Cassazione Penale, Sez. 4, 16 aprile 2024, n. 15619 - Incidente stradale mortale contro una barriera di calcestruzzo armato. Ruoli e responsabilità del CSE, del Direttore tecnico di cantiere e dell'Ispettore tecnico di cantiere



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta da:

Dott. DI SALVO Emanuele - Presidente

Dott. CALAFIORE Daniela - Relatore

Dott. BELLINI Ugo - Consigliere

Dott. PEZZELLA Vincenzo - Consigliere

Dott. CIRESE Marina - Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

 


sui ricorsi proposti da:

A.A. nato a N il (Omissis)

B.B. nato a R il (Omissis)

C.C. nato a N il (Omissis)

avverso la sentenza del 17/03/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere DANIELA CALAFIORE;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore LIDIA GIORGIO che ha concluso per l'inammissibilità di tutti i ricorsi.

È presente l'avvocato POSTIGLIONE GUIDO del foro di NAPOLI in difesa delle parti civili D.D., E.E. e F.F.. Il difensore deposita conclusioni scritte di cui chiede l'accoglimento.

E' presente l'avvocato LAI SIMONA del foro di Napoli per delega orale dell'avvocato PECORARO GENNARO del foro di NAPOLI nell'interesse della parte civile H.H.. Il difensore deposita conclusioni e nota spese di cui chiede l'accoglimento. Sono presenti l'avvocato FURGIUELE ALFONSO e SANSEVERINO MICHELE entrambi del foro di NAPOLI in difesa di I.I. I difensori illustrano i motivi di ricorso e ne chiedono accoglimento.

Sono presenti l'avvocato FURGIUELE ALFONSO e SANSEVERINO MICHELE entrambi del foro di NAPOLI in difesa di I.I.. I difensori illustrano i motivi di ricorso e ne chiedono l'accoglimento concludendo per l'annullamento con rinvio del provvedimento impugnato.

E' altresì presente l'avvocato FICO DAVIDE del foro di NAPOLI in difesa di L.L.. Il difensore illustra i motivi di ricorso insistendo per l'accoglimento.

E' infine presente l'avvocato COTZA FABIENNE del foro di Roma in sostituzione dell'avvocato SILVESTRO GIOACCHINO ALESSANDRO in difesa di C.C.. Il difensore deposita nomina ex art. 102 c.p.p., illustra i motivi di ricorso e ne chiede l'accoglimento.
 

Fatto


1. La Corte di appello di Napoli, con la sentenza in epigrafe, in parziale riforma della pronuncia del Tribunale di Nola del 21 aprile 2021, concesse a J.J. ed a K.K. le circostanze attenuanti generiche, ritenute equivalenti alla contestata aggravante, ha rideterminato la pena loro inflitta in quella di anni due di reclusione, subordinando la sospensione condizionale della pena al risarcimento delle parti civili nel termine indicato. Ha poi confermato la sentenza di primo grado nei confronti di L.L..

2. J.J. (in qualità di coordinatore della fase esecutiva dei lavori), L.L. (quale direttore tecnico di cantiere) e K.K. (quale ispettore tecnico di cantiere) erano stati ritenuti responsabili del sinistro occorso in C il (Omissis), nelle prime ore del giorno, allorquando G.G., mentre si trovava alla guida di una Vespa Piaggio, percorrendo la via (Omissis), alla velocità di circa 60 Km/h, non avvedendosi dell'ostacolo costituito da una barriera di calcestruzzo armato posizionata in senso ortogonale all'asse della strada all'altezza del civico 21, vi impattava contro e, a seguito del grave traumatismo a carico del distretto cranio-cervicale e del distretto toracico, decedeva.

3. I giudici del merito hanno così ricostruito i fatti.

L'area in esame era stata interessata da lavori per la riqualificazione stradale in attuazione del progetto M.U.S.A. di sviluppo economico, urbano e sociale, la cui realizzazione coinvolgeva diverse ditte e varie figure professionali e gli attuali ricorrenti rispondevano, nelle indicate qualità, per aver apposto la barriera sopra descritta senza averla resa visibile con catarifrangenti lampeggianti luminosi e cartellonistica gialla.

