Cassazione Civile, Sez. 3, 02 ottobre 2023, n. 27804 - Aggredita dal cane durante la prova ed il colloquio di lavoro



 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCARANO Luigi Alessandro - Presidente -

Dott. SESTINI Danilo - Consigliere -

Dott. RUBINO Lina - Consigliere -

Dott. IANNELLO Emilio - Consigliere -

Dott. AMBROSI Irene - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
 


sul ricorso iscritto al n. 6559/2020 R.G. proposto da:

A.A., rappresentata e difesa dall'avv. Enrico L. Battagliese, giusta procura in calce al ricorso, elettivamente domiciliati in ROMA presso lo studio dell'avv. Tiziana Pugliese, via Fani n. 106;

- ricorrente -

contro

B.B., e C.C., rappresentati e difesi dall'avv. Massimo Zanetti, giusta procura in calce al ricorso, legalmente domiciliati in ROMA presso la Cancelleria della Corte di cassazione, piazza Cavour;

- resistenti -

e C.C.;

- ricorrente incidentale - nonchè contro

UNIPOLSAI ASSICURAZIONI Spa in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Vincenzo Paltrinieri, giusta procura in calce al ricorso, legalmente domiciliati in ROMA presso la Cancelleria della Corte di cassazione, piazza Cavour;

- resistente -

avverso la sentenza n. 4928/2019 della Corte di appello di Milano, pubblicata il 10/12/2019;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/04/2023 dalla Consigliera Dott. Irene Ambrosi.

 

Fatto

1. A.A. conveniva dinanzi al Tribunale di Milano, B.B. ed il figlio di quest'ultima, C.C., affinchè, previo accertamento della responsabilità dei convenuti ex artt. 2052 e 2055 c.c., venissero condannati a risarcirle i danni derivatile in conseguenza dell'aggressione subita da parte del cane dei convenuti in data (Omissis), mentre si trovava nel loro appartamento per effettuare un colloquio ed una prova di stiratura per una possibile assunzione come collaboratrice domestica, danni che quantificava nella somma di Euro 9.400,18 o in quella maggiore o minore da accertarsi. Si costituivano B.B. ed il figlio di quest'ultima, C.C., i quali eccepivano, in via pregiudiziale, la improcedibilità della domanda per mancata proposizione di essa entro il termine decorrente dalla mancata accettazione dell'invito a concludere la negoziazione assistita, nonchè per carenza di legittimazione della B.B., non essendo la stessa proprietaria del cane che risultava di proprietà di suo figlio C.C.; nel merito, chiedevano il rigetto della domanda in quanto responsabile dell'accaduto doveva ritenersi la stessa A.A. che mentre stirava, veniva vista da C.C. spruzzare con il ferro da stiro, vapore, sul muso del cane, così provocandone la reazione. Facevano presente di essere beneficiari di una polizza assicurativa contratta da D.D. con MAA Assicurazioni (poi UNIPOLSAI) in favore dei familiari con lui conviventi e ai domestici, ne chiedevano e ne ottenevano la chiamata in garanzia, e chiedevano di essere manlevati, in caso di condanna. Si costituiva l'assicurazione UNIPOLSAI che eccepiva l'inoperatività della polizza.

Il Tribunale di Milano, disposta ed esperita una consulenza tecnica d'ufficio medica, affermava la responsabilità dei convenuti e li condannava in solido al pagamento della somma di Euro 7.486,18 in favore dell'attrice e condannava altresì l'assicurazione, chiamata in causa, a manlevarli per quanto pagato. Per quanto ancora di interesse, il giudice di prime cure accertava che, al momento del fatto, l'animale era nella custodia della B.B..

2. Avverso il provvedimento di prime cure, hanno proposto appello principale Unipolsai e appello incidentale B.B. e C.C.; la Corte di appello di Milano, in parziale riforma della sentenza di prime cure, ha accolto l'appello principale e parzialmente quello incidentale, e per l'effetto:

- ha respinto la domanda nei confronti di B.B., - ha rideterminato il danno non patrimoniale in Euro 2.764,00, quello a titolo di invalidità temporanea in Euro 1127,00 e quello patrimoniale in Euro 36,08;

- ha rigettato la domanda di manleva nei confronti di Unipolsai, - ha condannato C.C. al pagamento di quanto rideterminato in favore della A.A., oltre accessori, nonchè alla restituzione in favore di UNIPOLSAI di quanto da questa versato in esecuzione della sentenza di prime cure, - ha condannato A.A. a rifondere le spese del doppio grado di giudizio in favore della B.B., - ha condannato C.C. alle spese del doppio grado di giudizio in favore della Assicurazione e della A.A..

