REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico
Dott. AMOROSO Giovanni
Dott. NOBILE Vittorio
Dott. NAPOLETANO Giuseppe
Dott. CURZIO Pietro
- Presidente
- Consigliere
- rel. Consigliere
- Consigliere
- Consigliere


ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24366/2006 proposto da:
SOCIETÀ E. S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore e L.A., in proprio, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA VENEZIA 15, presso lo studio dell'avvocato GRILLI CARLO,
rappresentati e difesi dall'avvocato FADEL PIERANTONIO, giusta delega a margine del ricorso;

- ricorrente -

contro
A. -. L.A. D'. S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA MARTIRI DI BELFIORE 2, presso lo studio dell'avvocato CILIBERTI GIUSEPPE, che la rappresenta e difende, giusta delega in calce al controricorso;

- controricorrente -

e contro
P.R.;

- intimato -

e sul ricorso 28916/2006 proposto da:
P.R., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato PALADIN FRANCESCO, giusta delega a margine del controricorso e ricorso incidentale;

- controricorrente e ricorrente incidentale -

contro
E. S.P.A.;

- intimata -

avverso la sentenza n. 197/2006 della CORTE D'APPELLO di VENEZIA, depositata il 03/07/2006 R.G.N. 214/04;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/05/2010 dal Consigliere Dott. VITTORIO NOBILE;
udito l'Avvocato CILIBERTI GIUSEPPE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato l'11-11-2000 P.R. conveniva in giudizio la E. s.p.a. ed il suo legale rappresentante in proprio, L.A. , al fine di ottenerne la condanna, in solido tra loro, al risarcimento dei danni biologico e morale patiti in conseguenza dell'infortunio sul lavoro subito in data *** (a causa della caduta in terra, dopo essersi arrampicato con un collega sul piano più alto di uno scaffale del magazzino dei semilavorati, per prelevare un foglio di laminato).

I convenuti si costituivano escludendo la propria responsabilità nella causazione dell'infortunio e chiedendo di essere autorizzati a chiamare in causa, per essere garantiti in caso di soccombenza, A. s.p.a..

Quest'ultima, chiamata in causa, si costituiva, contestando che la polizza allegata dai convenuti fosse operativa con riferimento ai danni azionati dal P., in quanto era stata stipulata ben dopo la verificazione dell'infortunio de quo, mentre alcuna clausola della stessa consentiva di affermare la retroattività della copertura assicurativa rispetto alla data di stipulazione.

Esperita la prova testimoniale ed espletata CTU medico legale, il Giudice del lavoro del Tribunale di Treviso, con sentenza n. 80/2003, rigettava la domanda proposta dal P. nei confronti di L.A. in proprio; accertava la responsabilità di E. s.p.a. in ordine alla causazione dell'infortunio e condannava la stessa al pagamento in favore del ricorrente della somma di euro 28.412,72, oltre accessori; respingeva la domanda di manleva proposta da E. nei confronti di A. e condannava E. s.p.a. a rifondere le spese al ricorrente, compensando le spese tra tutte le altre parti.

La E. ed il L. proponevano appello avverso la detta sentenza, la prima ribadendo la esclusiva riferibilità del sinistro al comportamento abnorme e imprevedibile del P. stesso e la operatività, nel caso di specie, della polizza stipulata con A. s.p.a., il secondo lamentando la mancata condanna del P. al pagamento delle spese in suo favore.

Il P. si costituiva chiedendo la conferma integrale della sentenza di primo grado.

La Corte d'Appello di Venezia, con sentenza depositata il 3-7-2006, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, condannava il P. a rifondere al Lu. le spese di prime cure, confermando per il resto la pronuncia stessa. La Corte, inoltre, per le spese di appello, emetteva condanna a carico del P. in favore del L. ed a carico della E. s.p.a. in favore del P..

