Tribunale di Gorizia, Sez. Lav., 16 novembre 2023, n. 206 - Tecniche di tutela e risarcimento dei danni in presenza di un grave infortunio sul lavoro


 

Nota a cura di Marsico Giuseppe Maria, in Labor on line, 08.01.2024 "Tecniche di tutela e tabelle milanesi: tra risarcimento del danno non patrimoniale, accertamento medico-legale e monetizzazione della sofferenza soggettiva interiore"


 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE DI GORIZIA

Il Giudice Monocratico - Sezione Lavoro

in persona del dott. Gabriele Allieri

ha pronunciato la seguente

SENTENZA



nella causa r.g. n. 254/2022 promossa da:

F.V., rappresentato e difeso, in forza di procura depositata telematicamente, dagli avv.ti Alessandro Giadrossi e Roberto Mantello, ed elettivamente domiciliato presso l'indirizzo p.e.c. di quest'ultimo Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

ricorrente

CONTRO

C.A.A. 1977 S.r.l. in liquidazione e concordato preventivo omologato, rappresentata e difesa, in forza di procura depositata telematicamente, dall'avv. Nicola Cannone, ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell'avv. Cristina Bertolano a Monfalcone, Piazza Repubblica 15

resistente

E CONTRO

Società R.M.D.A., rappresentata e difesa, in forza di procura depositata telematicamente, dall'avv. Laura Candusso, presso il cui studio è elettivamente domiciliata

resistente

dando lettura della motivazione e del dispositivo ai sensi dell'art. 429 c. 1 c.p.c.

 

FattoDiritto


1. Il ricorso introduttivo.

Con ricorso depositato il 21 luglio 2022, F.V., premesso d'aver lavorato per C.A.A. 1977 s.r.l. (di seguito, per brevità, C.A.A.), ha agito in giudizio nei confronti di questa società per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti in conseguenza dell'infortunio che l'ha coinvolto il 31.01.2017.

1.1. Nella descrizione del ricorrente, il fatto sarebbe avvenuto mentre egli era impegnato a fornire indicazioni al collega M.B. che, dietro ordine del superiore G.F., stava scaricando un carrello elevatore E.C. del peso di 4 tonnellate, trasportato a bordo di un altro carrello elevatore. In quel contesto V., dando le spalle al carico per fornire indicazioni alla manovra, sarebbe stato travolto dal carico, squilibratosi dal mezzo su cui era posizionato.

1.2. La responsabilità dell'infortunio sarebbe ascrivibile al datore di lavoro, il quale, dopo aver ordinato l'esecuzione della movimentazione del carrello, non avrebbe verificato l'idoneità del mezzo impiegato dagli addetti allo scopo, né avrebbe vigilato sulla correttezza del loro operato. In tal modo, sarebbero stati violati gli artt. 20, comma 2, lett. c) D.Lgs. n. 81 del 2008, l'art. 71, comma 2, lett. a) e c), e comma 4, lett. a), d.lgs. cit., l'art. 18, comma 1, lett. z), d. lgs. cit., nonché, in ogni caso, la norma di chiusura di cui all'art. 2087 c.c..

1.3. A causa dell'infortunio occorso, V. avrebbe riportato gravissimi postumi permanenti: totale paraplegia agli arti inferiori, stipsi neurogenica e vescica ipoattiva. Il ricorrente, costretto in sedia a rotelle, ha perso l'uso della funzione deambulatoria e minzionale ed è colpito da insufficienza erettile. Si tratterebbe di situazione personale definitivamente insanabile.

Il danno biologico così determinato avrebbe prodotto riflessi tanto sulla stessa sfera non patrimoniale dell'interessato, quanto su quella patrimoniale.

Sotto il primo profilo, egli avrebbe dovuto rinunciare alla sua attività di Capo Scout, stanti i limiti invalicabili e le barriere architettoniche che è destinato ad incontrare nello svolgimento delle relative attività. Inoltre, a seguito dell'infortunio, avrebbe visto interrompersi la relazione e la convivenza con la fidanzata S.C., trovatasi in difficoltà nell'occuparsi dei sopravvenuti bisogni del ricorrente e defilatasi al cospetto di prospettive di vita comune integralmente diverse da quelle precedenti e ordinariamente prevedibili.

Sul piano patrimoniale, l'infortunio avrebbe determinato un'integrale perdita della capacità lavorativa specifica. In conseguenza di essa, sussisterebbe la perdita delle retribuzioni che il ricorrente avrebbe conseguito nel corso della sua carriera e un correlato danno di natura pensionistica.

1.4. In conseguenza di quanto precede, l'Inail ha già provveduto a liquidargli un'indennità per inabilità temporanea assoluta, pari all'importo di Euro 7.178,08, e ha costituito in suo favore una rendita pari ad Euro 379.607,62 per il danno biologico e una rendita pari ad Euro 585.240,33 per il danno patrimoniale. Al contempo, l'assicurazione di C.A.A. gli ha versato la somma di Euro 600.000,00.

Ha quindi agito in giudizio per ottenere la condanna del datore di lavoro al risarcimento dei danni non patrimoniali non coperti dai predetti versamenti, e quantificati in Euro 906.532,00, a titolo di danno biologico permanente e in Euro 27.115,00 per invalidità temporanea totale; in Euro 453.266,00 per danno morale o a titolo di personalizzazione nella misura del 50%; in Euro 1.000.000,00 a titolo di danno esistenziale, nonché, per il risarcimento del danno patrimoniale, quantificato in Euro 1.118.273,79 netti relativamente alle future retribuzioni perse e in Euro 22.013,22 a titolo di danno pensionistico.

2. La posizione di C.A.A..

C.A.A. si è costituita in giudizio fornendo una ricostruzione dei fatti differente da quella prospettata dal ricorrente. In particolare, ha dedotto che la manovra da cui è conseguito l'infortunio non fu eseguita su ordine datoriale, ma su iniziativa o di B. o di V.. Il datore di lavoro, infatti, si sarebbe limitato, nel corso della mattina del 31.01.2017, a segnalare ai suoi dipendenti che il carrello, successivamente rovinato addosso a V., sarebbe stato ritirato nel pomeriggio da un'altra ditta. S.B.C.V. sarebbero stati soggetti adeguatamente formati e, considerando l'imprudenza di V. nel dare le spalle al carico, sussisterebbero elementi per escludere la responsabilità datoriale o, quanto meno, affermare la responsabilità concorrente del lavoratore infortunato.

La società ha inoltre contestato la quantificazione dei danni operata dal ricorrente, fondata a suo dire su un metodo di calcolo scorretto.

Ha infine chiesto l'autorizzazione a chiamare in causa R.M.D.A., azionando la relativa polizza e chiedendo di essere manlevata dalle conseguenze di un'eventuale sentenza di condanna nei suoi confronti. Il tutto, con la precisazione d'aver tempestivamente richiesto alla compagnia di assumere in proprio la gestione della lite, come previsto dalla polizza assicurativa; il silenzio serbato rispetto a quest'iniziativa avrebbe imposto la costituzione in giudizio della società, che perciò dovrebbe essere ristorata dei costi relativi alla partecipazione al processo.

3. La difesa di R.M.A..

Autorizzata la sua chiamata in causa, Società R.M.D.A. (di seguito, per brevità, R.M.), si è costituita in giudizio sostenendo, in merito all'an della pretesa, una posizione affine a quella di C.A.A..

In ordine alla pretesa risarcitoria, ne ha contestato la quantificazione e ha chiesto, in caso d'accoglimento della domanda, l'applicazione dell'art. 2057 c.c..

4. Istruita documentalmente, mediante l'escussione di testimoni e c.t.u. medico-legale, la causa è stata successivamente discussa dai difensori delle parti, che si sono riportati alle rispettive conclusioni. In quel contesto, C.A.A., rispetto alla domanda di assunzione della lite nei confronti di R.M., ha precisato che, vista la sua costituzione, la liquidazione delle spese dovrebbe limitarsi alla fase di studio ed introduttiva del giudizio.

5. La ricostruzione dell'infortunio.

Sotto il profilo fattuale, i tratti essenziali della dinamica del fatto da cui è derivato l'infortunio sono pacifici.

Non è controverso che, allorché B. stava movimentando, mediante altro mezzo, un carrello elevatore E.C. del peso di 4 tonnellate, questo si sia sbilanciato e abbia travolto V., collocato in prossimità del mezzo ed intento a fornire indicazioni per la manovra.

È controverso fra le parti se B. e V. abbiano agito su ordine datoriale o motu proprio, ma è pacifico, per essere stato indicato dalla stessa C.A.A., che l'attività in questione sia stata svolta dopo che G.F., esponente del datore di lavoro, nel corso della mattina del 31.01.2017- data del sinistro - aveva precisato che il carrello E.C. sarebbe stato ritirato, nella giornata, da un'autogrù di una ditta terza.