3. A.A. ha proposto ricorso per cassazione avverso la decisione della Corte di appello di Milano articolato in quattro motivi. Hanno resistito con controricorso Unipolsai e B.B. e C.C., quest'ultimo ha proposto anche impugnazione incidentale articolata in sei motivi.

La trattazione del ricorso fissata in adunanza camerale ai sensi dell'art. 380-bis 1 c.p.c. Parte ricorrente ha proposto memoria e anche i resistenti B.B. e C.C..

 

Diritto


1. Con il primo motivo di ricorso principale, la ricorrente lamenta la violazione e errata valutazione e applicazione con riferimento agli artt. 112 e 360 c.p.c., comma 1, n. 3 degli artt. 2052, 2055, 2043 c.c., in ordine al merito delle domande attoree e agli effetti dell'art. 112 c.p.c. con valutazione ultra-petita e dell'art. 115 c.p.c.; in particolare, censura l'erronea affermazione dell'estraneità della custode del cane (B.B.), che ha comportato il mancato riconoscimento della responsabilità solidale con il proprietario (C.C.); tra l'altro, rileva la mancata eccezione dell'assenza della custode (cioè che la B.B. non fosse presente) ai fatti e quindi la sussistenza, in capo ai controricorrenti, della responsabilità, ex art. 2052 c.c. 2. Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione con riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 degli artt. 2059 c.c., art. 185 c.p., in relazione al danno non patrimoniale morale, la ricorrente ritiene erronea la qualificazione del danno morale come componente del danno biologico, stante la giurisprudenza in materia che afferma l'autonomia delle due fattispecie dannose. Inoltre, censura la sentenza laddove ritiene sfornita di prova, ai fini della personalizzazione del danno, l'incidenza peggiorativa delle abitudini di vita riconosciute in sede di CTU. 3. Con il terzo motivo censura - in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 - l'omessa motivazione relativa al mancato riconoscimento del danno patrimoniale, riferibile alle maggiori spese affrontate, dalla ricorrente, laddove invece, in sede di CTU, le medesime erano state ritenute congrue.

4. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione con riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 degli artt. 91, 92 c.p.c. la ricorrente contesta la quantificazione della condanna alle spese in favore della custode del cane. L'importo è infatti stato liquidato, in maniera sperequativa (pari al doppio) di quella liquidata in suo favore nei confronti del proprietario del medesimo. Rileva altresì un errore di calcolo della statuizione sulle spese di lite, in suo favore ed in favore dell'assicurazione, liquidata in complessivi Euro 1.830,00, che dovrebbero essere invece determinate in Euro 3.770,00.

5. Con il primo motivo di ricorso incidentale, C.C. contesta la violazione e falsa applicazione ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 degli artt. 1362, 1363, 1370 c.c., art. 132 c.p.c. per omessa motivazione in relazione alla rilevata qualifica di lavoratore dipendente della collaboratrice domestica che in realtà stava effettuando solo un periodo di prova in vista di una futura assunzione piuttosto che la sostituzione temporanea di altra collaboratrice domestica come asserito dai convenuti in primo grado; ritiene il ricorrente incidentale che la Corte adita abbia omesso di motivare il ragionamento che ha condotto a tale decisione e che in proposito dovesse essere effettuata l'interpretazione del contratto ai fini della verifica della volontà delle parti.

6. Con il secondo motivo, il ricorrente incidentale censura la sentenza impugnata ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 con riferimento agli art. 2697 c.c., artt. 115, 132 c.p.c. laddove la Corte adita ha ritenuto esistente un rapporto di lavoro tra i controricorrenti e la ricorrente; in particolare, tale circostanza non può essere fatta conseguire dal semplice colloquio e dalla stiratura di alcune camicie per effettuare l'assunzione in vista di una futura assunzione; l'assicurazione non ha fornito prova, nè ha allegato alcun contratto in essere tra le parti, ed in proposito, la Corte non ha adeguatamente motivato.

7. Con il terzo motivo, il ricorrente incidentale censura la sentenza impugnata ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 con riferimento agli art. 2697 c.c., artt. 115, 132 c.p.c. laddove la Corte d'appello erroneamente ritiene pacifico il rapporto di lavoro tra la danneggiata ed i convenuti. Tale circostanza è sempre stata oggetto di contestazione poichè la danneggiata è stato sostenuto si era recata presso i convenuti solo in un'unica occasione, escludendo così la formazione di un rapporto di subordinazione e continuità.

