeva peraltro la ricorrenza del rapporto di causalità materiale tra le condotte ascritte agli imputati con le morti ovvero con le malattie professionali riscontrate sulla base di una valutazione fondata sulla causalità individuale, evidenziando la ricorrenza di concorrenti ed alternativi fonti di induzione (quanto ai tumori polmonari) e, in relazione al mesotelioma pleurico e alle altre sofferenze pleuriche (pleurite, inspessimenti, placche) l'assenza di una legge di copertura scientifica in grado di assicurare, in assenza di riscontri obiettivi, la riconducibilità dell'insorgenza della patologia alla posizione di garanzia dei singoli imputati.

3.3 In particolare veniva esaminata la questione, ampiamente dibattuta dalla scienza medica e trattata anche dalla giurisprudenza del Supremo collegio e da quella di merito, che assume invero rilievo fondamentale nel processo patologico del mesotelioma pleurico asbesto correlato, se la ricorrenza di una prolungata fase di latenza (anche oltre 40 anni dall'inizio della esposizione), consenta di formulare un giudizio di incidenza causale delle condotte omissive riconducibili ai titolari di obblighi di garanzia che avevano assunto la loro posizione in epoca significativamente successiva a quella in cui ha avuto inizio la esposizione di ciascun lavoratore poi colpito dalla patologia. Sul punto il giudice di primo grado evidenziava le criticità di una tesi scientifica che assume il processo patogenico come riconducibile ad un fenomeno multistadio fondato sul teorema "dose risposta" e cioè sulla rilevanza di tutto il periodo di esposizione dell'organismo alle nocive immissioni di amianto con il rischio di contrarre, sviluppare e rafforzare i processi invasivi e metastitici del mesotelioma pleurico, quantomeno in termini di accelerazione del meccanismo patologico ovvero di restringimento del periodo di latenza.

3.4 Assumeva in particolare che lo stato dell'arte sulla subiecta materia non consentiva di riconoscere rilievo di legge universale, ovvero di legge scientifica di rilievo probabilistico frutto di una ampia condivisione del mondo scientifico, alla teoria della dose dipendenza (nelle varie accezioni di dose-risposta e di dose-correlazione), che faceva derivare come corollario la teoria della equivalenza delle dosi ai fini dell'inveramento della patologia tumorale, riconoscendo rilevanza causale, quantomeno in termini di accelerazione del processo patogenico, anche alle esposizioni maturate in corso di progressione della trasformazione cellulare e a quelle successive al termine dell'induzione. Evidenziava che in assenza di una legge universale sul punto, non poteva farsi neppure riferimento ad una copertura scientifica su base epidemiologica, in grado di dimostrare come il perdurare dell'esposizione professionale sia in grado di anticipare la verificazione dell'evento morte, in quanto da un lato tali evidenze si limitano a dare conto della maggiore incidenza dell'evento letale in proporzione alla durata e alla intensità dell'esposizione limitatamente a studi di corte, ovvero su studi relativi a specificità professionali (per esempio minatori), e non ai lavoratori impegnati in ambienti quali quelli che vengono qui in considerazione e non sono neppure in grado di asseverare la ragione per cui il lavoratore sia morto in un dato momento, perchè è stato esposto più a lungo. Rilevava ancora che neppure potevano ritenersi concludenti i conforti di natura sperimentale, in quanto eseguiti con modalità differenti rispetto al caso umano laddove le cavie erano state trattate per via iniettiva e non anche per via inalatoria e comunque non ne era derivata una validazione dell'effetto acceleratore poichè il periodo di latenza, misurato in settimane, non era diminuito per la maggiore esposizione alla dose iniettata.