In sintesi la Corte territoriale accoglieva l'appello del L. rivolto contro la compensazione delle spese operata dal primo giudice e rigettava, invece, l'appello di E., confermando sia la esclusiva responsabilità di quest'ultima per l'infortunio subito dal P., sia la non operatività, nel caso di specie, della assicurazione stipulata con A..

Per la cassazione di tale sentenza la E. s.p.a. e il L. in proprio hanno proposto ricorso con tre motivi, illustrati con memoria.

La A. -. L.A. d'. s.p.a. - ha resistito con controricorso.

Il P. ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale con due motivi, il primo dei quali condizionato.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente, riuniti i ricorsi avverso la stessa sentenza ex articolo 335 c.p.c., premesso che il ricorso principale è stato proposto dalla E. e dal L. in proprio, va rilevata la inammissibilità, per carenza di interesse, del ricorso stesso da parte del L. in proprio, il quale è risultato vittorioso, in secondo grado anche sulle spese.

Per quanto riguarda, poi, la E., con il primo motivo, denunciando violazione degli articoli 1218, 2697 e 2087 c.c., in sostanza la società deduce che la Corte d'Appello "erroneamente ha ritenuto provata la responsabilità in capo alla società ricorrente per l'infortunio occorso al signor P.R." senza considerare adeguatamente in specie le dichiarazioni del teste D.V., dalle quali avrebbe dovuto evincere da una parte, "il mancato rispetto" da parte di P.R. , G. e M. "delle corrette modalità che la dichiarazione del D.V., dimostra come esse fossero note all'interno dell'azienda e, dall'altra, l'arbitrarietà e l'esorbitanza del comportamento dei suddetti dipendenti che continuavano a salire sullo scaffale, anziché usare il muletto presente nello stabilimento e a disposizione per eseguire l'operazione di prelievo dei fogli di laminato in sicurezza".

In particolare, poi, la ricorrente rileva che P.R. "non è riuscito a provare né che l'Azienda o il personale da essa dipendente, avesse chiesto di fare l'operazione nei termini in cui è stata da lui eseguita...né che ci fosse una particolare urgenza di compiere questa operazione, né, infine, che nella specifica occasione...fosse stato costretto a compiere tale operazione dall'assoluta mancanza o indisponibilità del muletto" ed aggiunge che la Corte d'Appello "avrebbe dovuto valutare opportunamente che il lavoratore infortunato si è posto di sua iniziativa in situazione di pericolo: lo stesso non solo si è arrampicato sullo scaffale, ma è giunto fino al punto di salire" ("insieme con il G.") "sopra questo, più precisamente sul foglio posto sopra il bancale, a sua volta, sito sopra l'ultimo ripiano, con l'intento di arrotolare il foglio medesimo (sul quale aveva posto i piedi)".

La società, infine, formula il quesito di diritto ai sensi dell'articolo 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis nella fattispecie.

Osserva in primo luogo il Collegio che tale quesito risulta generico e non propriamente conferente rispetto al decisum, in quanto da un lato riproduce astrattamente il principio consolidato in materia di responsabilità ex articolo 2087 c.c., applicato anche nell'impugnata sentenza, e dall'altro, nel concreto, si riferisce soltanto alla disponibilità del muletto (neppure meglio precisata), laddove la decisione è stata fondata sulla valutazione di tutto il complesso delle circostanze emerse.

Peraltro, il motivo risulta infondato, in quanto la Corte territoriale ha attentamente valutato anche la testimonianza D.V. ritenendola "non decisiva" (avendo il teste riferito che solo dal *** aveva effettuato, una decina di volte in tutto, il prelievo dei fogli di laminato "a mano nei ripiani più bassi, con l'ausilio delle scale metalliche per i ripiani intermedi e con muletto per raggiungere i ripiani più alti", in un periodo, però, in cui "egli era addetto presso il reparto montaggio ed assemblaggio mobili posti a circa 50 metri dal reparto ove è avvenuto l'infortunio, e non aveva alcuna necessità di occuparsi della movimentazione dei laminati") ed attribuendo, invece maggiore rilevanza alle testimonianze rese dai testi M. e G. (quotidianamente impegnati nel reparto del P. nel periodo in cui avvenne l'infortunio).