8. Con il quarto motivo, il ricorrente incidentale censura la sentenza impugnata ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 con riferimento all'art. 2094 c.c. sostenendo ancora l'inesistenza del rapporto di lavoro; valorizza la mancanza dei presupposti della continuità, della retribuzione, dell'orario di lavoro, del vincolo di subordinazione, organizzativo, direttivo e disciplinare tra le parti e, deduce, a riprova di tale circostanza, che la danneggiata non ha mai ricevuto nè preteso alcuna retribuzione.

9. Con il quinto motivo, il ricorrente incidentale censura la sentenza impugnata ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 con riferimento al D.P.R. n. 1403 del 1971 e del CCNL Lavoro domestico, si duole della parte della sentenza impugnata in cui, erroneamente, il giudice d'appello afferma il dovere per i controricorrenti di assolvere all'obbligo di assicurazione ex lege gravanti sul datore di lavoro, poichè tra le parti non sussiste alcun rapporto di lavoro.

10. Con il sesto motivo di ricorso incidentale, infine, censura la sentenza impugnata ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 con riferimento agli artt. 132 c.p.c. laddove si censura l'insufficienza logico-giuridica della motivazione solo apparentemente fornita dalla Corte con riferimento all'irrilevanza del fatto che la collaboratrice domestica era in prova piuttosto che in sostituzione di altra domestica.

11. Il ricorso principale è fondato nei limiti e per le considerazioni seguenti.

La Corte d'appello, dopo aver ritenuto pacifico il fatto storico, avvenuto il (Omissis) mentre la A.A. si trovava all'interno dell'appartamento di B.B. e C.C., consistito nell'aggressione del cane di proprietà di C.C. in danno della A.A., nonchè delle lesioni riportate quale conseguenza immediata e diretta del fatto lesivo (sentenza in motivazione pag. 15), ha ritenuto di escludere la responsabilità solidale della B.B., la quale aveva eccepito di non essere nè proprietaria (essendone proprietario suo figlio C.C.), nè custode del cane, avendone al momento del fatto la custodia suo marito, D.D., presente nell'appartamento, in soggiorno, al momento del fatto (persona non convenuta in giudizio e alla quale risulta intestato il contratto l'assicurazione de qua).

Tanto premesso, la Corte d'appello ha richiamato l'orientamento di legittimità secondo cui in tema di responsabilità per danni causati da animali, perchè la responsabilità del proprietario gravi su di un altro soggetto, occorre che il proprietario, giuridicamente o di fatto, si sia spogliato della facoltà di far uso dello stesso (intendendo tale locuzione nel senso di trarne un profitto economico), trasferendolo ad un terzo. Qualora, invece, il proprietario continui a far uso dell'animale sia pure tramite un terzo e, quindi, abbia ingerenza nel governo dello stesso, resta responsabile dei danni arretrati dallo stesso (la Corte d'appello cita, tra l'altro, ed in proposito, Cass. Sez. 3, 17/10/2002 n. 14743, ove la S.C. ha ritenuto un centro ippico responsabile dei danni subiti da un'amazzone a seguito di caduta da un cavallo di proprietà del centro stesso).

Ha quindi affermato nella sentenza impugnata che "di conseguenza, si esclude che il solo affidamento ad un terzo dell'animale per ragioni di custodia, di cura, di governo, di mantenimento, possa comportare responsabilità ai sensi della norma in esame" e che "l'utente dell'animale è chiunque eserciti su di esso un potere effettivo di governo del tipo di quello che normalmente compete al proprietario derivi da questo da un rapporto giuridico o di fatto" (citando, sul punto, la pronuncia di questa Corte: Cass. Sez. 3, 07/07/2010 n. 16023), pervenendo quindi a trarne che "la responsabilità grava sul proprietario perchè questi "fa uso" dell'animale" mentre, affinchè "la responsabilità gravi su di un altro soggetto, occorre, anzitutto, che il proprietario giuridicamente o di fatto, si sia spogliato di detta facoltà di far uso dell'animale, trasferendola ad un terzo" (nella sentenza impugnata, pag. 16).