Alle ore 1,35 del 17 ottobre 2015, i Carabinieri di Casalnuovo erano giunti nel luogo sopra indicato, in quanto si era verificato un grave incidente stradale, nel quale aveva trovato la morte il trentenne che, con il proprio motorino, era andato a sbattere contro il new jersey di cemento armato posto in modo trasversale alla strada e collocato sulla metà destra della stessa strada, a senso unico e ad una sola carreggiata, mentre l'altra metà era delimitata da una recinzione metallica.

Alcuni presenti, con dichiarazioni riferite anche in dibattimento, riferirono che il pomeriggio precedente era intercorso un alterco tra i commercianti della zona ed alcuni esponenti della società che eseguiva i lavori (Euro Saf Srl), posto che i primi lamentavano l'inopportuna collocazione del new jersey e l'assenza di cartelli che segnalassero l'avvenuta chiusura della strada, essendo solo presente un cartello quadrato che indicava la presenza del cantiere ed il divieto di ingresso per gli estranei. Circostanze riferite dai testimoni e confermate dai rilievi fotografici dell'area. La svolta obbligatoria a sinistra era segnalata impropriamente con cartello solitamente utilizzato per i sensi unici, il divieto di accesso ai non residenti era indicato su un cartello di colore giallo con segnalazione di lavori in corso, con divieto di accesso ad eccezione dei residenti.

Gli accertamenti condotti nell'immediatezza consentirono di rilevare la presenza di tracce di frenata lunghe 13,5 metri, su tratto di strada rettilineo con fondo caratterizzato da sabbia e pietrisco proveniente dai lavori in corso; tracce di sangue venivano rinvenute sul new jersey e si verificava che il ragazzo al momento dell'impatto indossava il casco. Il teste di Polizia giudiziaria M.M. aveva precisato che il new jersey posizionato nell'occasione era diverso da quelli solitamente utilizzati per impedire la circolazione; in particolare, era il basamento tipico delle recinzioni da cantiere, alto circa 45 cm., ed erano assenti segnalazioni sia luminose che con catarifrangenti. Da ciò si era ritenuto che la vittima non si fosse accorta della presenza di tale oggetto sulla carreggiata, se non quando l'aveva materialmente visto, attivando la lunga frenata che tuttavia non era servita a salvargli la vita.

Dalle indagini era pure emerso che, nei giorni precedenti l'evento, la sede viaria era stata gestita diversamente, con collocazione solo di una recinzione di cantiere per metà carreggiata in modo da consentire il passaggio per l'altra metà dei veicoli. La sera prima era stato posizionato il new jersey in quanto l'ordinanza di Polizia municipale, che vietava il transito nelle ore notturne, veniva sistematicamente violata dalla popolazione residente.

L'architetto I.I. aveva dato disposizioni di sistemare il new jersey sul posto, allegando uno schema di cantierizzazione dal quale sembravano emergere due disposizioni cumulative (collocazione del new jersey nelle ore di lavoro e sua rimozione nelle ore notturne, al fine di consentire almeno il transito dei residenti nelle ore notturne). Tale ordine fu realizzato nel pomeriggio del 16 ottobre 2015, quando l'architetto K.K., ispettore di cantiere, di concerto con il L.L., direttore tecnico di cantiere, aveva ordinato agli operai di collocare il new jersey sulla sede stradale, determinando così le proteste dei commercianti, che avevano segnalato come l'ostacolo costituisse un rischio per gli utenti della strada non essendo neanche segnalato.

A seguito dell'intervento della Polizia Municipale, si giungeva all'accordo di rimuovere il giorno dopo il new jersey, ma senza apporre alcuna segnalazione. Quindi, senza fornire alcuna preventiva informazione o preavviso agli automobilisti, la strada veniva chiusa in modo imprevisto ed imprevedibile, con la conseguenza che la vittima, che percorreva frequentemente la strada, aveva verosimilmente immaginato di trovare la consueta configurazione dell'assetto stradale.

La tesi dello spostamento del pesante blocco di cemento armato o di eventuali segnali luminosi sullo stesso, ad opera di alcuni commercianti, era rimasta del tutto priva di prova, anche considerando l'imprecisione e la contraddittorietà delle dichiarazioni rese dal teste N.N..