3.5 A fronte di tale incertezza scientifica in ordine al momento di completamento della fase di induzione del processo cancerogenetico, corrispondeva la incertezza sulla rilevanza causale della condotta di ogni singolo imputato rispetto all'evento lesivo per mesotelioma, tenuto conto che l'inizio della esposizione all'amianto dei singoli lavoratori deceduti per mesotelioma pleurico aveva preceduto di molti anni l'epoca in cui i singoli imputati avevano assunto cariche apicali all'interno dell'azienda e degli stabilimenti della società MONTEFIBRE. 3.6 Quanto alle contestazioni di lesioni colpose connesse a malattie professionali (placche pleuriche, pleuriti e ispessimenti pleurici) il giudice di primo grado, pure avendo constatato la intervenuta prescrizione delle fattispecie, in quanto clinicamente accertate tra gli anni 2008 e 2010 se non in epoca anteriore, nondimeno pronunciava assoluzione degli imputati nel merito per ragioni del tutto analoghe a quelle che avevano condotto all'assoluzione dei prevenuti in relazione alle morti per mesotelioma pleurico laddove, pure trattandosi di malattie direttamente correlate alla esposizione ad amianto e alla durata della stessa, di esse non era dato conoscere nè l'epoca di insorgenza, nè la dose eziologicamente rilevante, per cui non era possibile affermare, in assenza di leggi di copertura in termini causalmente rassicuranti, l'attribuzione delle malattie in oggetto alle condotte degli imputati.

3.6 Quanto ai due episodi di carcinoma polmonare (che aveva colpito i lavoratori G.G. e N.N.) il Tribunale di Verbania si poneva a valutare il prospettato effetto sinergico ai fini del processo cancerogenetico della combinazione dei fattori rappresentati dall'abitudine al fumo e dell'esposizione all'amianto. In relazione al lavoratore N.N. rilevava che la verifica della causalità individuale portava a dubitare fortemente della riconducibilità della patologia tumorale alla esposizione all'amianto, sia pure in termini sinergici, rispetto a fattori causali alternativi e concorrenti, in ragione della brevità del periodo di esposizione rispetto ad altre realtà professionali che pure avrebbero potuto esporlo a fattori patogeni (edilizia autostradale) e al tabagismo, trattandosi di forte fumatore, e, in relazione ad entrambi i lavoratori (anche il G.G. risultava essere stato un assiduo fumatore) poneva in rilievo che la esposizione all'amianto non era stata diretta, in quanto non erano impegnati in attività di coibentazione, che non vi erano evidenze di asbestosi, che non risultavano essere stati eseguiti studi epidemiologici presso lo stabilimento di Verbania, che l'esposizione combinata al tabacco e all'amianto costituiva un aumento di rischio in termini additivi alla cancerogenesi e che non ricorrevano leggi scientifiche in grado di consentire la risoluzione del problema causale della pluralità delle cause di riferimento ai tumori polmonari in grado di attribuire le la suddetta patologia a interazioni o sinergie tra i due fattori cancerogeni. Pronunciava pertanto assoluzione perchè il fatto non sussiste.

3.7 Quanto infine all'unica patologia di asbestosi (lavoratore O.O.) il Tribunale di Verbania, ritenuta la correttezza delle censure svolte dal consulente tecnico della difesa alle considerazioni del medico del lavoro, consulente tecnico del pubblico ministero, con particolare riferimento alla attendibilità degli esami radiografici, strumentali e spirometrici eseguiti sul paziente a partire dall'anno 2008 e in particolare sulla metodica seguita e sul rispetto degli standard ILO, escludeva la responsabilità dell'imputato per insussistenza del reato.

4. Avverso la sentenza del Tribunale di Verbania hanno proposto appello il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Verbania e le parti civili Medicina Democratica-Movimento per la lotta alla salute Onlus e l'Associazione Italiana Esposti Amianto Onlus.

