Cassazione Civile, Sez. Lav., 18 settembre 2023, n. 26741 - Accertamento del lavoro domestico: lavoro straordinario, riposo settimanale e tfr



 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Lucia - Presidente -

Dott. GARRI Fabrizia - Consigliere -

Dott. RIVERSO Roberto - Consigliere -

Dott. MICHELINI Gualtiero - Consigliere -

Dott. BOGHETICH Elena - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA



sul ricorso 35098-2018 proposto da:

M.M., W.W., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA GIORGIO MORPURGO 16, presso lo studio dell'avvocato ALESSANDRA BETTONI, rappresentati e difesi dagli avvocati MARIA RITA DI TRAPANI, FABRIZIO SALBERINI;

- ricorrenti -

contro

A.H., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FILIPPO CORRIDONI 19, presso lo studio dell'avvocato GIANDOMENICO DE FRANCESCO, rappresentato e difeso dall'avvocato ALESSANDRO BARACETTI;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 52/2018 della CORTE D'APPELLO di TRENTO, depositata il 26/07/2018 R.G.N. 4/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/07/2023 dal Consigliere Dott. FABRIZIA GARRI.
 

 

Fatto


1. La Corte di Appello di Trento ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa città con la quale era stata accertata l'esistenza di un rapporto di lavoro domestico tra A.H. e B.E., quale assistente non formato a persone non autosufficienti livello C super del c.c.n.l., ed erano stati condannati gli eredi e odierni ricorrenti M.M. e W.W. a pagare la somma di Euro 40.908,19 oltre accessori a titolo di lavoro straordinario, mancato riposo settimanale e t.f.r..

2. La Corte territoriale ha ritenuto legittimati i signori D.D., eredi del datore di lavoro, e ammissibile l'appello ex art. 436 bis e 348 bis c.p.c. oltre che rispettoso del principio di specificità ex art. 434 c.p.c.. Quindi, sulla base delle dichiarazioni rese dal teste F.F., medico curante del E.E., ha confermato l'esistenza del rapporto di lavoro nei termini dedotti avendo ritenuto inverosimile la diversa ricostruzione degli eredi in termini di saltuarietà del rapporto e di disponibilità e mera benevolenza del lavoratore nei confronti di un ultraottantenne in cambio della sola ospitalità. Presunto il carattere oneroso della prestazione, il giudice di appello ha ritenuto che fosse onere degli eredi del datore di lavoro, che non vi avevano adempiuto, provare la gratuità delle prestazioni rese. Inoltre, la Corte di merito ha aderito ai conteggi depositati in giudizio dal lavoratore, elaborati dalla Fiscat Cisl, tenuto conto del fatto che non erano stati specificatamente contestati e che erano stati redatti sulla base di un orario compatibile con l'assistenza da prestare a persona invalida al 100%.

3. Per la cassazione della sentenza hanno proposto tempestivo ricorso M.M. e W.W. affidato a quattro motivi. A.H. ha resistito con tempestivo controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative. Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell'ordinanza nei successivi sessanta giorni.

 

Diritto


4. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione del principio costituzionale di reciprocità. La violazione e falsa applicazione dell'art. 16 delle preleggi e degli artt. 20-25 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea e degli artt. 459 e ss. c.c.. Ad avviso dei ricorrenti il lavoratore, che si era di sua iniziativa posto a disposizione dell'anziano padre dei ricorrenti, non poteva ottenere per ciò solo un trattamento economico riferito automaticamente ai contratti collettivi nazionali e comunitari. Deducono che la fattispecie era disciplinata, nell'ambito del diritto nazionale dettato per gli stranieri dall'art. 16 delle preleggi. Pertanto, il diritto era condizionato all'esistenza di una condizione di reciprocità di tal che il godimento dei diritti civili da parte del cittadino straniero può essere applicato solo ove questi benefici nel paese di provenienza di un identico trattamento. Rilevano che la Corte territoriale avrebbe trascurato di considerare tale aspetto e sottolineano che era onere dell'originario ricorrente, cittadino straniero, dimostrare l'esistenza di tale precondizione. Sostengono che diversamente lo Stato italiano avrebbe rinunciato alla propria sovranità in tale specifico settore al di fuori delle previsioni dell'art. 11 Cost. e che invece legittimamente dovrebbe essere negato allo straniero ciò che non gli viene riconosciuto nel paese di origine. Deducono che la sentenza non avrebbe dato "qualche certezza sulla legittimità della propria giurisdizione, ovvero sulla fonte della titolarità dei diritti reclamati dall'C.C. e quindi sulla legalità della sua legittimazione attiva". In conclusione, ritengono che lo Stato italiano possa garantire al lavoratore straniero eventuali diritti nei confronti dei cittadini italiani limitatamente all'applicazione dell'art. 16 delle preleggi nel quadro dell'eventuale reciprocità nei rapporti con la confederazione Russa. Chiedono che la Corte sollevi la questione pregiudiziale alla CGUE, ai sensi dell'art. 267 del TFUE, sostenendo che si debba accertare se al cittadino extracomunitario siano riconosciuti o meno automaticamente i diritti attribuiti ai cittadini dell'Unione Europea, a cominciare dalla previdenza e assistenza, ovvero se in ogni singolo stato il giudice nazionale debba risolvere la vicenda giudiziaria ricorrendo esclusivamente alle disposizioni della legislazione nazionale e dunque all'art. 16 delle preleggi e alla condizione di reciprocità. In sostanza chiedono che la Corte di Giustizia stabilisca se il cittadino extracomunitario debba essere equiparato ai cittadini dell'Unione Europea per quanto concerne la normativa applicabile al suo status giuridico.

5. Con il secondo motivo di ricorso si deduce che con riguardo al denunciato difetto di legittimazione passiva dei ricorrenti, punto essenziale della controversia, la motivazione della sentenza sarebbe del tutto mancante. Rammentano i ricorrenti che a fondamento dell'eccezione svolta era stato dedotto che la conoscenza del cosiddetto badante del loro genitore era stata del tutto occasionale tenuto conto del fatto che era stato provato che nel periodo controverso essi non avevano mai risieduto con il genitore. Sostengono poi che in qualità di chiamati all'eredità e sull'asse indiviso avevano contrastato la pretesa creditoria nel periodo intercorrente tra l'apertura della successione e l'accettazione dell'eredità e che, tuttavia, non erano mai divenuti eredi non avendo accettato l'eredità. Sostengono perciò che non avrebbero potuto essere condannati al pagamento delle somme accertate in giudizio. Inoltre, si dolgono dell'interpretazione data dalla Corte territoriale alla testimonianza del medico curante del loro genitore, il quale non poteva riferite del complessivo rapporto e dell'orario prestato, ma solo di quanto poteva aver direttamente constatato nei limiti in cui era stato interpellato ed era dunque presente. Osservano poi che la Corte di appello nel riconoscere l'incidenza dello straordinario sul T.F.R. non avrebbe tenuto conto del fatto che tale compenso può rilevare a tal fine solo laddove si accerti che sia prestato in maniera continuativa.

6. Infine chiedono alla Corte di sollevare la questione di costituzionalità della L. 21 giugno 2013 numero 69 convertita in L. 9 agosto 2013 numero 98 relativamente alla composizione del Collegio della Corte di appello da parte di un consigliere ausiliario incaricato, per di più, della relazione della causa.

7. Il ricorso non può essere accolto.

8. Preliminarmente va ricordato che con la sentenza della Corte Cost. n. 41 del 2021 è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale delle disposizioni, contenute nel D.L. n. 69 del 2013 (convertito con modificazioni nella L. n. 98 del 2013), che conferiscono al giudice ausiliario di appello lo "status" di componente dei collegi nelle sezioni delle Corti di appello ma si è chiarito che queste possono legittimamente continuare ad avvalersi dei giudici ausiliari, fino a quando, entro la data del 31/10/2025, si perverrà ad una riforma complessiva della magistratura onoraria. Ne consegue che, fino a quel momento, l'attuale assetto è stato ritenuto tollerabile dalla Corte costituzionale, seppur temporaneamente, al fine di evitare l'annullamento delle decisioni pronunciate con la partecipazione dei giudici ausiliari e per non privare immediatamente le Corti di appello dei giudici onorari così da ridurre l'arretrato nelle cause civili (cfr. in termini Cass. n. 32065 del 2021). Ne consegue che cadendo la decisione impugnata nell'arco temporale individuato essa non solo non si espone ad alcuna censura di nullità ma inoltre non occorre sollevare, come richiesto, la questione di legittimità costituzionale, che è stata già scrutinata.

