Cassazione Penale, Sez. 3, 24 ottobre 2023, n. 43224 - Rovina dell'automezzo sul lavoratore. Responsabile l'amministratore della ditta di autotrasporti



 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MARINI Luigi - Presidente -

Dott. GENTILI Andrea - rel. Consigliere -

Dott. CORBO Antonio - Consigliere -

Dott. MAGRO Maria Beatrice - Consigliere -

Dott. ZUNICA Fabio - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
 


sul ricorso proposto da:

A.A., nato a (Omissis);

avverso la sentenza n. 3687/22 della Corte di appello di Torino del 24 maggio 2022;

letti gli atti di causa, la sentenza impugnata e il ricorso introduttivo;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Andrea GENTILI;

sentito il PM, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. SECCIA Domenico, il quale ha concluso chiedendo l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per intervenuta prescrizione;

sentito, altresì, per il ricorrente, l'avv. Andrea MILANI, del foro di Torino, che ha insistito per l'accoglimento del ricorso.

 

Fatto


La Corte di appello di Torino - adita in sede di rinvio dopo che la Quarta Sezione penale di questa Corte di cassazione aveva, con sentenza pronunziata in data 18 gennaio 2022, i cui motivi sono stati depositati il successivo 1 febbraio 2022, annullato con rinvio la precedente sentenza della medesima Corte territoriale del 5 luglio 2019, con la quale A.A., in parziale riforma della sentenza emessa dal giudice di prima istanza, era stato condannato alla pena ritenuta di giustizia in quanto ritenuto responsabile, in qualità di amministratore della ditta Autotrasporti B.B., per avere cagionato, colposamente, la morte di C.C., persona intenta alla esecuzione di un intervento su di un autoveicolo presente presso la predetta ditta di autotrasporti - ha, con sentenza del 24 maggio 2022, rideterminato, previo riconoscimento in favore del medesimo delle circostanze attenuanti generiche, la pena inflitta all'imputato, del quale è stata invece confermata la penale responsabilità, nella misura di mesi 4 di reclusione, concedendo allo stesso i doppi benefici e confermando nel resto, ivi compresa la condanna al ristoro del danno civile patito dalle costituite parti civili, la sentenza di primo grado.

Ha interposto ricorso per cassazione la difesa del A.A., articolando 4 motivi di impugnazione.

Il primo di questi ha ad oggetto la violazione di legge per essere stata pronunziata in data 8 agosto 2022 una ordinanza di correzione di errore materiale, concernente la sentenza ora impugnata il cui contenuto consisteva nell'inserimento nel dispositivo della sentenza della Corte territoriale, prima delle parole "Conferma nel resto", delle parole "Elimina le statuizioni civili", da un Collegio composto da persone fisiche diverse da quelle che avevano deliberato la sentenza oggetto di correzione.

Il secondo motivo di impugnazione, anch'esso articolato sotto il profilo della violazione di legge, attiene alla erronea applicazione, per operare la modifica di cui sopra al dispositivo, da parte della Corte di appello di Torino dello strumento della correzione dell'errore materiale.

Il terzo motivo concerne il vizio di motivazione, definita contraddittoria e manifestamente illogica, in relazione alla dimostrazione della concretizzazione del rischio lavorativo ed in ordine alla volontaria esposizione al pericolo del terzo danneggiato dal reato.

Infine, il quarto motivo di censura riguarda ii vizio di motivazione (iena sentenza impugnata in quanto fondata su mere generalizzazioni astratte, sul travisamento delle prove e senza che siano state valutate le deduzioni difensive articolate dal ricorrente.

 

Diritto

 

Il ricorso è infondato e, pertanto, lo stesso deve essere rigettato.

Trattandosi di impugnazione di sentenza emessa a seguito di precedente annullamento con rinvio pronunziato da questa Corte di cassazione, si ritiene, preliminarmente, opportuno esaminare le ragioni per le quali la precedente sentenza emessa dal giudice del gravame era stata annullata in sede di legittimità.

Con la sentenza rescindente la Corte aveva, infatti rilevato che la Corte territoriale torinese aveva lasciato irrisolta, o quanto meno non aveva adeguatamente chiarito quali fossero i termini della risoluzione, il tema relativo alla fonte normativa della posizione di garanzia che l'imputato avrebbe avuto nei confronti della vittima dei reato a lui contestato e alla quale sarebbe scaturita, stante colpa specifica a quello ascritta, la responsabilità in ordine alla verificazione del fatto.