4.1 Il Procuratore della Repubblica ha contestato l'esito assolutorio per non essere stato riconosciuto il rapporto di causalità materiale tra le condotte omissive e commissive ascritte ai prevenuti rispetto alle morti dei lavoratori colpiti da mesotelioma pleurico e da carcinoma polmonare, oltre che da asbestosi, con particolare riferimento ai criteri con cui aveva inteso interpretare il sapere scientifico in tema di eziopatogenesi delle patologie asbesto correlate, veicolato dai consulenti tecnici di parte, nonchè omesso di valutare la decisiva documentazione prodotta, in particolare dei documenti conclusivi dei Consensa, che costituivano la massima espressione dello stato del dibattito scientifico sulla incidenza della esposizione all'amianto sulla induzione e progressione del mesotelioma pleurico. Con distinte articolazione si doleva di una errata o omessa valutazione della rilevanza causale della esposizione all'amianto con riferimento a singoli lavoratori, in particolare G.G., per avere totalmente e immotivatamente svalutato le considerazioni del consulente tecnico di parte e di avere al contrario valorizzato le osservazioni del tecnico della difesa in relazione alla mancata effettuazione di "stime di esposizione cumulative", per essersi affidato a stime di misurazione delle esposizioni del tutto errate e per non avere riconosciuto la rilevanza causale esclusiva di un altro fattore, a fronte del rilievo sinergico della abitudine al fumo. Denuncia totale omissione di motivazione in relazione alla persona offesa P.P. la quale, pure deceduta per altra causa, era stata riscontrata affetta da mesotelioma pleurico. Lamenta infine una erronea valutazione delle emergenze processuali laddove ha ritenuto non plausibile la diagnosi di asbestosi per il lavoratore O.O.. Assume infine la omessa considerazione della posizione della persona offesa Q.Q., deceduto per placche ed ispessimenti pleurici.

4.1 Il Procuratore della Repubblica e le difese delle parti private hanno depositato memorie difensive ai sensi dell'art. 121 c.p.p.. Le parti civili hanno altresì depositato ampia documentazione scientifica.

5. La Corte di Appello di Torino preliminarmente escludeva di doversi procedere alla rinnovazione della istruttoria dibattimentale mediante l'assunzione di una perizia, riconoscendo di potere decidere allo stato degli atti e non ricorrendo ipotesi di erronea valutazione di una prova tecnica, bensì di mera critica al percorso logico giuridico del giudice di primo grado nel ritenere preferibile una determinata fonte probatoria rispetto ad un'altra. Le contrapposte tesi scientifiche erano state adeguatamente e diffusamente veicolate nel processo e interpretare secondo i canoni del giudizio penale, di talchè sarebbe risultato inutile disporre una perizia volta a confortare l'una o l'altra delle prospettazioni, in funzione di validazione del migliore sapere scientifico, tenuto conto dei limiti della scienza attuale circa l'influenza sul corpo umano dell'esposizione all'amianto laddove, in assenza di una legge di copertura che sia in grado di accertare il momento in cui il processo di induzione cancerogenetico si è perfezionato nelle patologie asbesto correlate, non è possibile prescindere dall'approfondito studio della causalità individuale per accertare la valenza causale delle condotte dei diversi imputati.

5.1 Quanto ai motivi di ricorso del Procuratore della Repubblica, la Corte di Appello di Torino ha escluso la rilevanza dimostrativa del metodo sperimentale sulle cavie al fine di superare i limiti del modello epidemiologico fondato su studi di coorte, sia in quanto il modello sperimentale si presta alle medesime censure che il mondo scientifico ha avanzato alla teoria della dose risposta, quando si è proposta di ricondurre l'effetto acceleratore dell'evento morte a tutte le esposizioni (e quindi alle dosi di amianto inalate), benchè successive al completamento della induzione della proliferazione di cellule tumorali, sia in quanto la metodica seguita non prevedeva l'inalazione, bensì la inoculazione del fattore patogeno.