La Corte di appello inoltre ha escluso che si sia raggiunta la prova certa che la parte offesa al momento del decesso avesse un tasso alcolemico superiore al limite consentito, essendo il valore rilevato nell'immediatezza pari a 0,5 g/l e non essendo i campioni ematici utilizzati per il dosaggio alcolemico proficuamente utilizzabili, in quanto coinvolti nei fenomeni del catabolismo cadaverico.

In particolare, la Corte di appello ha riconosciuto la sussistenza di una area di obiettiva incertezza, ammessa da tutti consulenti, ma da ciò non poteva trarsi positivo convincimento quanto ai risultati derivanti dal prelievo in sede autoptica, anche in considerazione del fatto che la consulente invocata dalla difesa a sostegno delle proprie tesi aveva affermato che non vi erano particolari differenze derivanti dalle diverse sedi del prelievo. Non erano emersi dati probatori in grado di confermare la tesi che il giovane avesse ingerito alcolici, né tale ipotesi risultava confermata dalla condotta di guida, rettilinea fino al momento dell'impatto, e lucida tanto da iniziare una energica frenata al momento dell'avvistamento del blocco.

Quanto alla velocità, contrariamente all'assunto difensivo, non era stata causa esclusiva dell'evento, dal momento che era al più di 60 Km/h, di poco superiore al limite di 50 Km/h consentito. Piuttosto erano state le modalità dell'incidente, impatto di 90°, a determinare la gravità dell'evento.

I giudici hanno pure ritenuto assente qualsiasi forma di imprudenza a carico della parte offesa, attribuendo all'architetto I.I. la responsabilità anche di aver collocato il new jersey a 45 e non a 15 come in genere accade rispetto al senso di marcia. Infine, sono state elencate le cause del sinistro nei seguenti termini: 1) barriera inidonea per struttura e dimensioni allo scopo; 2) collocazione in posizione ortogonale rispetto al senso di marcia, in violazione delle regole vigenti ed in maniera tale da costituire un ostacolo alla circolazione; 3) assenza totale di segnali luminosi sulla barriera e di adeguata cartellonistica, che per tempo indicasse l'interruzione della strada ed anzi presenza di segnali fuorvianti, tali da incidere sulla concreta possibilità di avvedersi tempestivamente dell'ostacolo; 4) presenza di sola illuminazione stradale pubblica, insufficiente in orario notturno; 5) presenza sul manto stradale di inerti derivanti dal cantiere che avevano reso ancora più difficile ed inefficace il tentativo di frenata, pur posto in essere dalla vittima; 6) carattere improvviso della collocazione della barriera sulla strada, senza alcuna preventiva informazione e comunicazione.

La Corte territoriale, in relazione all'aggravante di aver violato le regole del codice della strada, ne ha appurato l'applicabilità richiamando conforme giurisprudenza di legittimità.

4. La sentenza impugnata ha poi esaminato le distinte posizioni degli imputati.

In particolare, quanto a K.K., ispettore di cantiere, responsabile per aver apposto il blocco di cemento a chiusura della strada in violazione dell'art. 2 D.M. 2964/2004, del D.P.R. 495 del 1992 e del D.M. 10 luglio 2002, nonché per non aver predisposto idonea segnaletica (lampeggianti, catarifrangenti e pannelli metallici, ma anche segnali gialli paralleli all'andamento della strada) e per non aver adeguatamente vigilato sul cantiere, in violazione del capitolato d'appalto e degli artt. 147 e 150 D.P.R. n. 207 del 2010, la Corte ha ritenuto infondata la tesi difensiva che tendeva a concentrare sull'architetto I.I. la responsabilità della scelta di posizionare il blocco, anche in considerazione del fatto che l'ispettore di cantiere non aveva alcun potere-dovere di sorveglianza e custodia del cantiere, in quanto in contrasto con le previsioni del citato D.P.R. del 2010, artt. 147 e 150,che positivamente impongono tali compiti e tutte le fonti di prova avevano confermato in concreto la sua presenza nel cantiere.