In base a tali testimonianze la Corte ha quindi accertato:

che "le scale metalliche non erano sufficienti per svolgere correttamente l'operazione di prelevamento ed arrotolamento dei fogli di laminato posti agli ultimi piani dello scaffale, in quanto si trattava di mezzi che, per le loro ridotte dimensioni, non consentivano a contemporanea presenza di due operatori, e che non erano sufficienti per raggiungere i ripiani più elevati";

che "costituiva prassi ordinaria del reparto quella di salire fisicamente sullo scaffale per prelevare i fogli dai ripiani più elevati, in quanto l'unica utile alternativa era costituita dall'utilizzazione del muletto, che essendo in comune ad altri reparti non era sempre disponibile, e comunque per velocizzare l'attività lavorativa";

che "la limitata disponibilità del muletto nel reparto a cui era addetto l'infortunato e l'uso di arrampicarsi sullo scaffale da parte dei dipendenti ivi addetti è stato confermato anche dal teste P.F., addetto ad altro reparto nel periodo in questione".

Alla luce di tale accertamento la Corte d'Appello ha concluso che "resistenza di una prassi del reparto nel senso appena indicato, sviluppata nonostante il controllo in azienda realizzato tramite il capo reparto (deposizione del teste M.) e l'assenza di specifiche disposizioni datoriali che imponessero di svolgere l'operazione tramite muletto (testi M. e G.), consentono di escludere che E. abbia posto in essere tutte le misure idonee a tutelare la salute dei lavoratori" ed ha aggiunto che "le medesime circostanze escludono che il comportamento posto in essere dal P. in occasione dell'infortunio possedesse quelle caratteristiche di abnormità e di eccezionalità che, sole, consentirebbero di escludere la responsabilità datoriale".

Tale decisione è conforme ai principi più volte affermati da questa Corte, in base ai quali:
a) la responsabilità de datore di lavoro di cui all'articolo 2087 c.c., è di natura contrattuale, per cui "ai fini del relativo accertamento, incombe sul lavoratore che lamenti di aver subito, a causa dell'attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l'onere di provare l'esistenza di tale danno, come pure la nocività dell'ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l'uno e l'altro elemento, mentre grava sul datore di lavoro - una volta che il lavoratore abbia provato le predette circostanze - l'onere di provare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, ovvero di aver adottato tutte le cautele necessarie per impedire il verificarsi del danno medesimo" (v. Cass. 17-2-2009 n. 3788, Cass. 17-2-2009 n. 3786, Cass. 7-3- 2006 n. 4840, Cass. 24-7-2006 n. 16881, Cass. 6-7-2002 n. 9856, Cass. 18-2-2000 n. 1886);
b) "la responsabilità dell'imprenditore per la mancata adozione delle misure idonee a tutelare l'integrità fisica del lavoratore discende o da norme specifiche o, quando queste non siano rinvenibili, dalla norma di ordine generale di cui all'articolo 2087 c.c., la quale impone all'imprenditore l'obbligo di adottare nell'esercizio dell'impresa tutte quelle misure che, secondo la particolarità del lavoro in concreto svolto dai dipendenti, si rendano necessarie a tutelare l'integrità fisica dei lavoratori" (v. fra le altre Cass. 19-4-2003 n. 6377, Cass. 1-10-2003 n. 16645); tali norme "sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso, con La conseguenza che il datore di lavoro è sempre responsabile dell'infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente, non potendo attribuirsi alcun effetto esimente, per l'imprenditore, all'eventuale concorso di colpa del lavoratore, la cui condotta può comportare, invece, l'esonero totale del medesimo imprenditore da ogni responsabilità solo quando presenti i caratteri dell'abnormità, inopinabilità ed esorbitanza, necessariamente riferiti al procedimento lavorativo "tipico" ed alle direttive ricevute, così da porsi come causa esclusiva dell'evento" (v. da ultimo Cass. 23-4-2009 n. 9689, Cass. 10-9-2009 n. 19494, Cass. 28-10-2009 n. 22818).