5.1.1 In ogni caso, la sperimentazione operata presso l'istituto Ramazzini, seppure in una prospettiva di rafforzamento dell'evidenza epidemiologica, non era in grado di superare la prova logica, che spettava al giudice della cognizione di verificare ed escludere l'incidenza di fattori causali alternativi come nella patologie caratterizzate da una multifattorialità come per i tumori polmonari, in relazione ai quali il giudice di primo grado non aveva potuto pervenire ad un giudizio di colpevolezza in ragione della elevata propensione al fumo dei due lavoratori deceduti per tale patologia e la modestia dei tempi di esposizione all'amianto di uno dei due lavoratori (N.N.) e delle mansioni lavorative di entrambi che non li esponevano in maniera intensa e diretta al rischio relativo, nonchè per l'assenza di evidenze cliniche in grado di collegare la patologia di cui risultavano affetti a derivati dell'amianto. Riconosceva altresì la correttezza della motivazione della sentenza di primo grado in relazione alla patologia occorsa al lavoratore O.O., nella parte in cui aveva escluso l'affidabilità della diagnosi di asbestosi. Escludeva poi che una rilettura degli approdi scientifici cui si era addivenuti nelle conferenze tematiche tenutesi a Torino nel 2011 e a Bari nel 2015, potesse condurre a diversi risultati sul piano processuale, a fronte della esigenza di pervenire ad una verifica della causalità sul piano individuale, operazione che il primo giudice aveva compiuto in relazione alla progressione patologica sofferta dal lavoratore G.G., deceduto per carcinoma polmonare. In relazione al decesso di P.P., che si era ammalata di mesotelioma pleurico, valevano considerazioni analoghe a quelle svolte in via generale dal primo giudice in ordine alla impossibilità di ricondurre l'insorgenza della patologia, nel suo irreversibile percorso che culmina nella evidenza clinica, ad un momento preciso cui agganciare la posizione di garanzia rivestita da taluno degli imputati. Analoghe considerazioni andavano svolte in relazione alle persone offese O.O. e Q.Q. in relazione ai quali, pure a volere ritenere fondate le censure avanzate dalla pubblica accusa in ordine ai profili motivazionali della sentenza impugnata, era mancata la prova della causalità individuale a fronte di patologie pleuriche per cui rileva, ai fini della verifica del rapporto di causalità, l'esatta individuazione dell'insorgenza della patologia, non più reversibile, ovvero la rilevanza dell'ulteriore esposizione.

6. Avverso la sentenza della Corte di Appello ha proposto ricorso per la cassazione la Procura Generale presso la Corte di Appello di Torino prospettando un unico articolato motivo di ricorso con il quale assume violazione delle disposizioni delle norme (40 e 41 c.p.) che presiedono l'accertamento del rapporto di causalità materiale in relazione a quella parte della motivazione riservata all'esame dei motivi di impugnazione del P.M.. Deduce inoltre una carenza motivazionale in relazione a tutte le doglianze articolate in appello anche con riferimento alle specifiche posizioni di alcune persone offese rispetto alle quali si era denunciato una motivazione assente o carente.

