Cassazione Civile, Sez. Lav., 04 marzo 2024, n. 5743 -  Licenziamento per insubordinazione. Lavoro straordinario e obbligo di tenuta del Libro Unico del Lavoro



 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia - Presidente

Dott. PATTI ADRIANO PIERGIOVANNI - Consigliere

Dott. PONTERIO Carla - Consigliere

Dott. PANARIELLO Francescopaolo - Consigliere

Dott. BOGHETICH Elena - Consigliere Rel.

ha pronunciato la seguente

SENTENZA



sul ricorso 27165-2020 proposto da:

A.A., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati RAFFAELLA MANCUSO, ANGELO GIORDANO;

- ricorrente -

contro

CONVERTINI Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA OVIDIO 20, presso lo studio dell'avvocato FABIO ACCARDO, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato MAURO ARDITO;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 151/2020 della CORTE D'APPELLO di MILANO, depositata il 18/02/2020 R.G.N. 535/2019;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/12/2023 dal Consigliere Dott. ELENA BOGHETICH;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CARMELO CELENTANO che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito l'Avvocato LOREDANA TULINO per delega Avvocati RAFFAELLA MANCUSO e ANGELO GIORDANO.

 

Fatto


1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d'appello di Milano ha confermato la pronuncia del Tribunale della medesima sede che ha accertato la legittimità del licenziamento, impartito in data 2.5.2017 dalla società C. Srl a A.A., per insubordinazione, e, in riforma della sentenza di primo grado, ha respinto la domanda di pagamento di differenze retributive, non ritenendo provato lo svolgimento di lavoro straordinario, in qualità di autista, per il periodo novembre 2012-aprile 2017.

2. La Corte territoriale, in ordine allo svolgimento di lavoro straordinario, ha rilevato che il lavoratore non aveva assolto al rigoroso onere di provare l'adibizione ad attività oltre l'orario ordinario (non essendo sufficiente il materiale probatorio, di fonte documentale e testimoniale, acquisito, considerato che già i cedolini paga attestavano il pagamento di numerose ore di lavoro straordinario e, altresì, che i dischi cronotachigrafi prodotti dal lavoratore attenevano solamente a 4 mesi ove risultava, nella maggior parte, rispettato l'orario di 8 ore al giorno, e non essendo tenuta, l'impresa, a conservare i suddetti dischi oltre il decorso del termine di legge); in ordine al recesso, la Corte ha ritenuto sufficientemente specifica la lettera di contestazione dell'addebito (tale da aver consentito un'adeguata giustificazione da parte del lavoratore) nonché fondati e gravi i comportamenti inadempienti e offensivi adottati durante il corso organizzato in azienda il 20.4.2017 in materia di sicurezza sul lavoro (tali da integrare la "grave insubordinazione verso superiori" di cui all'art. 69 punto 5 CCNL nonché all'art. 2119 c.c.), che non potevano essere sussunti nella previsione del CCNL di "inosservanza di una misura di sicurezza" (art. 69, n. 3).

3. Avverso tale sentenza il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, illustrati da memoria. La società ha resistito con controricorso.

4. La Procura generale ha chiesto il rigetto del ricorso.

 

Diritto

1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta "nullità dell'ordinanza per violazione ex art. 360 n.3 c.p.c. in relazione agli artt. 432, 116 e 210 nonché all'art. 2697" avendo, la Corte territoriale, trascurato di attribuire rilevanza alla mancata ottemperanza, nel corso del giudizio di primo grado, all'ordine di esibizione dei dischi cronotachigrafi, documentazione che deve essere conservata per 5 anni al pari del Libro Unico del Lavoro-LUL ove quest'ultimo risulti essere non regolarmente compilato; e, nel caso di specie, deve ritenersi pacifica la tenuta irregolare del LUL, nulla avendo dedotto, in contrario, la società. Pertanto, la mancata ottemperanza all'ordine del giudice determina argomenti ex art. 115 e 116 c.p.c. e l'argomentazione della Corte territoriale è illogica ed errata.

2. Con il secondo motivo è dedotta "nullità dell'ordinanza per violazione ex art. 360 n. 3 c.p.c. in relazione all'art. 2697 c.c. e obbligo di motivazione ex art. 111 cost. comma 4" avendo, la Corte territoriale, effettuato una lacunosa e superficiale lettura delle risultanze probatorie, come emerge dalle deposizioni dei testi B.B. e C.C. e dalla documentazione (dischi cronotachigrafi prodotti dal lavoratore).

3. Con il terzo motivo è dedotta "nullità della sentenza per violazione dell'art. 360 n. 3 c.p.c. erronea e falsa applicazione dell'art. 2119 c.c. e dell'art. 69 del CCNL e per omessa valutazione di fatti decisivi ex art. 360 n.5" in quanto, alla luce della ricostruzione dei fatti fornita dai testimoni, non sono emerse condotte violente o aggressive del lavoratore ovvero inadempienti rispetto a misure di sicurezza, bensì critiche legittime riguardanti il corso a cui stava partecipando, e l'uso del termine "falso" riferito al corso e ai fogli ivi distribuiti (seppur non appropriato) faceva riferimento ad altre occasioni in cui era stato indicato come presente a corsi precedentemente organizzati.

Dall'escussione testimoniale è emersa la circostanza che il ricorrente ha proferito la frase contestata solo dopo che il sig. D.D. lo aveva invitato in modo offensivo e volgare, alla presenza di altri lavoratori, ad andare via, elementi che non sono stati considerati dai giudici di primo e secondo grado.

4. Il ricorso non merita accoglimento.

5. Tutte le censure formulate come violazione o falsa applicazione di legge o come omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio - vizio il cui esame, peraltro, risulta impedito dalla presenza di una " doppia conforme " sul capo relativo all'impugnazione del licenziamento (art. 370, quarto comma, c.p.c. come inserito dal D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, previsione che corrisponde esattamente al tenore del precedente art. 348 ter, ultimo comma, cod.proc.civ.) - o errore di percezione, mirano, in realtà, alla rivalutazione dei fatti e del compendio probatorio operata dal giudice di merito non consentita in sede di legittimità.

6. Come insegna questa Corte, il ricorso per cassazione non rappresenta uno strumento per accedere ad un terzo grado di giudizio nel quale far valere la supposta ingiustizia della sentenza impugnata, spettando esclusivamente al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l'attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr. Cass. n. 27686 del 2018; Cass., Sez. U, n. 7931 del 2013; Cass. n. 14233 del 2015; Cass. n. 26860 del 2014).

7. Questa Corte ha, inoltre, da tempo consolidato il principio secondo cui una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., non può avere ad oggetto l'erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo il fatto che questi abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti o disposte d'ufficio al di fuori dei limiti legali, ovvero abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, o abbia considerato come facenti piena prova recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (cfr., Cass. S.U. n. 20867 del 2020; nello stesso senso, fra le più recenti, Cass. n. 6774 del 2022, Cass. nn. 1229 del 2019, 4699 e 26769 del 2018, 27000 del 2016), restando conseguentemente escluso che il vizio possa concretarsi nella censura di apprezzamenti di fatto difformi da quelli propugnati da una delle parti (Cass. n. 18665 del 2017) o, in più in generale, nella denuncia di un cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali, non essendo tale vizio inquadrabile nè nel paradigma dell'art. 360 c.p.c., n. 5, nè in quello del precedente n. 4, che, per il tramite dell'art. 132 c.p.c., n. 4, attribuisce rilievo unicamente all'anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante (Cass. n. 11892 del 2016).

8. La violazione dell'art. 2697 c.c. è censurabile per cassazione ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., soltanto nell'ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l'onere della prova ad una parte diversa da quella che ne fosse onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. n. 15107 del 2013; Cass. n. 13395 del 2018; Cass. n. 18092 del 2020), mentre nella sentenza impugnata non è in alcun modo ravvisabile un sovvertimento dell'onere probatorio, interamente gravante sul lavoratore che intenda provare lo svolgimento di attività oltre l'orario di lavoro ordinario (orientamento assolutamente consolidato: cfr. da ultimo Cass. nn. 4076 e 16150 del 2018).

9. La doglianza concernente la tenuta irregolare del LUL (ed il correlato obbligo della società di conservare i dischi cronotachigrafi per un quinquennio) appare nuova e, perciò, inammissibile, non essendo stata la questione specificamente trattata nella decisione impugnata ne' avendo indicato parte ricorrente i tempi e i modi della sua tempestiva introduzione nel giudizio di primo grado e, quindi, della sua devoluzione al Giudice del gravame (cfr. Cass. n. 20694 del 2018).

10. Non è, poi, censurabile in sede di legittimità, neanche per difetto di motivazione, la mancata valorizzazione dell'inosservanza dell'ordine ai fini della decisione di merito in quanto l'inosservanza dell'ordine di esibizione di documenti integra un comportamento dal quale il giudice può, nell'esercizio di poteri discrezionali, desumere argomenti di prova a norma dell'art. 116, comma secondo, cod. proc. civ.