È dunque da ritenere che l'iniziativa avviata da B. e da V. sia stata suscitata esattamente da questa comunicazione loro rivolta da Ferluga, essendo del resto poco plausibile che costoro abbiano deciso, immotivatamente e quindi a prescindere dalla comunicazione medesima, di dar luogo alla movimentazione in questione.

Inoltre, al di là del fatto che V. sia intervenuto dietro ordine datoriale o di propria iniziativa, è da ritenersi che la sua partecipazione all'attività in questione si collochi nel solco dell'attività lavorativa svolta per la resistente, non potendosi ritenere che si tratti di iniziativa avulsa da quel contesto.

Ancora, pacifico che il fatto si sia verificato sul luogo di lavoro, è altrettanto pacifico che la società non abbia vigilato sull'operato dei suoi dipendenti. C.A.A. non deduce di aver svolto alcuna attività di vigilanza e, del resto, se si fosse impegnata in tal senso, avrebbe senz'altro impedito a V. d'ingerirsi in un'attività che, a suo dire, non gli era stata richiesta o, comunque, di assumere una posizione corretta nel corso della movimentazione, così da evitare ogni rischio d'essere travolto dal carico.

In definitiva, è da ritenersi provato che V. sia stato travolto da un carico movimentato sul luogo di lavoro da altro dipendente e che l'attività in questione, propria del contesto lavorativo, si sia svolta senza che la società vigilasse sull'operato dei dipendenti, i quali dunque non hanno ricevuto né l'ordine di interrompere le operazioni né indicazioni utili a correggerne l'esecuzione.

Non è neppure controverso, se non sotto un profilo quantitativo, che V. abbia riportato postumi permanenti in conseguenza dell'infortunio.

6. La responsabilità di C.A.A.

6.1. In termini generali, va ricordato che "l'art. 2087 c.c. non configura un'ipotesi di responsabilità oggettiva, in quanto la responsabilità del datore di lavoro - di natura contrattuale - va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento; ne consegue che incombe al lavoratore che lamenti di avere subito, a causa dell'attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l'onere di provare, oltre all'esistenza di tale danno, la nocività dell'ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l'una e l'altra, e solo se il lavoratore abbia fornito tale prova sussiste per il datore di lavoro l'onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno e che la malattia del dipendente non è ricollegabile alla inosservanza di tali obblighi" Cass., n. 24742/2018.

Va poi precisato che "il datore di lavoro è sempre responsabile dell'infortunio occorso al dipendente, sia quando ometta di adottare le misure protettive, comprese quelle esigibili in relazione al rischio derivante dalla condotta colposa del dipendente medesimo, sia quando, pur avendole adottate, non vigili affinché queste siano di fatto rispettate; ne consegue che, in tutte le ipotesi in cui vi sia inadempimento datoriale rispetto all'adozione di cautele, tipiche o atipiche, concretamente individuabili, nonché esigibili "ex ante" ed idonee ad impedire il verificarsi dell'evento dannoso, la condotta colposa del prestatore non può avere alcun effetto esimente e neppure può rilevare ai fini del concorso di colpa" Cass., n. 25597/2021.

Inoltre, come noto, "deve escludersi la sussistenza di un concorso di colpa della vittima, ai sensi dell'art. 1227, comma 1, c.c., al di fuori dei casi di cd. rischio elettivo, quando risulti che il datore di lavoro abbia mancato di adottare le prescritte misure di sicurezza, oppure…abbia trascurato di fornire al lavoratore infortunato una adeguata formazione ed informazione sui rischi lavorativi; ricorrendo tali ipotesi, l'eventuale condotta imprudente della vittima degrada a mera occasione dell'infortunio ed è, pertanto, giuridicamente irrilevante" Cass., n. 8988/2020. In particolare, "la condotta incauta del lavoratore non comporta un concorso idoneo a ridurre la misura del risarcimento ogni qual volta la violazione di un obbligo di prevenzione da parte del datore di lavoro sia munita di incidenza esclusiva rispetto alla determinazione dell'evento dannoso; in particolare, tanto avviene quando l'infortunio si sia realizzato per l'osservanza di specifici ordini o disposizioni datoriali che impongano colpevolmente al lavoratore di affrontare il rischio, quando l'infortunio scaturisca dall'integrale impostazione della lavorazione su disposizioni illegali e gravemente contrarie ad ogni regola di prudenza o, infine, quando vi sia inadempimento datoriale rispetto all'adozione di cautele, tipiche o atipiche, concretamente individuabili, nonché esigibili ex ante ed idonee ad impedire, nonostante l'imprudenza del lavoratore, il verificarsi dell'evento dannoso" Cass., n. 30679/2019.

D'altra parte, "premesso che la "ratio" di ogni normativa antinfortunistica è quella di prevenire le condizioni di rischio insite negli ambienti di lavoro e nella possibile negligenza, imprudenza o imperizia degli stessi lavoratori, destinatari della tutela, la responsabilità esclusiva del lavoratore sussiste soltanto ove questi abbia posto in essere un contegno abnorme, inopinabile ed esorbitante rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, cosi da porsi come causa esclusiva dell'evento e creare condizioni di rischio estranee alle normali modalità del lavoro da svolgere. In assenza di tale contegno, l'eventuale coefficiente colposo del lavoratore nel determinare l'evento è irrilevante sia sotto il profilo causale che sotto quello dell'entità del risarcimento dovuto" Cass., n. 798/2017.

6.2. Nella specie, il ricorrente ha assolto il proprio onere probatorio. Dalla dinamica del fatto risulta la nocività del luogo di lavoro. Infatti, l'evento si è verificato nello svolgimento di un'attività lavorativa pacificamente rischiosa ed è consistito nella verificazione di un rischio specifico cfr. doc. 8, p. (...), C.A.A.. La comunicazione del datore di lavoro, rivolta tra gli altri a V., relativa al mezzo presente in azienda e al suo imminente ritiro da parte di un terzo nei confronti ha funto da plausibile stimolo all'adozione d'iniziative tra cui la sua movimentazione, onde deve ritenersi che il ricorrente abbia agito su indicazione datoriale o atto equipollente. D'altra parte, C.A.A. ha pacificamente abdicato al suo dovere di vigilanza, non avendo adottato alcuna iniziativa atta a precludere ai dipendenti di avviare la movimentazione o a correggerne l'esecuzione. Questo dovere, nella specie, è da ritenersi fosse ancora più stringente ed esigibile dal momento che, dopo la comunicazione relativa al ritiro del carico, era senz'altro prevedibile che i destinatari della comunicazione medesima si attivassero per agevolare le operazioni.

Va perciò escluso il rischio elettivo e va al contempo affermato che il fatto non si sarebbe verificato se il datore di lavoro avesse vigilato sull'operato dei suoi dipendenti, in particolare di V.. Nessun dubbio sul nesso eziologico tra evento ed esiti riportati da V..

In definitiva, la responsabilità esclusiva di C.A.A. va senz'altro affermata.

7. Il danno non patrimoniale: la c.t.u. medico-legale e l'istruttoria testimoniale.

Il ricorrente ha agito per il risarcimento del danno non patrimoniale, descrivendone le componenti biologiche, morali ed esistenziali.

7.1. La c.t.u. ha descritto il percorso clinico di V., caratterizzato da svariati interventi chirurgici, terapie riabilitative e trattamenti per talune complicanze, quali ritenzione vescicale e intestinale. Giudicato permanentemente inidoneo alla mansione dal medico competente dal novembre 2018, il periodo successivo è stato connotato da "elementi accidentali caratterizzati da infezioni urinarie ricorrenti in vescica neurologica per cui necessita di autocateterismo; nel 2019 subiva la frattura composta metafisiaria peroneale distale e del malleolo tibiale mediale. Nel 2020 si rivolgeva al Pronto Soccorso di Trieste, con riscontro Orchiepididimite destra che poi si manifestava negli anni seguenti, motivo di ricoveri ospedalieri, fino alla diagnosi di azoospermia nel 2022. Dalla visita fisiatrica del 21.10.2020 si apprende inoltre delle difficoltà nella defecazione per cui nel 2021 era sottoposto a colonscopia per prescrizione di irrigatore colico. La conclamata impotenza erigendi determinava un evidente disagio psicologico che necessitò di adeguata terapia. Nel 2022 si rivolgeva al Pronto Soccorso dell'Ospedale di Monfalcone per lussazione spalla sinistra recidiva mentre stava facendo canoa che esitava in una limitazione articolare oltre 90 gradi di flessione e abduzione con sofferenza del sovraspinato sinistro".

