Cassazione Penale, Sez. 4, 22 novembre 2023, n. 46855 - Mortale caduta dall'alto. Responsabilità del preposto


 

Nota a cura di Gallo Mario, in NT+ Lavoro, 30.11.2023 "Il preposto risponde dell’infortunio se omette d’interrompere l’attività lavorativa con gravi rischi"

Nota a cura di Ghiani Francesca, in Labor on line, 04.02.2024 "La posizione di garanzia in capo al preposto e l’irrilevanza dell’investitura formale"



 

 

... E' risultato congruamente accertato come l'imputato, al momento dei fatti, ricoprisse la qualifica, espressamente assegnatagli dal P.O.S., di preposto, come, altresì, confermato da vari testi escussi. L'imputato, in particolare: aveva il possesso di tutti i documenti relativi ai lavori; aveva ammesso di essere stato nominato responsabile del cantiere; disponeva di un'adeguata competenza tecnica, per aver ricevuto una formazione specifica da parte della società di cui era dipendente; era inquadrato nell'organigramma aziendale all'interno di un ufficio tecnico; era il referente diretto degli operai, al quale - per quanto da essi espressamente dichiarato - riferivano il lavoro svolto e prendevano direttive su quello da espletarsi; aveva fornito ai lavoratori la documentazione relativa al cantiere ed al piano di lavoro; era costantemente aggiornato sullo stato di avanzamento dei lavori, anche direttamente relazionandosi con il committente.



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIAMPI Francesco M. - Presidente -

Dott. FERRANTI Donatella - Consigliere -

Dott. MARI Attilio - Consigliere -

Dott. D’ANDREA Alessandro - rel. Consigliere -

Dott. DAWAN Daniela - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
 


sul ricorso proposto da:

A.A., nato a (Omissis);

avverso la sentenza del 20/09/2022 della CORTE APPELLO di BRESCIA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere ALESSANDRO D'ANDREA;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore CERONI FRANCESCA.
 

Fatto


1. Con sentenza del 20 settembre 2022 la Corte di appello di Brescia ha confermato - per quanto di interesse in questa sede - la pronuncia del Tribunale di Brescia del 17 febbraio 2020 con cui A.A. era stato condannato alla pena di anni due, mesi sei di reclusione in ordine al reato di cui all'art. 589 c.p., commi 1 e 2, e art. 61 c.p., n. 3.

L'imputato, in particolare, è stato ritenuto colpevole di avere, nella qualità di preposto, con funzioni di capocantiere, allo svolgimento di lavori di rimozione di circa 8.000 mq. di lastre di eternit poste ai copertura di capannoni industriali, cagionato la morte del lavoratore B.B., derivata da politraumatismo contusivo produttivo di lesioni cranio-meningo-encefaliche, fratture plurime di rachide e di bacino, sfondamento toracico e contusioni addominali, conseguenti a una caduta del lavoratore da circa 10 metri, per colpa consistita in negligenza, imprudenza ed imperizia, nonchè violazione di norme poste a tutela della sicurezza sul lavoro, ed in particolare degli artt. 111, 115 e 148 in relazione al D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, art. 18, comma 1, lett. f) e art. 19 in ragione della riscontrata carenza di presidi di sicurezza contro la caduta dall'alto, sia di tipo collettivo (ponteggi, reti di sicurezza, tavole) che individuali (linea vita, cinture di sicurezza). All'A.A. è stato, altresì, imputato di aver fatto proseguire i lavori, nelle condizioni indicate, fino alla verificazione del sinistro, nonostante, il giorno precedente, fosse stato informato verbalmente dal responsabile per la sicurezza del cantiere della necessità di sospendere i lavori, stante l'assenza di idonee misure di sicurezza in cantiere contro la caduta dall'alto.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione A.A., a mezzo del suo difensore, deducendo, con un unico motivo, manifesta illogicità della motivazione in ordine alla prova dell'avvenuto suo svolgimento delle mansioni di preposto e di capocantiere, altresì eccependo di non aver mai sottoscritto il piano operativo di sicurezza (P.O.S.).

A dire del ricorrente, infatti, sarebbe del tutto erronea la motivazione con cui la Corte territoriale ha ritenuto, in occasione del sinistro, di individuare nella sua persona la figura del preposto e del capocantiere, atteso che ciò risulterebbe contraddetto dalla propria preparazione scolastica e dal suo inquadramento all'interno della ditta. L'imputato, infatti, ha il diploma di ragioniere e perito commerciale e, all'epoca dei fatti, avrebbe svolto, a suo dire, unicamente le mansioni di tecnico commerciale, come peraltro evincibile dalla lettura della sua busta paga e del suo contratto di lavoro. L'espletamento di tali mansioni, del tutto difformi da quelle di preposto, sarebbe stato, del resto, confermato anche dalle dichiarazioni rese da parte di alcuni testi escussi, che avrebbero esplicato come la figura del capocantiere fosse solitamente individuata tra i componenti della squadra addetta al lavoro, e non certo tra i tecnici commerciali.

