Tribunale di Firenze, Sez. Lav., 01 dicembre 2023 - Lavoratore colpito violentemente all’occhio sinistro da un tubo in gomma collegato ad un motocompressore


 

N. R.G. 1048/2017

 



TRIBUNALE DI FIRENZE

Sezione Lavoro
VERBALE DELLA CAUSA n. r.g. 1048/2017
tra
 


G.I.
RICORRENTE


E


OMISSIS IN LIQUIDAZIONE E CONCORDATO PREVENTIVO
RESISTENTE

GENERALI ITALIA SPA
TERZO CHIAMATO

 

Oggi 1 dicembre 2023 innanzi alla Dott.ssa Silvia Fraccalvieri, sono comparsi:

Per G.I. l’avv. RICCI ELISA in sostituzione dell’avv. TENUTA GIOVANNI CARLO
Per OMISSIS IN LIQUIDAZIONE E CONCORDATO PREVENTIVO l’avv. RIVA ADELIO ANSELMO MARIA,
oggi sostituito dall’avv. Virginia Calussi
Per GENERALI ITALIA SPA l’avv. Virginia Calussi in sostituzione dell’avv. CALUSSI CRISTIANO

Il Giudice invita le parti a rassegnare le conclusioni.
Le parti si riportano ai rispettivi atti ed alle note depositate in telematico, insistendo per l’accoglimento delle conclusioni ivi rassegnate.
L’avv. Calussi contesta tutto quanto dedotto ed argomentato da parte ricorrente nelle note conclusive. Richiama Cass. sent. n. 30293/2023.
Il Giudice trattiene la causa in decisione e, all’esito della camera di consiglio, in assenza delle parti, pronuncia dispositivo di sentenza con contestuale motivazione pubblicamente letti.
Il Giudice Dott.ssa Silvia Fraccalvieri




REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO di FIRENZE
Sezione Lavoro

 


Il Tribunale, nella persona del Giudice Dott.ssa Silvia Fraccalvieri, ha pronunciato la seguente
 

SENTENZA


nella causa di I Grado iscritta al n. r.g. 1048/2017 promossa da:
G.I. (C.F. OMISSIS), con il patrocinio dell’avv. TENUTA GIOVANNI CARLO, con elezione di domicilio in VIA DEL BOBOLINO 12 50125 FIRENZE, presso l’avv. RICCI ELISA
 

PARTE RICORRENTE
 

contro
 

OMISSIS IN LIQUIDAZIONE E CONCORDATO PREVENTIVO (C.F. 03908230489), con il patrocinio
dell’avv. RIVA ADELIO ANSELMO MARIA, elettivamente domiciliata in VIA FILIPPO TURATI 16 20121 MILANO, presso il difensore avv. RIVA ADELIO ANSELMO MARIA
 

PARTE RESISTENTE
 

GENERALI ITALIA SPA (C.F. ) rappresentata e difesa dall’avv. CALUSSI CRISTIANO, elettivamente domiciliata in VIA NINO BIXIO 2 50131 FIRENZE, presso il difensore avv. CALUSSI CRISTIANO
 

PARTE TERZA CHIAMATA
 

 

Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione


Con ricorso depositato in data 5.04.2017, G.I. ha esposto e dedotto:
a) di avere prestato attività lavorativa alle dipendenze di B.T.P. S.p.A. – OMISSIS Costruzioni Generali, dal 20.10.2006, con inquadramento nel livello IV CCNL per i dipendenti di imprese edili ed affini, con mansioni di operaio specializzato sondatore, presso il cantiere autostradale A1 Milano-Napoli, per l’ampliamento della terza corsia Barberino del Mugello-Incisa Valdarno, tratto B, lotti 4-5-6 (v. doc. n. 1 del fascicolo di parte);
b) di avere subito un grave infortunio sul lavoro, in data 30.05.2007, tra le ore 12.00 e le ore 13.00, in Scandicci, nel cantiere Melarancio – imbocco Nord – lato Bologna, venendo colpito violentemente all’occhio sinistro da un tubo in gomma collegato ad un motocompressore, dal quale usciva aria compressa, sfuggito dalle mani del collega di lavoro C.V., che lo stava usando per spolverare, con il getto di aria compressa, i vestiti di lavoro, prima della pausa pranzo, come di prassi accadeva in cantiere (circostanza constatata più volte dal capocantiere P.S., che aveva provveduto solo oralmente a riprendere gli operai);
c) di avere patito, in conseguenza di tale accadimento, gravi lesioni personali (“trauma bulbare contusivo o.s., frattura pavimento orbita sin., frattura pluriframmentaria della parete mediale dell’orbita sin. e del seno mascellare sin., con emoseno mascellare omolaterale, bulbo oculare sin. di morfologia alterata irregolare, apparentemente deteso, reperti sospetti per rottura, contenuto del bulbo oculare diffusamente disomogeno per la presenza di aree iperdense come per componente emetica, non riconoscibile il cristallino, apparentemente dislocato posteriormente, mancata tumefazione dei tessuti molli della regione orbitaria zigomatrice sinistra, con efisema sottocutaneo, frattura pavimento orbitario sin. e frattura ossa nasali”), come emergenti dal verbale di dimissioni del 7.06.2007 dell’A.O. Universitaria di Careggi e dalla documentazione medica in atti;
d) che il datore di lavoro non adempiva al suo obbligo di sicurezza, ai sensi dell’art. 2087 c.c., non avendo formato ed informato gli operai sull’uso del macchinario e sui rischi connessi alla sua utilizzazione, sia corretta, che impropria, non avendo vigilato sullo svolgimento della lavorazione e avendo provveduto soltanto successivamente, adempiendo alle prescrizioni della USL di Firenze, a eliminare gli attacchi secondari e il tubo di gomma, nonché a vietare, espressamente, anche con appositi cartelli, e a sanzionare la pratica di spolverare gli indumenti utilizzando macchinari ad aria compressa;
e) che il procedimento penale (R.G.N.R. 2008/1467) nel quale era imputato l’ing. L.S., direttore del cantiere, si concludeva in primo grado con una sentenza di condanna ed in appello con una sentenza di assoluzione, perché il fatto non costituisce reato;
f) che, per il suddetto infortunio, INAIL gli riconosceva una invalidità permanente nella misura del 36%, con diritto alla percezione della relativa rendita;
g) di essere stato, in data 16.01.2008, esonerato dalla esecuzione di lavori in altezza e dalla guida di mezzi meccanici (quest’ultimo esonero permaneva il 27.05.2009), con conseguente perdita di guadagno e di chances lavorative;
h) di avere subito, in conseguenza del predetto infortunio, ingenti danni non patrimoniali (biologico, morale, esistenziale), per complessivi euro 309.603,00, e patrimoniali (da perdita della capacità lavorativa specifica, non potendo più svolgere le mansioni di operaio specializzato sondatore e essendo inoccupato dal 2010), per complessivi euro 160.000,00.
Tanto premesso, l’esponente ha chiesto all’intestato Tribunale di: “a) accertato l’inadempimento della spa B.T.P. OMISSIS Costruzioni Generali, alle dedotte obbligazioni contrattuali, poste a suo carico quale datore di lavoro, dichiararla responsabile dei fatti di cui in narrativa, ovvero dichiarare che l’infortunio sul lavoro di cui trattasi, le lesioni subite il 30.05.2007 ed il peggioramento delle condizioni di salute del ricorrente sono dovuti a colpa esclusiva o concorrente del datore di lavoro, ovvero all’inosservanza dei precetti contenuti negli artt. 2087 e 1218 cod. civ. e 32 Cost. e, comunque, alla violazione delle altre richiamate norme infortunistiche generali e di settore, b) condannare, per l’effetto, la società resistente B.T.P. Costruzioni Generali spa in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore, al risarcimento, in favore del sig. G.I., di tutti i danni patiti, compresi quelli patrimoniali e non patrimoniali ex art. 2087 e 2059 cod. civ. e 32 Cost., per ITT, ITP, per postumi invalidanti, per danno biologico, danno esistenziale e, comunque, al risarcimento tutti i danni differenziali patrimoniali e non, compresa la perdita di chances, non indennizzati dall’INAIL, nella misura di Euro 469.603,00 ovvero in quell’altra maggiore o minore che sarà ritenuta equa o sarà determinata in corso di causa, secondo le tabelle legali o in uso presso il Tribunale di Firenze, oltre interessi e maggior danno ex art. 1224, secondo comma, c.c., oppure oltre svalutazione monetaria ed interessi legali dal 30.05.2007 fino al soddisfo; c) condannare inoltre la società resistente al pagamento degli onorari, con rimborso forfettario del 15%, oltre CPA ed IVA come per legge, da distrarsi, ai sensi dell’art. 93 c.p.c., in favore dell’avv. Giovanni Carlo Tenuta”.
Previa rinnovazione della notifica del ricorso e dei verbali di udienza, come da ordinanza del 2.01.2018, si è costituita in giudizio, in data 16.03.2018, OMISSIS Costruzioni Generali S.r.l. in liquidazione e concordato preventivo, chiedendo, preliminarmente, di essere autorizzata alla chiamata in causa di Generali Italia S.p.A., per essere dalla stessa manlevata degli eventuali esborsi conseguenti all’accoglimento, anche parziale, delle domande di parte ricorrente, e, nel merito, contestando il ricorso e chiedendone la reiezione, in quanto infondato, atteso che: a) l’infortunio de quo non si verificava nell’espletamento delle mansioni lavorative, bensì durante la pausa pranzo, mentre il ricorrente ed il collega C.V. stavano utilizzando una manichetta connessa ad un macchinario ad aria compressa per soffiare via la polvere dai loro abiti di lavoro, trattandosi, dunque, di un utilizzo abnorme del macchinario e di condotte imprevedibili tenute dai due lavoratori, con conseguente insussistenza di responsabilità del datore di lavoro nella causazione del sinistro o, in subordine, sussistendo un concorso di colpa del danneggiato nella causazione del sinistro, quantomeno nella misura del 50%; b) in data 16.01.2008, il ricorrente veniva dichiarato idoneo alla mansione con prescrizioni (con esonero dai lavori in quota e dalla guida di mezzi meccanici), idoneità confermata anche l’anno successivo (il 27.05.2009); c) il ricorrente non subiva alcuna diminuzione della retribuzione a seguito dell’infortunio e si dimetteva volontariamente nell’aprile 2011, nemmeno allegando la ricerca di una collocazione lavorativa alternativa; d) nel 2000, il ricorrente riportava un grave infortunio, con trauma cranico ed uno stato di coma, che gli cagionavano danni permanenti a carico del sistema nervoso centrale; e) nell’immediatezza del sinistro e successivamente, il ricorrente aveva fornito una pluralità di versioni diverse in ordine alla sua dinamica, anche in contrasto con quelle fornite dal collega C.V., in particolare, su chi dei due tenesse in mano il tubo in gomma, avendo, in ogni caso, la Corte d’Appello di Firenze accertato che l’infortunio era dovuto ad un uso scorretto del compressore e che l’infortunato ed il collega C.V., in quanto operai specializzati con molti anni di esperienza, erano consapevoli dei rischi connessi all’uso degli strumenti di lavoro.
All’udienza del 29.03.2018, il Tribunale ha autorizzato la chiamata in causa di Generali Italia S.p.A.
Si è costituita in giudizio, in data 14.09.2018, Generali Italia S.p.A., dichiarandosi pronta a manlevare e tenere indenne parte resistente, in caso di condanna, nei limiti della polizza e dando atto che il procedimento penale si è definitivamente concluso con la declaratoria di inammissibilità del ricorso per cassazione proposto dal ricorrente, con conseguente passaggio in giudicato della sentenza della Corte d’Appello di Firenze del 5.12.2016.
La parte terza chiamata ha, inoltre, dato atto di avere versato al ricorrente la somma di euro 25.000,00, ovvero la provvisionale statuita dal Tribunale di Firenze (revocata a seguito della successiva assoluzione e non restituita dal ricorrente) ed ha formulato le seguenti conclusioni: “Voglia Codesto Ecc.mo Tribunale adito in tesi rigettare il ricorso promosso da G.I. e, conseguentemente la domanda di manleva svolta dalla BTP nei confronti di Generali Assicurazioni S.p.a., perché coperto da giudicato penale ex art. 75, 3 co. e 654 c.p.p.; in ipotesi denegata ed impugnata rigettare il ricorso e, conseguentemente la domanda di manleva svolta dalla BTP nei confronti di Generali Assicurazioni s.p.a., perché infondato in fatto e in diritto; in ulteriore ipotesi denegata ed impugnata perché, riconosciuto il prevalente concorso di colpa di parte ricorrente ritenga congrue le somme già pagate euro 25.000,00 dalla comparente a titolo di provvisionale e dall’Inail euro 213.636,65. Vinte le spese. Con riserva di ripetere la somma di euro 25.000,00 all’esito del presente giudizio.”.
La causa, pervenuta a questo giudice in data 3.03.2020, è stata istruita con la documentazione versata in atti dalle parti e da INAIL (in data 14.07.2023), con prove orali (assunte all’udienza del 9.06.2021 e con la prova delegata assunta presso il Tribunale di Termini Imerese, in data 21.09.2022, essendo stata revocata l’ordinanza ammissiva delle prove del 29.03.2019, nella parte in cui il giudice precedentemente assegnatario del procedimento ammetteva l’audizione di un teste della parte terza chiamata sui cap. da n. 1 a n. 5 della memoria, in quanto superflui, atteso che il teste P.S., intimato dalla assicurazione terza chiamata e attualmente domiciliato in Australia, ha reso dichiarazioni testimoniali nell’ambito del procedimento penale, al quale ha partecipato anche la assicurazione terza chiamata come responsabile civile; dichiarazioni aventi ad oggetto anche le circostanze dedotte nei capitoli di prova della memoria, come da ordinanza del 28.07.2022) e con una CTU medico legale (depositata in data 20.03.2023) e discussa e decisa all’odierna udienza, con dispositivo di sentenza e contestuale motivazione pubblicamente letti.
Tanto premesso, osserva il Tribunale quanto segue.