9. La censura con la quale si contesta la legittimazione dei ricorrenti, il cui esame è logicamente preliminare alla verifica della fondatezza o meno della pretesa, è infondata.

9.1. E' vero che nel giudizio instaurato nei confronti di pretesi eredi per il pagamento di debiti del de cuius, incombe su chi agisce, in applicazione del principio generale contenuto nell'art. 2697 c.c., l'onere di provare l'assunzione da parte del convenuto della qualità di erede, che non può inferirsi dalla mera chiamata alla eredità, non essendo prevista alcuna presunzione in tal senso, ma consegue solo all'accettazione dell'eredità, espressa o tacita, la cui ricorrenza rappresenta un elemento costitutivo del diritto azionato nei confronti del soggetto evocato in giudizio nella sua qualità di erede (Cass. 22/02/1988 n. 1885) e tuttavia la parte chiamata deve tempestivamente dichiarare di essere solo chiamato e non aver accettato. Nel caso in esame la Corte territoriale, con accertamento di fatto a lei riservato, ha chiarito in primo luogo che l'azione era stata proposta nei confronti dei due figli del datore di lavoro in ragione della loro qualità di eredi del de cuius - e non quali familiari coabitanti ai sensi dell'art. 39 del c.c.n.l. di categoria - ed ha del pari accertato che questi avevano accettato l'eredità senza beneficio di inventario. Nessun vizio di carenza di motivazione è ravvisabile visto che la Corte ha dato conto delle ragioni per le quali ha ritenuto legittimati i due eredi. La motivazione c'è ed è basata su un accertamento di fatto che in questa sede non è censurabile se non nei limiti in cui ancora può essere denunciato un vizio di motivazione nella specie neppure dedotto.

9.2. Peraltro, dalla lettura della sentenza non è dato comprendere come dove e quando sia stata tempestivamente contestata la qualità di eredi dei due odierni ricorrenti, ed il ricorso sul punto è generico poichè non chiarisce in che termini la specifica questione sia stata tempestivamente sollevata già davanti al giudice di primo grado e poi reiterata in appello. Ciò che emerge è invece che la contestazione aveva riguardato piuttosto l'essere familiari coabitanti ai fini dell'applicazione dell'art. 39 c.c.n.l. lavoro domestico, circostanza che prescinde del tutto dalla contestazione di aver assunto la qualità di eredi.

10. Quanto alla dedotta violazione dell'art. 16 delle disp. gen. (cc.dd. preleggi) sulla condizione di reciprocità rileva il Collegio che tale disposizione è applicabile solo in relazione ai diritti non fondamentali della persona dal momento che i diritti fondamentali riconosciuti dalla Costituzione non possono essere limitati da tale articolo. Ne consegue che la relativa tutela deve essere assicurata, senza alcuna disparità di trattamento, a tutte le persone, indipendentemente dalla cittadinanza (italiana, comunitaria ed extracomunitaria) (cfr. Cass.07/05/2009 n. 10504). 10.1. E' stato condivisibilmente affermato da questa Corte che "il principio di reciprocità non riguarda qualsiasi diritto rivendicato dallo straniero. Sono esclusi dal suo ambito applicativo, in primo luogo, i diritti che la Costituzione repubblicana e le Carte internazionali attribuiscono ad ogni individuo per la sua stessa qualità di persona umana. I diritti inviolabili e le libertà fondamentali, infatti, hanno il predicato dell'indivisibilità, e spettano ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto essere umani (Corte Cost., sentenza n. 105 del 2001): pertanto, proprio nella prospettiva dell'universalità della persona umana, chiunque, senza distinzione tra cittadino e straniero, e senza distinzione tra straniero regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato e straniero privo di un titolo o di un permesso di soggiorno, ne è titolare.