6.1 Le critiche si concentrano innanzi tutto sulla preliminare valutazione del giudice di appello di non disporre una integrazione della istruttoria dibattimentale mediante l'assunzione della perizia sul presupposto della completezza dei contributi scientifici veicolati dai consulenti delle parti, laddove la stessa non avrebbe apportato nuovo sapere scientifico in grado di dirimere i contrasti sull'abbreviazione dei tempi di latenza della prolungata esposizione al fattore patogeno esistenti nel mondo scientifico, quanto piuttosto a validare una tesi piuttosto che un'altra, senza che un siffatto contributo potesse effettivamente costituire una nuova fonte di ispirazione per il giudizio di responsabilità, a fronte dei limiti comunque palesati dal dibattito tecnico sui modi e sui tempi di insorgenza del processo cancerogeno non più suscettibile di arresto. Richiamando i principi giurisprudenziali ormai condivisi (risalenti alla pronuncia Cozzini n. 43786/2010) era obbligo del giudice, fruitore e non creatore del sapere scientifico, attingere allo stesso per dirimere questione tecniche di difficile soluzione, potendo utilizzare, in mancanza di una legge di copertura universale, una prospettazione scientifica ampiamente condivisa, anche fondata su generalizzazioni esplicative, pure di carattere epidemiologico quando la stessa, per la serietà degli studi, la completezza delle indagini, il rispetto dei canoni di validazione e sottoposta a prove di falsificazione, per la identità, autorità e indipendenza del soggetto che gestisce la ricerca, sia in grado di attrarre un rilevante consenso nel mondo scientifico. Critica pertanto l'argomentare della corte di appello laddove aveva del tutto omesso di riconoscere rilievo ai numerosi studi richiamati dagli appellanti, ai "consensa" formulati nelle conferenze tematiche di studiosi ed esperti del settore, alle pubblicazioni e alle riviste scientifiche che avevano riconosciuto validità all'effetto acceleratore della esposizione all'amianto, in proporzione alla intensità e alla durata della stessa, determinando una maggiore incidenza dei casi mortali e conseguentemente, in relazione alla coorte oggetto di studio, una anticipazione dell'evento morte. Del tutto immotivata riteneva poi la svalutazione del dato sperimentale, pure sottoposto all'attenzione dei giudici di merito quale elemento di corroborazione del dato epidemiologico, ravvisando un vizio di motivazione apparente che si celava nella ritenuta necessità di procedere ad una valutazione fondata sull'analisi della causalità individuale laddove la valorizzazione della causalità generale era limitata ad un approccio civilistico fondato sull'assioma del "più probabile che non", trascurando che anche nel processo penale risulta indispensabile il doppio accertamento, sia deduttivo che induttivo che il giudice è chiamato a svolgere e che non è possibile procedere al giudizio predittivo se prima non si siano individuati gli antecedenti causali dell'evento mediante un giudizio esplicativo fondato su regole generali e generalizzazioni esplicative. Del tutto carente deve poi ritenersi la motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui, esclusa surrettiziamente la ricorrenza di una legge di copertura generale, su base probabilistica, idonea a spiegare compiutamente il meccanismo della insorgenza e della proliferazione del processo tumorale per esposizione all'amianto, si pone alla verifica della causalità individuale in relazione ai lavoratori colpiti da patologie asbesto correlate con riferimento alla individuali evidenze professionali, cliniche e di stile di vita, essendo mancata alcuna valutazione sul piano soggettivo-individuale e facendosi generico riferimento a fattori causali alternativi senza entrare nel merito delle singole storie professionali e della esposizione ad alternative fonti di rischio disapplicando principi generalmente acquisiti nella giurisprudenza di legittimità sulla necessità di individuare e valorizzare specificamente eventuali fattori alternativi di attivazione del processo cancerogenetico.

6.2 Tale vizio era particolarmente evidente con riferimento alle due ipotesi di tumore polmonare (lavoratori N.N. e G.G.) che il giudice distrettuale aveva esaminato come se le possibili cause di innesco della patologia (esposizione all'amianto e tabagismo) operassero in via alternativa e non, come evidenziato dagli esperti, in forma sinergica se non rafforzativa, nonchè nell'avere trattato le patologie asbesto correlate del mesotelioma pleurico e delle placche pleuriche, che invece integrano una malattia professionale, con gli stessi termini argomentativi, richiamando il periodo di latenza senza procedere ad alcuna caratterizzazione del caso concreto.

6.3 Con una distinta articolazione del medesimo motivo di ricorso il ricorrente lamenta la totale pretermissione da parte del giudice di appello delle critiche sollevate nei motivi di appello alle valutazioni operate dal Tribunale di Verbania in ordine alla diagnosi di "asbestosi" formulata nei confronti del lavoratore O.O., riportando altri stralci del contraddittorio dibattimentale da cui emergeva che il consulente tecnico della difesa, le cui argomentazioni tecniche erano state accolte dal giudice di merito, non aveva visionato reperti radiografici essenziali per la formulazione della diagnosi.

