Cassazione Penale, Sez. 4, 07 dicembre 2023, n. 48771 - Operaio colpito violentemente dal braccio della autopompa durante le operazioni di getto e spianamento di calcestruzzo 


 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCIALLI Patrizia - Presidente -

Dott. VIGNALE Lucia - Consigliere -

Dott. SERRAO Eugenia - Consigliere -

Dott. PEZZELLA Vincenzo - rel. Consigliere -

Dott. BRUNO Mariarosaria - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
 


sui ricorsi proposti da:

A.A., nato a (Omissis);

B.B., nato a (Omissis);

C.C., nato a (Omissis);

avverso la sentenza del 23/10/2020 della CORTE APPELLO di NAPOLI;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. VINCENZO PEZZELLA;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Gen. Dott. SABRINA PASSAFIUME, che ha concluso chiedendo dichiararsi l'inarrimissibilità del ricorso di A.A. e B.B. nonchè il rigetto del ricorso di C.C.;

uditi i Difensori:

- avvocato TESSITORE SERGIO, del foro di NAPOLI nell'interesse della parte civile CGIL CAMPANIA che ha insistito per la conferma della sentenza impugnata e ha depositato conclusioni e nota spese;

- avvocato MARCHIONE LUIGI, del foro di SANTA MARIA CAPUA VETERE, nell'interesse della parte civile D.D. cha ha concluso per l'inammissibilità di entrambi i ricorsi e ha depositato conclusioni e nota spese, chiedendo la conferma della sentenza;

- avvocato ANGOTTI EMANUELA, del foro di Roma, in sostituzione dell'avvocato PISCITELLI LUCIA, del foro di Caserta, nell'interesse del responsabile civile ass. Gen. S.P.a., che si è associata alle richieste degli imputati depositando nomina a sostituto processuale;

- avvocato SERINO TEODORO, del foro di SANTA MARIA CAPUA VETERE, in sostituzione degli avvocati PAPPADIA UMBERTO, E STELLATO GIUSEPPE, del foro di S.M.C. Vetere, in difesa di C.C. che si è riportato ai motivi di ricorso e ha insistito per l'accoglimento dello stesso.

 

Fatto


1. La Corte di appello di Napoli, pronunciando sul gravame nel merito proposto, tra gli altri, dagli odierni ricorrenti E.E., B.B. e C.C., con sentenza del 23/10/2020, letti gli artt. 129 e 157 c.p.p. e ss., in parziale riforma della sentenza emessa in data 28/9/2017 dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di A.A., B.B., C.C., nonchè dei non ricorrenti F.F. e G.G. perchè il reato loro ascritto è estinto per intervenuta prescrizione; ha rigettato l'appello proposto da assicurazioni Generali Spa in persona del legale rappresentante p.t.; ha accolto l'appello proposto da C.G.I.L. Regione Campania, in persona del legale rappresentante p.t., e, per l'effetto, ha condannato A.A., B.B. e C.C., oltre che F.F., G.G. e assicurazioni Generali Spa in persona del legale rappresentante p.t., quale responsabile civile, al risarcimento dei danni patiti dalla suddetta parte civile costituita, in solido con D.D., rimettendone la determinazione al giudice civile, nonchè al pagamento delle spese processuali sostenute nei due gradi di giudizio che ha liquidato.

Con tale pronuncia la Corte partenopea ha poi confermato nel resto e, conseguentemente, ha condannato gli odierni ricorrenti A.A., B.B., C.C., oltre che i coiimputati F.F., G.G. e assicurazioni Generali Spa in persona del legale rappresentante p.t., alla refusione in favore della parte civile D.D. delle spese dallo stesso sostenute nella fase del giudizio di secondo grado, che ha liquidato.

In primo grado il tribunale sammaritano in composizione monocratica aveva condannato gli odierni imputati per il reato p. e p. dagli art. 113 c.p., art. 590 c.p., comma 2 e 3, perchè, con condotte autonome ma concorrenti al verificarsi dell'evento lesivo, con colpa, negligenza, imprudenza ed imperizia, violando tutti numerose disposizioni normative in tema di prevenzione infortuni e sicurezza sui luoghi di lavoro, consentivano e comunque non impedivano che il lavoratore D.D., dipendente della ditta EPDXY SISTEM Srl, esercente attività di costruzioni, ditta coinvolta nella realizzazione di un'area attrezzata denominata (Omissis), con mansioni di operaio, prestasse la propria attività lavorativa in condizioni di pericolo ed in violazione della normativa antinfortunistica così cagionandogli lesioni personali gravissime e un'inabilità permanente assoluta, con impossibilità d'uso degli arti inferiori dalla quale il lavoratore infortunato non è tuttora guarito, in (Omissis) il (Omissis).

A.A. e B.B. erano stati condannati: la A.A. quale amministratore unico e legale rappresentante dal 9/6/2009 a tutt'oggi della società denominata Cover Sud Srl e il B.B. quale responsabile del servizio di prevenzione e protezione e direttore tecnico di cantiere della medesima società. alla A.A. veniva contestato di avere omesso di redigere, sebbene a ciò tenuta, il piano operativo della sicurezza (POS) in quanto quello esibito è a firma del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, in violazione del D.Lgs. n. 106 del 2009, art. 96, comma 1, lett. g); di avere omesso di effettuare, sebbene a ciò tenuta, la prescritta attività di cooperazione nell'attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi e la mancata informazione reciproca tra le ditte al fine di eliminare i rischi dovuti alle interferenze delle attività lavorative, a in violazione al D.Lgs. n. 106 del 2009, art. 26, comma 2; di avere omesso di effettuare, sebbene a ciò tenuta, la prescritta e preventiva valutazione del rischio derivante dall'uso dell'autopompa per la fornitura di calcestruzzo nella specifica fase lavorativa in corso di esecuzione, considerato che l'operazione effettuata era da ritenersi pericolosa e relazione alle condizioni "limite" di utilizzo dell'autopompa stessa (ciò in relazione al fatto che il mezzo d'opera veniva posizionato a notevole distanza dal punto di scarico del calcestruzzo, all'esterno della recinzione definitiva già realizzata, peraltro in difformità al cronoprogramma preventivamente stabilito, in violazione del D.Lgs. n. 106 del 2009, art. 17, comma 1, lett. a); di avere omesso di verificare, sebbene a ciò tenuta, le condizioni di sicurezza dei lavori affidati e l'applicazione delle disposizioni e delle prescrizioni del piano di sicurezza e coordinamento, in particolare la dovuta vigilanza sulla sicurezza dei lavori affidati e l'applicazione delle disposizioni e prescrizioni contenute nel piano di sicurezza e coordinamento, in violazione del D.Lgs. n. 106 del 2009, art. 97, comma 1; di avere omesso di coordinare, sebbene a ciò tenuta, la prescritta verifica dei requisiti tecnico professionali alle imprese appaltate, in violazione del D.Lgs. n. 106 del 2009, art. 26, comma 1, lett. a) e b).

al B.B. è stato contestato, nella qualità di cui sopra, di avere omesso di effettuare, sebbene a ciò tenuto, la prescritta attività di vigilanza sulla corretta e puntuale applicazione del piano operativo della sicurezza in violazione del D.Lgs. n. 106 del 2009, art. 91, comma 1, lett. a; di avere omesso di effettuare, sebbene a ciò tenuto, un'attività di cooperazione e coordinamento tra le imprese esecutrici, in violazione del D.Lgs. n. 106 del 2009, art. 92, comma 1, lett. c; di avere omesso di verificare, sebbene a ciò tenuto, i contenuti tecnici e procedurali dei piani operativi della sicurezza delle imprese esecutrici, in violazione al D.Lgs. n. 106 del 2009, art. 92, comma 2, lett. b.

