Cassazione Civile, Sez. Lav., 21 febbraio 2024, n. 4687 - Mortale caduta dall'alto del lavoratore. Responsabilità civile della committente per culpa in eligendo nella scelta dell’impresa appaltatrice


 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO CIVILE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GARRI Fabrizia - Presidente -

Dott. PAGETTA Antonella - Consigliere -

Dott. PANARIELLO Francescopaolo - Consigliere -

Dott. MICHELINI Gualtiero - Rel. Consigliere -

Dott. BOGHETICH Elena - Consigliere -

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso 2986 - 2020 proposto da:

A.A., domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato MARIO REFFO;

- ricorrente -

contro

B.B., C.C., in qualità di eredi di D.D. elettivamente domiciliate in ROMA, CIRCONVALLAZIONE GIANICOLENSE 168, presso lo studio dell’avvocato ROSSELLA DE ANGELIS, rappresentate e difese dagli avvocati GIULIANA CIANNELLA, PAOLO CIANNELLA, BARBARA CIANNELLA;

- controricorrenti -

nonché contro

E.E., G.G. Sas di F.F. & C., F.F.;

- intimati -

avverso la sentenza n. 3437/2019 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 20/06/2019 R.G.N. 5028/2014; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/12/2023 dal Consigliere Dott. GUALTIERO MICHELINI.

 

Fatto


la Corte d’Appello di Napoli, pronunciando sull’appello proposto da B.B. e C.C. (madre e sorella di D.D., deceduto in data 24.2.1999 mentre lavorava in un cantiere edile in Casoria alle dipendenze della ditta E.E.), in parziale riforma della sentenza del Tribunale, dichiarava la responsabilità di A.A. nella produzione dell’evento dannoso verificatosi il 24.2.1999, concorrente con la responsabilità di F.F. e E.E. già dichiarata con sentenza penale del Tribunale di Napoli - sez. dist. di Casoria n. 81/2004 del 23.3.2004 (divenuta irrevocabile); condannava A.A. al pagamento in favore di B.B. (madre del defunto lavoratore) della somma di Euro 202.668 e della somma di Euro 30.000 in favore di C.C. (sorella), oltre interessi legali calcolati come in motivazione, nonché al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio in favore delle appellanti; confermava nel resto l’impugnata sentenza; dava atto del passaggio in giudicato della sentenza appellata nei confronti degli altri fratelli e sorelle del lavoratore defunto per mancata proposizione dell’appello;

2. il giudice di primo grado (adito con atto di citazione notificato il 14.1.2010) aveva ritenuto che non fosse ravvisabile la responsabilità di A.A. quale committente dei lavori edili sull’immobile di sua proprietà dove era avvenuto l’incidente mortale, trattandosi di incidente dovuto a concause tutte ascrivibili all’appaltatore, e non essendo emersi elementi per affermare la culpa in eligendo della committente nell’affidamento dei lavori a tale impresa, in mancanza di indici rivelatori conoscibili al momento della conclusione del contratto;

3. la Corte territoriale, invece:

a) respingeva l’eccezione di prescrizione, applicando il disposto di cui all’art. 2947, comma 3, prima parte c.c., ossia il più lungo termine di prescrizione del reato, applicabile non solo all’azione civile esperibile contro la persona penalmente imputabile, ma anche all’azione civile contro coloro che sono tenuti al risarcimento a titolo di responsabilità indiretta o secondaria, anche se estranei al processo penale (nella specie reato di omicidio colposo in violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro con termine di prescrizione di anni 10);

b) dava atto che il procedimento penale a carico di E.E. quale datore di lavoro e F.F. quale sovrintendente dei lavori, si era concluso con la loro condanna alla pena di anni 1 e mesi 4 di reclusione, con sentenza divenuta irrevocabile, e al risarcimento dei danni in favore dei familiari del lavoratore defunto costituitisi parte civile, da liquidarsi in separato giudizio, con assegnazione di una provvisionale di Euro 50.000;

c) rilevava, inoltre, che la conversione del termine di prescrizione di cui all’art. 2953 c.c. opera anche in caso di condanna generica al risarcimento dei danni, e che, quindi, la prescrizione decennale decorreva dalla data di irrevocabilità della sentenza penale, operando anche nei confronti del condebitore in solido;

d) all’epoca dell’instaurazione del presente giudizio (14.1.2010) non era decorso il termine di prescrizione di 10 anni dal fatto reato (perché interrotto con lettera pervenuta a A.A. il 25.3.2008), né era decorso il termine per l’actio iudicati, decorrente dal passaggio in giudicato (15.5.2004) della sentenza penale di condanna generica al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile pronunciata nei confronti dei condebitori in solido;