Nessuna discrasia, dunque, era ipotizzabile tra accusa e condanna. La pronuncia di primo grado era stata solo riformata in punto di trattamento sanzionatorio, essendo state riconosciute le circostanze attenuanti generiche a fronte della concreta offerta di risarcire il danno alle parti civili, che pure non avevano accettato la proposta, con sospensione condizionale della pena subordinata al risarcimento del danno.

Quanto alla posizione di L.L., direttore tecnico di cantiere, la Corte ha ribadito che allo stesso andavano estese tutte le considerazioni svolte in precedenza, in quanto si trattava di figura deputata alla sorveglianza tecnica attinente all'esecuzione del progetto nell'interesse del committente. Lo stesso era stato concretamente presente, come rilevato nel corso del dibattimento, ed avrebbe dovuto accorgersi dello stato delle cose ed impedire che il blocco fosse posizionato in quel modo e senza alcuna specifica e adeguata segnalazione.

Infine, quanto a J.J., chiamato quale coordinatore per la sicurezza, in fase di esecuzione, lo stesso è stato ritenuto responsabile di aver redatto uno schema di cantierizzazione non conforme all'art. 35 D.P.R. 495/1992, né all'art. 21 D.P.R. 285/1992 ed all'art. 2 del D.M. 10 luglio 2002, in ordine alla chiusura della strada mediante new jersey ed al mancato rispetto delle prescrizioni in punto di segnaletica, tutti addebiti elencati in dettaglio alla pagina 26 della sentenza del Tribunale. La posizione dello I.I. era stata esaminata alle pagine 64 e seguenti della sentenza medesima, che aveva tratteggiato la posizione di garanzia dal medesimo ricoperta e gli obblighi che sullo stesso incombevano in ragione della propria attività, che avrebbe dovuto imporgli di segnalare all'ispettorato del lavoro, che aveva richiesto la collocazione del blocco, la pericolosità ed inidoneità di tale collocazione.

Anche in questo caso nessuna discrasia poteva essere colta tra imputazione e condanna. Inoltre, quanto al contestato profilo della colpa, gli ispettori del lavoro avevano prescritto di transennare la strada con strutture pesanti che non potessero essere spostate a mano e che occorreva anche realizzare un varco carrabile con dispositivo di chiusura che consentisse l'apertura immediata. L'imputato aveva invece disposto la collocazione di due new jersey, senza predisporre il varco carrabile e senza considerare che, ai sensi dell'art. 2 D.M. 2367 del 2014, le barriere stradali di sicurezza dovevano essere in grado di assorbire parte dell'energia di cui è dotato il veicolo in movimento.

Peraltro, il divieto di transito era escluso dalle ordinanze municipali dalle 17,30 alle 8, 00 del giorno dopo per i residenti. Neppure rilevava, in quanto non dirimente, che l'imputato avesse chiesto di collocare un new jersey di circa 1 metro, ferma restando l'accertata carenza di adeguata segnaletica.

In definitiva, la posizione di garanzia derivava dalla esplicita indicazione contenuta nel D.Lgs. n. 81 del 2008, come riconosciuto dalla giurisprudenza consolidata. Anche per tale imputato la Corte d'appello ha ritenuto di riconoscere le attenuanti generiche come equivalenti alle contestate aggravanti, con sospensione condizionale della pena subordinata al risarcimento.

5. Avverso tale sentenza, ricorrono per cassazione, ciascuno mediante i propri difensori, J.J., K.K. e L.L.

5.1. Il ricorso di J.J. si basa su cinque motivi:

- Con il primo motivo, si deduce la nullità della sentenza per violazione del principio di correlazione tra imputazione contestata e sentenza. Si deduce che la motivazione offerta dalla Corte territoriale sull'analogo motivo d'appello, secondo cui nel capo d'imputazione ascritto all'imputato non sarebbe stata contestata solo la violazione delle disposizioni normative concernenti la cartellonistica stradale, ma anche la responsabilità di avere dato la disposizione di collocare il new jersey in posizione ortogonale al tratto stradale, così creando un blocco al transito di tutti gli automezzi nelle ore notturne, è meramente assertiva perché non congruente con la letterale descrizione della condotta ascritta allo I.I. nel capo di imputazione.