1. Sulla dinamica del sinistro e sulla responsabilità datoriale per violazione dell’art. 2087 c.c.
Preliminarmente, in diritto, si osserva che, secondo la consolidata giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, la responsabilità del datore di lavoro conseguente alla violazione dell'art. 2087 c.c. ha natura contrattuale: “perché il contenuto del contratto individuale di lavoro risulta integrato per legge (ai sensi dell'art. 1374 c.c.) dalla disposizione che impone l'obbligo di sicurezza (art. 2087 c.c.) (Cass. 25 maggio 2006 n. 12445), che entra così a far parte del sinallagma contrattuale. Ne consegue che il riparto degli oneri probatori nella domanda di danno differenziale da infortunio sul lavoro proposta dal lavoratore si pone negli stessi termini che nell'art. 1218 cod. civ., sull'inadempimento delle obbligazioni (Cass. 8 maggio 2007 n. 10441, Cass. 24 febbraio 2006 n. 4184). La regola sovrana in tale materia, desumibile dall'art. 1218 cod. civ., è che il creditore che agisca per il risarcimento del danno deve provare tre elementi: la fonte (negoziale o legale) del suo diritto, il danno, e la sua riconducibilità al titolo dell'obbligazione; a tale scopo egli può limitarsi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre è il debitore convenuto ad essere gravato dell'onere di provare il proprio adempimento, o che l'inadempimento è dovuto a causa a lui non imputabile (Cass. Sez. un. 30 ottobre 2001 n. 13533, cui si è conformata tutta la giurisprudenza delle sezioni civili di questa Corte successiva: ex plurimis Cass. 25 ottobre 2007 n. 22361, Cass. 19 aprile 2007 n. 9351, Cass. 26 gennaio 2007 n. 1743). Nell'applicare tali fondamentali civilistici alle complesse obbligazioni scaturenti dal contratto di lavoro, in particolare alla distribuzione degli oneri probatori per la responsabilità del danno da infortunio sul lavoro, questa Corte ha ritenuto, ad es., in caso di infortunio provocato dall'uso di un macchinario, che il lavoratore deve provare il nesso causale tra uso del macchinario ed evento dannoso, restando gravato il datore di lavoro dell'onere di dimostrare di avere osservato le norme stabilite in relazione all'attività svolta, nonché di avere adottato, ex art. 2087 c.c., tutte le misure necessarie per tutelare l'integrità del lavoratore (Cass. 1 ottobre 2003 n. 14645, Cass. 28 luglio 2004 n. 14270); analoga soluzione in caso, ad es., di caduta accidentale di operaio edile da palazzo in costruzione, dove nessuno sostiene che tocchi al lavoratore provare l'inadempimento del datore di lavoro all'obbligo di sicurezza nell'apprestamento delle opere provvisionali. La formulazione che si rinviene in alcune pronunce di questa Corte, secondo cui il lavoratore infortunato ha l'onere di provare il fatto costituente l'inadempimento del datore di lavoro all'obbligo di sicurezza (Cass. 24 febbraio 2006 n. 4184, Cass. 11 aprile 2006 n. 8386, Cass. 25 maggio 2006 n. 12445, Cass. 8 maggio 2007 n. 10441, 19 luglio 2007 n. 16003) non appare conforme al principio enunciato dalle Sezioni Unite (e con l'applicazione coerente che ne ha fatto questa Sezione Lavoro nei casi sopra citati), e non può pertanto più essere seguita. Il principio sopra esposto non comporta l'affermazione di una responsabilità oggettiva ex art. 2087 cod. civ., nella stessa misura in cui l'allegazione del mancato pagamento di una somma di denaro non comporta una responsabilità oggettiva del debitore, ai sensi dell'art. 1218 cod. civ. La colpa del danneggiante è essenziale per qualsiasi tipo di responsabilità civile. Vi è però una diversità di regime probatorio: nella responsabilità extracontrattuale, il danneggiato deve provare quattro elementi, e la loro connessione: il fatto, il danno, il nesso causale, e la colpa del danneggiante, ai sensi dell'art. 2697 cod. civ.; nella responsabilità contrattuale l'art. 1218 cod. civ. (e l'art. 2087 cod. civ.) pone una presunzione legale di colpa del debitore, ed opera una inversione dell'onere probatorio, nel senso che il debitore è ammesso a provare l'assenza di colpa, pur sempre elemento essenziale anche della sua responsabilità contrattuale. Si deve conclusivamente ribadire sul punto il seguente principio di diritto: "La responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 cod. civ., è di carattere contrattuale, perché il contenuto del contratto individuale di lavoro risulta integrato per legge (ai sensi dell'art. 1374 c.c.) dalla disposizione che impone l'obbligo di sicurezza e lo inserisce nel sinallagma contrattuale. Ne consegue che il riparto degli oneri probatori nella domanda di danno da infortunio sul lavoro si pone negli stessi termini che nell'art. 1218 cod. civ., sull'inadempimento delle obbligazioni; da ciò discende che il lavoratore che agisca per il riconoscimento del danno differenziale da infortunio sul lavoro, deve allegare e provare la esistenza dell'obbligazione lavorativa, del danno, ed il nesso causale di questo con la prestazione, mentre il datore di lavoro deve provare che il danno è dipeso da causa a lui non imputabile, e cioè di avere adempiuto al suo obbligo di sicurezza, apprestando tutte le misure per evitare il danno". (v. Cass. 14 aprile 2008 n. 9817; Cass. Sez. L sent. 21590/2008; Cass. Sez. L sent. n. 3788/2009).
Ancora, secondo un condivisibile orientamento della giurisprudenza di legittimità, in tema di infortunio sul lavoro, deve escludersi la sussistenza di un concorso di colpa della vittima, ai sensi dell'art. 1227, comma 1, c.c., al di fuori dei casi di cd. rischio elettivo, quando risulti che il datore di lavoro abbia mancato di adottare le prescritte misure di sicurezza, oppure abbia egli stesso impartito l'ordine, nell'esecuzione puntuale del quale si è verificato l'infortunio, od ancora abbia trascurato di fornire al lavoratore infortunato una adeguata formazione ed informazione sui rischi lavorativi; ricorrendo tali ipotesi, l'eventuale condotta imprudente della vittima degrada a mera occasione dell'infortunio ed è, pertanto, giuridicamente irrilevante (Cass. Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 8988 del 15/05/2020 (Rv. 657940 - 01).