e) nel merito, osservava che, dopo il processo penale, il giudizio civile instaurato dagli eredi del lavoratore defunto si era concluso con sentenza n. 70/2009 del Tribunale di Napoli - sez. dist. di Casoria, con la quale, in accoglimento per quanto di ragione della domanda di risarcimento danni, E.E. e F.F. erano stati condannati al pagamento in solido in favore degli eredi di D.D., della complessiva somma di Euro 559.617,79, pronuncia confermata dalla Corte d’Appello di Napoli, con sentenza n. 4924/2015 passata in giudicato;

f) la medesima Corte, sezione civile, con la sentenza qui impugnata, giudicava sussistente la corresponsabilità della committente, configurabile in caso di specifica violazione di regole di cautela nascenti dall’art. 2043 c.c., ovvero in caso di riferibilità dell’evento al committente stesso per culpa in eligendo, per essere stata affidata l’opera a un’impresa assolutamente inidonea, ovvero quando l’appaltatore sia stato un semplice esecutore degli ordini ed abbia agito quale nudus minister attuando le specifiche direttive del committente;

g) affermava, al riguardo, la possibile riferibilità del dovere di sicurezza, oltre che all’appaltatore datore di lavoro, anche al committente con possibili intrecci di responsabilità, considerando la specificità dei lavori da eseguire, i criteri seguiti dal committente per la scelta dell’appaltatore, l’ingerenza del committente nell’esecuzione dei lavori oggetto di appalto, la percepibilità agevole e immediata da parte del committente di eventuali situazioni di pericolo;

h) nel caso concreto, accertava che le cause della caduta del lavoratore, che ne determinava il decesso, dal secondo piano del fabbricato senza impalcature né protezioni, erano ascrivibili innanzitutto all’appaltatore e al capo-cantiere, senza tuttavia escludere la concorrente responsabilità della committente dei lavori, in primo luogo per l’omesso controllo dell’adozione delle misure generali di tutela della salute e della sicurezza sul luogo di lavoro, mancata adozione immediatamente percepibile, nonché per la scelta dell’impresa, che aveva accettato di eseguire lavori non autorizzati su costruzione totalmente abusiva, oggetto di precedenti sequestri, in violazione di legge, tutto ciò rappresentando espressione e indice rivelatore dell’attitudine dell’impresa appaltatrice a operare in aperta violazione di legge e a porre in essere condotte vietate e abusive;

i) dichiarava, dunque, la (cor)responsabilità di A.A. nella produzione dell’evento dannoso, concorrente con la responsabilità di F.F. e E.E., già dichiarata con sentenza penale irrevocabile;

j) esplicitava i criteri seguiti per la quantificazione dei danni, sulla base della precedente sentenza penale passata in giudicato n. 4924/2015 e della domanda;

4. avverso la predetta sentenza propone ricorso per cassazione A.A. con due motivi, illustrati da memoria; resistono le controparti con controricorso; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;

 

Diritto


1. con il primo motivo di ricorso per cassazione, la parte deduce violazione di norme di diritto (art. 360, n. 3, c.p.c.) e omessa motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio (art. 360, n. 5, c.p.c.), segnatamente violazione dell’art. 2947, comma 3, c.c. e degli artt. 1 e 42 c.p., prescrizione del diritto al risarcimento del danno, e omesso esame del fatto di reato al quale sarebbe da ricondurre la sua condotta; afferma che, in tema di prescrizione nel più lungo termine derivante da reato, l’applicazione dell’art. 2947, comma 3, c.c. al committente chiamato in corresponsabilità con l’appaltatore responsabile del fatto per omessa vigilanza presuppone la sussistenza di un titolo di responsabilità indiretta per un fatto costituente reato, non potendo quel termine automaticamente estendersi anche ad altro soggetto per il quale non vi è stato nessun accertamento degli estremi di un reato; si duole, altresì, di malgoverno dell’art. 2947 c.c., perché dalle sentenze penali e dalla sentenza di primo grado nessun fatto considerato dalla legge come reato e nessuna responsabilità solidale ex art. 2055 c.c. era stata ravvisata in capo alla ricorrente stessa; afferma, inoltre, che, in tema di prescrizione nel più lungo termine derivante da reato, l’applicazione dell’art. 2947, comma 3, c.c. al committente chiamato in corresponsabilità con l’appaltatore responsabile del fatto per omessa vigilanza presuppone la sussistenza di un titolo di responsabilità indiretta per un fatto costituente reato, non potendo quel termine automaticamente estendersi anche ad altro soggetto per il quale non vi è stato nessun accertamento degli estremi di un reato;