Per il resto il motivo si risolve in sostanza in una richiesta di riesame del merito circa la valutazione delle risultanze della prova testimoniale, inammissibile in questa sede di legittimità (v. Cass. 9-4-2001 n. 5231, Cass. 15-4-2004 n. 7201, Cass. 7-8-2003 n. 11933, Cass. 5-10-2006 n. 21412).

Con il secondo motivo del ricorso principale la società, denunciando "violazione della disciplina prevista in polizza per la responsabilità civile stipulata con A. spa, in particolare della clausola claims made e degli articoli 6 e 11", in sostanza censura il rigetto della domanda di manleva avanzata dalla società, deducendo che "non è stata valutata adeguatamente la sussistenza, rectius l'operatività, della clausola c.d. claims made contenuta nel predetto contratto, nè sono stati interpretati correttamente gli articoli 6 e 11 dello stesso" ed evidenziando che, trattandosi di assicurazione "a richiesta fatta" la pretesa di manleva era legittima "poiché al momento della richiesta la polizza era pienamente operante", "anche per fatti avvenuti prima della sua stipula".

Il motivo risulta inammissibile (così come il quesito che lo rispecchia).

In primo luogo viene censurata direttamente la violazione di clausole del contratto (neppure integralmente riportate) e non la violazione di criteri ermeneutici nella interpretazione del contratto stesso. Tanto meno, poi, la generica censura rivolta all'interpretazione del contratto, contiene la necessaria "specificazione dei canoni in concreto violati, con la precisazione del modo e delle considerazioni attraverso i quali il giudice se ne è discostato" (v. Cass. 22-2-2007 n. 4178, Cass. 7-3- 2007 n. 5273, Cass. 12-7-2007 n. 15604).

Per il resto, poi, il motivo risulta anche inconferente giacché, partendo dal presupposto della sussistenza, nella fattispecie, di una assicurazione "a richiesta fatta" (sulla cui natura di contratto atipico v. Cass. 15-3-2005 n. 5624), semplicemente ribadendo la propria lettura del contratto e la liceità della stessa, ne sostiene la operatività rispetto all'infortunio de quo, senza censurare specificamente la decisione impugnata nella parte in cui ha escluso in radice il detto presupposto, rilevando che "con riferimento alla sezione dedicata alla responsabilità civile verso i prestatori di lavoro (R.C.O.) non. si rinviene alcuna esplicita deroga ne all'articolo 1899 c.c. ..... ne all'articolo 1917 c.c.".

Peraltro al riguardo la sentenza di primo grado (sul punto confermata in appello) rilevava che dalle clausole della polizza non era dato evincersi "che la copertura avesse validità retroattiva anche per i sinistri avvenuti in data anteriore alla stipulazione", in quanto "all'articolo 4 delle condizioni generali è infatti previsto che l'assicurazione ha effetto dalle ore 24 del giorno indicato in polizza" e "la disposizione di cui all'articolo 14 della parte 3, secondo cui l'assicurazione vale per le richieste di risarcimento presentate dall'assicurato per la prima volta durante il periodo di efficacia della polizza, si riferisce espressamente solo alla "garanzia di prodotto".

Con il terzo motivo la società ricorrente denuncia "insufficiente ed incongrua motivazione relativamente all'inoperatività della clausola claims made nella fattispecie di cui trattasi" (articolo 360 c.p.c., n. 5).

