Cassazione Civile, Sez. Lav., 31 gennaio 2024, n. 2861 -  Ristoro del danno patito dal dirigente medico "declassato" 



 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO CIVILE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa - Presidente -

Dott. BELLE' Roberto - Consigliere -

Dott. CASCIARO Salvatore - Rel. Consigliere -

Dott. BUCONI Maria Lavinia - Consigliere -

Dott. CAVALLARI Dario - Consigliere -

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA



sul ricorso 17532-2018 proposto da:

A.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA UGO DE CAROLIS 34/B, presso lo studio dell'avvocato MAURIZIO CECCONI, rappresentato e difeso dall'avvocato PIERGIORGIO LOI;

- ricorrente -

contro

I.N.A.I.L. - ISTITUTO NAZIONALE PER L'ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144, presso lo studio dell'avvocato MICHELE PONTONE, che lo rappresenta e difende;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 265/2017 della CORTE D'APPELLO di CAGLIARI, depositata il 28/11/2017 R.G.N. 375/2015; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11/01/2024 dal Consigliere Dott. SALVATORE CASCIARO.

 

Fatto

1. con sentenza del 28.11.2017 la Corte d'appello di Cagliari confermava la decisione del Tribunale di Oristano che aveva rigettato la domanda di A.A., dirigente medico di II livello della sede di O dell'Inail, il quale aveva sostenuto di essere stato ingiustamente "declassato" a dirigente di I livello, sicché chiedeva il riconoscimento del superiore inquadramento in precedenza goduto o comunque del corrispondente trattamento economico e, in ogni caso, il ristoro del danno patito in conseguenza dei comportamenti discriminatori tenuti dall'Inail;

2. la Corte territoriale rilevava che il medico, sottoposto a procedura di valutazione, era stato giudicato negativamente, con procedimento svolto "in stretta osservanza delle norme pattizie applicabili (art. 5 dell'accordo del 14.4.1997)" e concluso tra l'altro con un giudizio circostanziato ed espresso con chiarezza di argomenti; in ogni caso, il giudice adito non poteva sostituirsi all'amministrazione nella relativa valutazione discrezionale;

3. osservava che la sede di Oristano era stata "degradata" a seguito di riorganizzazione nazionale e, per il limitato numero di pratiche gestite, non era più ritenuta sede di dirigente medico di II livello, sicché non aveva alcun rilievo, ai fini del riconoscimento della maggiore retribuzione, che il ricorrente avesse continuato a svolgere in quel di Oristano le stesse mansioni di prima, posto che il compenso era evidentemente collegato "anche al criterio della maggiore complessità dell'organizzazione della sede da ricoprire";

4. quanto all'azione risarcitoria, in conseguenza dei comportamenti discriminatori, nessuna prova era stata fornita, come già sottolineato in primo grado, mentre era irrilevante che la patologia cardiaca fosse dipesa da causa di servizio: l'origine della stessa era l'attività lavorativa e non le indimostrate vessazioni di cui il medico affermava essere vittima;

5. contro la detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione A.A. con tre motivi, cui si è opposto l'Inail con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

 

Diritto


1. con il primo motivo formulato ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ. si deduce motivazione apparente e violazione dell'art. 111 Cost. e dell'art. 132 cod. proc. civ. per avere il giudice d'appello pretermesso "un punto fondamentale della vertenza", costituito dall'obbligo del giudice del merito "di esaminare la dedotta illegittimità del procedimento di verifica e del giudizio finale adottato dall'Inail nei confronti del dr. A.A. sotto tutti i profili evidenziati in ricorso e nel gravame";

2. con il secondo mezzo, anch'esso ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ. e rubricato come il precedente, si denuncia, con riferimento alla domanda subordinata volta al riconoscimento del trattamento economico per il dirigente di II livello, che non sarebbe stato valutato "il punto portato all'attenzione della Corte territoriale, costituito dal fatto che la dequalificazione del centro medico di Oristano non era stata accompagnata da alcuna modifica, sul piano dell'autonomia e dell'operatività in concreto del dirigente ivi preposto";

3. con il terzo, ed ultimo, motivo, sempre rubricato ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ. per motivazione apparente e violazione dell'art. 111 Cost. e dell'art. 132 cod. proc. civ., si lamenta, in relazione alla terza domanda afferente alle condotte discriminatorie e mobbizzanti, che il giudice d'appello, nel ritenere la domanda non sorretta da prova, non avrebbe valutato "una vasta documentazione medica (sub fascicolo 10 del fascicolo di primo grado)" che documentava i "sovraccarichi di lavoro" nonché la circostanza che "sulle circostanze di fatto era stata dedotta prova per testi";

4. i motivi, che incongruamente si richiamano ai principi generali in tema di dirigenza quantunque i professionisti medici non siano dirigenti in senso proprio, agli stessi applicandosi specifiche disposizioni contrattuali, possono essere qui esaminati congiuntamente per ragioni di stretta connessione logico-giuridica;

essi sono nel complesso inammissibili, sotto plurimi e concorrenti profili;

5. in primo luogo, in quanto trascurano di considerare che il n. 5 dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., che viene invocato a sostegno delle doglianze, per i giudizi di appello instaurati dopo il trentesimo giorno successivo all'entrata in vigore della legge 7 agosto 2012 n. 134, di conversione del d.l. 22 giugno 2012 n. 83, non può essere invocato, rispetto a un appello promosso nella specie dopo la data sopra indicata (art. 54, comma 2, del richiamato d.l. n. 83/2012), con ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d'appello che conferma la decisione di primo grado, qualora il fatto sia stato ricostruito nei medesimi termini dai giudici di primo e di secondo grado (art. 348 ter, ultimo comma, cod. proc. civ., in base al quale il vizio di cui all'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., non è deducibile in caso di impugnativa di pronuncia c.d. doppia conforme; v. Cass. n. 23021 del 2014). In questi casi il ricorrente in cassazione, per evitare l'inammissibilità del motivo di cui all'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell'appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (cfr. Cass. n. 29851 del 2022; Cass. n. 26774 del 2016, conf. Cass. n. 20944 del 2019), mentre nulla di ciò viene specificato nella censura;

6. in secondo luogo, giova evidenziare che l'interpretazione di questa Corte (Cass. n. 27415 del 2018) ha chiarito come l'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (riformulato dall'art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134) abbia introdotto nell'ordinamento un vizio specifico denunciabile per Cassazione, relativo all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Pertanto, l'omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice (che, nel caso di specie, ha analiticamente analizzato le modalità di svolgimento del rapporto di lavoro come evidenziate dal lavoratore), ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U. n. 8053 del 2014); si è poi, a tal proposito, ulteriormente precisato che, secondo la lettura data dalle Sezioni Unite nelle sentenze n. 8053 e n. 8054 del 2014, la riconducibilità all'art. 360 n. 5 cod. proc. civ. del cattivo esercizio del prudente apprezzamento della prova ai sensi dell'art. 116 (cioè di quella non soggetta a regola di valutazione imposta dal legislatore: c.d. prova legale), deve escludersi, atteso che l'art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5, impone alla parte ricorrente di indicare, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell'art. 366 cod. proc. civ., comma 1, n. 6, e art. 369 cod. proc. civ., comma 2, n. 4, il "fatto storico", il cui esame sia stato omesso, il "dato", testuale o extra-testuale, da cui esso risulti esistente, il "come" e il "quando" tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua "decisività", fermo restando che l'omesso esame di elementi istruttori non integra, come si è detto, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie; in definitiva, non costituiscono 'fatti', il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360, n. 5, cod. proc. civ.: le argomentazioni o deduzioni difensive (Cass. 14 giugno 2017, n. 14802; Cass. 8 ottobre 2014, n. 21152), gli elementi istruttori, una moltitudine di fatti e circostanze, o il "vario insieme dei materiali di causa" (Cass., 21 ottobre 2015, n. 21439);

7. inoltre, la riformulazione dell'art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 preleggi, come riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione che si esaurisce, ai sensi dell'art. 132 n. 4 cod. proc. civ., nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione"; ne segue che il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito, non rientrando né nel paradigma del n. 5, né in quello del n. 4 (per il tramite della deduzione della violazione dell'art. 132 cod. proc. civ., n. 4, nei termini ora indicati), non trova di per sé alcun diretto referente normativo nel catalogo dei vizi denunciabili con il ricorso per cassazione;

8. nella fattispecie, il ricorrente, nei suoi tre distinti motivi di censura, ha criticato in radice l'apprezzamento svolto dalla sentenza impugnata, ma così facendo non ha indicato alcun "fatto", dedotto e non adeguatamente valutato nella sentenza impugnata, idoneo a giustificare una decisione diversa da quella assunta, limitandosi a denunciare in blocco la valutazione compiuta dal giudice e a proporne una diversa, per cui i motivi sono, per tali versi, inammissibili;

9. conclusivamente, il ricorso va dichiarato nel suo complesso inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento, ex art. 91 cod. proc. civ., delle spese di legittimità.
 


P.Q.M.

 

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in 5.000,00 euro per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio dell'11 gennaio 2024.

Depositata in Cancelleria il 31 gennaio 2024.