C.C. era stato condannato quale amministratore unico e legale rappresentante della ditta denominata EPDXY System Srl , esercente attività di realizzazione di pavimenti industriali, società subappaltatrice dei lavori, datore di lavoro dell'infortunato, per avere omesso di redigere, sebbene a ciò tenuto, il piano operativo della sicurezza (POS), in violazione al D.Lgs. n. 106 del 2009, art. 96, comma 1; per avere omesso di fornire, sebbene a ciò tenuto, un'adeguata informazione ai propri dipendenti circa i rischi connessi con l'ambiente di lavoro e le attività ad esso connesse, in violazione del D.Lgs. n. 106 del 2009, art. 36, comma 1; per avere omesso di fornire, sebbene a ciò tenuto, un'adeguata, puntuale e specifica formazione ai propri dipendenti inerenti alle mansioni alle quali i dipendenti sono adibiti, in violazione del D.Lgs. n. 106 del 2009, art. 18, comma 1, lett. I; per aver omesso di effettuare, sebbene a ciò tenuto, la prescritta attività di cooperazione all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi e mancata informazione reciproca tra le ditte al fine di eliminare i rischi dovuti alle interferenze delle attività lavorative, in violazione al D.Lgs. n. 106 del 2009, art. 26, comma 2.

La Corte partenopea, come detto, ha dichiarato non doversi procedere per essersi il reato ascritto agli odierni ricorrenti prescritto, confermando le statuizioni civili ed anzi ampliandole anche alla costituita parte civile Cgil Regione Campania.

2. avverso tale provvedimento hanno proposto ricorso per Cassazione, a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1,. - A.A. e B.B. (avv. Vincenzo ALESCI) Ricordato l'incontestato svolgimento dei fatti di cui all'imputazione, il difensore ricorrente evidenzia che, non emergendo altri fattori di causalità dell'evento, e in particolare non essendo emerse dalla documentazione acquisita in atti criticità in punto di corretta elaborazione e applicazione delle norme di garanzia antinfortunistiche (escluse dall'ing. H.H., consulente del p.m., che - limitando il ragionamento a COVER SUD - ritenne idoneamente ponderati e fronteggiati nei piani della società i rischi specifici e altrettanto coordinati i presidi contro quelli interferenziali), il primo giudice ridusse correttamente l'alveo del thema decidendi pervenendo però a conclusioni non condivisibili alla luce delle disponibilità istruttorie.

Ricorda il ricorrente che il (Omissis) nel cantiere di (Omissis) erano presenti operai di tre imprese:

- della CLS, fornitrice del calcestruzzo, che aveva in loco una betoniera e un'autopompa (dal verbale dell'udienza del 9/05/2013, foil. 39/49, si evince che quel mattino fu respinta una pompa più piccola, necessitando una capacità di gittata più lunga);

- della C.R.R. Srl , che erano presenti nel cantiere, in quanto - come da contratto acquisito in atti - aveva ricevuto in subappalto dall'impresa affidataria la realizzazione di talune delle opere complementari del (Omissis). E che per tale ragione erano intenti alla costruzione di una piccola cavea, dell'altezza di non più di 120 cm, insistente in un'area del cantiere che non dava adito a possibili interferenze con le attività delle altre due imprese.

Per quanto, dunque, il l.r.p.t. della C.R.R., I.I., figurasse tra gli originari coimputati, gli approdi dell'istruzione dibattimentale hanno tassativamente escluso che quel giorno egli avesse un qualche ruolo di garanzia verso gli operai delle altre imprese presenti nel cantiere, ovvero che fosse al medesimo ascrivibile una condotta poco diligente e causalmente rilevante nelle lesioni patite dall'operaio della EPDXY SYSTEM. Tant'è che I.I. fu assolto per non aver commesso il fatto.

- della EPDXY SYSTEM, società molto nota nel settore delle pavimentazioni industriali e particolarmente attenta alle politiche della sicurezza, che operava nel cantiere di (Omissis) in esecuzione di un contratto similare di subappalto (non soggetto ad autorizzazione della stazione appaltante, ma a semplice comunicazione preventiva, tempestivamente assolta) sottoscritto l'(Omissis) con la COVER SUD, in persona del L.R.p.t A.A. (come da atto acquisito).

Per l'effetto, attesa l'espressa previsione contrattuale, l'impresa subappaltatrice assunse l'autonoma gestione del lavoro (e sul punto il ricorrente ricorda che non sono emerse ingerenze dell'appaltatore nel luogo di lavoro, sì da potersi considerare il subappaltatore alla stregua di un mero esecutore).

Di ciò si ha prova -prosegue il ricorso- dal fatto che la piena responsabilità di quanto si s la mattina del (Omissis) non erano presenti in cantiere operai della COVER SUD, giacchè volgeva nel cantiere e in particolare nelle aree interessate dai lavori subappaltati, essendosi impegnata autonomamente all'osservanza di tutte le disposizioni sopra richiamate (in materia di prevenzione infortuni ed igiene del lavoro), oltre che del Piano di Sicurezza Generale era della EPDXY SYSTEM Srl .

La tesi che si ripropone in questa sede è quella secondo cui, subappaltata legittimamente la realizzazione di una pavimentazione industriale alla EPDXY SYSTEM, società ritenuta idonea anche dal Responsabile dei Lavori e Coordinatore per l'esecuzione (cui competevano, ai sensi del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 92 tutti gli obblighi connessi alla verifica dell'idoneità delle ditte subappaltatrici e dell'applicazione da parte delle imprese esecutrici delle disposizioni loro pertinenti e delle relative procedure di lavoro), la COVER SUD non aveva più la possibilità di ingerenza nella materiale realizzazione delle opere oggetto del regolamento contrattuale; in particolare non spettava a tale società programmare l'evoluzione dei lavori, ovvero l'avvalimento o meno, per la posa in opera del calcestruzzo, dell'autopompa.

Si può verificare dagli atti del cantiere --prosegue il ricorso- che fino all'ingresso in cantiere della EPDXY SYSTEM tutto era stato realizzato con il calcestruzzo scarriolato a mano, senza ausilio di autopompa, per quanto la COVER SUD avesse previsto nel proprio POS, conformemente alle prescrizioni del PSC, l'utilizzo di un siffatto automezzo; del resto (e il ricorrente richiama sul punto la sentenza n. 18745/2010) elemento naturale del contratto di subappalto, al pari del contratto di appalto, è quello dell'autonomia del subappaltatore nell'esecuzione delle opere affidategli dal subcommittente.

Ricorda il ricorrente che secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, in tema di ripartizione di responsabilità fra committente e appaltatore in materia di sicurezza sul lavoro, in assenza di specifiche previsioni contrattuali, che riservino al committente (o al subcommittente) i poteri tecnico organizzativi in relazione all'opera da eseguire, o in mancanza di una effettiva ingerenza di questi nell'organizzazione della sicurezza del cantiere in cui operi l'appaltatore (o il subappaltatore), deve ritenersi quest'ultimo l'unico garante dell'incolumità fisica dei suoi dipendenti e, dunque, l'unico responsabile per l'infortunio del suo lavoratore.

L'acquisizione della fattura n. (Omissis), emessa in data (Omissis) da CLS a carico di CO.VER Sud, per il ricorrente, non vale a conferire alla seconda un ruolo nella catena eziologica dell'evento.

Ciò in quanto la fattura fu correttamente emessa a carico della CO.VER Sud, perchè su detta società gravavano i costi dei materiali per le opere che dovevano essere realizzate da EPDXY SYSTEM, ma nulla aggiunge riguardo alla titolarità della scelta tecnica di avvalersi dell'autopompa.

Sostiene il ricorrente che quella scelta fu assunta in completa autonomia da EPDXY SYSTEM, come si evince indirettamente anche da quanto riferito dall'arch. G.G.: prima che in cantiere operasse la EPDXY SYSTEM il calcestruzzo era posto in opera mediante scarriolamento.