Nel risponder al quesito, il c.t.u. ha quindi osservato che "attualmente il quadro clinico descritto si presenta immutato e non suscettibile di alcun miglioramento, ovvero una grave disabilità che incide sulla vita di relazione del periziando, caratterizzato da frequenti infezioni urinarie dovute al cateterismo vescicale e dalla difficoltà nella defecazione che necessita di clismi evacuativi; quadro clinico che va ad aggravare il dolore neuropatico al di sotto della lesione con deficit motorio totale agli arti inferiori. Non da ultimo l'aver appreso la diagnosi di aspermia, già in presenza di incapacità erettile, ha accentuato la sintomatologia depressiva, pur con la riconosciuta utilità di un percorso psicoterapeutico".

In sostanza, "il quadro clinico è esitato in emiplegia, con deficit motorio totale agli arti inferiori accompagnato da dolore neuropatico, frequenti infezioni urinarie con necessità di igiene intestinale incapacità erettile e azoospermia, sindrome depressiva".

Ha quindi concluso che "tali menomazioni, in considerazione dell'aspetto fisico e psichico, complessivamente giustificano un danno biologico nella misura dell'85% (ottantacinque) come correttamente è stato già indicato dall'INAIL. Tuttavia oggetto di una personalizzazione di danno, vista la giovane età della vittima, risultano essere la perdita di chance di una vita famigliare in assenza di prole e relazionale il cui peso graverà oltremodo nel futuro. Il contestuale periodo di temporanea biologica può essere quantificato in totale fino alla dimissione ospedaliera del 5.08.17 (200 giorni) venendo poi assorbita nel computo del biologico per i successivi periodi".

In ordine alla percentuale d'invalidità pari all'85%, i c.t.p. non hanno formulato alcuna osservazione. Quanto alla durata del periodo di invalidità temporanea deve convenirsi con il c.t.p. di Reale Mutua che esso - attinente al periodo compreso tra il 31.01.2017 e il 05.08.2017 - non è pari a n. 200 giorni, come segnalato dal c.t.u.. Tuttavia, diversamente anche dall'indicazione del predetto c.t.p., esso non è pari nemmeno a n. 187, ma a n. 186 giorni, periodo cui occorre perciò fare riferimento.

7.2. Le testimonianze raccolte nel corso dell'istruttoria hanno delineato ulteriori profili attinenti al pregiudizio non patrimoniale patito da V..

L.C., ha riferito d'aver conosciuto V. nel 2005. "Abbiamo iniziato a frequentare insieme quell'ambiente fino ad oggi" - ha spiegato il teste -, con la precisazione che "in un periodo intermedio, V. non ha potuto frequentare il gruppo. Dal gennaio 2017, il ricorrente ha subito un incidente sul lavoro che l'ha portato al ricovero fino ad agosto 2017, mi pare; durante tutta quella fase e dopo le dimissioni V. non ha frequentato il gruppo e ho portato avanti io le relative attività". In merito all'attuale partecipazione del ricorrente al gruppo, C. ha spiegato che "V. oggi frequenta il gruppo ma diversamente dal passato, ciò perché la sua disabilità motoria gli preclude di andare in certi luoghi o svolgere certe attività. Il gruppo ha nel tempo trovato il modo di riaccogliere V. e ha modificato le sue attività ed iniziative alle possibilità di V.. Resta fermo che però una certa quota di attività - ad esempio giochi che implicano attività fisica all'aperto - a V. resta preclusa".

La frequenza e l'intensità della partecipazione di V. al gruppo scout è stata confermata anche dalla teste G.P., la quale ha riferito che "prima dell'incidente, V. è stato sempre molto attivo anche per l'eclettismo delle sue capacità e il suo carisma nel fare gruppo ed essere di compagnia. Dopo l'incidente, le attività sono divenute fisicamente insostenibili per V.. Piano piano, siamo riusciti a ricostruire il tutto. Personalmente, ho lasciato il gruppo scout prima che V. riprendesse la sua attività di scout, ma so che egli ha ricominciato a svolgerla, ancorché non sia a conoscenza delle specifiche modalità con cui partecipa".

Trova quindi conferma la deduzione di cui al ricorso in merito alla passione e dedizione di V. rispetto a questo tipo di attività, esattamente come è confermato il dato - invero intuitivo - che egli non è più in grado di coltivarla in termini analoghi rispetto al passato in ragione della sua mutata condizione fisica.

Ha poi trovato conferma la circostanza per cui i postumi dell'infortunio hanno inciso, benché non irrimediabilmente, anche sulla relazione sentimentale che V. intratteneva con S.C. all'epoca del fatto.

C., in proposito, ha confermato che la coppia, al momento dell'infortunio, conviveva presso un'abitazione di C. inidonea all'accesso in sedia a rotelle e ha altresì dichiarato che, effettivamente, la convivenza si è interrotta dopo l'incidente. In merito, ha spiegato che "durante il ricovero e subito dopo le dimissioni, ho visto che sia V. che C. si impegnavano per tenere saldo il legame. Successivamente, V. si è allontanato dalla fidanzata e dal gruppo di amicizie e questo ha portato alla conclusione della relazione. Il comportamento di V., per quanto ho visto, è stato dettato da sue difficoltà psicologiche. Dopo l'incidente V. e tutto l'ambiente sono rimasti sconvolti; subito dopo v'è stata una fase dove vi è stato molto impegno, ma successivamente sia V. che le persone che gli erano accanto hanno sperimentato, malgrado tutto, un allontanamento".

In ordine alla conclusione della relazione, il teste ha riferito che essa, "al netto dello stress comune a entrambi, è imputabile a V.", ma ha altresì chiarito che questo rapporto si è successivamente ripristinato: "oggi, V. e S.C. hanno ripristinato un rapporto sentimentale, ma non so a quale livello…So che V. e C. talvolta dormono insieme ma non so dire se abbiano ripristinato la loro convivenza".

Maggiori chiarimenti sul punto sono stati forniti dalla teste P., amica di C.. "S.C. e V. erano fidanzati quando li ho conosciuti e sono fidanzati ancora oggi…so che fra loro c'è stato un periodo d'allontanamento duro da affrontare ma, lavorando su se stessi, sono riusciti a ripristinare il rapporto e a stare felicemente insieme. Attualmente sono conviventi". Circa le ragioni del precedente allontanamento, la teste ha spiegato d'aver "potuto verificare la difficoltà a vivere nell'abitazione in cui stavano in precedenza a causa di barriere architettoniche. Attualmente, vivono in un diverso contesto immobiliare, adeguato alle condizioni fisiche di V.. Credo che la loro crisi sia legata al fatto che, per un certo tempo, vi è stata una distanza fisica dovuta all'impossibilità di abitare insieme. La crisi sentimentale è consistita nel fatto che non si vedessero. Come ho detto la relazione si è successivamente ripristinata. Non sono andati subito a vivere insieme ma hanno ritrovato il loro equilibrio e, gradualmente, si sono riavvicinati tornando a convivere".

È dunque provato che la relazione, seppur ripristinata, abbia subito un precedente arresto, determinato da fattori personali, psicologici e infrastrutturali integralmente riconducibili all'evento per cui è causa.

La sofferenza interiore di V., cui i testi e la stessa c.t.u. hanno fatto riferimento, è stata descritta anche dalla psicologa M.P. con cui, quattro anni dopo l'infortunio, il ricorrente ha intrapreso un percorso terapeutico. Costei ha spiegato di aver seguito V. "soprattutto rispetto alla sua mancanza d'accettazione della condizione di disabilità. Mi fu inviato per via di infezioni urinarie frequenti e per le preoccupazioni conseguenti. Iniziato il percorso, ci si è concentrati sul tentativo di accettare la disabilità. Le problematiche di natura sessuale sono state affrontate solo col passare del tempo perché per il paziente era troppo doloroso. Lo stesso fisiatra che gli consigliò il percorso psicoterapeutico gli aveva consigliato di rivolgersi ad un andrologo, ma V., prima di procedere, attese a lungo: si rivolse allo specialista dopo nove mesi dall'avvio del percorso terapeutico con me. Mi parlò della sua fidanzata, di cui ricordo il nome S.: V. mi riferì che le problematiche sessuali incisero sul rapporto di coppia". La psicologa ha aggiunto che "la conseguenza delle infezioni alle vie urinarie portarono dei problemi anche legati al fatto che il paziente, avendo una ridotta sensibilità agli arti inferiori, temeva di non accorgersi di eventuali problemi, quali minzioni involontarie, legate alle infezioni, così come aveva l'ansia di sottovalutare certi sintomi e di andare incontro a gravi problemi di salute. Inoltre, i ricoveri conseguenti a questa problematica, gli imponevano l'interruzione di attività sportive, quali la paracanoa, che egli svolgeva".