2. il motivo non è fondato;

3. in relazione al mancato coinvolgimento dell’odierna ricorrente nel processo penale a carico del datore di lavoro e del responsabile del cantiere per l’infortunio sul lavoro mortale di D.D., va preliminarmente rammentato che, in tema di responsabilità civile, nella verifica del nesso causale tra la condotta illecita ed il danno vanno applicati i principi posti dagli artt. 40 e 41 c.p., fermo restando il diverso regime probatorio tra il processo penale, ove vige la regola della prova “oltre il ragionevole dubbio”, e quello civile, in cui opera la regola della preponderanza dell’evidenza o “del più probabile che non”, con verifica secondo la cd. probabilità logica, nell’ambito degli elementi di conferma disponibili in relazione al caso concreto (cfr. Cass. n. 47/2017, n. 23197/2018, n. 18854/2021; cfr. anche Cass. n. 21255/2013, che specifica che, in tema di illecito civile, la ricostruzione del nesso di derivazione eziologica esistente tra la condotta del danneggiante e la conseguenza dannosa risarcibile implica la scomposizione del giudizio causale in due autonomi e consecutivi segmenti, il primo volto ad identificare - in applicazione del criterio del “più probabile che non” - il nesso di causalità materiale che lega la condotta all’evento di danno, il secondo essendo diretto, invece, ad accertare il nesso di causalità giuridica che lega tale evento alle conseguenze dannose risarcibili, accertamento, quest’ultimo, da compiersi in applicazione dell’art. 1223 c.c., norma che pone essa stessa una regola eziologica);

4. si deve, perciò, ribadire l’autonomia del giudizio penale da quello civile, nel senso della non integrale sovrapposizione dei criteri di imputazione della responsabilità penale e della responsabilità civile, e quindi l’assenza di automatismo tra mancata condanna penale e ravvisata responsabilità civile per il medesimo fatto di reato;

5. in questo caso, in particolare, la responsabilità civile dell’odierna ricorrente per condotta illecita in nesso di causa con l’evento dannoso (infortunio sul lavoro mortale) è stata delineata quale responsabilità concorrente nella serie causale deterministica e solidale nelle conseguenze risarcitorie in base al criterio della cd. culpa in eligendo nella scelta, quale committente di lavori edili, dell’impresa appaltatrice, la quale aveva accettato di eseguire lavori non autorizzati su costruzione totalmente abusiva, in precedenza sequestrata, ossia operando, su incarico della stessa committente, in aperta violazione di legge ponendo in essere condotte vietate e abusive (e senza predisporre misure di sicurezza);

6. questa Corte ha già avuto occasione di affermare che, in tema di appalto, una responsabilità del committente nei riguardi dei terzi risulta configurabile quando si versi nell’ipotesi di culpa in eligendo, che ricorre qualora il compimento dell’opera o del servizio siano stati affidati ad un’impresa appaltatrice priva della capacità e dei mezzi tecnici indispensabili per eseguire la prestazione oggetto del contratto senza che si determinino situazioni di pericolo per i terzi, con principio valevole anche in tema di subappalto (cfr. Cass. n. 11757/2011, n. 13131/2006, n. 9065/2006);

7. applicando il suddetto criterio di attribuzione soggettiva della responsabilità da illecito civile, la Corte di merito è pervenuta, autonomamente dal procedimento penale nel quale la posizione della committente non era stata esaminata, ma senza automatismi e senza contraddizione con le risultanze dello stesso, non risultando alcuna esclusione della concorrente responsabilità azionata in sede civile, con apprezzamento del materiale probatorio complessivo incensurabile in questa sede di legittimità perché congruo e logicamente motivato, a ritenere integrata e provata la sequenza comportamento illecito - nesso di causa con l’infortunio - obbligo di risarcimento in via solidale dei danneggiati (anche) in capo all’odierna ricorrente;

8. la Corte di merito ha seguito (richiamando espressamente pertinenti precedenti di legittimità) i consolidati principi in materia di prescrizione civile in caso di fatto dannoso costituente reato, in base ai quali l’art. 2947 c.c., quando fa coincidere il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno con il termine prescrizionale stabilito dalla legge penale, si riferisce, senza alcuna discriminazione, a tutti i possibili soggetti della pretesa risarcitoria e si applica, quindi, non solo all’azione civile esperibile contro la persona penalmente imputabile, ma anche all’azione civile contro coloro che sono tenuti al risarcimento a titolo di responsabilità indiretta o secondaria, ancorché siano rimasti estranei al processo penale a carico di colui al quale il reato è stato attribuito (in termini Cass. n. 20437/2008; cfr. anche Cass. S.U. n. 27337/2008, S.U. n. 1641/2017); invero, qualora l’illecito civile sia considerato dalla legge come reato, ma il giudizio penale non sia stato promosso, anche per difetto di querela, all’azione risarcitoria, si applica l’eventuale più lunga prescrizione prevista per il reato (art. 2947, terzo comma, prima parte, c.c.), purché il giudice, in sede civile, accerti incidenter tantum, e con gli strumenti probatori e i criteri propri del procedimento civile, la sussistenza di una fattispecie che integri gli estremi di un fatto-reato in tutti i suoi elementi costitutivi, soggettivi e oggettivi; detto termine decorre dalla data del fatto, da intendersi riferito al momento in cui il soggetto danneggiato abbia avuto sufficiente conoscenza della rapportabilità causale del danno lamentato (Cass. n. 28404/2013, n. 2350/2018);

9. con il secondo motivo di ricorso si deduce (art. 360. n. 3 e n. 5. c.p.c.) violazione dell’art. 2053 c.c. e omessa D motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio; parte ricorrente afferma che gli indici rivelatori della sua ritenuta corresponsabilità sarebbero stati individuati fantasiosamente dalla Corte territoriale, senza prove, destituiti di ogni fondamento, del tutto inammissibili, e frutto di gratuite illazioni;

10. il motivo non è meritevole di accoglimento;

11. osserva il Collegio, in primo luogo, che il riferimento all’art. 2053 c.c. contenuto nella sentenza impugnata (p. 11) è frutto di un evidente refuso, poiché inserito in un passaggio motivazionale riferito alla conversione del termine di prescrizione per effetto del giudicato di cui all’art. 2953 c.c. (più volte citato in motivazione e nei precedenti richiamati dalla Corte di merito nel contesto delle correlative argomentazioni);

12. peraltro, il profilo relativo alla cd. actio iudicati, come sviluppato per completezza nella sentenza gravata quale ulteriore argomento motivazionale, risulta, nel caso in esame, non necessario per ritenere non decorso il termine di prescrizione per l’azione degli eredi del danneggiato nei confronti della corresponsabile della causazione dell’evento dannoso, atteso che tale effetto risulta già accertato mediante l’applicazione del disposto di cui all’art. 2947, comma 3, c.c. e la verifica (non oggetto di censura) dell’interruzione della prescrizione decennale nel 2008;

13. deve, quindi, riaffermarsi che, in tema di ricorso per cassazione, qualora la motivazione della pronuncia impugnata sia basata su una pluralità di ragioni, convergenti o alternative, autonome l’una dall’altra, e ciascuna da sola idonea a supportare il relativo dictum, la resistenza di una di esse all’impugnazione rende del tutto ultronea la verifica di ogni ulteriore censura, perché l’eventuale accoglimento di tutte o di una di esse mai condurrebbe alla cassazione della pronuncia suddetta (Cass. n. 3633/2017); applicando i suddetti principi al motivo in esame, si deve pervenire alla conclusione che la (prospettata ed eventuale) violazione dell’art. 2953 c.c. non deve essere qui esaminata funditus, perché, in sostanza, assorbita dal rigetto delle censure di cui al motivo precedente attinenti alla denunciata violazione dell’art. 2947 c.c.;

quanto ai profili concernenti gli indici rivelatori della corresponsabilità, ossia responsabilità civile solidale, dell’odierna ricorrente a fini risarcitori delle odierne controricorrenti, si richiama quanto espresso nei precedenti Par. 5 - 7 in ordine alla responsabilità civile della committente per culpa in eligendo nella scelta dell’impresa appaltatrice per eseguire lavori non autorizzati su costruzione abusiva; si tratta di circostanze di fatto accertate nel merito e rimane inammissibile in questa sede, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, la rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (cfr. Cass n. 29404/2017, S.U. n. 34476/2019, n. 15568/2020, n. 8758/2021);

15. la regolamentazione delle spese del presente giudizio segue la regola della soccombenza;

16. ai sensi dell’art. 13, comma 1 - quater del D.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello prescritto per il ricorso, ove dovuto a norma del comma 1 - bis, dello stesso art. 13;

 

P.Q.M.


La Corte rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 6.000 per compensi, Euro 200 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma il 12 dicembre 2023.

Deposita in Cancelleria il 21 febbraio 2024.