Ciò vale, per il difensore ricorrente, non solo in relazione alla posizione processuale di A.A., ma anche in riferimento alla posizione processuale di B.B., al quale il primo giudice addebitò profili di colpa generica per non essersi informato delle modalità di fornitura del calcestruzzo e non avere assunto le determinazioni consequenziali, e di colpa specifica, per avere omesso il coordinamento tra le imprese esecutrici e aver omesso la vigilanza sulla puntuale applicazione del POS della CO.VER Sud e delle altre imprese esecutrici.

Osserva il ricorrente che in dibattimento non si fece mai questione del possesso da parte del medesimo dei requisiti tecnici e morali di legge per l'assunzione dell'incarico; egli svolgeva legittimamente il suo ruolo apicale all'interno dell'organizzazione, gestione e conduzione del cantiere per conto di COVER SUD (in materia vige l'obbligo dell'unicità di incarico) interfacciandosi con la direzione dei lavori.

Tuttavia, per il ricorrente la dinamica degli eventi e la documentazione acquisita escludono la responsabilità dell'imputato: B.B. non poteva rispondere del mancato rispetto delle normative antinfortunistiche in relazione a lavorazioni che non erano in programma o che non dovevano essere svolte con modalità necessitanti di coordinamento in materia di prevenzione (dei rischi specifici dell'attività d'impresa della società subappaltatrice risponde unicamente il rispettivo datore cli lavoro). Il contratto similare di subappalto sottoscritto con la EPDXY SYSTEM, s'è già detto, trasferì la realizzazione, in autonomia, alla detta società della pavimentazione industriale con gli annessi obblighi di garanzia.

La sentenza della Corte distrettuale -ci si duole- non accede alle osservazioni svolte dalla difesa nei motivi di appello in forza di un evidente travisamento della prova, laddove si legge al fol. 14: "come da fatture in atti emerge chiaramente che fu la Cover Sud a commissionare alla GLS, con un'operazione di nolo a caldo, il lavoro di spargimento del calcestruzzo con l'uso dell'autopompa di proprietà di quest'ultima".

L'asserto per il ricorrente non trova conforto in nessun elemento della piattaforma probatoria. Ciò perchè la fattura n. (Omissis), cui evidentemente intende riferirsi la Corte distrettuale, non prova che la fornitura fu commissionata dalla Cover Sud, ma solo che giusto contratto similare di subappalto sottoscritto da Cover Sud e EPDXY SISTEM - i costi dei materiali restavano a carico della prima. Detto contratto, che il ricorrente allega, viceversa, impegnava autonomamente la EPDXY SISTEM al rispetto della normativa antinfortunistica, come consacrata nel Piano di Sicurezza Generale predisposto per i lavori cali realizzazione del primo lotto del "(Omissis)". L'unico obbligo che residuava in capo alla Cover Sud in relazione alla realizzazione della pavimentazione industriale era il pagamento alla EPDXY SISTEM dei prezzi pattuiti per la posa in opera dei materiali.

Il travisamento muterebbe completamente la prospettiva del ragionamento di diritto da svolgersi nel caso di specie. Il pagamento dei materiali - è la tesi difensiva - non implicava alcun coinvolgimento della Cover Sud nella posa in opera dei materiali e annesse scelte tecniche, ascrivibili unicamente alla Epoxy System o alla CLS; coinvolgimento evocato dalla Corte territoriale, ma non argomentato col richiamo a evidenze fattuali, propriamente e univocamente rappresentative della conseguenza trattane in punto di affermazione della responsabilità dei ricorrenti.

Cassato il dato probatorio travisato, risulterebbero confermati i rilievi mossi dalla difesa avverso la sentenza di prime cure.

- C.C. (avv. Giuseppe Stellato e avv. Umberto Pappadia).

Con un primo motivo il ricorrente lamenta violazione del D.Lgs. n. 106 del 2019, art. 96 comma 1, lett. g, art. 36, comma 1, art. 18, comma 1 e art. 26, comma 2 e dell'art. 590 c.p. nonchè motivazione illogica e contraddittoria, oltre che apparente e, pertanto, inesistente in punto di affermata responsabilità civile.

Il difensore ricorrente, ricordati i fatti di cui è processo, evidenzia che, una volta prescritto il reato, il C.C. è stato ritenuto civilmente responsabile del sinistro occorso alla persona offesa nella sua qualità di datore di lavoro (essendo il legale rappresentante della "EPDXY SISTEM Srl "), precisamente, per aver omesso la redazione di un completo POS - Piano Operativo di Sicurezza -, per non aver correttamente formato ed informato il suo dipendente e per non aver compiutamente cooperato per analizzare l'incidenza dei rischi connessi al coordinamento delle ditte coinvolte nella lavorazione. Invero, il cantiere teatro del tragico incidente era interessato dalla realizzazione di una villetta comunale, opera affidata in appalto dal Comune di (Omissis) alla società aggiudicataria "Cover Sud", la quale, a sua volta, subappaltava i lavori di pavimentazione alla "EPDXY SISTEM Srl " e la fornitura di calcestruzzo alla "CLS".

Ebbene, in data (Omissis), il braccio meccanico dell'autopompa utilizzata per il getto del calcestruzzo rovinava sulla persona offesa, in seguito al ribaltamento dell'automezzo, incidente verificatosi a causa di un errato posizionamento dello stesso: è stato accertato che uno dei quattro bracci di stabilizzazione era stato posizionato su di una cosiddetta "zanella", ossia una mattonella di cemento sovrapposta ad una canaletta vuota, che non offriva una base sufficientemente resistente per poter sostenere il peso della pompa meccanica con il braccio quasi interamente spiegato.

Per il ricorrente la decisione con cui i giudici di appello, sebbene ai soli fini della responsabilità civile, hanno confermato la decisione di primo grado presenterebbe una motivazione affetta da plurimi vizi di legittimità e contraddittoria rispetto alla ricostruzione storica dell'incidente, così come concordemente proposta dal giudice di primo e secondo grado, che appare assolutamente corretta nella misura in cui riconduce la responsabilità naturalistica del ribaltamento, all'imperizia dei lavoratori della società "CLS", unico ente responsabile per la fornitura dei materiali. Il ricorrente non condivide, invece, il fondamento della responsabilità colposa ed omissiva riconosciuta in capo al C.C., il quale, secondo la prospettazione accusatoria, non avrebbe contribuito a prevenire l'evento violando il D.Lgs. n. 106 del 2009, art. 96, comma 1, lett. g), art. 36, comma 1, art. 18, comma 1 e art. 26, comma 2.

Si lamenta che il giudice di secondo grado, pur soffermandosi sulla ricostruzione storica del fatto, compendi in meno di due pagine le valutazioni inerenti le diverse censure evidenziate nell'atto di appello.

In particolare, ci si duole che la Corte partenopea abbia scelto di procedere ad un esame rapido e non approfondito della vicenda, che si sarebbe dovuto incentrare sui due profili di responsabilità contestati dalla Pubblica accusa, ossia il non aver adempiuto ad una completa formazione ed informazione sui rischi da interferenza (nella specie quelli relativi alla presenza in cantiere di un'autopompa) e l'incompleta redazione del POS. Quanto al primo aspetto, l'atto di gravame si soffermava ampiamente sull'analisi dei mezzi di prova dai quali era univocamente emersa l'assoluta insussistenza di possibili addebiti in capo all'imputato per l'avvenuto, integrale adempimento da parte del C.C. (da pag. 6 a pag. 9 dell'atto di appello) degli obblighi di formazione ed informazione dell'operaio.

In un dettagliato atto di appello, infatti, la difesa ricorda che aveva richiamato puntualmente non solo i verbali di udienza ma, addirittura, gli stralci delle deposizione dei testi riportati nella stessa sentenza di primo grado: ebbene, tutti i testimoni d'accusa, a cominciare proprio dalla persona offesa (sulla cui attendibilità il ricorrente ritiene che sarebbe veramente singolare opinare), hanno affermato che la società rappresentata dal C.C., aveva sempre adempiuto con puntualità e rigore estremo all'obbligo di formazione ed informazione dei lavoratori, con specifico riferimento al rischio connesso all'utilizzo dell'autopompa ed all'obbligo di non sostare nel campo di azione del braccio meccanico.