11. Va, inoltre, rammentato che, a seguito della modifica del n. 5 dell'art. 360 cod. proc. civ. (disposta all'art. 54, comma 1, lett. b) d.l. n. 83 del 2012, convertito in legge n. 134 del 2012, applicabile, in base al comma 3 della medesima norma, alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione, e dunque dall'11/9/2012), è deducibile solo il vizio di omesso esame di un fatto decisivo che sia stato oggetto di discussione tra le parti; il controllo della motivazione è, così, ora confinato sub specie nullitatis, in relazione al n. 4 dell'art. 360 cod. proc. civ. il quale, a sua volta, ricorre solo nel caso di una sostanziale carenza del requisito di cui all'art. 132, n. 4, cod. proc. civ., che ricorre nel caso di 'mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico', di 'motivazione apparente', di 'contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili' e di 'motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile', esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di 'sufficienza' della motivazione (cfr. Cass., Sez. Un., n. 8053/14), circostanze che non ricorrono nel caso di specie.

12. Infine, con specifico riguardo ai profili di inammissibilità del terzo motivo, il ricorrente lamenta la erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta, e dunque, in realtà, non denuncia un'erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalla norma di legge (ossia un problema interpretativo, vizio riconducibile all'art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.) bensì un vizio-motivo, da valutare alla stregua del novellato art. 360, primo comma, n. 5 cod.proc.civ., che - nella versione ratione temporis applicabile - lo circoscrive all'omesso esame di un fatto storico decisivo (cfr. sul punto Cass. Sez. U. n. 19881 del 2014), riducendo al "minimo costituzionale" il sindacato di legittimità sulla motivazione (Cass. Sez. U. n. 8053 del 2014), e che, con riguardo alla domanda di annullamento del licenziamento, è precluso per la ricorrenza di una pronuncia "doppia conforme".

12.1. Invero, come questa Corte ha affermato, l'attività di integrazione del precetto normativo di cui all'art. 2119 c.c. compiuta dal giudice di merito - mediante la valorizzazione o di principi che la stessa disposizione richiama o di fattori esterni relativi alla coscienza generale ovvero di criteri desumibili dall'ordinamento generale, a cominciare dai principi costituzionali ma anche dalla disciplina particolare, collettiva appunto, in cui si colloca la fattispecie - "è sindacabile in Cassazione a condizione, però, che la contestazione del giudizio valutativo operato in sede di merito non si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva, ma contenga, invece, una specifica denuncia di non coerenza del predetto giudizio rispetto agli standards, conformi ai valori dell'ordinamento, esistenti nella realtà sociale (cfr. Cass. n. 13534 del 2019; nello stesso senso, Cass. n. 985 del 2017; Cass. n. 5095 del 2011; Cass. n. 9266 del 2005).

12.2. L'accertamento della concreta ricorrenza, nella fattispecie dedotta in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e sue specificazioni e della loro attitudine a costituire giusta causa di licenziamento opera sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito.

12.3. Solamente l'integrazione a livello generale e astratto della clausola generale si colloca sul piano normativo e consente una censura per violazione di legge; invece, l'applicazione in concreto del più specifico canone integrativo così ricostruito, rientra nella valutazione di fatto devoluta al giudice del merito, "ossia il fattuale riconoscimento della riconducibilità del caso concreto nella fattispecie generale e astratta", spettando inevitabilmente al giudice di merito le connotazioni valutative dei fatti accertati nella loro materialità, nella misura necessaria ai fini della loro riconducibilità - in termini positivi o negativi - all'ipotesi normativa" (in termini Cass. n. 18247 del 2009 e Cass. n. 7838 del 2005).

12.4. La parte ricorrente, per ottenere la cassazione della sentenza impugnata sotto il profilo del vizio di sussunzione, non può limitarsi ad invocare una diversa combinazione dei parametri ovvero un diverso peso specifico di ciascuno di essi (perché in tal modo trasmoderebbe nella revisione dell'accertamento di fatto, di competenza del giudice di merito), ma deve piuttosto denunciare che la combinazione e il peso dei dati fattuali (gravità dei fatti addebitati, portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, circostanze in cui sono state commessi, intensità dell'elemento intenzionale, etc.), così come definito dal giudice del merito, non consente comunque la riconduzione alla nozione legale di giusta causa di licenziamento (cfr. Cass. n. 18715 del 2016); il giudice di legittimità, invero, non può, "sostituirsi al giudice del merito nell'attività di riempimento dei concetti giuridici indeterminati ... se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza"; "il sindacato di legittimità sulla ragionevolezza è, quindi, non relativo alla motivazione del fatto storico, ma alla sussunzione dell'ipotesi specifica nella norma generale, quale sua concretizzazione" (così Cass. SS.UU. n. 23287 del 2010).

13. In conclusione, il ricorso va rigettato e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall'art. 91 cod.proc.civ.

14. Sussistono le condizioni di cui all'art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 115 del 2002;

 

P.Q.M.


La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi e in euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre 15% per spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

Così deciso nella camera di consiglio del 14 dicembre 2023.

Depositata in Cancelleria il 4 marzo 2024.