Lo stesso era riferito all'aver redatto uno schema di cantierizzazione non conforme all'art. 35 del D.P.R. n. 495 del 16/12/1992, che prescrive la segnaletica con lo scopo di guidare i conducenti e garantire la sicurezza del traffico in prossimità di anomalie planimetriche e all'art. 2 del D.M. del 10 luglio 2002, che prescrive una segnaletica idonea a preavvisare i conducenti delle modifiche apportate al tracciato per la presenza del cantiere, al fine di consentire di adattare la loro condotta di guida. Allo I.I., quindi, erano state contestate solo due censure relative alla segnaletica stradale, e ciò rendeva evidente che al capo d'imputazione non era correlata la diversa condotta consistente nell'aver dato ordini di collocare il new jersey, nella posizione ortogonale rispetto alla carreggiata in cui fu posto. Pertanto, su tale aspetto non era stato esercitato il diritto di difesa, non potendo ritenersi tale la sola netta affermazione che la disposizione non era stata impartita dal medesimo ricorrente.

- con il secondo motivo, intitolato all'art. 606, comma 1 lett. e) cod. proc. pen., in relazione agli artt. 41, 113 e 589 comma 2 cod. pen, si deduce che la sentenza impugnata, affrontando la specifica posizione processuale dell'architetto I.I., aveva ritenuto non meritevoli di accoglimento le argomentazioni difensive relative all'assenza di colpa ed era giunta alla conclusione che non rispondesse al vero che gli atti adottati dall'imputato fossero conformi al divieto, in verità non esistente, di transito per tutte le categorie di veicoli, dato che i provvedimenti comunali facevano salva la possibilità di accesso ai veicoli dei residenti in orario notturno; di contro, l'indicazione emergente dalla visione dello schema indicato, della collocazione della barriera in cemento in modo trasversale sulla carreggiata, appariva chiaramente incompatibile con il contenuto delle citate ordinanze che consentivano il transito di alcuni veicoli anche di notte, dunque, la sentenza ha ritenuto che il contenuto dello schema di cantierizzazione proponesse una soluzione incompatibile con il contenuto delle ordinanze. L'errore in cui la sentenza era incorsa, ad avviso del ricorrente, è quello di aver ritenuto che lo schema di cantierizzazione predisposto dall'architetto I.I. proponesse la soluzione della allocazione ortogonale, quando invece ne proponeva due, di dimensioni ed altezze diverse da quello che fu poi installato, con la predisposizione di un passaggio carrabile di circa due metri, da chiudere con rete metallica, come descritto dal consulente della difesa. Tale errore disarticola la motivazione adottata perché ha implicato una contraddizione motivazionale interna, allorché la sentenza è giunta ad una conclusione probatoria incompatibile con le dichiarazioni dei testi presenti il giorno dell'installazione del new jersey, richiamate nella motivazione della sentenza di primo grado, poi fatta propria dalla Corte di appello. Tale vizio realizza per il ricorrente anche quello di travisamento della prova, in ragione dell'omessa analitica lettura dello schema di cantierizzazione nei sensi prima chiariti. Allo stesso modo, non era stato approfondito il rapporto di prestazione professionale intercorrente tra lo Spezia ed il Comune per la realizzazione del progetto MUSA, tanto che viene considerato come membro dell'organigramma aziendale della ditta esecutrice dei lavori.

- Con il terzo motivo, relativo alla violazione degli artt. 2 e 43 cod. pen., si deduce la violazione dei criteri di imputazione di colpa specifica per non aver dato disposizioni relative alla apposizione della dovuta segnaletica stradale, correlata al posizionamento del new jersey in posizione ortogonale sulla carreggiata, in ragione della introduzione solo dal 2019 del decreto ministeriale dell'obbligo di dare atto dell'adozione dei criteri di sicurezza nel P.S.C. Anche in questo caso, la Corte d'appello ha commesso l'errore di percezione consistente nel dato oggettivo che il decreto ministeriale Lunardi del 10 luglio 2002, non aveva tra i propri destinatari il coordinatore per la sicurezza, così come il D.M. del 20 aprile 2013, relativo alla segnaletica stradale per attività lavorative svolte in presenza di traffico veicolare.