Giova, infatti, ricordare che a carico del A.A. era stata elevata un'imputazione avente ad oggetto l'omicidio colposo di C.C., persona deceduta mentre, con l'autorizzazione del A.A., stava prelevando - onde procedere alla riparazione di un altro mezzo meccanico - da un diverso mezzo meccanico, destinato alla rottamazione, in deposito presso un terreno rii pertinenza della sede della citata ditta, un pezzo da utilizzare come ricambio; in particolare, mentre il C.C. stava operando al di sotto di tale automezzo per lo smontaggio del pezzo da riutilizzare, il sollevatore idraulico che sosteneva lo alzato cadeva a causa di un movimento del veicolo in questione reso possibile dal mancato azionamento del freno di stazionamento di tale veicolo, così cagionando, a causa della rovina del mezzo in questione sopra il corpo del C.C., la morte del medesimo.

Così sinteticamente riferiti i tatti, si rileva la evidente inammissibilita dei primi due motivi di ricorso; gli stessi sono riferiti, in termini non sempre di immediata comprensione, al fatto che la Corte di appello subalpina, dopo avere emesso in data 13 luglio 2022, la sentenza ora impugnata, ha, con ordinanza pronunziata, senza che fosse stato preventivamente attivato il contraddittorio fra le parti, il successivo 8 agosto 2022 adottato un provvedimento di correzione di errore materiale il cui contenuto, invero singolare, consiste, per come si legge nella annotazione apposta in calce alla sentenza ora censurata nella disposizione che "nella parte motiva della sentenza sia inteso come omesso ogni passaggio e riferimento alle parti civili" e nell'inserimento nel dispositivo della sentenza medesima "subito prima delle parole "Conferma nel resto"" delle parole "Elimina le statuizioni civili"".

Ora, quale che sia la correttezza o meno nel caso di specie del ricorso allo strumento della correzione dell'errore materiale per operare le descritte modifiche alla sentenza impugnata, si osserva che principio generale del diritto processuale è che l'adito del soggetto alla giustizia, per essere validamente eseguito, presuppone che l'individuo attore possa, per effetto del provvedimento giurisdizionale da lui sollecitato, conseguire, anche sotto il profilo del diritto sostanziale, un qualche specifico beneficio, non essendo, invece, tutelabile, attraverso l'attivazione del meccanismo processuale, il mero ed astratto interesse alla puntuale attuazione del diritto.

Una tale regola trova una sua ancor più giustificata applicazione laddove la norma che si assume violata sia proprio una disposizione di carattere processuale e la puntuale applicazione della stessa, sollecitata in sede di impugnazione di un precedente provvedimento giurisdizionale, non determini alcun apprezzabile vantaggio in favore del soggetto che abbia fatto istanza per l'annullamento o, comunque, per la modifica del provvedimento precedentemente assunto.

Nel caso di specie, la Corte di appello di Torino, evidentemente non essendosi avveduta del fatto che, in data 24 maggio 2022, il patrono delle parti civili costituitesi in giudizio aveva dichiarato, per ragioni che qui non interessa esaminare, di revocare la propria costituzione in giudizio (il che, comportando la estinzione del rapporto processuale civile in seno al giudizio penale, impedisce al giudice di questo di ulteriormente provvedere, sia pure confermandole ove si tratti di giudizio di gravame, sulle statuizioni civili a suo tempo richieste ed eventualmente disposte: Corte di cassazione, Sezione V penale, 19 settembre 2019, n. 38741), ha, con la sentenza ora censurata confermato - ove si eccettui la concessione delle circostanze attenuanti generiche in favore del A.A. e la conseguente riforma del trattamento sanzionatorio disposto a suo carico - la sentenza emessa dal giudice di primo grado, la quale prevedeva, fra l'altro, anche la condanna dell'imputato al risarcimento del danno civile patito dalla costituite parti civili.