Benché si tratti di circostanze che la psicologa riferisce de relato ex parte actoris, esse vanno ritenuto attendibili e rilevanti ai fini della complessiva ricostruzione delle vicende personali del ricorrente, non tanto e non solo per la loro nitida verosimiglianza, quanto perché sono riscontrate dalla sofferenza evidenziata anche dagli altri testi e dallo stesso c.t.u.. In altri termini, le parole spese della psicoterapeuta vanno intese come una descrizione dal versante professionale di problematiche percepibili e percepite da coloro che si sono relazionati nel corso del tempo, dopo l'incidente, con V..

8. La quantificazione del danno non patrimoniale subito da V..

8.1. La pretesa del ricorrente - che ha fatto partitamente riferimento al danno biologico, al danno morale e al danno esistenziale - è stata contestata dalle parti resistenti, a cui avviso, procedendo in quei termini, si farebbe luogo ad un'indebita duplicazione delle poste risarcitorie, in contrasto con l'unitarietà del danno non patrimoniale forgiata dalla Corte di cassazione cfr. Cass, ss.uu., n. 26972-73-74-75/2008.

La questione va affrontata considerando le indicazioni giunte nel tempo dalla giurisprudenza di legittimità. "In tema di danno non patrimoniale da lesione della salute - spiega la Corte -, costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione del "danno biologico" e del "danno dinamico-relazionale", atteso che con quest'ultimo si individuano pregiudizi di cui è già espressione il grado percentuale di invalidità permanente (quali i pregiudizi alle attività quotidiane, personali e relazionali, indefettibilmente dipendenti dalla perdita anatomica o funzionale). Non costituisce invece duplicazione la congiunta attribuzione del "danno biologico" e di una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, perché non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado di percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell'animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione). Ne deriva che, ove sia dedotta e provata l'esistenza di uno di tali pregiudizi non aventi base medico-legale, essi dovranno formare oggetto di separata valutazione e liquidazione" Cass., n. 7513/2018.

Invero, "la misura standard del risarcimento prevista dalla legge e dal criterio equitativo uniforme adottato dai giudici di merito (secondo il sistema c.d. del punto variabile) può essere aumentata, nella sua componente dinamico-relazionale attinente alla vita esterna del danneggiato, solo in presenza di conseguenze dannose del tutto anomale, eccezionali e peculiari, che fuoriescono da quelle normali ed indefettibili secondo l’"id quod plerumque accidit" entro le quali non è giustificata alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento. Ne deriva, pertanto, che costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione del "danno biologico" e del c.d. "danno esistenziale", appartenendo tali categorie (o voci) di danno alla stessa area protetta dall'art. 32 Cost., mentre non costituisce duplicazione risarcitoria, la differente ed autonoma valutazione compiuta con riferimento alla sofferenza interiore patita dal danneggiato in conseguenza della lesione del diritto alla salute" Cass., n. 23469/2018. In particolare, "il danno morale consiste in uno stato d'animo di sofferenza interiore del tutto prescindente dalle vicende dinamico relazionali della vita del danneggiato (che pure può influenzare) ed è insuscettibile di accertamento medico-legale, sicché, ove dedotto e provato, deve formare oggetto di separata valutazione ed autonoma liquidazione rispetto al danno biologico" Cass., n. 9006/2022.

L'approccio in parola considera che, a fini risarcitori, il danno biologico deve essere considerato in relazione all'integralità dei suoi riflessi pregiudizievoli rispetto a tutte le attività, le situazioni e i rapporti in cui la persona esplica se stessa nella propria vita; non soltanto, quindi, con riferimento alla sfera produttiva, ma anche con riferimento alla sfera spirituale, culturale, affettiva, sociale, sportiva, e a ogni altro ambito e modo in cui il soggetto svolge la sua personalità e cioè a tutte le attività realizzatrici della persona umana così Corte cost., n. 356/1991; Corte Cost., n. 184/1986.

Secondo le più recenti indicazioni della Cassazione, il danno biologico consiste in un'ordinaria compromissione delle attività quotidiane (gli aspetti dinamico-relazionali). Il danno alla salute, quindi, non comprende i pregiudizi dinamico-relazionali ma è esattamente il danno dinamico relazionale cfr. Cass., ord. n. 7513/2018.

Consegue che il danno alla vita di relazione è risarcibile oltre la misura liquidata in base ai punti percentuali accertati in sede medico legale solo qualora si sia concretizzato non già in conseguenze comuni a tutti i soggetti che patiscano quel tipo di invalidità, ma in conseguenze peculiari del caso concreto che abbiano reso il pregiudizio patito dalla vittima diverso e maggiore rispetto a casi consimili; devono essersi verificate, in altri termini, conseguenze straordinarie, prive di base organica e quindi estranee alla determinazione medico legale.

La pronuncia della Corte di cassazione da ultimo menzionata, nel forgiare un vero e proprio decalogo, ha espressamente chiarito che "in presenza d'un danno permanente alla salute, costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione d'una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e l'attribuzione d'una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi di cui è già espressione il grado percentuale di invalidità permanente (quali i pregiudizi alle attività quotidiane, personali e relazionali, indefettibilmente dipendenti dalla perdita anatomica o funzionale: ovvero il danno dinamico-relazionale). Viceversa, "non costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione di una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e di una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, perché non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell'animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione)". Ha quindi specificato che, "ove sia correttamente dedotta ed adeguatamente provata l'esistenza d'uno di tali pregiudizi non aventi base medico-legale, essi dovranno formare oggetto di separata valutazione e liquidazione".

8.2. Proprio per considerare i nuovi orientamenti della Cassazione e della Medicina legale e con gli artt. 138 e 139 Codice Assicurazioni, l'Osservatorio di Milano è intervenuto sulle note tabelle e, nell'edizione 2021, ha proceduto ad una rivisitazione grafica della Tabella del danno non patrimoniale da lesione del bene salute e della (correlata) Tabella del danno definito da premorienza, fermi i valori monetari come aggiornati secondo gli indici ISTAT.

Lasciando invariati i valori espressi nella seconda e quarta colonna della Tabella, nella terza colonna della Tabella (che nella edizione 2018 conteneva solo l'indicazione dell'aliquota percentuale di aumento del punto di danno biologico per la componente di sofferenza soggettiva) è stata aggiunta la specifica indicazione dell'aumento in termini monetari; nella quinta colonna della Tabella (che nella edizione del 2018 recava solo l'ammontare complessivo del danno non patrimoniale, inclusivo del danno biologico e del danno morale/ sofferenza soggettiva) è stata aggiunta l'indicazione dell'importo monetario di ciascuna delle citate componenti; infine, è stata aggiornata la terminologia usata nell'intestazione delle colonne, prendendo atto che le voci di danno non patrimoniale, prima denominate "danno biologico" e "danno morale/sofferenza soggettiva", sono attualmente definite dalla giurisprudenza di legittimità e dalla dottrina come "danno biologico/dinamico-relazionale" e "danno da sofferenza soggettiva interiore" (media presumibile), ordinariamente conseguente alla lesione dell'integrità psicofisica accertata.

Circa l'entità del risarcimento, il giudice deve liquidare l'importo indicato nella quinta colonna come compensativo del "danno biologico/dinamico-relazionale", valutando se l'importo ivi indicato, astrattamente compensativo del "danno da sofferenza soggettiva interiore media", sia congruo in relazione alla fattispecie concreta.

Ciò nondimeno, l'applicazione della Tabella non esonera affatto il giudice dall'obbligo di motivazione in ordine al preventivo necessario accertamento dell'an debeatur (sussistenza e consistenza delle componenti del danno, con prova che può darsi anche in via presuntiva); l'applicazione degli importi di cui alla Tabella esprime, invece, esercizio del potere di liquidazione equitativa del giudice e pertanto attiene alla fase del quantum debeatur e cioè alla valutazione della congruità degli importi liquidati, in relazione alle circostanze di fatto allegate e provate dalle parti nella fattispecie concreta, anche sulla base delle emergenze della c.t.u..

8.3. Chiarito quanto precede, per il danno biologico permanente, la tabella milanese indica, a titolo di danno biologico dinamico-relazionale e di sofferenza interiore per un soggetto di 23 anni alla data della stabilizzazione e con la percentuale di invalidità dell'85%, i seguenti importi standard: Euro 616.611,00 a titolo di danno biologico dinamico-relazionale ed Euro 308.305,00 a titolo di danno da sofferenza interiore media presumibile, per un totale di Euro 924.916,00.