Altresì, in tema di infortuni sul lavoro, il cd. rischio elettivo, che comporta la responsabilità esclusiva del lavoratore, sussiste soltanto ove questi abbia posto in essere un contegno abnorme, inopinabile ed esorbitante rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, sulla base di una scelta arbitraria volta a creare e ad affrontare, volutamente, per ragioni o impulsi personali, una situazione diversa da quella inerente l'attività lavorativa, creando condizioni di rischio estranee alle normali modalità del lavoro da svolgere e ponendosi, in tal modo, come causa esclusiva dell'evento dannoso. (Cass. Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 3763 del 12/02/2021 (Rv. 660550 - 01).
Al contrario, in tema di tutela delle condizioni di lavoro del lavoratore subordinato, il datore di lavoro è sempre responsabile dell'infortunio occorso al dipendente, sia quando ometta di adottare le misure protettive, comprese quelle esigibili in relazione al rischio derivante dalla condotta colposa del dipendente medesimo, sia quando, pur avendole adottate, non vigili affinché queste siano di fatto rispettate; ne consegue che, in tutte le ipotesi in cui vi sia inadempimento datoriale rispetto all'adozione di cautele, tipiche o atipiche, concretamente individuabili, nonché esigibili "ex ante" ed idonee ad impedire il verificarsi dell'evento dannoso, la condotta colposa del prestatore non può avere alcun effetto esimente e neppure può rilevare ai fini del concorso di colpa (Cass. Sez. L - , Ordinanza n. 25597 del 21/09/2021 (Rv. 662272 - 01).
Per quanto attiene, invece, alla questione dell'efficacia della sentenza penale di assoluzione nel giudizio civile di danno, in virtù degli artt. 652 e 654 c.p.p. , il giudicato penale di assoluzione (rispettivamente nell'ambito del giudizio civile di danni - nel caso dell'art. 652 c.p.p. - e nell'ambito degli altri giudizi civili nell'ipotesi di cui all'art. 654 c.p.p.) ha effetto preclusivo nel giudizio civile solo quando contenga un effettivo e specifico accertamento circa l'insussistenza o del fatto o della partecipazione dell'imputato, e non anche quando l'assoluzione sia determinata dal diverso accertamento dell'insussistenza di sufficienti elementi di prova circa la commissione del fatto o l'attribuibilità di esso all'imputato e cioè quando l'assoluzione sia stata pronunziata a norma dell'art. 530 c.p.p., comma 2, (Cass. 20/09/2006, n. 20325; Cass. 1, 30/08/2004, 17401; Cass. 19/05/2003, 7765; Cass. 02/11/2000, 14328).
Inoltre l'accertamento contenuto in una sentenza penale irrevocabile di assoluzione pronunciata perché il fatto non costituisce reato non ha efficacia di giudicato, ai sensi dell'art. 652 c.p.p., nel giudizio civile di danno, nel quale, in tal caso, compete al giudice il potere di accertare autonomamente, con pienezza di cognizione, i fatti dedotti in giudizio, e di pervenire a soluzioni e qualificazioni non vincolate all'esito del processo penale. (Cass.14/02/2006, n. 3193; Cass. 26/10/2004, n. 20751). In altri termini il giudicato penale di assoluzione produce gli effetti preclusivi previsti da tale norma solo quando contiene un effettivo accertamento dell'insussistenza del fatto o dell'impossibilità di attribuirlo all'imputato e non quando l'assoluzione sia motivata con la mancanza di sufficienti elementi di prova in ordine al fatto o all'attribuibilità di esso all'imputato o all'elemento psicologico (v. Cass. sent. n. 22883/2007).
Nella fattispecie, con la sentenza n. 4247 del 5.12.2016, la Corte d’Appello di Firenze ha assolto l’imputato L.S., direttore del cantiere, dal reato di cui all’art. 590 c.p., perché il fatto non costituisce reato, con la conseguenza che il giudice civile deve provvedere a valutare autonomamente il fatto, sotto tutti i profili.
Sul punto, si veda quanto diffusamente argomentato dalla Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 42460/2018 (con la quale è stata dichiarata l’inammissibilità per carenza di interesse del ricorso per cassazione proposto dall’odierno ricorrente avverso la sentenza del 5.12.2016 della Corte d’Appello di Firenze), ai punti n. 3.1, 4.1 della motivazione, in atti.
Ciò posto, nel caso di specie, vi è prova della sussistenza del titolo (ovvero il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato concluso iter partes, v. doc. n. 1 del fascicolo di parte ricorrente).
Per quanto attiene alla dinamica del sinistro, è pacifico che, in data 30.05.2007, tra le ore 12.00 e le ore 13.00, in Scandicci, nel cantiere Melarancio – imbocco Nord – lato Bologna, il ricorrente sia stato colpito violentemente al viso (e, in particolare, all’occhio sinistro) da un tubo in gomma indebitamente collegato ad un motocompressore, dal quale usciva aria compressa.
Presumibilmente, il predetto tubo in gomma era tenuto in mano dal collega C.V.; sul punto, le dichiarazioni rese dal ricorrente e dal C.V. nel corso del procedimento penale divergono (avendo il C.V. sostenuto che, al momento del sinistro, il tubo era tenuto in mano dal ricorrente), ma il giudice penale, sia di primo, che di secondo grado, ha ritenuto maggiormente plausibile che il tubo fosse sfuggito dalle mani del C.V., durante le operazioni di pulizia degli abiti di lavoro.
In ogni caso, ai fini della ricostruzione della dinamica del sinistro, non riveste particolare rilievo l’individuazione di quale dei due lavoratori stesse tenendo in mano il tubo in gomma, rilevando, al contrario, la circostanza che il tubo in gomma collegato al motocompressore fosse da loro utilizzato, impropriamente, per la pulizia dei vestiti, prima di recarsi a mensa.
Nella sentenza emessa all’esito del giudizio di appello, il giudice penale ha ritenuto sussistente la riconducibilità dell’evento lesivo alla mancata inibizione (datoriale) dell’uso anomalo del macchinario (al quale era stato impropriamente attaccato un tubo in gomma), essendo stata accertata, in sede penale, la prassi secondo la quale gli operai utilizzavano tubi in gomma collegati a compressori per pulirsi i vestiti (si vedano, sul punto, le dichiarazioni testimoniali rese da C.V. e dal capo cantiere P.S.), a fronte di ammonizioni soltanto orali rivolte (dal P.S.) agli operai di astenersi da tali condotte, in quanto pericolose, avendo poi assolto l’imputato L.S., direttore di cantiere, per avere ritenuto non provata la conoscenza di tale prassi da parte dell’imputato.
Anche nel presente giudizio, il teste C.V. ha dichiarato: “Sul 26: il compressore aveva un tubo attaccato, che non doveva esserci, (…) a volte il tubo veniva utilizzato per spolverare gli abiti da lavoro, (…) Sulla c) se sugli abiti c’era troppa polvere, chi andava a spegnere il compressore utilizzava il tubo per spolverare gli abiti, ma era una manovra che non si doveva fare, preciso che il tubo non era sempre collegato al compressore, non doveva starci, magari, se un operario lo trovava attaccato, lo usava per spolverarsi, ma dipendeva da quanto erano sporchi i vestiti”. (…) ripeto che a volte, quando i vestiti erano sporchi, usavamo il tubo per pulirli”.
Ebbene, nella presente sede civile, ritiene il Tribunale che sussista la responsabilità datoriale nella causazione dell’evento lesivo, per non avere il datore di lavoro adottato tutte le misure di sicurezza necessarie ad impedire ai lavoratori l’utilizzo improprio della attrezzatura di lavoro (art. 35, comma 4, lett. b, Dlgs. 626/94, ratione temporis applicabile), nonostante l’improprio attacco del tubo in gomma al compressore de quo fosse visibile e nonostante il capo cantiere P.S. avesse riscontrato l’esistenza della prassi adottata dagli operai di attaccare impropriamente tubi sui compressori (sebbene più piccoli di quello oggetto di causa) per la pulizia dei vestiti, limitandosi ad ammonimenti verbali, sul rispetto dei quali il datore di lavoro ometteva di vigilare.
Peraltro, dalla lettura della sentenza penale del Tribunale di Firenze, emerge che la società datrice di lavoro ottemperava, successivamente al sinistro, alle prescrizioni impartite dalla ASL 10 di Firenze, in relazione alla eliminazione di attacchi espressi a compressori di potenza superiore (v. altresì la documentazione relativa all’inchiesta di infortunio di cui al doc n. 37 del fascicolo di parte ricorrente), oltre a collocare cartelli espliciti del tenore “vietato collegare tubazioni libere ai motocompressori”, in precedenza non presenti.
Si vedano, altresì, le dichiarazioni rese sul punto dal teste P.S. in sede penale.
L’omissione delle doverose misure protettive esclude, nella fattispecie, l’esclusiva imputabilità dell’evento lesivo a fatto e colpa del lavoratore e, altresì, il suo concorso colposo nella causazione del danno.
Sulla base delle risultanze della espletata CTU medico legale, delle quali si dirà nel prosieguo, è, inoltre, accertata la sussistenza del nesso di causalità tra l’infortunio occorso al lavoratore e le lesioni dallo stesso riportate.


2. Sul risarcimento del danno non patrimoniale
Si osserva che la nota pronuncia delle Sezioni Unite della Suprema Corte (Cass. SS.UU. n. 26972/2008) ha ridefinito la nozione di danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c., quale categoria onnicomprensiva dei diversi tipi di pregiudizio – in precedenza catalogati come distinte categorie di danno (danno biologico, danno morale, danno esistenziale) – inerenti sia alla lesione dell’integrità psicofisica, sia alla sofferenza morale soggettiva in sé considerata, sia alla compromissione della sfera del “fare areddituale” della persona – tutte componenti di un danno ritenuto senz’altro risarcibile quando il fatto illecito integri gli estremi di un reato o abbia leso in modo grave diritti inviolabili della persona, costituzionalmente garantiti.
Ai fini della liquidazione, la Corte ha indicato, come base di riferimento, il criterio di calcolo proprio del danno biologico, da “personalizzare” in ragione delle specifiche voci di pregiudizio ricorrenti nel caso concreto.
Quanto ai parametri per la valutazione del danno non patrimoniale si richiama la giurisprudenza di legittimità che ha indicato le tabelle di liquidazione del Tribunale di Milano, ferma la necessità per il giudice di procedere alla cd. personalizzazione in relazione alle voci di danno non strettamente inerenti la lesione della integrità psicofisica, quale il danno esistenziale, consistente nel radicale cambiamento di vita, nelle alterazioni della personalità, nello sconvolgimento esistenziale: “Le “tabelle per la liquidazione del danno non patrimoniale derivante da lesione all’integrità psico-fisica” predisposte dal Tribunale di Milano costituiscono valido e necessario criterio di riferimento ai fini della valutazione equitativa ex art. 1226 cod. civ., laddove la fattispecie concreta non presenti circostanze tali da richiedere la relativa variazione in aumento o per le lesioni di lieve entità conseguenti alla circolazione in diminuzione. Ove peraltro, si tratti di dover risarcire i cd. “aspetti relazionali” propri del danno non patrimoniale, il giudice è tenuto a verificare se i parametri delle tabelle in concreto applicate tengano conto (come accade per le citate “tabelle” di Milano) pure del danno c.d. “danno esistenziale”, ossia dell’alterazione/cambiamento della personalità del soggetto che si estrinsechi in uno sconvolgimento dell’esistenza, e cioè in radicali cambiamenti di vita, dovendo in caso contrario procedere alla c.d. “personalizzazione”, riconsiderando i parametri anzidetti in ragione di siffatto profilo, al fine di debitamente garantire l’integralità del ristoro spettante al danneggiato.” (Cass. Sez. 3 sent. n. 14402/2011).
Recentemente, la Suprema Corte ha affermato che, in tema di quantificazione del danno permanente alla salute, la misura standard del risarcimento prevista dalla legge e dal criterio equitativo uniforme adottato dai giudici di merito (secondo il sistema c.d. del punto variabile) può essere aumentata, nella sua componente dinamico-relazionale attinente alla vita esterna del danneggiato, solo in presenza di conseguenze dannose del tutto anomale, eccezionali e peculiari, che fuoriescono da quelle normali ed indefettibili secondo l'"id quod plerunque accidit", entro le quali non è giustificata alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento.

Ne deriva, pertanto, che costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione del "danno biologico" e del c.d. "danno esistenziale", appartenendo tali categorie (o voci) di danno alla stessa area protetta dall'art. 32 Cost., mentre non costituisce duplicazione risarcitoria, la differente ed autonoma valutazione compiuta con riferimento alla sofferenza interiore patita dal danneggiato in conseguenza della lesione del diritto alla salute (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 23469 del 28/09/2018 (Rv. 650858 - 02). Sempre in tema di liquidazione, la giurisprudenza di legittimità ha indicato l’obbligo di utilizzare i parametri vigenti al momento della liquidazione (Cass. Sez. 3 sent. n. 7272/2012; Cass., ordinanza n. 33770/18).
Nel caso in esame, quanto al danno non patrimoniale, come sopra inteso, è dimostrata la lesione dell’integrità psicofisica del lavoratore, causalmente collegata all’infortunio subito.
La C.T.U. medico-legale, redatta dal dott. Lorenzo D’Antonio, depositata in data 20.03.2023, ha accertato che parte ricorrente, a causa dell’infortunio occorso, ha riportato un trauma cranio facciale causa di frattura del pavimento dell’orbita sinistra, frattura pluriframmentata della parete mediale dell’orbita e del seno mascellare di sinistra con emoseno mascellare omolaterale, rottura del bulbo oculare, frattura, frattura delle ossa proprie del naso, ferita soprapalpebrale trattata con sutura, con conseguenti:
- Danno biologico nella misura del 31%;
- Inabilità temporanea assoluta per 30 giorni;
- Inabilità temporanea parziale al 75% di 30 giorni;
- Inabilità temporanea parziale al 50% per 60 giorni;
- Inabilità temporanea parziale al 25% per 85 giorni.
Il CTU ha ritenuto che, allo stato attuale, residuino postumi rappresentati da perdita del visus in occhio sinistro con enucleazione del bulbo oculare e successiva protesizzazione; esiti di frattura delle ossa nasali con sfumata alterazione del profilo nasale e conseguente plausibile minima stenosi nasale, da ritenersi, allo stato attuale, asintomatica; cicatrice in sede sopra palpebrale sinistra ben consolidata. Riguardo alla Sindrome Post Traumatica da Stress riportata nella relazione di parte in atti (stilata nel Luglio 2014), l’ausiliario ha precisato come non siano stati riscontrati, allo stato attuale, franchi ed oggettivi aspetti clinici indicativi di una tale condizione; è risultato, infatti, come il ricorrente, pur a fronte di riferita sfumata sintomatologia di natura reattiva (per lo più in relazione a riportati disturbi del sonno), non assuma alcuna terapia farmacologica (nemmeno di natura ipnoinducente), né effettui eventuale psicoterapia di alcun genere. Risulta, inoltre, all’anamnesi, già un trauma cranico di una certa gravità riportato in altro infortunio sul lavoro nell’anno 2000, causa di uno stato di coma nonché di esiti permanenti già all’epoca valutati dall’INAIL con relativo indennizzo.