Ora non vi è chi non veda che la decisione in tale modo assunta dalla Corte di appello di Torino (in ordine alla quale si precisa, diversamente da quanto opinato dal ricorrente, che comunque nessun rilievo ha riguardo alla sua legittimità il fatto che la stessa sia stata deliberata da un Collegio avente una composizione personale diversa rispetto a quello che aveva statuito il provvedimento oggetto di correzione: Corte di cassazione, Sezione II penale, 9 giugno 2010, n. 21968), avendo eliminato le statuizioni civili in danno del A.A. non può che avere un contenuto giovevole per il ricorrente, la cui eventuale eliminazione, conseguente all'ipotetico accoglimento del suo ricorso, appesantirebbe anzichè alleviare la posizione processuale del predetto, il quale, pertanto e conclusivamente sul punto, non è portatore di alcun interesse alla predetta impugnazione che, pertanto, va dichiarata inammissibile.

Venendo agli altri due motivi di censura, il primo dei quali è riferito alla ritenuta non applicabilità al A.A. della regola prevenzionistica dettata dal D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 71 in quanto, ad avviso del ricorrente, detta regola riguarderebbe il solo datore di lavoro non occasionale, si rileva che l'assunto è erroneo.

Come, infatti è stato segnalato anche nella sentenza di questa Corte da cui è scaturita quella ora impugnata, "la normativa in tema di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro è stata (...) in più occasioni ritenuta operante in relazione a tutte le forme di lavoro, anche nelle ipotesi in cui non sussistesse un formale rapporto di lavoro (...), fino ad ampliare l'ambito di esplicazione della posizione di garanzia a favore di terzi che frequentino le strutture aziendali" (Corte di cassazione, Sezione IV penale 1 febbraio 2022, n. 3541); essendo, a questo punto, indubbio che la vittima dell'incidente fosse soggetto che stava operando con il benestare del A.A. e che era, pertanto, stato autorizzato dall'imputato ad accedere presso l'area ove si trovavano degli automezzi depositati, onde prelevare da uno di questi un pezzo di ricambio da installare sul un altro veicolo, è indiscutibile che fosse compito del "datore di lavoro" (intendendo in tale espressione anche la posizione di chi, nello svolgimento di un'attività di impresa, consente ad altri di accedere ai locali ove è esercitata l'attività impreditoriale) quello di predisporre le misure necessarie affinchè il posto di lavoro presentasse i requisiti di sicurezza idonei per non mettere a repentaglio la salute e la integrità fisica del lavoratore.

Cosa che il A.A. non risulta avere fatto, secondo la insindacabile ricostruzione storica operata nella sede di merito, avendo egli trascurato di verificare l'inserimento del freno di stazionamento del veicolo al di sotto del quale il C.C. stata lavorando ed il cui movimento, reso possibile appunto dalla mancata predisposizione di tale cautela, ha cagionato la rovina del mezzo addosso alla vittima del reato.

Nè può aderirsi alla tesi sviluppata dal ricorrente, secondo la quale il C.C. avrebbe, con la propria condotta, dato causa ad un rischio eccentrico rispetto a quello per il quale il A.A. aveva prestato il proprio consenso; con valutazione di fatto, non oggetto di sindacato in sede di legittimità, ma comunque supportata da convergenti dichiarazioni testimoniali, la Corte di merito ha, infatti, accertato che l'imputato avesse acconsentito acciocchè il C.C. prelevasse il pezzo di ricambio del quale necessitava da uno dei veicoli stazionanti presso il terreno in uso alla Autotrasporti A.A.; da tale consenso, idoneo a rendere del tutto prevedibile la condotta della vittima del reato, coerentemente la Corte di Torino ha fatto discendere, da un lato, la inesistenza di una estemporanea iniziativa del C.C., atta a costituire un rischio eccentrico, essendo l'attività da lui posta in esse coerente con il consenso ad essa prestato dall'imputato, e, da altro canto, l'obbligo da parte dell'imputato di predisporre le opportune cautele affinchè dall'attività permessa non sortissero i nefasti effetti, invece, verificatisi.

La Corte subalpina ha, pertanto, interpretato correttamente i fatti quali emergenti dalla istruttoria svolta, applicando ad essi la pertinente cornice normativa.

Nè, per fare questo, venendo all'esame dell'ultimo motivo di impugnazione, detta Corte territoriale ha fatto ricorso a mere congetture ovvero ha operato travisando le risultanze probatorie, come invece sostenuto dal ricorrente con la censura ora in esame.