Sotto altro profilo, quindi, il ricorrente ha dedotto di non aver mai sottoscritto il P.O.S., nè di aver percepito alcun compenso ulteriore per l'espletamento di tale attività, così rendendo privo di ogni rilievo tale documento, in cui l'A.A. era stato indicato quale soggetto svolgente le funzioni di capocantiere.

3. Il Procuratore generale ha rassegnato conclusioni scritte, con cui ha chiesto che il ricorso venga dichiarato inammissibile.
 

Diritto


1. Il ricorso è manifestamente infondato e deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile.

2. L'esame dell'impugnata sentenza consente, infatti, di constatare come la proposta censura riproponga, di fatto, un'identica doglianza dedotta nel giudizio di appello, rispetto alla quale non può che essere ribadito quanto già, più volte, chiarito da questa Corte di legittimità, per cui è inammissibile il ricorso per cassazione che riproduce e reitera gli stessi motivi prospettati con l'atto di appello e motivatamente respinti in secondo grado, senza confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato ma limitandosi, in maniera generica, a lamentare una presunta carenza o illogicità della motivazione (così, tra le altre, Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rovinelli, Rv. 276970-01; Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, Cariolo, Rv. 260608-01; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Arnone, Rv. 2431338-01).

3. In ogni modo, a prescindere dalla decisività della superiore argomentazione, il Collegio rileva come, con la proposta doglianza, il ricorrente si sia sostanzialmente limitato ad eccepire, in maniera assertiva e poco specifica, di non aver svolto le funzioni di preposto e di capocantiere in occasione della verificazione del decesso dell'B.B., per cui, dunque, non avrebbe ricoperto alcuna posizione di garanzia idonea a legittimare l'invece intervenuto riconoscimento della sua responsabilità penale.

Orbene, l'indicata censura si palesa, in tutta la sua evidenza, come finalizzata unicamente ad operare una rilettura in fatto delle emergenze probatorie acquisite, rispetto alla quale questo Collegio non può non osservare come la motivazione resa dalla Corte di appello abbia, senza illogicità alcuna, adeguatamente rappresentato le ragioni della ritenuta integrazione della condotta criminosa da parte dell'imputato.

E' risultato, infatti, congruamente accertato come l'A.A., al momento dei fatti, ricoprisse la qualifica, espressamente assegnatagli dal P.O.S., di preposto, come, altresì, confermato da vari testi escussi. L'imputato, in particolare: aveva il possesso di tutti i documenti relativi ai lavori; aveva ammesso di essere stato nominato responsabile del cantiere; disponeva di un'adeguata competenza tecnica, per aver ricevuto una formazione specifica da parte della società di cui era dipendente; era inquadrato nell'organigramma aziendale all'interno di un ufficio tecnico; era il referente diretto degli operai, al quale - per quanto da essi espressamente dichiarato - riferivano il lavoro svolto e prendevano direttive su quello da espletarsi; aveva fornito ai lavoratori la documentazione relativa al cantiere ed al piano di lavoro; era costantemente aggiornato sullo stato di avanzamento dei lavori, anche direttamente relazionandosi con il committente.

3.1. La censura dedotta, quindi, inerisce ad aspetti non passibili di valutazione in questa sede di legittimità, essendo ben noto che, in tema di sindacato del vizio di motivazione, il compito della Corte di cassazione non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine all'affidabilità delle fonti di prova, bensì quello di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (così, tra le tante, Sez. U, n. 930 del 13/12/1995, dep. 1996, Clarke, Rv, 203428-01).

Esula, quindi, dai poteri della Corte di legittimità la rilettura della ricostruzione storica dei fatti posti a fondamento della decisione di merito, dovendo l'illogicità del discorso giustificativo, quale vizio di legittimità denunciabile mediante ricorso per cassazione, essere di macroscopica evidenza (cfr. Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794-01; Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone e altri, Rv. 207944-01).

Sono precluse al giudice di legittimità, cioè, la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr., fra i molteplici arresti in tal senso: Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601-01; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482-01.; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv. 235507-01).

Ebbene, nel caso di specie può senz'altro ritenersi che la Corte territoriale, con motivazione ampiamente adeguata e logica, abbia fornito una chiara rappresentazione degli elementi di fatto considerati nella propria decisione, rispetto ai quali il ricorrente ha solo proposto una lettura alternativa, meramente finalizzata ad ottenere un esonero da responsabilità.

4. Ne consegue la declaratoria di inammissibilità del ricorso, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero (Corte Cost., sent. n. 186/2000).
 


P.Q.M.
 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 17 ottobre 2023.

Depositato in Cancelleria il 22 novembre 2023