Ha richiamato un risalente precedente di legittimità (Cass. n. 3558/1969) secondo cui il soggetto che abbia ricevuto degli animali in semplice custodia al fine di governarli, nell'ambito delle mansioni conferitegli, in vece del proprietario, senza sottrarli al potere di ingerenza di questo, non esercita l'uso di cui all'art. 2052 c.c., e quindi, "non risponde" in luogo del proprietario dei danni cagionati a terzi dall'animale, affermando che spetta "al gestore dell'animale (utilizzatore o proprietario) che ha causato il danno fornire prova, non solo della propria assenza di colpa, ma anche del fatto che il danno è stato cagionato dal fortuito perchè ciò che rileva è la semplice relazione che esiste tra gestore e l'animale e il nesso tra il comportamento di questo e il danno" (Cass. n. 5664/2010), ulteriormente evidenziando "come sia oggi dominante in giurisprudenza l'affermazione che la responsabilità ex art. 2052 c.c. gravi sul proprietario o sull'utilizzatore che trae dalla bestia un godimento, ma non su colui che lo custodisce a titolo di pura cortesia, senza profitto" (pagg. 16 e 17 della sentenza).

Nel premettere che, nella specie, risulta "pacifico che il C.C. sia il proprietario dell'animale e che non sia stato accertato in quanto non provato nè che la signora B.B. fosse stata presente, nè tantomeno che avesse ricevuto in mero affidamento il cane del figlio", la Corte di merito è quindi pervenuta ad escludere che la B.B. potesse "essere considerata il custode dell'animale su cui incombe la responsabilità di cui all'ar. 2052 c.c. difettando il presupposto dell'autonomia della custodia al fine di soddisfare un interesse proprio (personale) dell'animale, autonomo e diverso rispetto all'interesse del proprietario, nè tantomeno che lo abbia ricevuto in mero affidamento il signor Cappeletti, peraltro neppure chiamato in causa, ancorchè pacificamente presente in soggiorno all'epoca del sinistro" (pagg. 17-18 della sentenza impugnata).

11.1. Orbene, a tale stregua emerge, anzitutto, come sia fondata la censura di ultra petizione mossa dalla ricorrente principale, in quanto la Corte d'appello ha esaminato e ritenuto fondata un'eccezione di carenza di legittimazione passiva (rectius, titolarità sostanziale), non sollevata in prime cure dai convenuti, ma proposta soltanto con l'atto di appello, allorquando hanno sostenuto la mancata presenza della B.B. al momento del fatto;

eccezione di parte, non ammissibile in grado di appello, non rilevabile d'ufficio ed ormai preclusa. L'odierna ricorrente ha difatti tempestivamente eccepito nella propria comparsa di costituzione in appello (pagg. 10 e 15) che soltanto con l'atto di impugnazione gli appellanti, originari convenuti, hanno dedotto che la responsabilità debba imputarsi a D.D., marito della B.B. e padre di C.C., avendo questi rilasciato la dichiarazione testimoniale prodotta in giudizio con cui aveva dichiarato di essere l'unica persona presente al fatto, ma che nulla di tutto ciò era mai stato eccepito prima o anche solo argomentato in primo grado; inoltre, che alcun accertamento della mancata presenza della B.B. fosse mai stata richiesta dalla difesa B.B.-C.C., neppure in appello.

Come correttamente rilevato dall'odierna ricorrente principale, nell'atto di costituzione di primo grado B.B. si era limitata ad eccepire la propria carenza di legittimazione passiva per non essere proprietaria del cane (pag. 4), senza nulla dedurre sulla sua mancata presenza al momento del fatto ed inoltre, nella memoria ex art. 183 c.p.c., n. 1 sebbene la difesa della A.A. avesse dedotto "risulta per tabulas dalla stessa dichiarazione confessoria di parte convenuta che il cane (Omissis) si trovava, nell'occasione, a casa della signora B.B. alla presenza della signora B.B. medesima e senza la presenza del presunto proprietario C.C. e dunque la responsabilità di entrambi è evidente in quanto presunta ex lege e fondata sul rapporto di fatto e di diritto con l'animale", tuttavia nessuna replica, eccezione o smentita è stata mai sostenuta ex adverso e dunque il fatto va ritenuto non contestato secondo il principio generale di cui all'art. 115 c.p.c. Pertanto, l'esame dell'eccezione sulla mancata presenza della B.B. sollevata soltanto in appello va ritenuto precluso ed inammissibile ai sensi dell'art. 345 c.p.c. e considerato dalla Corte d'appello in violazione del principio di cui all'art. 112 c.p.c. 11.2. Sussiste inoltre il lamentato vizio di violazione di legge posto che il giudizio di diritto compiuto dalla Corte d'appello con riferimento sia alla ricerca e all'interpretazione della norma ritenuta regolatrice del caso concreto sia a quello afferente l'applicazione della norma stessa, una volta correttamente individuata ed interpretata, si è rilevato carente in relazione all'art. 2052 c.c. Ebbene, dopo aver correttamente premesso che l'art. 2052 c.c. prevede la responsabilità del proprietario o dell'utente, che rispondono non sulla scorta di un proprio comportamento o di una propria attività, bensì sulla base della mera relazione (di proprietà o di uso) intercorrente con l'animale nonchè del nesso di causalità esistente fra il comportamento di quest'ultimo e l'evento dannoso, della cui prova è onerato il danneggiato, la Corte di merito ha escluso che la B.B. fosse "utilizzatrice" dell'animale.