Invero, non solamente la Corte territoriale ha preso in considerazione le plurime dichiarazioni testimoniali, non tutte promananti da soggetti legati da rapporti personali con la vittima, ma ha anche preso in considerazione il dato relativo alla circostanza che al momento del decesso il C.C. indossasse una tuta da lavoro, seppure portata sopra gli abiti civili; è, semmai, proprio tale circostanza, cioè il fatto che la vittima avesse portato con sè oltre agli abiti ordinari anche la tuta da lavoro - poco incide se ciò avesse fatto indossando o meno detta tuta - porta ad escludere che l'iniziativa di recarsi presso il terreno ove il A.A. custodiva depositati i più volte ricordati veicoli destinati alla rottamazione potesse essere stata improvvisa e non già preordinata con chi di tale area aveva la disponibilità.

Non vi è nella sentenza impugnata alcun travisamento della prova per distorsione, avendo la Corte territoriale preso in considerazione le dichiarazioni rese dal figlio dell'imputato, avendole giudicate, con valutazione esulante rispetto allo spettro di indagine di questa Corte e stante il contrasto fra le stesse e quelle rese da altri testimoni, inattendibili.

Così come non vi è alcun travisamento della prova per invenzione, atteso che, nella economia della decisione assunta, il fatto che il veicolo poi rovinato addosso al C.C. fosse stato sollevato da questi ovvero dal A.A., dopo che quest'ultimo lo aveva indicato alla vittima, è fattore del tutto irrilevante, essendo la responsabilità dell'imputato fondata non sulla imperizia che l'imputato avrebbe dimostrato nell'utilizzare il mezzo di sollevamento del veicolo in questione, ma nella colpa specifica riguardante il fatto di avere acconsentito che la vittima si recasse per eseguire una qualche attività lavorativa presso l'azienda del A.A., senza avere assicurato che tale attività potesse essere svolta senza rischi legati all'utilizzo dei mezzi ivi allocati.

Quanto all'ultimo profilo del motivo di impugnazione ora in esame, si rileva, come già in precedenza segnalato, che, in sede di rinvio, questa Corte aveva attribuito alla Corte di Torino il compito di verificare con puntualità, stante la oscillazione motivazionale che caratterizzava la sentenza in tale occasione annullata, quale fosse precisamente la fonte della posizione di garanzia assunta dall'imputato nei confronti della vittima, posto che nella precedente pronunzia questa era stata ora riconnessa ad una pretesa qualifica del A.A. come datore di lavoro di fatto, ora era stata ancorata alla normativa civilistica dettata dall'art. 2051 c.c., ora, infine, alla violazione della disciplina antinfortunistica dettata dal D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 71.

E' ora evidente che, nello sciogliere un tale nodo ricostruttivo non vi era da parte della Corte di appello di Torino la necessità di riesaminare, laddove le stesse non fossero state pertinenti alla soluzione del trilemma che era stato sottoposto ai giudici del merito, le deduzioni difensive dalla difesa del ricorrente sottoposte al giudici del merito E tale estraneità al perimetro di indagine rimesso al giudice del rinvio emerge ove si consideri che esse riguardavano aspetti esclusivamente legati alla ricostruzione in fatto dell'episodio da cui è scaturito il presente procedimento come tali irrilevanti in ordine alla individuazione della esistenza o meno dei fattori generatori di una posizione di garanzia in capo all'imputato.

Il ricorso da questo proposto deve pertanto essere dichiarato infondato e, conseguentemente, rigettato; una tale circostanza, pur avendo determinato l'insorgenza del rapporto processuale con riferimento al presente giudizio impugnatorio, non conduce tuttavia - giustificandosi una espressa puntualizzazione in tale senso attese le conclusioni rassegnate dal Procuratore generale in udienza - all'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata stante l'intervenuta prescrizione del reato contestato, posto che, trattandosi di omicidio colposo commesso con violazione della disciplina prevenzionistica in materia di infortuni sul lavoro, di cui all'art. 598 c.p., comma 2 vale, in tema di durata della prescrizione, la regola derogatoria rispetto ai termini ordinari, che sono pertanto raddoppiati, di cui all'art. 157 c.p., comma 6, che, anche nella versione vigente al momento del fatto (si tratta del 29 ottobre 2013), da ritenersi sul punto di assoluta continuità normativa con il testo di legge ora vigente, prevedeva siffatta peculiare durata del termine in questione.

Al rigetto del ricorso fa seguito la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.
 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 26 aprile 2023.

Depositato in Cancelleria il 24 ottobre 2023