- Con il quarto motivo, si deduce l'omessa motivazione sulla richiesta di esclusione dell'ipotesi aggravata di cui all'art. 589, secondo comma, cod. pen., che pure aveva formato motivo di appello alla pagina 27.

- Con il quinto motivo, si deduce l'omessa motivazione sulla subordinazione della sospensione condizionale della pena all'adempimento del pagamento della provvisionale di cui all'art. 165 cod. proc. pen. La sentenza, pur riconoscendo che l'offerta conciliativa rivolta alle parti civili, seppure non accettata, giustificava il riconoscimento della equivalenza delle circostanti attenuanti generiche con le aggravanti, ha motivato con formula di "mere ragioni di opportunità" la decisione di subordinare la concessione della sospensione condizionale della pena alla corresponsione del risarcimento.

5.2. K.K. ricorre per la cassazione della sentenza, mediante proprio difensore, sulla base di tre motivi:

- con il primo, deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ragione del fatto che la sentenza impugnata aveva riconosciuto la responsabilità penale colposa dell'imputato violando il canone dell'oltre ogni ragionevole dubbio quanto al fatto che la condotta colposa era stata ravvisata nella sola apposizione della barriera sulla strada, senza che fosse indagata la condotta di ciascuno degli imputati, e che per ciascuno degli stessi fosse individuata la regola di comportamento inosservata, anche per appurare la singola incidenza causale specifica ed effettiva sull'evento. Pertanto, non era stata adeguatamente considerata l'incidenza della condotta della parte offesa, e la Corte territoriale aveva tentato di aggirare i richiami istruttori richiamati dalla difesa, facendo riferimento ad altre testimonianze o parti delle stesse, senza confrontarsi con i richiami fatti falere dalla difesa. Così era avvenuto quanto al fatto che la Polizia giudiziaria, dopo il sinistro, aveva riscontrato l'assenza di segnali e cautele in corrispondenza dell'interruzione stradale, posto che la sentenza, con argomentazioni speciose ed inconsistenti, aveva escluso che detti segnali fossero stati correttamente posizionati e poi rimossi. Allo stesso modo, con l'atto di appello si era evidenziato che i testi O.O., N.N., Q.Q. ed il Ten. P.P. della Polizia Municipale avevano confermato che la barriera era stata realizzata e posizionata con modalità tali da essere visibile, essendo dotata di luci e segnaletica, ma i giudici non si erano confrontati con tali rilievi ed avevano negato credibilità al teste O.O. ritenuto inattendibile quando aveva reso dichiarazioni favorevoli alla difesa, e non avevano fornito spiegazioni alla eccezione difensiva relativa all'orario, diurno o notturno, in cui la fotografia fu scattata, oltre che a quella relativa alla velocità eccessiva tenuta dalla parte offesa, desumibile anche dalla direzione intrapresa dal corpo dello stesso giovane dopo l'urto. Allo stesso modo erano stati esclusi gli indici che deponevano per una compromissione psicofisica della persona offesa, attraverso una illogica valutazione del tasso alcolemico appurato a seguito dei prelievi autoptici; in altri termini, la sentenza impugnata non aveva neppure risposto alle sollecitazioni della difesa in ordine alla condotta di guida dell'infortunato ed alla necessità da parte dello stesso di prestare attenzione soprattutto nell'approssimarsi ad un incrocio a T;

- Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia la violazione di legge ed il difetto di motivazione in ragione del fatto che la sentenza impugnata non aveva accolto il motivo d'appello teso a far accertare che, ai sensi del capitolato di appalto e degli artt. 147 e 150 del D.P.R. 207/2010, sull'ispettore di cantiere non gravava affatto alcun obbligo di sorveglianza continuo sul luogo di lavoro e non aveva collaborato con alcuno nel posizionarlo, né la sentenza aveva spiegato in che modo il ricorrente aveva cooperato nell'imporre o nel suggerire di non installare la prescritta segnaletica.

- Con il terzo motivo, si deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione relativamente alla richiesta di riduzione della pena inflitta in maniera da essere ricondotta alla sfera di applicabilità della sospensione condizionale della pena e della non menzione, che era stata accolta ma era stata subordinata al risarcimento del danno alle parti civili entro 90 giorni dal passaggio in giudicato della sentenza. Tale condizione era impossibile giacché il giudice penale aveva solo concesso una provvisionale, rimandando per la liquidazione al giudice civile. Inoltre, si trattava di decisione priva di motivazione, peraltro riferita ad un obbligo solidale, e quindi nulla.

5.3. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione L.L., mediante il proprio difensore, sulla base di tre motivi.

- Con il primo, deduce il vizio di motivazione relativamente alla sussistenza del nesso di causalità. In particolare, si rileva che la sentenza aveva omesso di motivare sull'unica causa dell'evento morte, già dedotto dall'imputato K.K. in appello, posto che la parte offesa aveva percorso un tratto di strada nel quale era vietato il transito e l'accesso veicolare, in orario notturno, a persone non residenti in quella via.

- Con il secondo motivo, denuncia la mancanza e contraddittorietà della decisione in punto di condotta e posizione di garanzia in capo allo stesso L.L., che era stato omologato alla figura del direttore dei lavori, ma in realtà, ricopriva il ruolo di direttore tecnico di cantiere. Neppure era stato spiegato in che modo il ricorrente aveva cooperato nella decisione di collocare il blocco di cemento.

- Con il terzo motivo, si deduce la mancanza e contraddittorietà della motivazione in punto di dosimetria della pena e carenza di motivazione in ordine alla mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena.

 

Diritto


1. Tutti i ricorsi vanno rigettati.

2. È opportuno trattare preliminarmente i motivi di ciascun ricorso che affrontano temi comuni, relativi alla ricostruzione della dinamica dell'evento.

In particolare, a tale ambito della decisione impugnata afferiscono il primo motivo del ricorso proposto da K.K. ed il primo motivo del ricorso proposto da L.L..

2.1. I motivi sono per larga parte inammissibili.

In particolare, il primo motivo di ricorso proposto da L.L., con il quale si censura la motivazione della sentenza impugnata nel punto relativo alla ricostruzione del nesso di causalità, assume l'illogicità e la contraddittorietà della motivazione derivante dal non aver considerato che la vittima percorreva la via (Omissis) che, per effetto dell' ordinanza comunale vigente dal 29 luglio 2015, era chiusa al traffico veicolare, in orario notturno, con eccezione per il passaggio dei residenti.

Ad avviso del ricorrente, l'omessa motivazione in ordine allo specifico motivo d'appello proposto determinerebbe un vulnus decisivo nella ricostruzione del nesso causale, perché la violazione del divieto da parte della vittima, che non era un residente, acquisterebbe il ruolo di causa autonoma dell'evento, rendendo irrilevante l'incidenza causale del posizionamento del new jersey.

La sentenza sarebbe contraddittoria nel punto in cui afferma la ininfluenza della condotta di guida della parte offesa, che non aveva osservato l'obbligo di prudenza, avvicinandosi alla intersezione, in quanto lo stesso obbligo era attenuato dall'essere la strada percorsa a senso unico.

Anche il primo motivo del ricorso proposto da K.K., tra l'altro, si appunta sulla affermata mancata considerazione della condotta del motociclista deceduto sia per l'eccessiva velocità che per lo stato psicofisico che si assume fosse alterato dall'assunzione di alcool.

I motivi sono inammissibili innanzi tutto perché, trattandosi di impugnazione di sentenza cosiddetta "doppia conforme", denunciano, nella sostanza, il vizio del travisamento della prova, per utilizzazione di un'informazione inesistente nel materiale processuale o per omessa valutazione di una prova decisiva, al di fuori dei casi consentiti, posto che tale vizio può essere dedotto con il ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti, con specifica deduzione, che il dato probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (tra le altre Sez. 3, n. 45537 del 28/09/2022, Seccia, Rv. 283777 - 01). Nel caso di specie, entrambe le sentenze di merito poggiano sulle medesime acquisizioni probatorie.

Inoltre, i motivi non si correlano allo sviluppo logico della motivazione. La sentenza impugnata, richiamando anche quella di primo grado, ha ricostruito il processo causale che ha condotto all'evento morte sulla base del dato pacifico (pag. 3 della sentenza impugnata che richiama la pagina 49 della sentenza di primo grado) che il divieto di transito imposto dall'ordinanza del luglio 2015, fosse stato ampiamente violato, in quanto la popolazione rimuoveva di continuo le recinzioni di cantiere.