Su questa base, e considerata la valenza di principio contenuta nel testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina sull'immigrazione e norme sulla condizione giuridica dello straniero, approvato con il D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 2, comma 1, (ai cui sensi "Allo straniero comunque presente alla frontiera o nel territorio dello Stato sono riconosciuti i diritti fondamentali della persona umana previsti dalle norme di diritto interno, dalle convenzioni internazionali in vigore e dai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti"), la giurisprudenza di questa Corte - dando continuità e suggello ad orientamenti emersi presso i giudici di merito già prima della citata riforma legislativa del 1998 - ha chiarito che l'art. 16 preleggi sulla condizione di reciprocità è applicabile solo in relazione ai diritti non fondamentali della persona, dal momento che i diritti fondamentali, come quelli alla vita, all'incolumità ed alla salute, siccome riconosciuti dalla Costituzione, non possono essere limitati da tale articolo, con la conseguenza che la relativa tutela deve essere assicurata, senza alcuna disparità di trattamento, a tutte le persone, indipendentemente dalla cittadinanza (italiana, comunitaria ed extracomunitaria) (Sez. 3, 7 maggio 2009, n. 10504). In questa prospettiva, si è ulteriormente precisato che la citata disposizione, nella parte in cui subordina alla condizione di reciprocità l'esercizio dei diritti civili da parte dello straniero, pur essendo tuttora vigente, deve essere interpretata in modo costituzionalmente orientato, alla stregua dell'art. 2 Cost., che assicura tutela integrale ai diritti inviolabili, sicchè allo straniero, sia o meno residente in Italia, è sempre consentito (a prescindere da qualsiasi condizione di reciprocità) domandare al giudice italiano il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale derivante dalla lesione, avvenuta in Italia, di diritti inviolabili della persona (quali il diritto alla salute e ai rapporti parentali o familiari), sia nei confronti del responsabile del danno, sia nei confronti degli altri soggetti che per la legge italiana siano tenuti a risponderne, ivi compreso l'assicuratore della responsabilità civile derivante dalla circolazione di veicoli o il fondo di garanzia per le vittime della strada (Cass., Sez. 3, 11 gennaio 2011, n. 450). Del resto, già nel 1988, le Sezioni Unite di questa Corte avevano affermato (con la sentenza 4 marzo 1988, n. 2265) che, con riguardo alla prestazione lavorativa effettuata in Italia, il diritto del lavoratore straniero a norma dell'art. 36 Cost. alla retribuzione proporzionata al lavoro svolto ed adeguata ai bisogni personali e della sua famiglia, nonchè il diritto al riposo e alle ferie, non trova deroga con riguardo al disposto dell'art. 16 preleggi." (cfr. Cass. 21/03/2013 n. 7210). La fattispecie in esame rientra nell'ambito di applicazione dell'art. 36 della Costituzione che stabilisce il diritto del lavoratore a ricevere una retribuzione che sia proporzionata alla quantità e qualità del lavoro svolto ed il riferimento al contratto collettivo rappresenta solo parametro da utilizzare per la liquidazione dell'equa retribuzione spettante.

10.2. Alla luce delle esposte considerazioni e dell'interpretazione costituzionalmente orientata dei principi in materia di "condizione di reciprocità", non si ravvisano le condizioni per disporre un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea per stabilire quale sia la normativa applicabile allo status giuridico del cittadino straniero extra comunitario e se esso debba essere equiparato al cittadino dell'Unione Europea. Premesso che non sono stati evidenziati orientamenti diversi da quello cui aderisce questo giudice e letture di segno diverso, va rammentato che l'obbligo di rinvio pregiudiziale per il giudice di ultima istanza viene meno, tra l'altro, qualora la corretta applicazione del diritto comunitario si imponga con tale evidenza da non lasciar adito a ragionevoli dubbi. L'eventualità del rinvio deve essere valutata in funzione delle caratteristiche proprie del diritto comunitario, delle particolari difficoltà che la sua interpretazione presenta e del rischio di divergenze di giurisprudenza all'interno della Comunità, tutte circostanze che nella specie non sono ravvisabili (cfr. C.G.U.E. 6 ottobre 1982 Srl Cilfit e Lanificio di Gavardo Spa contro Ministero della Sanità e 6 ottobre 2021 C-561/19 Consorzio Italian Managment).

11. In conclusione, per le ragioni esposte, il ricorso deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell'art. 13 comma 1 bis del citato D.P.R. n., se dovuto.

 

 

P.Q.M.
 

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio che si liquidano in Euro 4500,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori dovuti per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell'art. 13 comma 1 bis del citato D.P.R. n., se dovuto.

Così deciso in Roma, il 12 luglio 2023.

Depositato in Cancelleria il 18 settembre 2023