In particolare la ricorrente deduce che la sentenza impugnata, nel richiamare la sentenza della Corte di Cassazione n. 5624 del 2005, ne ha "equivocato il contenuto, laddove ha dimostrato di col legare sic et simpliciter l'operatività della clausola suddetta alla sua riconducibilità nell'ambito dell'articolo 1917 c.c.", giacché tale pronuncia ha "affermato, invece, la liceità della clausola c.d. claims made ribaltando l'architettura giuridica sulla quale la stessa si fonda: mentre prima veniva generalmente ricondotta all'articolo 1917 c.c., con tale pronuncia lo schema giuridico a cui occorre fare riferimento è l'articolo 1322 c.c. che disciplina i contratti atipici".

Il motivo in parte è assorbito dal rigetto del precedente motivo e in parte risulta inconferente, in quanto non coglie nel segno la impugnata decisione, che, come si è visto, è fondata non sulla inoperatività della clausola claims made invocata, bensì sulla insussistenza stessa di una siffatta clausola nel contratto de quo "con riferimento alla responsabilità civile verso i prestatori di lavoro" (come sopra non adeguatamente censurata con il secondo motivo).

Passando all'esame del ricorso incidentale del P., rileva il Collegio che il primo motivo, condizionato, è assorbito dal rigetto del ricorso principale della società.
Con il secondo motivo il P., denunciando vizi di motivazione e violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955, articolo 4, articoli 1218 e 2697 c.c., articoli 91 e 92 c.p.c., sostiene che erroneamente la Corte territoriale ha accolto l'appello del L. contro la compensazione delle spese con il P. operata dal primo giudice, sulla base della affermazione che la responsabilità personale del legale rappresentante pro tempore doveva "essere in qualche modo dimostrata in relazione al ruolo avuto da legale rappresentante nella vicenda di cui è causa".

In particolare il P. deduce che il legale rappresentante pro tempore di persona giuridica - datore di lavoro "è tenuto in proprio all'obbligo di sicurezza", potendo "delegare a terzi in presenza di determinate condizioni, i relativi adempimenti", in tal caso incombendo su di lui "l'onere processuale di avere validamente delegato detti adempimenti" ed aggiunge che, pertanto, la Corte d'Appello "avrebbe dovuto ritenere la responsabilità del L. in ordine alla causazione del sinistro de quo, e rigettare quindi la sua impugnazione avverso il capo della sentenza di primo grado che aveva disposto la compensazione delle spese del giudizio di primo grado nei rapporti P. - L., con condanna di quest'ultimo, ex articolo 91 c.p.c., alla rifusione a favore del P. delle spese legali del II grado del giudizio".

Il motivo risulta inammissibile.

Il P., infatti, attraverso la censura avverso la motivazione della decisione di accoglimento dell'appello del L. rivolta contro la compensazione delle spese tra le dette parti operata dal primo giudice, in sostanza, tenta di reintrodurre nel giudizio la tesi della responsabilità del L. in proprio, già respinta dal primo giudice, con decisione che, in mancanza di appello da parte del P., è passata in giudicato.

Peraltro la sentenza impugnata ha fornito una specifica ed adeguata motivazione in ordine all'accoglimento dell'appello del L. sulle spese, rilevando in sostanza che "l'immotivata estensione della domanda di risarcimento dei danni nei confronti del legale rappresentante non consente ad avviso del Collegio di ritenere fondati i motivi di equità ed opportunità addotti" nella sentenza di primo grado per giustificare la compensazione delle spese tra il P. e il L..

Così respinto anche il ricorso incidentale, infine, per quanto riguarda le spese, le stesse, in considerazione della soccombenza reciproca, vanno compensate tra i ricorrenti principali e il ricorrente incidentale, mentre la E. e il L. in proprio vanno condannati al relativo pagamento in favore di A..

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, li rigetta e compensa le spese tra i ricorrenti principali e quello incidentale;
condanna la E. e il L. al pagamento in favore di A. delle spese, liquidate in euro 28,00, oltre euro 3.000,00 per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA.