Cassazione Civile, Sez. Lav., 01 marzo 2024, n. 5485 - L'illegittimità o insussistenza di un addebito disciplinare comporta che il datore di lavoro non possa avvalersi della relativa contestazione ad alcun effetto



Presidente Esposito – Relatore Michelini

Rilevato che

1. la Corte d'Appello di L'Aquila respingeva il reclamo proposto da C. M. avverso la sentenza del Tribunale di Lanciano di rigetto dell'impugnativa del licenziamento per giusta causa irrogatogli con nota del 29.3.2019 da (OMISSIS), di cui era dipendente dal 1998 con mansioni di addetto attività semplici;

2. la Corte distrettuale, per quanto qui rileva, osservava in particolare che:

- il licenziamento era stato intimato sulla base di un duplice ordine di contestazioni disciplinari: a) per aver riferito a giornalista del quotidiano “Il Centro” una serie di circostanze inveritiere trasfuse nell'articolo pubblicato in data 9.2.2019 dal titolo: “Io, pagato dalla (OMISSIS) per non fare niente”, suscettibili di danneggiare l'immagine della società e di gettare discredito sulle modalità di svolgimento dell'attività presso lo stabilimento di Atessa (contestazione dell'1.3.2019); b) per aver contattato il collega N.D.P. e avergli chiesto insistentemente di testimoniare a suo favore in merito agli episodi riportati in detto articolo (contestazione del 15.3.2019, con la quale l'azienda disponeva anche la sospensione dei termini per l'irrogazione della sanzione disciplinare in relazione al primo addebito contestato);

- ricostruiva la sequenza del procedimento disciplinare secondo la seguente scansione: 1.3.2019 - prima contestazione; 9.3.2019 - giustificazioni del lavoratore con riguardo alla prima contestazione; 15.3.2019 - seconda contestazione; 23.3.2019 giustificazioni del lavoratore con riguardo alla seconda contestazione; 29.3.2019 – lettera di licenziamento;

- escludeva nella specie l'esercizio di legittimo esercizio da parte del lavoratore del diritto di critica espresso tramite un articolo di stampa;

- riteneva infondato il secondo addebito, valutando la richiesta ad una persona di testimoniare a proprio a favore su un fatto specifico (non di testimoniare il falso) esercizio del diritto di difesa;

- confermava, con motivazione parzialmente diversa, la statuizione di primo grado di rigetto dell'impugnativa del licenziamento, ritenendo la sanzione espulsiva adeguata al pregiudizio aziendale derivato dall'intervista di cui al primo addebito, perché correlata a esposizione dei fatti drammatizzata e non nei limiti della continenza formale;

3. per la cassazione della predetta sentenza ricorre C. M. con unico articolato motivo; resiste parte datoriale (ora (OMISSIS) s.p.a.) con controricorso; entrambe le parti hanno comunicato memorie; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell'ordinanza;

Considerato che

1. parte ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione del quarto comma dell'art. 33 del Contratto collettivo specifico di lavoro (CCSL) applicato al rapporto e degli artt. 1372 e 2077 c.c.; argomenta che, poiché tale norma contrattuale collettiva stabilisce che, se il provvedimento non viene comminato entro i sei giorni successivi alla ricezione delle giustificazioni del lavoratore “queste si riterranno accolte”, non è prevista la possibilità per l'azienda di prorogare unilateralmente il termine di cui sopra, neanche a fini integrativi, come erroneamente ritenuto legittimo dai giudici di merito; sostiene altresì che, siccome la Corte d'Appello ha accertato l'infondatezza della seconda contestazione, l'illecito commesso con l'articolo pubblicato su “Il Centro” costituisce l'unico fondamento del licenziamento dell'esponente, tuttavia punito dopo che era scaduto il termine per l'irrogazione della sanzione disciplinare stabilito dalla contrattazione collettiva, dovendo ritenersi le giustificazioni accolte;

2. il motivo è fondato;

3. questa Corte ha chiarito (Cass. n. 21569/2018) che, in tema di licenziamento disciplinare, la violazione del termine di cui all'art. 21, n. 2, comma 3, del c.c.n.l. gas e acqua del 2011, secondo cui, se il provvedimento disciplinare non viene emanato nei dieci giorni lavorativi successivi al quinto giorno dal ricevimento della contestazione, le giustificazioni si riterranno accolte, non integra una mera violazione di natura procedimentale ma comporta la totale mancanza della giusta causa per effetto dell'ammissione del datore di lavoro dell'insussistenza della condotta illecita sanzionata; ne deriva che, in tale ipotesi, la tutela applicabile è quella di cui all'art. 18, comma 4, della legge n. 300 del 1970 (e non quella di cui al comma 6 della predetta norma);

4. il Collegio intende dare continuità all'orientamento espresso nel precedente in esame, le cui motivazioni si riprendono infra, stante la sovrapponibilità, ai fini della presente controversia, della previsione contrattuale collettiva ivi esaminata a quella di cui al presente giudizio;

5. la sentenza gravata risulta infatti contraddittoria nella misura in cui nega rilievo al secondo addebito disciplinare, ma vi ricollega l'effetto integrativo della prima contestazione con proroga o sospensione del termine per l'irrogazione della sanzione, in contrasto con il principio di affidamento e con l'espressa previsione contrattuale collettiva;

6. infatti, l'indicazione di un termine per il compimento di un'attività giuridicamente rilevante e la previsione di una determinata conseguenza per l'ipotesi di mancato compimento entro tale termine comportano necessariamente l'obbligo di procedere all'indicata specifica attività entro il termine stabilito e la fictio dell'intervenuta accettazione delle giustificazioni nel caso di inottemperanza al suddetto obbligo; si tratta di un arricchimento delle garanzie di difesa dell'incolpato da parte della contrattazione collettiva, realizzato sia con la previsione di un termine finale, sia con l'attribuzione di un determinato significato al comportamento del datore di lavoro nei confronti del lavoratore avvalsosi della facoltà e dei mezzi di difesa apprestatigli dall'ordinamento; pertanto, la norma contrattuale, nel momento in cui ricollega al ritardo la conseguenza di un'accettazione delle giustificazioni, ancorché inserita in un contesto di norme procedurali, ha rango di norma sostanziale che regola il corretto esercizio del potere di recesso datoriale, e prefigura come accolte le giustificazioni, sulla scorta della previsione pattizia e dei principi di buona fede e correttezza;

7. il licenziamento in esame, intimato nella vigenza della nuova disciplina introdotta dalla legge n. 92/2012, doveva perciò considerarsi non semplicemente inefficace per il mancato rispetto di un termine procedurale (al pari dell'intempestività della contestazione oggetto della pronuncia di questa Corte, a sezioni unite, n. 30985/2017), bensì illegittimo per l'insussistenza del fatto contestato, per avere il datore di lavoro accolto (per effetto giuridico stabilito dalla regolamentazione contrattuale collettiva) le giustificazioni del dipendente e dunque per la totale mancanza di un elemento essenziale della giusta causa, con applicabilità della tutela di cui all'art. 18, co. 4, della legge n. 300/1970;

occorre, pertanto, affermare il principio di diritto che l'accertamento giudiziale dell'illegittimità o insussistenza di addebito disciplinare comporta che il datore di lavoro non possa avvalersi della relativa contestazione ad alcun effetto; in particolare, non potrà avvalersene per prorogare o sospendere unilateralmente i termini fissati dalla contrattazione collettiva (nella specie, art. 33 CCSL del 7 luglio 2015 per le aziende appartenenti ai gruppi FCA e CNH e per i lavoratori da esse dipendenti) per l'irrogazione di sanzioni riferite ad altra contestazione, nell'ambito di procedura disciplinare in precedenza avviata e per la quale il lavoratore abbia fornito le proprie giustificazioni, poiché dette giustificazioni si intendono accolte se non seguite da provvedimento disciplinare comminato entro un termine prefissato;

9. da tanto consegue che il ricorso deve essere accolto;

la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte d'Appello di L'Aquila, in diversa composizione, per decidere la causa attenendosi ai principi sopra affermati e per provvedere anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità;

 

P.Q.M.



La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di Appello di L'Aquila.