Sul punto il ricorrente rinvia a quanto sostenuto nell'atto di appello, che trascrive nella parte relativa alla formazione e informazione del lavoratore da pag. 5 a peg. 8 del ricorso, a quanto sostenuto nella parte dedicata alla ricostruzione delle prove acquisite nel dibattimento contenuta nella sentenza di primo grado, a quanto affermato dai testi nel corso dell'esame dibattimentale, alle prove documentali acquisite nel corso del primo grado di giudizio ed allegate alla CT del P.M. Ebbene, a fronte delle dettagliate argomentazioni, basate sul richiamo agli accertamenti dibattimentali, contenute nel gravame del merito, il ricorrente lamenta che la Corte partenopea replichi con una tesi affidata a pochi righi infarciti di apodittiche ed indimostrate affermazioni: "... D.D. lavorava per la Epoxy che, per quanto su evidenziato, non aveva un POS nel quale fosse previsto e disciplinato il rischio relativo all'uso dell'autopompa per cui l'operaio non aveva ricevuto formazione in merito" (cfr. pag. 15 della sentenza d'appello).

Questa affermazione risulterebbe assolutamente incomprensibile alla luce degli accertamenti dibattimentali richiamati finanche nella sentenza di primo grado con la quale, dunque, quella di appello si porrebbe in assoluto contrasto.

avrebbe dovuto spiegare la Corte partenopea, infatti, donde deriva il proprio convincimento considerato che tutti i testi di accusa, ed in primis la persona offesa, hanno affermato che ricevettero specifica formazione ed informazioni in merito ai rischi connessi all'uso dell'autopompa ed alla necessità di non operare nel campo di azione della stessa.

Il ricorrente dichiara di censurare in questa sede la tecnica motivazionale utilizzata dalla Corte d'appello che contrappone ai fatti ed alle prove acquisite in dibattimento affermazioni apodittiche senza esporre il percorso probatorio e motivazionale che sosterrebbe l'affermazione stessa, fornendo un tipico esempio di motivazione apparente che elude in maniera evidente l'esame delle tematiche sottese alla vicenda sottoposta alla sua valutazione.

Inoltre, analizzando i pochi righi dedicati alla posizione del C.C., si scopre che la Corte territoriale propone un'affermazione che parrebbe addirittura in linea con la prospettazione difensiva, laddove afferma che "alla luce dei vari elaboratori sulla sicurezza, eventuali carenze di alcuni di essi non incisero sulla formazione dei lavoratori.

Secondo tale affermazione, infatti, sembrerebbe che la Corte si sia resa conto che quand'anche il POS elaborato dalla EPDXY risultasse carente con riferimento ai rischi connessi all'uso dell'autopompa, tale circostanza non avrebbe avuto influenza alcuna nella vicenda, in quanto i lavoratori erano stati egualmente e debitamente formati in proposito.

Ciò nonostante, pochi righi dopo, la medesima Corte sostiene, in maniera evidentemente, illogica e contraddittoria, che le carenze del POS, che ritiene di aver rilevato, avrebbero una portata determinante nella causazione dell'evento.

La Corte territoriale -prosegue il ricorso - fa discendere incompletezza del POS (sulla base di argomentazioni logiche che non è dato comprendere) l'omessa formazione del D.D. circa i rischi connessi all'autopompa. Ma sarebbe di tutta evidenza per il ricorrente che tale segmento della pronuncia risulta assolutamente contraddittorio sostenendo un dato fattuale per poi negano a poche righe di distanza. In buona sostanza, l'affermazione della Corte, di cui sopra, si sostanzierebbe in una mera asserzione di principio: la redazione del POS, infatti, non incide sulle corrette attività di formazione.

Sul punto, il ricorrente ribadisce che queste ultime risultano espletate, anche in riferimento all'utilizzo di autopompe: si tratta di un dato - sul quale la difesa sollecitava specificamente l'attenzione della Corte - inconfutabilmente emerso dall'istruttoria dibattimentale: non solo ne è stata prodotta la relativa documentazione, ma lo ha sostenuto anche la stessa persona offesa.

Ci si duole, però, che di tali elementi probatori, però, la sentenza impugnata non ne dia atto, nè per confermarne l'attendibilità, nè per confutarla.

Del resto, si evidenzia che il capo di imputazione - con il quale si lamenta che la Corte territoriale in nessun modo si confronti- correttamente analizza distintamente i profili relativi al POS ed alla formazione del lavoratore. E non a caso sono diverse le disposizioni normative invocate sui rispettivi punti dalla tesi accusatoria, circostanza della quale per il ricorrente il giudice di secondo grado non sembra apparire consapevole, ed anzi surrettiziamente argomenta la conferma delle statuizioni civile quasi fosse contestata una fattispecie di colpa generica.

Quanto, invece, alla redazione del POS il Tribunale prima, Le la Corte d'appello poi, incorrerebbero in un evidente travisamento del fatto, specificamente censurato nell'atto d'appello e, ancora una volta, inopinatamente non analizzato dalla censurata pronuncia.

Sul punto, la sentenza in commento chiarisce di non condividere quanto dedotto nell'atto di impugnazione, cioè che le attività di redazione del POS ricadevano sul coordinatore per la sicurezza e direttore dei lavori, l'architetto G.G..

Ciò che stupisce per il ricorrente è che in nessun modo la difesa avava affermato che fosse compito del G.G. redigere il POS laddove ciò che si era sostenuto in sede di gravame nel merito era stato ben diverso, cioè che il POS, ai sensi della vigente normativa richiamata nel capo di imputazione (e mai nelle sentenze), non poteva nè doveva contemplare il rischio connesso all'autopompa, poichè il progetto esecutivo approvato (costituente il presupposto storico dell'appalto e del subappalto) non ne prevedeva l'utilizzo ma che quest'ultima non doveva essere utilizzata.

Non può essere posto in dubbio -si evidenzia in ricorso-che il POS viene redatto con specifico riferimento alle attuazioni previste e non può mai contenere riferimento a rischi specifici la cui sussistenza non è desumibile dagli elaborati progettuali.

altro discorso è, invece, quello relativo aula valutazione dei rischi interferenziali ed all'obbligo connesso alla redazione dello specifico elaborato, laddove la corretta informazione dei rischi da interferenza avviene sulla base del piano di coordinamento di competenza del coordinatore per la sicurezza G.G., il quale lo stila alla luce dei diversi POS provenienti dalla imprese impegnate nel cantiere. Conseguendone che è il piano di coordinamento ad essere redatto alla luce del POS e non viceversa, sicchè appare giuridicamente scorretto affermare che il secondo debba essere stilato alla luce del primo, come esplicitamente, ed incomprensibilmente afferma la Corte.

Di tale circostanza (e della sua mancata analisi da parte del Giudice di prime cure) se ne dà atto in sede di gravame (da pag. 10 a pag. 15 dell'atto di appello), tuttavia ci si duole che la Corte territoriale non affronti la questione, aderendo ad una ricostruzione diversa, senza fornire alcuna spiegazione sull'erroneità della ricostruzione normativa descritta.

Nella stessa sentenza di primo grado si affermava, sulla base di copiosi e puntuali richiami giurisprudenziali, che sul coordinatore per la sicurezza grava lo specifico e gravoso compito di assicurare una "alta sorveglianza" sulla effettiva esecuzione delle prescrizioni impartite sotto il profilo della sicurezza ai lavoratori.