L'assunto secondo cui la B.B. non avesse una relazione di fatto con l'animale e l'affermazione che la responsabilità ex art. 2052 c.c. gravi sul proprietario o sull'utilizzatore che trae dalla bestia un godimento, ma non su colui che custodisce l'animale per puro spirito di cortesia, senza ricavarvi alcun profitto, contrasta con quanto pacificamente affermato da questa Corte, in più occasioni, e cioè che "pur essendo di norma alternativi i titoli di responsabilità del proprietario e dell'utilizzatore, essi non possono dirsi mutuamente esclusivi, poichè nulla in astratto vieta la contemporanea sussistenza dell'uno o dell'altro (a parte il fatto che più potrebbero essere i proprietari o gli utilizzatori o coloro che dispongono dell'animale), con conseguente configurabilità in concreto di un concorso delle loro responsabilità" (così test., pag. 4, Cass. Sez. 3, 23/08/2018 n. 21018).

Infine, sebbene la domanda risarcitoria da parte della danneggiata fosse stata proposta nei confronti di entrambi i convenuti a norma degli artt. 2043 e 2052 c.c., tuttavia la Corte d'appello ha assertivamente affermato che parte attrice avesse fatto valere nei confronti della B.B. "unicamente il titolo di responsabilità aggravata ex art. 2052 c.c." e non anche quello fondato sul principio del neminem laedere ai sensi dell'art. 2043 c.c. 12. Il ricorso incidentale è fondato nei termini di seguito illustrati.

Sussiste il lamentato vizio di nullità della sentenza impugnata denunciato dal ricorrente incidentale, C.C., posto che la Corte d'appello ha mancato di esporre il ragionamento mediante il quale ha ritenuto fondata la censura sollevata dalla Compagnia di assicurazioni con appello incidentale volta a dimostrare l'inoperatività della garanzia assicurativa invocata e ha ritenuto applicabile, in modo assertivo, al caso di specie, la clausola B) (Assicurazione (RCO) responsabilità civile verso gli Addetti ai servizi domestici), di cui all'art. 1 della polizza de qua, volta a tenere indenni gli assicurati di quanto questi siano tenuti a pagare a titolo risarcitorio "quali civilmente responsabili verso i domestici, dipendenti per gli infortuni da essi sofferti in conseguenza di reato colposo perseguibile d'ufficio o giudizialmente accertato", senza spiegare le ragioni per cui ha ritenuto la A.A. lavoratrice dipendente, pur avendo dato atto che la stessa si trovava nell'abitazione per una prova di stiro, concludendo in modo del tutto apodittico che ""in ogni caso" tale circostanza comporta l'applicazione della esclusione di cui all'art. 1 B".

La Corte d'appello ha inoltre mancato di spiegare le ragioni per cui non ha ritenuto l'applicabilità, viceversa, della clausola A) della medesima polizza (Assicurazione (RCT) responsabilità civile verso gli addetti ai servizi domestici) volta a coprire "la responsabilità verso i danni procurati a "terzi", tra i quali a norma dell'art. 2 non si annoverano i familiari dell'assicurato e coloro che abbiano con lui un rapporto di dipendenza", clausola che pure si attagliava al caso di specie.

13. In conclusione, il ricorso principale e quello incidentale vanno accolti nei termini di cui in motivazione e va cassata la sentenza impugnata in relazione e rinviata la causa alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, che provvederà secondo i principi ricordati nonchè sulle spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.


La Corte accoglie il ricorso principale e quello incidentale nei limiti di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, che provvederà secondo i principi ricordati e anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 18 aprile 2023.

Depositato in Cancelleria il 2 ottobre 2023