6.4 Con ulteriore articolazione si criticano le considerazioni svolte dalla Corte di Appello con riferimento alla patologia tumorale occorsa al lavoratore G.G. rispetto alla quale i giudici di merito avevano riconosciuto la impossibilità di ricondurla alla lunga esposizione all'amianto, in presenza di altro fattore patogenetico (abitudine al fumo), assenza di evidenze cliniche, mancanza di uno studio di settore e bassa intensità della esposizione, rappresentando la totale pretermissione dei contributi tecnici del consulente del pubblico ministero, Dott. R.R , in ordine agli studi scientifici sulla combinazione tra esposizione all'amianto e fumo ai fini dell'insorgenza del mesotelioma e di tutte le ulteriori considerazioni, compresa quella relativa alle stime cumulative di settore, che deponevano per il riconoscimento della causalità individuale.

6.5 In relazione alle posizioni che avevano già formato oggetto di censura in appello relative alla insorgenza di malattie professionali ai lavoratori Q.Q. e al prossimo congiunto di uno degli imputati (P.P.) riconosceva una sostanziale rinuncia alla impugnazione delle statuizioni assolutorie, per carenza di interesse trattandosi di reati di lesioni colpose, ormai prescritte.

7. Hanno depositato memorie difensive la difesa della parte civile Medicina Democratica, argomentando nella prospettiva dell'accoglimento del ricorso e la difesa di MOLTEFIBRE s.p.a in fallimento concludendo per la pronuncia di inammissibilità del ricorso.

 



Diritto
 



1. La Corte di appello è pervenuta a confermare la pronuncia assolutoria degli imputati che aveva esaminato i profili della causalità generale e della ricorrenza di leggi scientifiche idonee a corroborare la prospettazione accusatoria in termini di accelerazione all'evento per tutto il tempo di esposizione del lavoratore all'amianto, a fronte di cicli lavorativi che avevano avuto inizio almeno 15-20 anni prima che gli odierni imputati assumessero vesti apicali all'interno della società Multifibre, a fronte di patologie che si erano manifestate dopo oltre trent'anni dalla cessazione dell'esposizione sul luogo di lavoro. Esclusa la ricorrenza di una legge universale, ovvero di una teoria scientifica ampiamente condivisa che riconoscesse, quantomeno a livello statistico probabilistico, la plausibilità e l'affidabilità della teoria dell'effetto acceleratore, i giudici di merito escludevano la ricorrenza della causalità materiale a seguito di una valutazione della causalità individuale in relazione alle patologie tumorali multi fattoriali ovvero, in relazione a quelle certamente collegate alla esposizione all'amianto, in ragione della brevità e della scarsa intensità delle esposizioni presso il luogo di lavoro della società Multifibre, tenuto conto delle possibili concorrenti occasioni di esposizione lavorativa al fattore patogeno, rigettando al contempo l'istanza di rinnovazione dibattimentale. Dava quindi atto delle discordi tesi scientifiche portate nel processo rispettivamente dai consulenti tecnici del P.M. e da quelli degli imputati, in ordine alla relazione tra l'insorgenza e la progressione della malattia e la durata dell'esposizione professionale all'agente cancerogeno (mentre condivisa è la tesi della relazione di proporzionalità tra frequenza di malattia e intensità della dose) e della valenza eziologica di tutte le esposizioni; dell'esistenza del cd. effetto acceleratore, ovvero di una relazione di proporzionalità inversa tra dose cumulativa (concetto che fa riferimento insieme alla intensità e alla durata della esposizione) e latenza, tale che all'aumentare della dose o della durata dell'esposizione diminuisce la latenza della malattia. Concludeva quindi la Corte di appello nel senso della persistente incertezza scientifica al riguardo della incidenza della durata dell'esposizione sull'incremento di frequenza della malattia, fermo restando che anche a ritenere acquisita siffatta relazione se ne sarebbe potuto inferire unicamente un aumento del rischio di ammalarsi e non la prova rispetto alla singola malattia; manifestava la impossibilità di escludere, in presenza di diversi periodi di esposizione corrispondenti a diversi imputati, che le esposizioni intervenute prima dell'assunzione delle posizioni di garanzia fossero state da sole sufficienti a innescare la malattia e a determinare la morte o la malattia professionale, stante l'assenza di adeguate e condivise conoscenze circa l'inizio, le cadenze evolutive e la fine del processo morboso.