In pratica, il coordinatore per la sicurezza ha il compito specifico di verificare la completezza dei POS prodotti dalle ditte, con riferimento alle singole lavorazioni loro attribuite, ed elaborare un piano di coordinamento che prendesse in esame i rischi interferenziali e coordinasse l'opera delle diverse ditte impegnate assicurando, infine, il rispetto di tutte le prescrizioni sulla sicurezza. Ed infatti, era solo il direttore dei lavori e coordinatore per la sicurezza a poter sapere che sul quel cantiere si era deciso di utilizzare un'autopompa per il getto del calcestruzzo, a prescindere dalle previsioni progettuali.

Orbene nell'atto di appello la difesa ricorda di avere segnalato come sin dal primo grado ed in particolare nella sentenza di primo grado si precisava, a pag. 29, che il G.G. aveva effettivamente analizzato il rischio connesso all'utilizzo dell'autopompa e lo aveva inserito nel piano di coordinamento.

Dunque, il tema giuridico sul quale la Corte si sarebbe dovuta pronunciare era proprio la rilevanza, ai fini del giudizio di responsabilità, di eventuali carenze del POS cui aveva ovviato il piano di coordinamento per la sicurezza: a fronte di ciò, la Corte non si sarebbe impegnata in una specifica e dettagliata argomentazione affidandosi, invece, ad affermazioni lapidarie e prive, a nostro avviso, di rilevanza giuridica. Si legge, infatti, nella sentenza impugnata che "la responsabilità penale allo stesso addebitata consegue al fatto, non contestato all'imputato, che nel POS non era previsto l'utilizzo di autopompe, nonostante tale lavorazione fosse espressamente prevista dal piano di coordinamento redatto dall'architetto G.G. (cfr. sentenza impugnata pag. 11).

Tale affermazione per il ricorrente consente di desumere: a. che la Corte territoriale non contesta affatto la circostanza che nel progetto esecutivo non fosse previsto l'utilizzo di autopompe; b. che la Corte erra clamorosamente laddove mostra di ritenere che il POS sia un elaborato che segue logicamente e storicamente la redazione del piano di coordinamento laddove normativamente è vero il contrario.

Con un secondo motivo il ricorrente lamenta violazione di legge e difetto di motivazione con riferimento all'art. 578 c.p.p. in relazione agli art. 41 c.p., comma 1, artt. 43 e 590 c.p..

Gli addebiti mossi al C.C. -si legge in ricorso- integrano una forma di responsabilità omissiva colposa, ne consegue che, per affermarne la responsabilità, è necessario dimostrare, al di là di ogni ragionevole dubbio, che l'evento dannoso sia conseguenza specifica di tale omissione: tale incombenza probatoria, secondo consolidato orientamento della Corte di legittimità, deve essere adempiuta mediante un duplice giudizio.

In primo luogo, occorre verificare che l'evento realizzatosi ricorre specificamente tra quelli che la norma cautelare violata mira a prevenire.

In secondo luogo, mediante giudizio controfattuale, è necessario immaginare la condotta doverosa e appurare che la stessa, se fosse stata correttamente posta in essere.

La Corte d'appello, tuttavia, pur richiamando formalmente tali premesse metodologiche di diritto ne tradirebbe profondamente la ratio.

Sovrapporrebbe, infatti, i predetti passaggi logici, affermando che "è indubbio che sia la disposizione generale dell'art. 2087 c.c. sia le norme in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro sono dirette a impedire il verificarsi di eventi lesivi dell'integrità fisica dei lavoratori e di coloro che interagiscono con l'ambiente di lavoro, e che nel caso in esame le violazioni su evidenziate, qualora non si fossero realizzate avrebbero impedito il verificarsi dell'incidente occorso al D.D. "(pag. 16 della sentenza d'appello).

Ebbene, in primis, precisa il ricorrente che si tratta delle uniche righe spese dalla Corte territoriale sull'argomento e che difficilmente non possono essere stigmatizzate, quantomeno, come apodittiche.

Invero, se, da un lato, non può che concordarsi sul fatto che si tratti di norme volte genericamente alla tutela della salute del lavoratore, dall'altro, sarebbe stato necessario verificare, nel caso concreto, che le carenze del POS (dalle quali, come spiegato, la Corte fa discendere la carenza di formazione) fossero specificamente rivolte alla prevenzione dei rischi da interferenza.

Solo all'esito di tale accertamento eventualmente positivo, quindi, avrebbero dovuto appurare che l'evento, immaginando la condotta doverosa come realizzata, non si sarebbe ugualmente verificato.

Quanto al primo aspetto, per il ricorrente non pare potersi condividere la tesi secondo la quale le prescrizioni in materia di POS sono tese a scongiurare lesioni dovute ai rischi interferenziali: come già affermato nel primo motivo di ricorso, è alla luce di tale documento (presentato dalle singole imprese operanti nel cantiere) che il responsabile del coordinamento ai fini della sicurezza è chiamato a redigere.

Ne conseguirebbe, dunque, che la lesione scaturente dall'interferenza con una diversa impresa, quale, nel caso di specie, quella dovuta alla betoniera utilizzata dalla società "CLS", non rientra nel novero dei rischi specificamente prevenuti dalla legislazione in materia di POS. Pertanto, la motivazione della Corte d'appello incorrerebbe in un evidente vizio di erronea applicazione di norma giuridica cui si deve tener conto ai fini dell'applicazione della legge penale.

Nè, peraltro, sarebbe dato rinvenire nel breve passaggio riportato il fondamento di un diverso convincimento, non avendo la sentenza approfondito in alcun modo la questione.

Del resto, neppure appare pertinente il richiamo operato al generale dovere di controllo del datore di lavoro, poichè si tratta di un'operazione ermeneutica tesa a svincolare l'obbligo motivazionale dal binario tracciato dal capo di imputazione, il quale, come più volte osservato, muove addebiti integranti responsabilità per colpa specifica, non per colpa generica.

ad ogni modo, pur volendo accedere alla tesi sostenuta dalla sentenza, in base alla quale le norme che si assumono violate avrebbero efficacia preventiva rispetto alla lesione scaturente da rischio interferenziale, essa ometterebbe completamente di motivare sul perchè l'evento si sarebbe ugualmente verificato.

In altri termini, la Corte territoriale, pur affermando che il giudicante è chiamato ad immaginare "come realizzata l'azione doverosa omessa alfine di verificare se, tenendo la condotta doverosa, l'evento si sarebbe verificato " di fatto si limita all'enunciazione del principio, poichè non prende in alcun modo in considerazione eventuali fattori alternativi alla luce della concreta vicenda oggetto di analisi.

Nel caso di specie, infatti, sarebbe stato necessario comprendere se il lavoratore, debitamente formato e informato (eventualmente mediante POS) non sarebbe incorso nell'infortunio.

Sul punto, il ricorrente ricorda reiteratamente che il D.D. ha affermato di aver ricevuto adeguata formazione; di ciò, del resto, ne dà conto anche la sentenza di primo grado, ai sensi della quale la persona offesa ha chiarito di essere stato "edotto dei rischi connessi al tipo di attività lavorativa svolta e, in particolare, di quello correlato all'utilizzo dell'autopompa sotto il cui braccio bisognava evitare di sostare" (pag. 6 della sentenza di primo grado). Circostanza confermata, peraltro, dai testi L.L., M.M., dal CT H.H., e dall'acquisizione della dispensa consegnata agli operai che informa dettagliatamente sui pericoli connessi all'utilizzo di betoniera con braccio snodabile.

Stante tale incontrovertibile dato fattuale per il ricorrente appare estremamente difficile sostenere che un'eventuale indicazione, da parte del POS, della presenza della betoniera avrebbe potuto incidere significativamente sulla condotta del lavoratore. Quest'ultimo, infatti, era puntualmente stato reso edotto della condotta da adottare in simili evenienze sicchè un'eventuale, formale indicazione da parte del POS non avrebbe potuto aggiungere alcuna efficacia preventiva ulteriore rispetto alla formazione già ricevuta.