Le conclusioni del CTU sono recepite dal Tribunale, in quanto fondate su un esauriente esame anamnestico e su un coerente studio della documentazione medica prodotta, valutati secondo criteri medico-legali esenti da errori o vizi logici, avendo il CTU compiutamente ed esaustivamente risposto alle osservazioni del CT di parte ricorrente (“Relativamente alla prima condizione [insufficienza respiratoria data dagli esiti della frattura delle ossa nasali], si deve precisare come non vi sia nessuna contraddizione tra l’obiettività registrata in sede di visita peritale (ovvero la minima alterazione del profilo nasale, per altro pure adeguatamente valutata) e la sostanziale attuale assenza di chiare ed evidenti conseguenze funzionali di tale dimorfismo: in primo luogo giova ricordare che lo G.I. riportò, a seguito dell’infortunio del 30.05.2007, una frattura delle ossa nasali “senza spostamento” e che non vi fu alcuna indicazione di trattamento particolare (né tanto meno chirurgico) della lesione. Del resto, non risulta nemmeno, negli anni successivi al trauma, che il periziato abbia svolto accertamenti specialistici di alcun genere al riguardo, né descritti, negli atti di causa, significativa obiettività, in ambito clinico, relativamente ad eventuali difficoltà respiratorie così come invece riportate dal CTP; per altro risulta assai difficile ipotizzare la sussistenza di un così grave quadro disfunzionale nei termini descritti dal consulente (“difficoltà respiratorie … soffiarsi continuamente il naso per accumuli di muco in relazione al ristagno di aria … tosse continua … rigurgiti di muco nelle coane nasali … raucedine … severa roncopatia” secondo quanto riportato dal Dott. Schettino) a fronte della circostanza per la quale non risultano mai intrapresi, nel corso degli anni, alcun genere di iniziative, accertamenti, cure, terapie, di solito adottati, invece, per i casi di specie; nulla, infatti, vi è agli atti riguardo tale aspetto, né del resto, sono emersi, nel corso dell’esame obiettivo eseguito in occasione della visita peritale, aspetti indicativi di chiari ed inequivocabili deficit in merito, per altro nemmeno riferiti. Riguardo, poi, all’altra condizione riportata dal CTP del ricorrente ovvero il Disturbo post-traumatico da Stress, si precisa come non si possa affatto ritenere confermata la presenza, allo stato attuale, di un pregiudizio di natura psichiatrica di tal genere né il nesso con l’evento, oggetto di ricorso. Giova in proposito ricordare che in atti, quale riferimento alla specifica problematica di ordine psichiatrica lamentata, risulta un'unica relazione a firma della Dott.ssa Maria Rosaria La Becca in data 26.09.2014 (ovvero sette anni dopo l’evento traumatico) nella quale viene descritta la presenza di un disturbo post traumatico da stress la cui riconducibilità causale all’infortunio di circa sette anni prima appare quantomeno singolare, ciò anche in considerazione del fatto che tale accertamento, giunge di qualche giorno antecedente alla relazione medico legale del Dott. Schettino (11/10/2014), apparendo, quindi, inevitabilmente funzionale ad essa. Anche, però, volendo ammettere la presenza, all’epoca della valutazione della dott.sa La Becca, di un disturbo psico-patologico, è evidente che visto l’intervallo temporale oramai trascorso dall’infortunio del 30.05.2007, il nesso di causa con tale evento risulta quantomeno dubbio, in relazione non solo alle carenze documentali di cui sopra, ma anche dell’esistenza di possibili valide alternative causali, tra le quali, è bene ricordare, il pregresso infortunio sul lavoro del 18.04.2000, a seguito del quale il ricorrente riportava un grave trauma cranico commotivo con focolai lacero contusivi in sede fronto- basale bilaterale ed ematoma subdurale emisferico dx, da cui importanti postumi, valutati dall’INAIL, nella misura del 38% in T.U. . Inoltre, anche la certificazione in atti del 22/11/2011, del Dott. Egidio Giordano, medico curante del Sig. G.I., che attestava, riguardo all’infortunio del 30.05.07, esiti “..di trauma cranio-facciale con frattura orbita sx frattura pluriframmentata della parete mediale dell'orbita sx e del seno mascellare di sx OSX spento”, costituisce ulteriore prova di come, anche in quella circostanza, nulla era segnalato in ordine ad eventuali sequele di natura psichica eventualmente connessi all’infortunio del 2007. Anche con riguardo alla documentazione inviata dal legale del ricorrente allegata alle sue note critiche alla bozza (fatte quindi pervenire successivamente alle operazioni peritali e pertanto non facenti parte degli atti depositati), si precisa come, in ogni caso, tali documenti risultino del tutto inconferenti rispetto alle conclusioni già formulate: infatti, la dichiarazione dell’INAIL riportante una valutazione eseguita in sede di opposizione, risulta del 2018, ovvero circa cinque anni prima l’odierno accertamento; il certificato della Neurologia dell’Azienda Sanitaria di Potenza è anch’esso del 2018 e descrive gli “esiti di pregresso trauma cranico commotivo” (del 2000 ndr) e quelli di “pregresso trauma bulbare OS”; il certificato del Dott. Giordano, pure del 2018, fa riferimento a plurime affezioni, alcune delle quali neppure in relazione all’infortunio del 2007 ma a quello del 2000, quali ad esempio, “anosmia, ageusia … equivalenti epilettici in trattamento farmacologico … “ prendendo in considerazione addirittura la “cardiomiopatia ipertensiva in II Classe funzionale”, ovviamente nemmeno di origine post-traumatica. Per cui, anche in questo caso, il riferimento al Disturbo post-traumatico da Stress risulta assolutamente non coerente agli eventi così come si sono succeduti e, soprattutto, all’andamento clinico del ricorrente nel corso degli anni successivi all’infortunio oggetto di causa. Riguardo, infine, all’osservazione relativa allo strumento utilizzato da questo CTU ai fini della valutazione del danno biologico riportato dallo G.I. a seguito dell’infortunio del 30.05.2007 (ovvero le Linee Guida per la valutazione medico legale del danno alla persona in ambito civilistico, SIMLA 2016, Ronchi et Al. Guida alla valutazione medico legale dell’invalidità permanente 2015) in luogo delle Tabelle allegate al DM 12 luglio 2000 utilizzate in ambito INAIL, giova ricordare che i criteri medico legali in base ai quali l’INAIL determina il grado percentuale di invalidità permanente sono diversi da quelli utilizzati nel campo della c.d. responsabilità aquiliana: infatti, le prestazioni erogate dall’INAIL sono a titolo di indennizzo e sono dovute in ragione del semplice verificarsi dell’infortunio; mentre il risarcimento in sede civilistica è richiesto nei casi in cui l’evento dannoso sia configurabile come illecito in quanto prodottosi a seguito di un comportamento colposo del datore di lavoro oppure di un terzo. Pertanto, l’obbligazione risarcitoria di danno e l’indennizzo, pur potendo concorrere in presenza di una medesima perdita, seguono finalità differenti e presuppongono accertamenti diversi. Infatti l’erogazione dell’indennizzo INAIL, strutturato nei termini di mero indennizzo del danno biologico permanente, è svincolato dalla sussistenza di un illecito contrattuale o aquiliano e di conseguenza è predisposto anche a prescindere dall’elemento soggettivo di chi ha realizzato la condotta dannosa e da una sua responsabilità; mentre il risarcimento civile non può prescindere da un accertamento del fatto illecito e dalla responsabilità del soggetto obbligato ed ha come finalità non una funzione assistenziale, ma quella di rimuovere le conseguenze prodotte nella sfera giuridica del danneggiato per effetto dell’illecito. Il medico legale, pertanto, nel campo della responsabilità aquiliana stima il danno alla persona avvalendosi dei criteri medico legali di norma condivisi nella comunità scientifica per tale ambito di valutazione. Per cui, le tabelle da adottare in questi casi sono quelle comunemente utilizzate in Responsabilità Civile e non quelle annesse al D. LGS 38/2000. Ne consegue che, ai fini della determinazione del grado di invalidità permanente causato da un fatto illecito, per la stima del risarcimento del danno biologico conseguente, “è irrilevante sapere a quali determinazioni siano pervenuti i medici legali dell’INAIL nell’analoga valutazione, compiuta al fine di liquidare l’indennizzo o la rendita di cui al Decreto Legislativo 23 febbraio 2000, n. 38, articolo 13” (Suprema Corte di Cassazione sezione III sentenza 26 giugno 2015, n. 13222)”).
Ciò posto, seguendo le indicazioni della Suprema Corte, la liquidazione del danno non patrimoniale derivante da lesione alla integrità psico-fisica, viene calcolata utilizzando le Tabelle di Milano (anno 2021) ed è così determinato:
Danno non patrimoniale (comprensivo del danno biologico permanente: percentuale di invalidità permanente 31%, età alla data del sinistro di anni 47, per euro 105.301,00, e dell’incremento per sofferenza soggettiva: +47%): complessivi euro 154.793,00.
A tal proposito, si osserva che le tabelle milanesi per la liquidazione del danno individuano dei valori monetari medi corrispondenti al caso di incidenza della lesione in termini 'standardizzabili' in quanto frequentemente ricorrenti sia agli aspetti anatomofunzionali, sia agli aspetti relazionali e di sofferenza soggettiva, oltre ad una percentuale di aumento di tali valori medi da utilizzarsi onde consentire un'adeguata personalizzazione complessiva della liquidazione, laddove il caso concreto presenti peculiarità che vengano allegate e provate dal danneggiato (v. Corte d’Appello di Milano, sent. n. 1248/2021).