2.1 In particolare afferma il collegio distrettuale che la teoria dell'effetto acceleratore non rappresenta, allo stato dell'arte, una legge statistico-probabilistico e non fornisce nel mondo scientifico una condivisa dimostrazione dell'esistenza di tale effetto; sotto diverso profilo ha escluso il rapporto di rapporto di causalità a seguito di una meditata e non illogica verifica in relazione ai singoli casi controversi, in presenza di fattori causali alternativi (preesistenti esposizioni, cause concorrenti dotate di maggiore rilevanza eziologica, come il tabagismo, assoluta incertezza sulla natura della patologia contratta dal dipendente O.O.).

3. Ciò premesso, il ricorso si appalesa inammissibile.

4. Giova rammentare che secondo la previsione dell'art. 608 c.p.p., comma 1-bis, inserita dalla L. 23 giugno 2017, n. 103, art. 1, comma 69, il pubblico ministero, nel caso di cd. "doppia conforme assolutoria", può proporre ricorso per cassazione solo per i motivi di cui all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. a), b) e c) e, pertanto è escluso il ricorso per vizio di motivazione (lett. e)). In assenza di una disciplina transitoria, tale disciplina è stata ritenuta applicabile ai ricorsi la cui data di presentazione è successiva all'entrata in vigore della predetta disposizione, atteso che è con la presentazione dell'impugnazione che si determina il momento in cui matura l'aspettativa del ricorrente alla valutazione di ammissibilità dell'impugnazione (Sez. 3, n. 54693 del 04/10/2018, Rv. 274132). Nel caso di specie la sentenza impugnata è stata emessa il 7 Ottobre 2021; il ricorso è stato depositato il 18 Maggio 2022, dopo l'entrata in vigore della L. n. 103 del 2017 (3.8.2017). La nuova disciplina non propone profili di dubbia costituzionalità; come è stato considerato, la limitazione alla sola violazione di legge della ricorribilità per cassazione della sentenza d'appello confermativa della decisione di proscioglimento da parte del pubblico ministero trova ragionevole giustificazione, nell'ambito delle scelte discrezionali riservate al legislatore: nell'esigenza di deflazione del giudizio di legittimità; nell'ontologica differenza di posizione delle parti processuali, giustificativa, nei limiti della ragionevolezza e della proporzionalità, di un'asimmetrica distribuzione delle facoltà processuali e di una diversa modulazione dei rispettivi poteri d'impugnazione; nella presunzione di non colpevolezza dell'imputato, stabilizzata dall'esito assolutorio di due gradi di giudizio; nella pienezza del riesame del merito consentito dal giudizio di appello; nell'esigenza di non dilatare i tempi di definizione del processo per l'imputato, assicurandone la ragionevole durata e la stabilizzazione del giudizio di non colpevolezza. (Sez. 6, n. 5621 del 11/12/2020, dep. 2021, Rv. 280631, che ha escluso ricorrano le condizioni per una denuncia della previsione al Giudice delle leggi in relazione agli artt. 111 e 112 Cost.). Per contro, la giurisprudenza ha cominciato a delineare i precisi contorni della limitazione, escludendo che essa comprenda il caso di sentenza di inammissibilità dell'appello ritenuto non conforme alle prescrizioni dell'art. 581 c.p.p., trattandosi di una pronuncia "in rito" che non può essere equiparata ad una sentenza di proscioglimento (Sez. 1, n. 8549 del 03/12/2019, dep. 2020, Rv. 278626); ed escludendo, altresì, che si applichi anche al ricorso della parte civile (Sez. 5, n. 5697 del 18/01/2019, Rv. 275136) In termini del tutto analoghi si è pronunciata questa sezione con sentenza n. 6561 del 8/11/2021 depositata il 16/02/2023, PG Milano/Cenzato/Ansaldo).