Con un terzo motivo si lamentano violazione di legge e mancanza di motivazione con riferimento all'art. 578 c.p.p. in relazione all'art. 590 c.p. in relazione alla ricostruzione della dinamica dell'incidente, con particolare riferimento alla condotta della persona offesa.

Il difensore ricorrente ricorda che nell'atto di appello era stata sollevata un'ulteriore questione rilevante ai fini della dimostrazione della responsabilità colposa del C.C., presupposto utilizzato dalla Corte territoriale per confermare le statuizioni civili: l'intero impianto accusatorio poggia sulla premessa fattuale in base alla quale il D.D., a causa di una carenza di formazione, si sarebbe trovato, al momento dell'incidente, al di sotto del braccio dell'autopompa.

Tale circostanza, però, non apparirebbe suffragata da univoci elementi istruttori; invero, nessuno dei testimoni ricorda precisamente che la persona offesa fosse effettivamente nelle immediate vicinanze del braccio snodabile.

La stessa sentenza di primo grado, infatti, ammette che non è possibile determinarlo con certezza; ritiene, però, la questione non dirimente poichè la forza d'urto del ribaltamento del mezzo ben avrebbe potuto espandersi in un raggio molto elevato (cfr. pag. 36-37 della sentenza di primo grado).

Ebbene, una simile conclusione, a parere del ricorrente, spezza qualsiasi collegamento tra il fatto e la condotta addebitata al datore di lavoro: se difetta la prova che la vittima si trovasse sotto il braccio, evidentemente non può dirsi realizzata la condotta che doveva essere prevenuta.

Detto altrimenti, non può sostenersi che il C.C. sia responsabile per non aver informato il D.D. di non sostare sotto il braccio e al contempo affermare che forse ciò non è accaduto.

Ci si duole, però, che la Corte d'appello, specificamente interrogata sulla questione, abbia omesso completamente di motivare sul punto. La stessa, infatti, si limita a ribadire che una condotta colposa del lavoratore non avrebbe spezzato il flesso di rischio poichè la previsione del rischio da parte deì POS rientra tra le norme antinfortunistiche, le quali "hanno la funzione primaria di eliminare o ridurre i rischi".

Per il ricorrente sarebbe di tutta evidenza che si tratta di un'affermazione tautologica, che, oltre a non misurarsi con le specifiche doglianze mosse dalla difesa, di fatto le travisa completamente premurandosi di chiarire che la condotta del D.D. non fu abnorme, o quantomeno che lo fu esclusivamente per una mancanza di informazione.

Ebbene, la predetta censura non è mai stata mossa dalla difesa, la quale, invece, sottolineava l'essenzialità di tale tassello ai fini della tenuta della prospettazione accusatoria e, di conseguenza, sollecitava la Corte d'appello ad una più profonda indagine dal punto di vista probatorio.

Tutti i ricorrenti chiedono, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata.

3. Il PG presso questa Corte in data 17/10/2023 ha anticipato con memoria scritta le proprie conclusioni.

Le parti hanno poi concluso in pubblica udienza come riportato in epigrafe.

 

Diritto


1. I motivi proposti nell'interesse di tutti i ricorrenti sono manifestamente infondati e, pertanto, i ricorsi vanno dichiarati inammissibili.

Le doglianze, laddove non generiche, tendono a sollecitare a questa Corte una rivalutazione del fatto non consentita in questa sede di legittimità e si sostanziano nella riproposizione delle medesime questioni già sollevate in appello, senza che vi sia un adeguato confronto critico con le risposte a quelle fornite dai giudici del gravame del merito.

Per contro, l'impianto argomentativo del provvedimento impugnato appare puntuale, coerente, privo di discrasie logiche, del tutto idoneo a rendere intelligibile l'iter logico-giuridico seguito dal giudice e perciò a superare lo scrutinio di legittimità, avendo i giudici di secondo grado preso in esame le deduzioni difensive ed essendo pervenuti alle loro conclusioni attraverso un itinerario logico-giuridico in nessun modo censurabile, sotto il profilo della razionalità, e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in sede di legittimità.

2. I fatti, per quanto rileva in questa sede e per come ricostruito dai giudici di merito, si verificarono in data (Omissis), all'interno dell'area di cantiere sita nel comune di (Omissis), e a seguito degli stessi il lavoratore D.D., dipendente della EPDXY SISTEM Srl (impresa subappaltatrice), riportava lesioni personali gravissime.

Il cantiere, relativo alla realizzazione di un'area attrezzata in (Omissis) denominata (Omissis), vedeva la soc. COVER. Sud Srl come società appaltatrice dei lavori per la realizzazione del primo lotto funzionale.

Il lavoratore, mentre era addetto insieme ad altri colleghi alle operazioni di getto e spianamento di calcestruzzo con l'ausilio di un'autopompa, posizionata a circa 38 mt di distanza (limite massimo di utilizzo), manovrata da N.N., dipendente della CLS CALCESTRUZZI Srl (impresa subappaltatrice di fatto, fornitrice del calcestruzzo e proprietaria dell'autopompa), fu colpito violentemente dal tratto terminale del braccio della pompa, abbattutosi al suolo a seguito di uno sprofondamento completo dello stabilizzatore anteriore destro dell'automezzo.

Lo sprofondamento dello stabilizzatore dell'autopompa fu causato dall'errato posizionamento del mezzo a opera dell'autista responsabile dello stesso (non indagato); posizionamento che non teneva in alcun conto le norme di cautela contenuto nel libretto di manutenzione del veicolo.

Nello specifico, uno dei piedi stabilizzatori dello stesso era stato collocato su un sottile cordolo di cemento posto al di sotto del marciapiedi esterno al parco oggetto della lavorazione, che non aveva retto la pressione complessiva del mezzo.

3. Orbene, venendo ai motivi proposti da A.A. e B.B., rispettivamente legale rappresentante e responsabile per la sicurezza e prevenzione dell'appaltatrice COVER SUD i ricorrenti assumono che vi sarebbe stato un "travisamento della prova", in quanto la fattura cui fa riferimento la Corte distrettuale (genericamente indicata) non proverebbe che la fornitura era stata commissionata alla CLS da COVERSUD Srl , ma soltanto che i costi dei materiali dei lavori subappaltati a EPDXY SISTEM Srl (che autonomamente aveva affidato a CLS i lavori di spargimento del calcestruzzo) erano rimasti a carico della società appaltatrice.

Orbene, va ricordato che questa Corte, con orientamento che il Collegio condivide e ribadisce, ritiene che, in presenza di una c.d. "doppia conforme", ovvero di una doppia pronuncia di eguale segno (nel caso di specie, riguardante l'affermazione di responsabilità), il vizio di travisamento della prova, può essere rilevato in sede di legittimità solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) che l'argomento probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (cfr. Sez. 4, n. 19710/2009, Rv. 243636 secondo cui, sebbene in tema di giudizio di Cassazione, in forza della novella dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), introdotta dalla L. n. 46 del 2006, è ora sindacabile il vizio di travisamento della prova, che si ha quando nella motivazione si fa uso di un'informazione rilevante che non esiste nel processo, o quando si omette la valutazione di una prova decisiva, esso può essere fatto valere nell'ipotesi in cui l'impugnata decisione abbia riformato quella di primo grado, non potendo, nel caso di c. d. doppia conforme, superarsi il limite del "devolutum" con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in cui il giudice d'appello, per rispondere alla critiche dei motivi di gravame, abbia richiamato atti ai contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice; conf. Sez. 2, n. 47035 del 3/10/2013, Giugliano, Rv. 257499; Sez. 4, n. 5615 del 13/11/2013 dep. 2014, Nicoli, Rv. 258432; Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013 dep. 2014, Capuzzi ed altro, Rv. 258438; Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016 dep. 2017, La Gumina ed altro, Rv. 269217).