Nella fattispecie, in difetto di più compiute e specifiche allegazioni, non sussistono elementi dai quali desumere che si siano verificate conseguenze dannose del tutto anomale, eccezionali e peculiari, che fuoriescono da quelle normali ed indefettibili secondo l'"id quod plerunque accidit", come richiesto dalla suindicata giurisprudenza di legittimità (si veda, da ultimo, Cass. ordinanza n. 30293/2023), motivo per il quale deve essere esclusa l’ulteriore personalizzazione del danno.
E’, inoltre, dovuto il danno biologico temporaneo, liquidato in via equitativa, facendo ricorso alle Tabelle di Milano (2021), che, con riferimento al danno biologico e morale temporaneo, propongono una liquidazione congiunta dell’intero danno non patrimoniale temporaneo derivante da lesione alla persona, in una forbice di valori monetari da un minimo (99,00) ad un massimo (149,00) e viene così determinato:
Danno biologico temporaneo (ritenuto congruo il valore 100,00):
- Inabilità temporanea assoluta per 30 giorni: euro 3.000,00;
- Inabilità temporanea parziale al 75% per 30 giorni: euro 2.250,00;
- Inabilità temporanea parziale al 50% per 60 giorni: euro 3.000,00;
- Inabilità temporanea parziale al 25% per 85 giorni: euro 2.125,00, per complessivi euro 10.375,00. Con atto depositato il 14.07.2023, INAIL ha prodotto in giudizio l’attestazione relativa alla rendita liquidata ed agli anticipi erogati dall’Istituto al lavoratore per l’infortunio occorsogli; in particolare, il valore capitale della rendita calcolata al 12.07.2023, per il danno biologico, è pari ad euro 91.946,39 (essendo stati versati acconti per euro 58.166,96).
A tal proposito, si osserva che, secondo un condivisibile orientamento della giurisprudenza di legittimità, in ordine al riconoscimento del danno differenziale a favore del lavoratore infortunato, la differenza strutturale e funzionale tra l'erogazione INAIL ex art. 13 del d.lgs. n. 38 del 2000 e il risarcimento del danno secondo i criteri civilistici preclude di potere ritenere che le somme eventualmente a tale titolo versate dall'istituto assicuratore possano considerarsi integralmente satisfattive del diritto al risarcimento del danno in capo al soggetto infortunato.
La diversità ontologica tra l'istituto assicurativo e le regole della responsabilità civile trova un riscontro sul piano costituzionale, posto che i due rimedi rinvengono ciascuno un referente normativo diverso: la prestazione indennitaria risponde agli obiettivi di solidarietà sociale cui ha riguardo l'art. 38 Cost., mentre il rimedio risarcitorio, a presidio dei valori della persona, si innesta sull'art. 32 Cost. L'assicurazione INAIL non copre tutto il danno biologico conseguente all'infortunio o alla malattia professionale ed ammettere il carattere assorbente della prestazione indennitaria (per effetto della rimodulazione dell'art. 13 del d.lgs. n. 38 del 2000) implicherebbe una riduzione del livello protettivo, sia rispetto alle potenzialità risarcitorie del danno biologico sia a confronto con il ristoro accordato a qualsivoglia vittima di un evento lesivo (cfr. Cass., Sez. Lav., n. 777 del 2015; Cass., Sez. Lav., n. 19973, Cass., Sez. Lav., n. 23263, entrambe del 2017).
L'ordinamento riconosce la categoria del danno patrimoniale (art. 1223 cod. civ.) e quella del danno non patrimoniale (artt. 2059 cod. civ., 185 cod. pen.). A partire dall'interpretazione affermata dalle c.d. "sentenze di San Martino" del 2008 (v. Cass., Sez. Un., n. 26972 del 2008), il danno non patrimoniale costituisce una categoria di danno unitaria, che ricomprende in sé tutte le possibili componenti di pregiudizio non aventi rilievo patrimoniale (tra le tante, Cass., Sez. III, n. 4043 del 2013; Cass., Sez. III, n. 15491 del 2014; Cass., Sez. III, n. 3505 del 2016), da liquidarsi, dunque, in modo omniconnprensivo, evitando duplicazioni risarcitorie (Cass., Sez. III, n. 9320 del 2015; Cass., Sez. III, n. 16992 del 2015); la natura unitaria della categoria non va intesa nel senso di escludere la possibilità di rilevare, all'interno di essa, le diverse componenti che la formano, componenti riconosciute dalle stesse Sezioni Unite.
Con specifico riguardo alla nozione di danno biologico nell'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e ai relativi rapporti con le altre voci di danno rientranti nella categoria del danno non patrimoniale, vi sono alcune voci escluse dalla copertura assicurativa INAIL (c.d. danno complementare, definito pure differenziale qualitativo, in relazione al quale non sussiste copertura assicurativa INAIL): il danno biologico temporaneo, il danno biologico in franchigia (fino al 5%), il danno morale.
Invero, l'art. 13 del d.lgs, n. 38 del 2000 include nell'indennizzo erogato dall'INAIL esclusivamente il danno biologico, inteso come "lesione - pari o superiore al 6% - all'integrità psicofisica, suscettibile di valutazione medico legale, della persona" valutata secondo una specifica Tabella delle menomazioni (ossia delle percentuali di invalidità permanente, redatta dal Ministero del Lavoro) "comprensiva degli aspetti dinamico-relazionali".
Se, dunque, la definizione di danno biologico che si ricava dal d.lgs. n. 38 comprende sia la lesione statica che le ripercussioni dinamico-relazionali nella vita del danneggiato, dalla nozione legislativa appaiono senz'altro escluse voci che concorrono pur sempre a costituire il danno non patrimoniale: le lesioni all'integrità psicofisica di natura transitoria (il danno biologico temporaneo), le lesioni sotto una determinata soglia minima, il danno morale ossia la sofferenza interiore (ad esempio il dolore dell'animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione) che non ha base organica ed è estranea alla determinazione medico-legale.
Considerato, dunque, che la nozione di danno biologico in senso omnicomprensivo, quale lesione alla salute, comprende, secondo i criteri civilistici, la lesione medico legale (ossia la perdita anatomica o funzionale), il danno dinamico-relazionale (sia nei suoi aspetti ordinari, comuni a qualunque persona con la medesima invalidità, sia in quelli peculiari, specifici del caso concreto), e tutti i conseguenti pregiudizi che la lesione produce sulle attività quotidiane, personali e relazionali (cfr., da ultimo, su tale nozione, Cass., Sez. III, n. 7513 e n. 23469 del 2018), può ritenersi, in ossequio alla nozione unitaria di danno non patrimoniale, correttamente comparabile il danno biologico, valutato in senso civilistico, con l'indennizzo del danno biologico liquidato dall'INAIL ai sensi dell'art. 13 del d.lgs. n. 38 del 2000, trattandosi di poste omogenee (sul computo per poste omogenee, cfr. Cass., Sez. III, n. 13222 del 2016; Cass., Sez. Lav., n. 20807 del 2016; Cass., Sez.Lav., 9166 del 2017).
In sintesi, il raffronto tra risarcimento del danno civilistico ed indennizzo erogato dall'INAIL va effettuato secondo un computo per poste omogenee: vanno, dapprima, distinte le due categorie di danno (patrimoniale e non patrimoniale); il danno patrimoniale calcolato con i criteri civilistici va comparato alla quota INAIL rapportata alla retribuzione ed alla capacità lavorativa specifica dell'assicurato (volta all'indennizzo del danno patrimoniale); in ordine al danno non patrimoniale, effettuato il calcolo secondo i criteri civilistici, vanno, dapprima, espunte le voci escluse dalla copertura assicurativa (danno morale e danno biologico temporaneo) che spettano interamente al danneggiato e, poi, dall'ammontare complessivo del danno non patrimoniale così ricavato (corrispondente al danno biologico) va detratto (non già il valore capitale dell'intera rendita costituita dall'INAIL, ma solo) il valore capitale della quota della rendita INAIL destinata a ristorare, in forza dell'art. 13 d.lgs. n. 38 del 2000, il danno biologico stesso.
Va, altresì, dato atto dell’intervento della legge di bilancio per l'anno 2019 (legge n. 145 del 2018), che - all'art. 1, comma 1126 - ha introdotto un diverso sistema di comparazione tra danno civilistico e indennizzo erogato dall'INAIL mediante l'adozione di un criterio di scomputo "per sommatoria" o "integrale", anziché "per poste", con conseguente diritto di regresso dell'Istituto per "le somme a qualsiasi titolo pagate". Deve, peraltro, affermarsi, come già statuito dalla Suprema Corte (sentenza n. 8580 del 2019) che le modifiche dell'art. 10 del D.P.R. n. 1124 del 1965, introdotte dall'art. 1, comma 1126, della legge n. 145 del 2018, non possono trovare applicazione in riferimento agli infortuni sul lavoro verificatisi e alle malattie professionali denunciate prima dell'1.1.2019 (v., cit. Cass, sent. n. 9112/2019).
Ancora, secondo un consolidato e condivisibile orientamento della giurisprudenza di legittimità, in tema di danno cd. differenziale, il giudice di merito deve procedere d’ufficio allo scomputo, dall’ammontare liquidato a detto titolo, dell’importo della rendita INAIL, anche se l’istituto assicuratore non abbia, in concreto, provveduto all'indennizzo, trattandosi di questione attinente agli elementi costitutivi della domanda, in quanto l’art. 10 del D.P.R. n. 1124 del 1965, ai commi 6, 7 e 8, fa riferimento a rendita “liquidata a norma”, implicando, quindi, la sola liquidazione, un’operazione contabile astratta, che qualsiasi interprete può eseguire ai fini del calcolo del differenziale (Cassazione civile, Sez. lav., ordinanza 14 giugno 2022, n. 19182).
La pronuncia invocata dalle parti resistente e terza chiamata all’odierna udienza (Cass. ord. n. 30293/2023) è conforme all’orientamento della giurisprudenza di legittimità suindicato.
Pertanto, competono al ricorrente: euro 13.354,61 (105.301,00-91.946,39) per danno biologico, euro 49.492,00 a titolo di danno morale o da sofferenza soggettiva, euro 10.375,00 per danno biologico temporaneo.
In conclusione, il datore di lavoro dovrà essere condannato al pagamento, a favore del lavoratore, della somma complessiva di euro 73.221,61, a titolo di danno non patrimoniale (differenziale).
La somma liquidata a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale deve essere devalutata alla data del sinistro (30.05.2007) e via via di anno in anno rivalutata secondo gli indici Istat sino alla data della sentenza e quindi maggiorata degli interessi legali fino al saldo.
Come indicato anche da parte ricorrente nella nota depositata in data 24.11.2023, in fase di esecuzione della presente pronuncia dovrà considerarsi che l’assicurazione terza chiamata, in esecuzione della sentenza penale di primo grado emessa dal Tribunale di Firenze (poi annullata dalla Corte d’Appello di Firenze), ha già corrisposto al ricorrente la somma di euro 25.000,00 (non oggetto di ripetizione).


3. Sul risarcimento del danno patrimoniale
Per quanto attiene al danno patrimoniale da lucro cessante, in caso di illecito lesivo dell'integrità psico- fisica della persona, il diritto a tale risarcimento non può farsi discendere in modo automatico dall'accertamento dell'invalidità permanente, poiché esso sussiste solo se tale invalidità abbia prodotto una riduzione della capacità lavorativa specifica.
A tal fine, il danneggiato è tenuto a dimostrare, anche tramite presunzioni, di svolgere, al momento dell'infortunio, un'attività produttiva di reddito e di non aver mantenuto, dopo di esso, una capacità generica di attendere ad altri lavori confacenti alle sue attitudini personali. In caso di illecito lesivo dell'integrità psico-fisica della persona, la riduzione della capacità lavorativa generica, quale potenziale attitudine all'attività lavorativa da parte di un soggetto che non svolge attività produttive di reddito, né è in procinto presumibilmente di svolgerla, è risarcibile quale danno biologico, che ricomprende tutti gli effetti negativi del fatto lesivo che incidono sul bene della salute in sé considerato. Qualora, invece, a detta riduzione della capacità lavorativa generica si associ una riduzione della capacità lavorativa specifica che, a sua volta, dia luogo ad una riduzione della capacità di guadagno, detta diminuzione della produzione di reddito integra un danno patrimoniale. Ne consegue che non può farsi discendere in modo automatico dall'invalidità permanente la presunzione del danno da lucro cessante, derivando esso solo da quella invalidità che abbia prodotto una riduzione della capacità lavorativa specifica.

Detto danno patrimoniale deve essere accertato in concreto attraverso la dimostrazione che il soggetto leso svolgesse - o presumibilmente in futuro avrebbe svolto - un'attività lavorativa produttiva di reddito, ed inoltre attraverso la prova della mancanza di persistenza, dopo l'infortunio, di una capacità generica di attendere ad altri lavori, confacenti alle attitudini e condizioni personali ed ambientali dell'infortunato, ed altrimenti idonei alla produzione di altre fonti di reddito, in luogo di quelle perse o ridotte. La prova del danno grava sul soggetto che chiede il risarcimento e può essere anche presuntiva, purché sia certa la riduzione della capacità di guadagno (v. Cass., 18 aprile 2003, n. 6291; Cass., 27 aprile 2014, n. 10074; Cass., 12 febbraio 2015, n. 2758).
Ciò posto, nel caso in esame, il ricorrente ha allegato di non potere più svolgere, dopo l’infortunio, le mansioni di operaio specializzato sondatore, di potere svolgere soltanto le mansioni inferiori (di aiutante autista) attribuitegli dopo l’infortunio (con conseguente perdita di chances e di possibilità di impiego) e di essere disoccupato dal 2010.
A tal proposito, parte resistente ha eccepito che le limitazioni previste dal medico competente al rientro del ricorrente al lavoro dopo l’infortunio concernevano soltanto l’esonero dalla guida dei mezzi meccanici in galleria (giudizio ritenuto condivisibile dal CTU) e dalle lavorazioni in altezza (v. doc. n. 33 e 34 del fascicolo di parte ricorrente, essendo stato il ricorrente dichiarato, in data 16.01.2008 e 27.05.2009, idoneo con prescrizioni e limitazioni dal medico competente) e che non fossero tali da escludere la prosecuzione della precedente attività lavorativa; in ogni caso, parte resistente ha evidenziato come, successivamente all’infortunio, il ricorrente avesse continuato a lavorare alle dipendenze della resistente, con retribuzione piena (anzi aumentata, da 1.608,30 euro del 2006 a 1.839,06 euro del 2010), sino alle dimissioni volontarie dallo stesso rassegnate il 24.04.2011, con conseguente non imputabilità al datore di lavoro del successivo stato di disoccupazione del lavoratore. Le medesime eccezioni sono state svolte anche nella memoria di costituzione della assicurazione terza chiamata.
Ciò posto, è documentale che, al rientro dal periodo di malattia, il rapporto lavorativo del ricorrente (assunto a tempo indeterminato) sia proseguito, con il medesimo livello di inquadramento posseduto, e che il lavoratore sia stato adibito a mansioni compatibili con il suo stato di salute, conservando il livello retributivo precedentemente assegnatogli.
Per quanto attiene allo stato di disoccupazione, lo stesso è conseguito alle dimissioni volontarie rassegnate dal lavoratore il 24.04.2011, quasi quattro anni dopo l’infortunio (come eccepito da parte resistente e da parte terza chiamata nelle rispettive memorie), e, quindi, in difetto di più compiute allegazioni, si ritiene che lo stesso non possa essere causalmente fatto derivare dalla condotta datoriale inadempiente rispetto agli obblighi di sicurezza.

Conseguentemente, la domanda di risarcimento del danno patrimoniale deve essere rigettata, per insussistenza del nesso di causalità tra il danno lamentato e la condotta datoriale inadempiente agli obblighi di sicurezza.


4. Sulla domanda di manleva proposta dalla parte resistente nei confronti della assicurazione terza chiamata
Non essendovi contestazioni in ordine alla operatività della polizza (v. doc. n. 1 del fascicolo di parte resistente, essendosi l’assicurazione terza chiamata dichiarata, in memoria di costituzione, pronta a manlevare e tenere indenne la resistente, nei limiti della polizza), la domanda di manleva tempestivamente formulata da parte resistente in memoria di costituzione deve essere accolta (avendo ulteriormente l’assicurazione terza chiamata dato atto di avere già pagato, favore del ricorrente, una provvisionale di euro 25.000,00).
Ogni altra questione di rito, di merito o istruttoria risulta assorbita.
 

SPESE
Le spese di lite, nel rapporto processuale tra il ricorrente e la società resistente, seguono la prevalente soccombenza di parte resistente e sono liquidate in dispositivo, facendo applicazione del D.M. n. 147/2022 (valori compresi tra i minimi ed i medi dello scaglione di riferimento), con distrazione a favore del procuratore di parte ricorrente dichiaratosi antistatario.
Per la medesima ragione, le spese di C.T.U., liquidate come da separato decreto del 23.06.2023, vanno poste definitivamente a carico di parte resistente.
Per quanto attiene, invece, al rapporto processuale intercorso tra la società resistente e l’assicurazione terza chiamata, quest’ultima deve essere condannata al rimborso delle spese sostenute dall’assicurata, liquidate in dispositivo ai sensi del D.M. 147/2022 (valori minimi dello scaglione di riferimento).
 

P.Q.M.
 

Il Tribunale di Firenze, definitivamente pronunciando, respinta o assorbita ogni diversa istanza, eccezione e deduzione, così dispone:
- condanna parte resistente al pagamento, a favore del ricorrente, della somma complessiva di € 73.221,61 a titolo di danno non patrimoniale, oltre interessi al tasso legale dalla data del sinistro (30.05.2007) ad oggi sulla somma devalutata al momento del fatto (30.05.2007) e, quindi, rivalutata anno per anno fino ad oggi;
- per il resto, rigetta il ricorso;
- in accoglimento della domanda di manleva, ordina a Generali Italia S.P.A., di garantire e manlevare la società resistente di quanto pagherà in esecuzione della predetta sentenza per capitale, interessi e spese legali, nei limiti del massimale di polizza, dando atto che l’assicurazione terza chiamata ha già versato al ricorrente la somma di euro 25.000,00 a titolo di provvigionale in esecuzione della sentenza penale n. 5335/2013 del Tribunale di Firenze;
- condanna parte resistente al pagamento, a favore del ricorrente, delle spese processuali, che si liquidano in complessivi euro 10.000,00 per compensi professionali, oltre al 15% per spese generali, oltre IVA e CPA, se dovute come per legge, oltre al contributo unificato, con distrazione a favore del procuratore di parte ricorrente dichiaratosi antistatario;
- pone in via definitiva le spese di C.T.U., liquidate come da separato decreto del 23.06.2023, a carico di parte resistente;
- condanna Generali Italia S.P.A. al pagamento delle spese processuali a favore di parte resistente, liquidate in complessivi euro 6.700,00 a titolo di compenso, oltre al 15% sul compenso, all’IVA e al CPA, se dovute, come per legge, oltre al contributo unificato versato per la chiamata in causa.
Sentenza resa ex art. 429 c.p.c., pubblicata mediante lettura in udienza ed allegazione al verbale.

Firenze, 1 dicembre 2023
Il Giudice
Dott.ssa Silvia Fraccalvieri