5. Orbene, nel caso che occupa, va in primo luogo rilevato che la (sola) titolazione del motivo di ricorso evoca in modo erroneo la violazione di legge chiamando in causa gli artt. 40 e 41 c.p., ovvero una totale assenza di motivazione rilevante ai sensi dell'art. 125 c.p.p., comma 3, in relazione ad una riconosciuta mancanza di confronto sulle doglianze formulate nei motivi di appello dal rappresentante della pubblica accusa. In realtà i motivi di impugnazione, al di là della formula utilizzata per delineare il vizio contestato, si concentrano su un difetto di motivazione con riferimento alla esclusione del rapporto di causalità materiale tra l'esposizione e le patologie sofferte dalle persone offese.

5.1 Invero già dall'incipit del relativo motivo di ricorso (pag.11 primo capoverso) appare palese il vulnus della sentenza impugnata di cui il ricorrente denuncia la ricorrenza al giudice di legittimità, così da affermare "il percorso motivazionale qui censurato appare ancora più contrastante con le regole ermeneutiche che dovrebbero presiedere all'accurata verifica, assegnata al giudice di merito, sui presupposti dell'accertamento del nesso di condizionamento" e a pag. 13 si stigmatizza "la lacunosa trama argomentativa", tesa a escludere la nota relazione lineare fra dosi di cangerogeno inalate continuativamente e risposta neoplastica. "La motivazione è dunque già in questo delicato passaggio iniziale del percorso giustificativo, totalmente carente, se non assente" (pag.14). Alla sentenza impugnata viene poi ascritta una "visione non condivisibile della prospettiva di ricostruzione del processo logico-giuridico attraverso il quale si dovrebbe procedere...alla verifica del rapporto di causalità" (pag.19) nonchè la a-specificità dell'intero ragionamento del giudice distrettuale e il mancato confronto (reale) con le ragioni esposte nell'atto di appello del Pubblico Ministero (pag.22 e 28), in relazione alla rilevanza degli studi sperimentali (pag.13), al potenziamento reciproco fumo/amianto (pag.28), alla mancata valorizzazione della portata delle consensus conferences (pag.35) e alla specialistica valutazione della neoplasia che ha condotto a morte G.G. (pag.43) e determinato la malattia professionale di O.O. nella parte in cui aveva riconosciuto più attendibili le valutazioni operate dal consulente tecnico della difesa (pag.34).

6. Ciò posto, il ricorso, le cui ragioni di doglianza sono state riportate quasi integralmente, è articolato su ripetute prospettazioni meramente avversative alle argomentazioni dei giudici di merito, unico essendo il punto che può con qualche verosimiglianza dare corpo ad una censura motivazionale; ovvero l'aver applicato erroneamente il giudizio causale: ciò si traduce però nella manifesta illogicità della motivazione. Vizio che non poteva essere dedotto ai sensi dell'art. 608 c.p.p., comma 1 bis e che comunque risulta del tutto assente, essendo piuttosto il ricorso animato da un assunto erroneo, ovvero che la Corte di appello abbia finito per il negare, affrontando l'impegno dell'accertamento della causalità individuale, proprio quella legge esplicativa di carattere generale che il giudice distrettuale ha ritenuto non utilizzabile, quantomeno in relazione al caso in oggetto, attraverso una serie di argomenti logico giuridici puntuali e privi di fratture.



 

P.Q.M.
 



Dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, il 2 marzo 2023.

Depositato in Cancelleria il 18 maggio 2023