Nel caso di specie, al contrario, la Corte di appello ha riesaminato e valorizzato lo stesso compendio probatorio già sottoposto al vaglio del tribunale e, dopo avere preso atto delle censure degli appellanti, è giunta alla medesima conclusione in termini di sussistenza della responsabilità degli imputati -sebbene ai soli fini civili essendosi nel frattempo il reato prescritto - che, in concreto, si limitano a reiterare le doglianze già incensurabilmente disattese nel precedente grado e riproporre la propria diversa lettura" delle risultanze probatorie acquisite, Fondata su mere ed indimostrate congetture, senza documentare nei modi di rito eventuali travisamenti degli elementi probatori valorizzati.

La sentenza impugnata, con motivazione logica e congrua, oltre che corretta in punto di diritto, e, pertanto, immune dai denunciati vizi di legittimità, condividendo il percorso argomentativo del primo giudice, ha ritenuto provato, alla luce delle emergenze istruttorie, il fatto che fu la COVER Sud Srl (impresa appaltante, cui il Comune aveva commissionato i lavori dal comune di (Omissis)) a commissionare alla CLS, con un'operazione di "nolo a caldo", il lavoro di spargimento del calcestruzzo con l'uso dell'autopompa di proprietà di quest'ultima.

I giudici partenopei evidenziano che tale subappalto non solo non fu comunicato alla stazione appaltante, ma comportò l'impossibilità di mettere in pratica tutte le norme di sicurezza adottate in quel cantiere e, conseguentemente, rese impraticabile il coordinamento tra tutte le imprese esecutrici.

Sulla A.A., quale datrice di lavoro dell'impresa affidataria, è stato correttamente ritenuto che incombesse il ruolo di garante cui consegue l'estensione di tutti gli obblighi in materia di sicurezza e vigilanza dei luoghi di lavoro che gravano sul committente/datore ex art. 97 T.U. del 2008. In tal modo l'imputata violò anche il POS redatto dall'architetto G.G. nonchè quello della stessa COVER SUD e della CRR anche per B.B., responsabile per la prevenzione e la sicurezza nonchè direttore tecnico, è stato correttamente ritenuto che avesse l'obbligo di conoscere e di segnalare al datore di lavoro la situazione di pericolo in quanto, in ragione dell'incarico rivestito, era certamente a conoscenza dell'incarico affidato del tutto illegittimamente dalla COVERSUD alla CLS, anche alla luce del fatto che le fatture dimostrano che tale fornitura e le modalità seguite si protraevano da circa una settimana, per cui vi era un obbligo a suo carico non solo di informarsi ma anche di controllare che le lavorazioni si svolgessero secondo standard minimi di sicurezza. Tanto a maggior ragione per il fatto che si trattava di un abusivo ingresso della CLS nel cantiere.

Ciò detto, con motivazione logica i giudici del gravame del merito ritengono sussistente a carico di B.B., nella qualità, colpa generica, per l'omissione di un dovere di diligenza, e colpa specifica, per l'omesso coordinamento tra le imprese esecutrici e l'omessa vigilanza sulla puntuale applicazione del POS della COVERSUD e delle altre imprese esecutrici.

4. Manifestamente infondati sono anche i motivi proposti nell'interesse di C.C., datore di lavoro dell'infortunato, in quanto legale rappresentante della Epoxy System Srl , impresa cui erano stati subappaltati i lavori di realizzazione di un pavimento da Cover Sud Srl In premessa, in particolare in relazione al primo motivo di ricorso, va evidenziato che è costante il dictum di questa Corte secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, la denunzia cumulativa, promiscua e perplessa della inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, nonchè della mancanza, della contraddittorietà e della manifesta illogicità della motivazione rende i motivi aspecifici ed il ricorso inammissibile" ai sensi degli art. 581 c.p.p., comma 1, lett. c) e art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), non potendo attribuirsi al giudice di legittimità la funzione di rielaborare l'impugnazione, al fine di estrarre dal coacervo indifferenziato dai motivi quelli suscettibili di un utile scrutinio (cfr. Sez. 1, n. 39122 del 22/9/2015" Rugiano, Rv. 264535; conf. Sez. 2, n. 19712 del 06/02/2015, Alota ed altri, Rv. 263541; Sez. 6, n. 800 del 06/12/2011 dep. 2012, Bidognetti ed altri, IRy. 251528, Sez. 6, n. 32227 del 16/07/2010, T., Rv. 248037). Ancora di recente è stato condivisibilmente sottolineato come sia onere del ricorrente che intende denunciare contestualmente, con riguardo al medesimo capo o punto della decisione impugnata, i tre vizi della motivazione deducibili in sede di legittimità ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), -, a pena di aspecificità, e quindi di inammissibilità, del ricorso di indicare su quale profilo la motivazione asseritamente manchi, in quali parti sia contraddittoria, in quali manifestamente illogica, non potendo attribuirsi al giudice di legittimità la funzione di rielaborare l'impugnazione, al fine di estrarre dal coacervo indifferenziato dei motivi quelli suscettibili di un utile scrutinio, in quanto i motivi aventi ad oggetto tutti i vizi della motivazione sono, per espressa previsione di legge, eterogenei ed incompatibili, quindi non suscettibili di sovrapporsi e cumularsi in riferimento ad un medesimo segmento della motivazione (così Sez. 2, n. 38676 del 24/05/2019, Onofri, Rv. 277518, nella cui motivazione, la Corte ha precisato che, al fine della valutazione dell'ammissibilità dei motivi di ricorso, può essere considerato strumento esplicativo del dato normativo dettato dall'art. 606 c.p.p. il "Protocollo d'intesa tra Corte di cassazione e Consiglio Nazionale Forense sulle regole redazionali dei motivi di ricorso in materia penale", sottoscritto il 17 dicembre 2015).

Peraltro, già in precedenza (Sez. 2, n. 31811 dell'8/5/2012, Sardo ed altro, rv. 254328 che richiama i precedenti costituiti da sez. 6, n. 32227 del 16.7.2007, T. e sez. 6, n. 800 del 6.12.2011 dep. il 12.1.2012, Bidognetti ed altri) secondo cui è inammissibile, per difetto di specificità, il ricorso che prospetti vizi di legittimità del provvedimento impugnato, i cui motivi siano enunciati in forma perplessa o alternativa.

Nel caso esaminato nella richiamata Sez. 6 n. 32227/2007, come in quello che ci occupa, il ricorrente aveva lamentato la "mancanza e/o insufficienza e/o illogicità della motivazione" in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari posti a fondamento di un'ordinanza applicativa di misura cautelare personale.

Non si possono, in altri termini, indicare, alla rinfusa, come nel caso che ci occupa, tutti i possibili vizi di legittimità (qui, in aggiunta al caso suvvisto si aggiunge, in via cumulativa, anche la violazione di legge) senza specificare la violazione o il punto della motivazione attinto da vizio.

In particolare, quanto al vizio motivazionale, l'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), stabilisce la ricorribilità per "mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame". Ebbene, tale disposizione, se letta in combinazione con l'art. 581 c.p.p., comma 1, lett. c), (a norma del quale è onere del ricorrente "enunciare i motivi del ricorso, con l'indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta") evidenzia che non può ritenersi consentita l'enunciazione perplessa ed alternativa dei motivi di ricorso, essendo onere del ricorrente quello specificare con precisione se la deduzione di vizio di motivazione sia riferita alla mancanza, alla contraddittorietà od alla manifesta illogicità ovvero, se come indicato nell'odierno ricorso, ad una pluralità di tali vizi, in relazione a quali specifici punti della motivazione gli stessi vadano riferiti.

Ciò, nel caso che ci occupa, non è avvenuto.

Per contro, correttamente la Corte territoriale ritiene che tra gli obblighi che il D.Lgs. n. 106 del 2009 pone in capo al datore di lavoro vi è quello di redigere il piano operativo di sicurezza, che equivale al documento di valutazione dei rischi.

ai sensi del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 26, comma 2 i datori di lavoro, ivi compresi i subappaltatori, cooperano all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione dei rischi sul lavoro incidenti sull'attività lavorativa oggetto dell'appalto, coordinano gli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui sono esposti i lavoratori, informandosi reciprocamente anche al fine di eliminare i rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell'opera complessiva.