8.4. Nella fattispecie per cui è causa, ricorrono tuttavia ragioni per applicare la massima personalizzazione consentita dalle Tabelle di Milano ed. 2021 - pari al 25% - ad entrambe le voci componenti il risarcimento.

Invero, per quanto sopra esposto, risulta che il danno biologico dinamico-relazionale si sia proiettato su molteplici aspetti, dal momento che ad essere compromesse irreversibilmente sono non solo la capacità motoria dell'individuo, ma anche l'apparato genitale-riproduttivo. Non possono poi trascurarsi le frequenti infezioni urinarie con necessità di igiene intestinale e la sindrome depressiva che affliggono il ricorrente. La misura standard della componente strettamente biologica appare perciò incongrua nel descrivere la situazione - di estrema gravità - a cui V. è costretto. L'importo a titolo di risarcimento del danno biologico, all'esito della maggiorazione, è perciò pari ad Euro 770.763,75.

Va del pari considerato che lo sconvolgimento della propria esistenza causato dal sinistro non è adeguatamente considerato da una sussunzione della quantificazione entro una media generale presumibile. Nella presente vicenda, sussiste un'intensissima sofferenza interiore, esorbitante sia dalla componente medicalmente accertabile che dalla sofferenza media in casi analoghi. Il ricorrente, ancora molto giovane, si è visto e si vede privato di aspetti essenziali allo sviluppo della sua persona, quali la possibilità di continuare a coltivare "come sempre" la propria vita di relazione nel gruppo associativo frequentato. Le ricadute delle ulteriori compromissioni fisiche implicano inoltre un danno ulteriore rispetto a quello strettamente medico perché a V. è totalmente preclusa un'ordinaria vita sessuale e la possibilità di coltivare il desiderio di diventare genitore, ciò che implica una sofferenza da considerarsi massima. Applicata la maggiorazione, la somma spettante a titolo di risarcimento del danno per la sofferenza interiore ammonta ad Euro 385.381,25.

Per questo, applicando la predetta personalizzazione, il danno non patrimoniale va quantificato nella somma di Euro 1.156.145,00.

8.5. Con riferimento alla compromissione temporanea, l'incertezza per la sua sorte emersa dall'istruttorie e il "calvario" descritto dalla c.t.u. nella propria relazione, allorché si è riferita al periodo di invalidità temporanea, militano per l'applicazione della massima personalizzazione consentita dalle medesime tabelle. Il relativo danno può essere calcolato in Euro 27.714,00 per i 186 giorni di invalidità temporanea al 100% (149 x 186 x 100 : 100)

8.6. L'importo complessivo ammonta perciò ad Euro 1.183.859,00.

8.7. È documentale che, rispetto al pregiudizio non patrimoniale subito, il ricorrente abbia già percepito Euro 600.000,00 da R.M. e prestazioni Inail pari ad Euro 379.607,62 a titolo di danno biologico permanente. L'Inail gli ha inoltre versato la somma di Euro 7.178,08 a titolo di indennità temporanea.

Va allora ricordato "in tema di responsabilità del datore di lavoro per il danno da inadempimento, l'indennizzo erogato dall'INAIL ai sensi dell'art. 13 del D.Lgs. n. 38 del 2000 non copre il danno biologico da inabilità temporanea, atteso che sulla base di tale norma, in combinato disposto con l'art. 66, comma 1, n. 2, del D.P.R. n. 1124 del 1965, il danno biologico risarcibile è solo quello relativo all'inabilità permanente". Cass., n. 4972/2018. È poi consolidato il principio per cui "in tema di liquidazione del danno biologico cd. differenziale, di cui il datore di lavoro è chiamato a rispondere nei casi in cui opera la copertura assicurativa INAIL in termini coerenti con la struttura bipolare del danno-conseguenza, va operato un computo per poste omogenee, sicché, dall'ammontare complessivo del danno biologico, va detratto non già il valore capitale dell'intera rendita costituita dall'INAIL, ma solo il valore capitale della quota di essa destinata a ristorare, in forza dell'art. 13 del D.Lgs. n. 38 del 2000, il danno biologico stesso, con esclusione, invece, della quota rapportata alla retribuzione ed alla capacità lavorativa specifica dell'assicurato, volta all'indennizzo del danno patrimoniale" Cass. n. 9166/2017; Cass., n. 20807/2016; Cass., n. 9112/2019. Il Giudice "valuterà, cioè, il complessivo valore monetario del danno civilistico secondo i criteri comuni, con le indispensabili personalizzazioni, e da esso detrarrà quanto indennizzabile dall'INAIL, in base ai parametri legali, in relazione alle medesime componenti del danno, distinguendo, altresì, tra danno patrimoniale e danno non patrimoniale (come già sancito da Cass. n. 20807/2016 cit.)" Cass., n. 9166/2017. Inoltre, "in tema di danno cd. differenziale, la diversità strutturale e funzionale tra l'erogazione Inail ex art. 13 del D.Lgs. n. 38 del 2000 ed il risarcimento del danno secondo i criteri civilistici non consente di ritenere che le somme versate dall'istituto assicuratore possano considerarsi integralmente satisfattive del pregiudizio subito dal soggetto infortunato o ammalato, con la conseguenza che il giudice di merito, dopo aver liquidato il danno civilistico, deve procedere alla comparazione di tale danno con l'indennizzo erogato dall'Inail secondo il criterio delle poste omogenee, tenendo presente che detto indennizzo ristora unicamente il danno biologico permanente e non gli altri pregiudizi che compongono la nozione pur unitaria di danno non patrimoniale; pertanto, occorre dapprima distinguere il danno non patrimoniale dal danno patrimoniale, comparando quest'ultimo alla quota Inail rapportata alla retribuzione e alla capacità lavorativa specifica dell'assicurato; successivamente, con riferimento al danno non patrimoniale, dall'importo liquidato a titolo di danno civilistico vanno espunte le voci escluse dalla copertura assicurativa (danno morale e danno biologico temporaneo) per poi detrarre dall'importo così ricavato il valore capitale della sola quota della rendita Inail destinata a ristorare il danno biologico permanente" Cass., n. 17967/2021. Che l'indennità versata per il periodo d'invalidità temporanea attenga al profilo patrimoniale e che dunque non abbia attinenza al presente calcolo è stato confermato, anche da ultimo, dalla Corte di cassazione cfr., Cass., n. 30293/2023.

Tra le voci riconosciute al ricorrente dall'Inail va dunque detratta quella di Euro 379.607,62 a titolo di danno biologico permanente, a nulla rilevando invece quella di Euro 7.178,08 a titolo di indennità temporanea, attinente al danno patrimoniale.

Va altresì detratta la somma di Euro 600.000,00, pacificamente liquidata da R.M..

La somma dovuta a titolo risarcitorio per la componente non patrimoniale ammonta perciò ad Euro 204.251,38.

9. Il danno patrimoniale subito da V..

9.1. Da un punto di vista tassonomico, è opportuno osservare che mentre la capacità lavorativa generica va intesa come capacità intrinseca ad ogni individuo, la cui lesione integra una menomazione della sua integrità psico-fisica risarcibile in seno alla complessiva liquidazione del danno biologico cfr., Cass. n. 5865/2021, la capacità lavorativa specifica s'identifica nella capacità d'un individuo di svolgere una specifica attività lavorativa, quella di fatto esercitata, ovvero, dando un significato più estensivo al termine, nella capacità d'un individuo di estrinsecare diverse attività lavorative, ma tutte, comunque, afferenti alla sua sfera attitudinale, in quanto coerenti con l'età, il sesso, il grado di istruzione e l'esperienza lavorativa dello stesso; è, in sintesi, la capacità lavorativa propria del soggetto ovvero la capacità lavorativa attitudinale.

La sua lesione non determina, tuttavia, un danno di per sé, rilevando piuttosto allorché da essa derivi una diminuzione reddituale; si tratta di un danno patrimoniale futuro e permanente, destinato a riprodursi anno per anno, per tutta la vita lavorativa della vittima, da valutarsi su base prognostica, anche a mezzo di presunzioni semplici, salva la determinazione equitativa, in assenza di prova certa del suo ammontare cfr. Cass. n. 10499/2017; Cass. n. 2003/2014; Cass. n. 25634/2013. Per la giurisprudenza di merito, v. Corte d'appello di Milano, n. 1375/2019; Trib. Milano, n. 2625/2017. Spetta in ogni caso all'interessato l'onere di dimostrare, sia nell'an che nel quantum, la sussistenza del pregiudizio risarcibile, posto che "l'accertamento dell'esistenza di postumi permanenti incidenti sulla capacità lavorativa specifica non comporta l'automatico obbligo di risarcimento del danno patrimoniale da parte del danneggiante, dovendo comunque il soggetto leso dimostrare, in concreto, lo svolgimento di un'attività produttiva di reddito e la diminuzione o il mancato conseguimento di questo in conseguenza del fatto dannoso" cfr. Cass. 3 luglio 2014 n. 15238; Cass. 22 maggio 2014 n. 11361.