Nella specie i giudici di merito hanno univocamente accertato che il POS di EPDXY non conteneva una relazione concernente l'individuazione, l'analisi e la valutazione dei rischi concreti, con riferimento all'utilizzo di autopompe; in sostanza, il subappaltatore (datore di lavoro dell'infortunato), nonostante le indicazioni contenute nel PSC, ha omesso di valutare il rischio derivante dall'interferenza, in cantiere, di diverse imprese e non ha fornito informazioni e formazione specifica al lavoratore al riguardo.

anche il secondo motivo è manifestamente infondato, in quanto, contrariamente a quanto denunciato dal ricorrente, la Corte territoriale ha individuato i comportamenti alternativi leciti dell'imputato che avrebbero potuto evitare l'infortunio, consistenti nell'adeguata valutazione dei rischi interferenziali e nell'adozione di idonee misure di precauzione o, comunque, nella formazione specifica del lavoratore relativamente a tali rischi.

Peraltro, il ricorrente in appello aveva lamentato il fatto che non fosse stato preso in considerazione il comportamento negligente e "abnorme" della persona offesa, che si era posta sotto il braccio dell'autopompa (pag. 15 sentenza impugnata), salvo poi mutare prospettazione nell'atto di ricorso.

L'eventuale, asserita (in appello) negligenza dell'D.D., tuttavia, non farebbe che confortare le conclusioni cui sono giunti i giudici del merito, posto che le condotte imprudenti poste in essere dal lavoratore nell'espletamento delle proprie mansioni costituiscono conseguenza diretta e prevedibile della inadempienza degli obblighi formativi gravanti sul datore dii lavoro (ex multis, Sez. 4, n. 49593 del 14/06/2018 ud.- dep. 30/10/2018, Rv. 274042 - 01).

Il terzo motivo è inammissibile, in quanto sollecita una nuova ricostruzione del fatto non consentita in questa sede di legittimità.

Con motivazione logica e congrua - che, dato che sembra trascurare il ricorrente va a saldarsi a quella di primo grado, trattandosi, sebbene a diversi fini, di una doppia conforme affermazione di responsabilità - i giudici del gravame del merito rilevano come la responsabilità del C.C. consegua al fatto, non contestato nemmeno dall'imputato, che nel POS non era previsto l'utilizzo di autopompe, nonostante tale lavorazione fosse espressamente prevista dal Piano di Coordinamento redatto dall'architetto G.G..

Tale omissione è stata ritenuta logicamente integrare un grave profilo di colpa specifica in capo al C.C. il quale proprio nella sua veste di datore di lavoro era tenuto ad assumere informazioni dettagliate sul Piano di Coordinamento in modo da adeguare il proprio POS e, conseguentemente, provvedere ad un'adeguata ed effettiva formazione in ordine ai rischi connessi alle attività lavorative da svolgere. Ed è altrettanto logico l'aver ritenuto che non vale ad escludere la responsabilità del C.C. quanto dedotto nell'atto di impugnazione nel merito, ovvero che tali attività ricadevano sul coordinatore per la sicurezza e direttore dei lavori, l'architetto G.G., sul corretto rilievo che in materia di prevenzione degli infortuni nei luoghi di lavoro, qualora vi siano più titolari della posizione di garanzia, ciascuno è per intero destinatario dell'obbligo di tutela impostogli dalla legge per cui l'omessa applicazione di una cautela antinfortunistica è addebitabile ad ognuno dei titolari ditale posizione (cfr. ex multis la richiamata Sez. 4 n. 6507/2018).

Si ricorda poi in sentenza come con l'atto di appello fosse stato contestato il fatto che non fosse stato preso in considerazione, nel valutare la posizione del C.C., il comportamento tenuto dalla persona offesa che da quanto emerge dall'istruttoria "sembrava" sostare sotto il braccio dell'autopompa in violazione alle disposizioni antinfortunistiche.

Ebbene, la doglianza in questione è stata argomentatamente e logicamente confutata.

In primo luogo, come ricorda la sentenza impugnata, le dichiarazioni rese dagli operai presenti il giorno dell'infortunio non contengono alcun riferimento alla circostanza che D.D. al momento del crollo si trovasse sotto il braccio dell'autopompa; in secondo luogo, le dinamiche dell'incidente - repentino affondamento di uno degli stabilizzatori e la lunghezza di circa 40 metri del braccio dell'autopompa, fattori che insieme sprigionarono una forza d'urto tale da spandersi per un raggio d'azione molto elevato - fanno concludere che poteva essere colpito anche chi non si trovasse nelle immediate vicinanze; ma in terzo luogo, cosa ancora più rilevante ai fini dell'eventuale comportamento "anorme" del dipendente, D.D. lavorava per la EPDXY che, per quanto su evidenziato, non aveva un POS nel quale fosse previsto il disciplinato il rischio relativo all'uso dell'autopompa, per cui l'operaio non aveva ricevuto formazione in merito.

Inoltre, diversamente da quanto opina il ricorrente, la Corte territoriale, sebbene sinteticamente -ma anche qui non dovendosi trascurare che la sentenza impugnata va a saldarsi con quella conforme di primo grado- ha affrontato il tema della causalità della colpa e del giudizio controfattuale.

Come viene correttamente ricordato in sentenza nei reati omissivi il rapporto di causalità richiede che il giudicante immagini come realizzata l'azione doverosa omessa al fine di verificare se, tenendo la condotta doverosa, l'evento si sarebbe verificato: ne consegue che deve ritenersi sussistente il nesso causale quante volte risulti che, ipotizzato come tenuto il comportamento diligente imposto dalla norma, l'evento lesivo non sarebbe accaduto.

Tale giudizio controfattuale va compiuto alla luce del criterio della cd. "concretizzazione del rischio", valutando, cioè, se la regola di cautela violata mirava ad evitare proprio eventi del tipo di quello ascritto all'imputato.

Orbene, come rileva la sentenza impugnata, è indubbio, che sia la disposizione generale di cui all'art. 2087 c.c. sia le norme in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro sono dirette a impedire il verificarsi di eventi lesivi della integrità fisica dei lavoratori e di coloro che interagiscono con l'ambiente di lavoro, e che nel caso in esame le violazioni su evidenziate qualora non si fossero realizzate avrebbero impedito il verificarsi dell'evento occorso al lavoratore infortunato.

Del pari è stato ritenuto che non potesse configurarsi come abnorme il comportamento di D.D. perchè l'operaio, in tale frangente, non solo era impegnato a svolgere compiti propri delle mansioni allo stesso affidate ma anche perchè, per quanto su motivato, qualora volesse accedersi all'ipotesi di un comportamento negligente ciò era frutto dell'assenza di corsi di adeguata formazione sul punto nonchè dell'omessa vigilanza da parte del datore di lavoro. Essendo pacifico nella giurisprudenza di questa Corte di legittimità che le disposizioni prevenzionistiche hanno la funzione primaria di eliminare o almeno ridurre i rischi per l'incolumità fisica dei lavoratori intrinsecamente connaturati ai processi produttivi dell'attività di impresa, anche nelle ipotesi in cui siffatti rischi derivino da condotte colpose dei prestatori di lavoro.

5. Essendo i ricorsi inammissibili e, a norma dell'art. 616 c.p.p., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nonchè alla rifusione in solido delle spese sostenute dalle parti civili in questo giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo.
 


P.Q.M.

 

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende, nonchè alla rifusione in solido delle spese sostenute dalle parti civili in questo giudizio di legittimità, così liquidate: Euro tremila, oltre accessori come per legge, per D.D.; Euro tremila, oltre accessori come per legge, in favore della CGIL CAMPANIA. Così deciso in Roma, il 14 novembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 7 dicembre 2023