Il giudice, con valutazione prognostica fondata su basi probabilistiche, deve dunque valutare se, ed in che misura, i postumi permanenti ridurranno la futura capacità di guadagno di detta persona, tenendo conto di dati quali la percentuale di invalidità medicalmente accertata, la natura e qualità dei postumi stessi, l'orientamento eventualmente manifestato dal danneggiato medesimo verso una determinata attività redditizia, le presumibili opportunità di lavoro che si presenteranno al danneggiato anche in relazione al prevedibile futuro mercato del lavoro.

9.2. Ciò posto in chiave generale, è provato che V. abbia ricevuto una formazione utile allo svolgimento d'attività di carattere manuale e lato sensu operaio.

L'ha confermato il teste C., il quale ha dichiarato che "V. ha frequentato un istituto professionale nell'ambito della falegnameria e successivamente al percorso di studi ha iniziato a lavorare. Per quello che so, V. ha sempre svolto attività di natura operaia o comunque manuali". Gli ha fatto eco la teste P., che in merito ha riferito che, "quando ho conosciuto V., frequentava un istituto professionale legato alla falegnameria e di seguito ha intrapreso un percorso professionale come operaio. Era il percorso professionale che, coerentemente con la sua formazione, egli intendeva percorrere. Era un lavoro tecnico-manuale".

Non è controverso che, dopo l'infortunio, V. non abbia più svolto alcuna attività lavorativa.

9.3. Chiamata a rispondere al quesito formulatole sul tema in analisi, la c.t.u. ha osservato che "dal punto di vista lavorativo, la consapevolezza dell'ineluttabilità del quadro clinico, in uno con le problematiche legate alla gestione del cateterismo vescicale, rendono di fatto evidente un atteggiamento giustificatamente rinunciatario. Per quanto il medico competente all'epoca l'avesse giudicato inidoneo alla mansione ma "idoneo ad attività di tipo impiegatizio con adattamenti opportuni in relazione alle condizioni fisiche", il Sig. V. lamenta competenze strettamente mirate agli studi di cui è titolare che non sono attuabili, ovvero lo studio è stato mirato ad attività prettamente manuali, di carpenteria. Evidente pertanto una totale perdita della capacità lavorativa specifica, ovvero l'impossibilità di un diverso collocamento in attività confacenti posto che, come indicato, l'attività di carpenteria prevedrebbe comunque continui e obbligati spostamenti verticali e orizzontali, movimentazione di carichi che, alla luce delle menomazioni, sono incompatibili con l'attività esercitata ed eventualmente con altre possibili, sussistendo una ricaduta sulla capacità lavorativa specifica che esonda dal semplice danno alla cenestesi lavorativa, anch'esso esistente ancorché assorbito nel danno biologico permanente. Sotto il profilo della quantificazione, eseguita secondo il c.d. metodo quantistico, si è preso in considerazione un indice di correlazione da (0, 1, 2 3, 4, 5) cui corrisponde una percentuale del valore tabellare (0, 20, 40, 60, 80, 100) e una qualificazione aggettivata della ricaduta (nullo, lieve, moderato, notevole, elevato, massimale). Nel caso di specie, la ricaduta è qualificabile come massimale stante il coinvolgendo degli arti inferiori, corrispondente quindi al valore ponderato di 100% e con un indice di correlazione pari a 5. Nel concreto il Sig. V. non ha più ripreso l'attività lavorativa, nè vi sono al momento concrete prospettive di reinserimento lavorativo che potrebbero riguardare attività d'ufficio, progettazione di cui tuttavia mancano ad oggi le competenze".

Ha quindi concluso nel senso che "la grave menomazione con perdita della capacità deambulatoria, oltre alla necessità di continui cateterismi vescicali, già oggetto di ripetute infezioni urinarie, determinano la perdita totale della capacità lavorativa specifica e attitudinale, permanendo una una idoneità ad attività di tipo impiegatizio di cui tuttavia non presenta attualmente alcuna formazione…la perdita della capacità lavorativa specifica è del 100%".

9.4. Rispetto alla quantificazione del danno, cui procedere in base all'art. 1223 c.c. e considerando, dunque, il principio d'integralità del risarcimento in esso insito, deve essere effettuata mediante la moltiplicazione del reddito perduto per un adeguato coefficiente di capitalizzazione.

La selezione di quest'ultimo non può più rinvenirsi tra quelli approvati con R.D. n. 1403 del 1922 e a lungo impiegati, dal momento che questi, sia a causa dell'aumento della durata media della vita, sia a causa della diminuzione dei saggi d'interesse, non sono più idonei a garantire un effettivo corretto risarcimento del danno e, pertanto, a rispettare il dettato dell'art. 1223 c.c. Cfr. Cass. n. 20615/2015; Cass. n. 9048/2018; Cass. n. 16913/2019; Cass. n. 2463/2020.

In proposito, è stato quindi affermato che "il giudice di merito è libero di adottare i coefficienti di capitalizzazione che ritiene preferibili, purché si avvalga di coefficienti aggiornati e scientificamente corretti: esempio fornito sono i coefficienti di capitalizzazione approvati con provvedimenti vigenti per la capitalizzazione di rendite assistenziali o previdenziali o i coefficienti elaborati in dottrina, come quelli dell'Incontro di Studio del CSM tenuto in data 30 giugno-1 luglio 1989 a Trevi" Cass. n. 2463/2020.

Più di recente, l'Osservatorio sulla Giustizia Civile di Milano ha elaborato accurate ed aggiornate tabelle utili alla capitalizzazione anticipata d'una rendita. Pubblicate il 25.05.2023, queste Tabelle rappresentano lo strumento preferibile per giungere alla quantificazione della voce risarcitoria in esame e ad esse s'intende fare riferimento.

Il suo funzionamento impiega una formula finanziaria attuariale che tiene conto di tutti i seguenti parametri:

a. la somma annua che viene ritenuta persa dal danneggiato,

b. l'età del soggetto danneggiato (in anni compiuti) al momento della capitalizzazione,

c. la durata dell'arco temporale in cui si stima avverrà la perdita della rendita periodica, ossia la differenza tra l'età pensionabile e quella del danneggiato al momento della capitalizzazione.

d. il sesso del danneggiato (per tener conto della sua potenziale sopravvivenza per gli anni da prendere in considerazione); i relativi valori sono forniti dall'ISTAT e la tabella 2022 è basata sulla mortalità del 2021,

e. un tasso di rendimento futuro/stimato dinamicamente (e variabile in relazione all'effettiva durata) da parte di Enti internazionali europei (tassi E.), rilevati al 30 novembre 2022,

f. una media della svalutazione attesa nel prossimo triennio, in base ad una previsione indice della svalutazione di Enti pubblici italiani (documento previsionale del MEF del novembre 2022).

9.5. Nel caso di specie occorre considerare questi dati di riferimento:

- lavoratore maschio di 23 anni. Si ritiene di considerare l'età del danneggiato al momento dell'infortunio perché è da quel momento che egli ha cominciato a subire il danno patrimoniale in questione, sicché considerare l'età al momento della capitalizzazione (ossia quella attuale) non consentirebbe di risarcire il danno subito tra la data dell'infortunio e quella del presente provvedimento;

- la sua invalidità lavorativa è del 100%, come indicato condivisibilmente dalla c.t.u..;

- il reddito del ricorrente da prendere a riferimento è quello selezionato anche dall'Inail per la costituzione d'una rendita utile a compensare il medesimo pregiudizio patrimoniale cfr. doc. 5, p. 111 ricorrente. E. è pari ad Euro 16.562,99 annui e allo stesso bisogna fare riferimento, dovendosi disattendere le diverse indicazioni di parte ricorrente, utili a simulare una sorta di avanzamento di carriera, dal momento che esse si basano su dati ipotetici e non sono accompagnate né da riscontri né da richieste di prova utili a fornirvi sostanza. Invero, tanto il ricorso, quanto la perizia di parte cui questo fa rinvio, ipotizzano una progressione di carriera secondo cui il ricorrente, nel tempo, avrebbe conseguito l'inquadramento entro profili professionali meritevoli di un crescente trattamento retributivo. Nel far ciò, tuttavia, V. ha però omesso ogni specifico riferimento utile ad identificare il contratto collettivo che la parte ha preso come riferimento; è una lacuna minimamente colmata né dal ricorso, dove non si fa menzione d'alcuna fonte contrattuale, né dai relativi allegati, posto che tra essi non figura alcun accordo collettivo da impiegare come parametro. La totale carenza di indicazioni in ordine alla fonte contrattuale sulla cui base la parte ha formulato i propri calcoli ha del resto precluso la sua acquisizione ai sensi dell'art. 421 c.p.c., dal momento che, in mancanza di un'indicazione, seppur minima, del Ccnl, l'esercizio del potere-dovere di cui alla predetta norma avrebbe rappresentato non già l'approfondimento di piste probatorie suggerite dal ricorrente, bensì un'iniziativa esplorativa che, attenendo ad un elemento costitutivo della domanda, avrebbe indebitamente consentito al ricorrente di eludere la decadenza in cui è incorso. Va fatto perciò riferimento al reddito annuo di Euro 16.562,99 cui lo stesso Inail ha fatto riferimento;

- assumendo l'età pensionabile a 67 anni, l'arco di tempo da considerare è pari a 44 anni.

Osservando la tabella, il coefficiente di riferimento secondo i dati temporali sopra riportati è pari a 52,60. Si tratta di moltiplicarlo per il reddito preso a riferimento: 16.562,99 x 52,60 = 871.213,274.

9.6. A tale importo va aggiunto quello relativo al t.f.r. che il ricorrente avrebbe maturato al termine del rapporto di lavoro. In mancanza di indici che lo smentiscano, è da ritenere che V. avrebbe potuto lavorare fino all'età pensionabile; ciò è sufficiente per ritenere che questa voce di danno, di per sé non considerata dall'importo calcolato nel paragrafo precedente, sia provata nell'an.

La sua quantificazione può procedere dall'importo complessivo di Euro 871.213,274, quale somma che il ricorrente avrebbe globalmente percepito nell'arco della sua vita lavorativa, ossia per 44 anni. Essa corrisponde, come media annuale, alla cifra di Euro 19.800,30. Per calcolare il t.f.r. va fatto riferimento all'art. 2120 c.c. e, dunque, si tratta di dividere quest'importo per 13,5 e quindi moltiplicarlo per gli anni di riferimento (19.800,30 / 13,5 x 44). L'importo dovuto a titolo di risarcimento del danno da mancata percezione del t.f.r. è perciò pari ad Euro 64.534,31.

9.7. I due importi complessivi cui si è fatto cenno sono lordi. Infatti, ai sensi dell'art. 6 T.u.i.r. "i singoli redditi sono classificati nelle seguenti categorie:

a) redditi fondiari;

b) redditi di capitale;

c) redditi di lavoro dipendente;

d) redditi di lavoro autonomo;

e) redditi di impresa;

f) redditi diversi.

2. I proventi conseguiti in sostituzione di redditi, anche per effetto di cessione dei relativi crediti, e le indennità conseguite, anche in forma assicurativa, a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti. Gli interessi moratori e gli interessi per dilazione di pagamento costituiscono redditi della stessa categoria di quelli da cui derivano i crediti su cui tali interessi sono maturati".

Nel caso di specie, si tratta di liquidare un danno patrimoniale da lucro cessante, atto a surrogare il reddito che il soggetto avrebbe percepito come lavoratore subordinato. Ne deriva che l'importo liquidando costituisce un reddito di cui alla lett. c). A conferma di ciò, la Corte di cassazione ha affermato che, mentre il danno non patrimoniale alla professionalità, patito dal lavoratore in conseguenza della grave lesione dei propri diritti costituzionalmente garantiti, va ascritto alla categoria del danno emergente, sicché la relativa liquidazione giudiziale dev'essere effettuata al lordo delle ritenute fiscali, sono invece soggette a tassazione, tra le somme percepite dal contribuente a titolo risarcitorio, quelle dirette a reintegrare il lucro cessante derivante dalla mancata percezione di redditi cfr. Cass., n. 2472/2021. V. anche Cass., n. 5108/2019.

9.8. Va a questo punto ricordato che l'Inail ha costituito in favore di V. una rendita vitalizia, il cui valore capitalizzato, al netto degli importi relativi al danno biologico, è pari ad Euro 585.240,33 cfr. doc. 5, p. 111, ricorrente.

Dall'importo di Euro 935.747,58 sopra complessivamente calcolato va perciò detratto quello testé indicato, onde il risarcimento del danno spettante al ricorrente è pari ad Euro 350.507,25.

9.9. Va disattesa la richiesta attinente al risarcimento d'un ipotetico "danno pensionistico", dal momento che V. non ha indicato alcun elemento da cui possa evincersi che la somma riconosciutagli a titolo di rendita vitalizia da parte dell'Inail sia inferiore a quella che avrebbe percepito a titolo pensionistico, considerando il montante contributivo determinato dalla percezione d'un reddito quale quello preso a riferimento per il calcolo del danno da perdita della capacità di lavoro specifica.

9.10. R.M. ha chiesto che, in caso di riconoscimento del risarcimento del danno, venga fatta applicazione dell'art. 2057 c.c.. Raramente applicato in ambito giurisprudenziale, l'istituto della rendita ha trovato recente riscontro in una pronuncia della Corte di cassazione, secondo cui "…la liquidazione sotto forma di rendita vitalizia ex art. 2057 c.c. costituisce la forma privilegiata di risarcimento, poiché consente di considerare adeguatamente l'evoluzione diacronica di tutte le componenti del danno nei casi di macroinvalidità (specie se comportino la perdita della capacità di intendere e di volere), in quelli di lesioni subite da un minore (per i quali una prognosi di sopravvivenza risulti estremamente difficoltosa se non impossibile), in quelli di lesioni inferte a persone socialmente deboli o descolarizzate ovvero, ancora, nei casi in cui sussista il serio rischio che ingenti capitali erogati in favore del danneggiato possano andare dispersi in tutto o in parte, per mala fede o per semplice inesperienza dei familiari del soggetto leso" Cass., n. 31574/2022.

Di fronte alla richiesta di R.M., il ricorrente non s'è espresso.

Orbene, detto che il versamento della somma in un'unica soluzione o mediante una rendita sono strumenti risarcitori equipollenti, si ritiene che ragioni d'opportunità rendano preferibile il versamento di una somma capitale. Il metodo impiegato per la quantificazione del danno è, come detto, la tabella per la "Capitalizzazione anticipata di una rendita", onde la conversione in rendita del capitale calcolato condurrebbe ad un percorso a ritroso tale da tradire la logica sottesa alle tabelle. Che esse, del resto, siano lo strumento preferibile per il calcolo oggetto del giudizio è una circostanza che procede, di per sé, dal fatto che si tratta dello strumento maggiormente aggiornato da quelli astrattamente disponibili (R.D. n. 1403 del 1922 e Tabelle del C.s.m. c.d. "Trevi" del 01.07.1989). Esse, pur tenendo conto del recente intervento della Cassazione sopra menzionato, hanno la precipua finalità di accordare al diretto interessato un capitale attualizzato e, nel far ciò, predispongono una formula che considera un tasso annuo di interesse (c.d. di rendimento) e un correttivo ulteriore che tiene conto delle aspettative d'inflazione. Si tratta, perciò, d'uno strumento che incorpora già tutti i correttivi che il giudice dovrebbe considerare in caso di costituzione di una rendita e, quindi, al fine di individuare un importo che matura de die in diem cfr., Cass. n. 31574/2022.

Non ricorrono, del resto, ragioni che inducano a ritenere che V. non sia in grado di gestire in modo accorto il capitale che gli verrà versato, non trattandosi di soggetto minore d'età o socialmente debole o descolarizzato. In definitiva, in questo caso la liquidazione d'un capitale è una soluzione senza controindicazioni e preferibile.

9.11. In merito al danno patrimoniale s'impone infine una considerazione, suscitata dalle difese profuse da R.M., mediante il proprio c.t.p. nel corso delle operazioni peritali e, successivamente, in sede di discussione.

La C. ha in particolare sostenuto che, nell'affrontare il tema della quantificazione del danno da lucro cessante, dovrebbero considerarsi tanto la circostanza che V. potrebbe, previa formazione, intraprendere una carriera impiegatizia, quanto la ridotta aspettativa di vita di V., in ragione delle lesioni riportate.

Partendo dal primo profilo, è da ritenere che la difesa sia del tutto infondata. Si è avuto modo di illustrare che la capacità lavorativa specifica si identifica nella capacità di un individuo di svolgere una certa attività lavorativa, quella di fatto esercitata, ovvero, dando un significato più estensivo al termine, nella capacità di un individuo di estrinsecare diverse attività lavorative, ma tutte, comunque, afferenti alla sua sfera attitudinale, in quanto coerenti con l'età, il sesso, il grado di istruzione e l'esperienza lavorativa dello stesso. È provato che questa capacità - la capacità attitudinale di V. - sia di carattere operaio ed è provato che essa, a causa dell'infortunio, sia integralmente compromessa. Il risarcimento integrale della stessa non è perciò discutibile perché, pur non potendosi escludere che V., in futuro, intraprenda percorsi che gli potranno consentire un nuovo ingresso nel mercato del lavoro, deve considerarsi che, per un verso, si tratta di scenari futuri del tutto ipotetici ed incerti - oltre che rimessi a scelte squisitamente individuali dell'interessato avulse dall'art. 1227, comma 2, c.c. -, e, per altro verso, l'eventuale acquisizione di capacità professionali ulteriori non varrebbe a ripristinare la "vecchia" capacità di lavoro specifica, semmai a costituirne una "nuova", ciò che evidentemente lascia impregiudicato l'integrale risarcimento del pregiudizio subito e oggetto d'esame in questa sede.

Con riguardo, invece, all'aspettativa di vita dell'interessato, il fatto che essa possa, in tesi, essere inferiore alla durata media della vita d'un maschio, non assume rilievo sotto il profilo risarcitorio. In tal senso, vale la pena riportare la motivazione con cui la Corte di cassazione ha chiarito che "qualora il danno sia stato liquidato in forma di rendita, dopo aver determinato la somma capitale, occorre tenerne distinte due diverse componenti: il coefficiente per la costituzione della rendita (ovvero il criterio di calcolo), e la durata della stessa. Il coefficiente di costituzione della rendita deve corrispondere…all'età effettiva del danneggiato al momento del sinistro - ed avrà riferimento alla durata media della vita - calcolato sul presupposto che, secondo le statistiche mortuarie attuali, un ventenne ha una aspettativa di vita di sessant'anni, un quarantenne di quaranta ed un sessantenne di venti…allorché si tratti di determinare il capitale da cui ricavare la rendita, la minore speranza di vita della vittima non viene in rilievo, e nessun vantaggio ne trarrebbe il responsabile, qualora quella minor speranza di vita sia stata determinata, come nella specie, dalla sua condotta illecita. Tuttavia, una volta determinato il capitale con riferimento alla durata media della vita, e non a quella presumibile nel caso concreto, una volta detratti gli eventuali acconti versati prima della sentenza (che andranno rivalutati e detratti dal capitale stesso posto a base di calcolo della rendita), e una volta convertito tale capitale in rendita, il diritto a ricevere quest'ultima matura de die in diem, ed ogni rateo di rendita compensa il pregiudizio sofferto dalla vittima nel corrispondente arco di tempo. Se dunque la vittima venisse a mancare ante tempus, con la sua morte cesserebbe il pregiudizio permanente e, cessando il pregiudizio, non sarebbe concepibile la ulteriore pretesa di continuare ad esigere un risarcimento" Cass., n. 31574/2022.

Come si evince dalle condivisibili parole della Corte, l'aspettativa di vita dell'interessato è un dato privo di rilievo. Così come l'eventuale morte precoce del danneggiato non avvantaggia il danneggiante che dovrà corrispondere un minor numero di ratei, allo stesso modo non avvantaggia il danneggiato che riceve un capitale atto a coprire un arco di tempo eventualmente superiore a quello considerato per il suo calcolo. Il danno da risarcire, in sostanza, resta lo stesso a prescindere dall'aspettativa di vita dell'interessato. Questa, dunque, è irrilevante allorché si tratti di quantificare il capitale, operazione conclusiva nella presente liquidazione.

Pertanto, nulla osta alla sua liquidazione nei termini numerici sopra espressi.

10. La domanda di manleva di C.A.A. nei confronti dell'Assicurazione.

Non è controverso che l'evento occorso a V. sia oggetto della copertura assicurativa di cui alla polizza tra C.A.A. e R.M..

L'importo liquidato a titolo di risarcimento è al di sotto del massimale pari ad Euro 5.000.000,00. Opera tuttavia la franchigia di Euro 2.500,00, prevista dall'accordo fra le parti cfr. doc. 9, p. 22 R.M..

La garanzia da essa implicata attiene a capitale e accessori che l'Assicurata deve versare a V., nonché alle spese processuali che dovrà rifondergli, stante quanto disposto dall'art. 4.2 delle Condizioni; esse prevedono che R.M. "assume, fino a quando ne ha intesse, la gestione della vertenza tanto in sede stragiudiziale che giudiziale, sia civile che penale, a nome dell'Assicurato, designando, ove occorra, legali e tecnici ed avvalendosi di tutti i diritti ed azioni spettanti all'assicurato stesso…Sono a carico di R.M. le spese per resistere all'azione promossa contro l'Assicurato…". È vero che la disposizione prevede che queste spese attengano a professionisti designati dalla Compagnia, ma il suo disinteresse iniziale per la gestione della lite, nonostante le sollecitazioni di C.A.A. cfr., doc. 15 C.A.A., conduce a ritenere che la garanzia copra anche le spese che lo stesso Cantiere dovrà versare a V..

11. Le spese processuali.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Quanto a quelle tra C.A.A. e R.M., deve farsi riferimento alle conclusioni formulate dalla prima società all'udienza dell'08.11.2023, allorché ha precisato che, "rispetto alla domanda di assunzione della lite nei confronti dell'Assicurazione, essendosi questa costituita, la liquidazione delle spese dovrebbe limitarsi alla fase di studio ed introduttiva".

11.1. I compensi vanno liquidati in base al D.M. n. 55 del 2014 in relazione ai parametri previsti per le cause di lavoro, avuto riguardo al valore della controversia e tenendo conto dei valori medi.

Nel dettaglio, tenuto conto dell'importo liquidato, va fatta applicazione dell'art. 6, comma 1, D.M. n. 55 del 2014, in base al quale "alla liquidazione dei compensi per le controversie di valore superiore a Euro 520.000,00 si applica il seguente incremento percentuale: per le controversie da Euro 520.000,00 ad Euro 1.000.000,00 fino al 30 per cento in più dei parametri numerici previsti per le controversie di valore fino a Euro 520.000,00". Considerando il valore liquidato, di poco superiore al limite di Euro 520.000,00, si ritiene di applicare un incremento pari al 10%.

11.2. Si ritiene che non siano rimborsabili le spese sostenute da parte ricorrente per la perizia contabile allegata nell'atto introduttivo, corrispondente al valore di Euro 1.268,80 e finalizzata alla quantificazione del danno da perdita della capacità lavorativa specifica. La sussistenza di molteplici precedenti giurisprudenziali di merito e di legittimità avrebbe consentito ai difensori del ricorrente di predisporre il calcolo in autonomia mediante i coefficienti ordinariamente in uso al momento del deposito del ricorso, senza che occorresse un'elaborazione contabile specifica ad opera d'un tecnico. In questo senso, si ritiene che si tratti di spese non rimborsabili perché superflue cfr., Cass., n. 84/2013.

11.3 Le spese di c.t.u., liquidate come da separato decreto, vanno poste definitivamente a carico delle parti soccombenti.

 

P.Q.M.


Il Giudice, definitivamente pronunciando, respinta ogni contraria eccezione, deduzione e conclusione

condanna C.A.A. 1977 s.p.a. a pagare in favore di F.V. la somma di Euro 204.251,38 a titolo di danno non patrimoniale e la somma di Euro 350.507,25 a titolo di danno patrimoniale, il tutto oltre accessori di legge;

respinge per il resto il ricorso;

condanna C.A.A. 1977 s.p.a. a rifondere a F.V. le spese del giudizio, liquidate in complessivi Euro 20.808,70, più 15% per spese generali, oltre i.v.a. e c.p.a..;

condanna Società reale M.D.A. a tenere indenne C.A.A. 1977 s.p.a. da quanto questa deve pagare in forza della presente sentenza a titolo di capitale e accessori di legge, spese processuali e spese relative al c.t.u., il tutto al netto della franchigia di Euro 2.500,00;

condanna Società R.M.D.A. a rifondere a C.A.A. 1977 s.p.a. le spese del giudizio, liquidate in complessivi Euro 9.904,40, più 15% per spese generali, oltre i.v.a. e c.p.a., con distrazione a favore dell'avv. Nicola Cannone;

pone a carico delle parti convenute le spese di c.t.u., liquidate come da separato decreto

Così deciso in Gorizia, il 16 novembre 2023.

Depositata in Cancelleria il 16 novembre 2023.