Proprio tale stato di fatto, che aveva evidenziato la necessità di intervenire per garantire il rispetto dell'ordinanza, aveva indotto i tecnici del Ministero del Lavoro ad ispezionare il cantiere ed a prescrivere, in data 2 ottobre 2015, alla ditta EURO SAF COSTRUZIONI Srl di transennare il tratto carrabile con struttura pesante su entrambe le estremità, installando poi griglie metalliche leggere solo per regolamentare il traffico pedonale dei residenti, ed in data 6 ottobre 2015, considerato che ancora le transenne venivano continuamente rimosse, a prescrivere la chiusura del tratto viario mediante barriere tipo new jersey, munite di segnaletica idonea a proteggere pedoni e veicoli.

I giudici del merito hanno considerato rilevante, al fine di contestualizzare lo svolgimento della vicenda, il pomeriggio antecedente all'evento morte, segnalando che la barriera fu posizionata solo in quel momento e che la stessa suscitò le contestazioni dei commercianti.

È evidente che, partendo dal contesto reale così caratterizzato, non si apprezza alcuna incoerenza o lacuna esiziale del ragionamento, neanche può dirsi che la sentenza non abbia sviluppato il tema della esistenza dell'ordinanza di inibizione al traffico poiché essa semplicemente ha ricostruito, sul piano storico, che il divieto non era comunque rispettato e quindi, in concreto non percepibile dal conducente. Inoltre, i giudici hanno ricostruito in concreto la cartellonistica apprestata ed hanno valutato la stessa insufficiente e fuorviante (cartello normalmente usato per indicare una direzione in senso unico, posto a soli 200 metri dall'ostacolo).

Anche le parti della motivazione che non hanno attribuito peso specifico determinante nella interruzione del nesso causale allo stato psico fisico ed alla velocità tenuta dal conducente sono immuni dai vizi segnalati. La sentenza impugnata ha espressamente accertato in fatto che non erano emersi dati probatori in grado di confermare la tesi che il giovane avesse ingerito alcolici, né tale ipotesi risultava confermata dalla condotta di guida, rettilinea fino al momento dell'impatto, e lucida tanto da iniziare una energica frenata al momento dell'avvistamento del blocco. Quanto alla velocità, contrariamente all'assunto difensivo, non era stata causa esclusiva dell'evento, dal momento che era, al più, di 60 Km/h, di poco superiore al limite di 50 Km/h consentito. Piuttosto erano state le modalità dell'incidente, impatto di 90, a determinare la gravità dell'evento.

Proprio per l'accertata generalizzata in attuazione del divieto di circolazione nelle ore notturne, ben conosciuta dagli imputati, neppure rileva, come sollecitato dalle difese in sede di discussione, la considerazione che la vittima non avrebbe dovuto circolare in quel tempo ed in quel luogo, per effetto del divieto posto dall'ordinanza comunale del 29 luglio 2015, che inibiva il traffico ai non residenti. Per interrompere il nesso causale, la condotta della parte offesa avrebbe dovuto presentarsi del tutto eccezionale ed imprevedibile, indipendente dal fatto del reo, inserendosi in una serie causale come fattore determinante ed autonomo dell'evento.

3. Quanto, poi, alle posizioni individuali, la sentenza ha correttamente individuato le specifiche posizioni di garanzia; le ragioni critiche addotte da ciascun ricorrente si manifestano infondate ed in parte inammissibili in quanto tese ad incrinare l'accertamento di merito sulla ricostruzione dei fatti, al di fuori dei casi consentiti in sede di legittimità.

3.1. Infondati sono il primo, il secondo ed il terzo motivo proposti da J.J., relativi, rispettivamente, alla mancata correlazione tra imputazione e condanna ed al consequenziale errore della sentenza in punto di condotta colposa addebitata all'imputato.

L'imputazione rivolta all'imputato, in qualità di architetto e coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione, era riferita all'aver redatto - in allegato al provvedimento di servizio del 6 ottobre 2015 con il quale disponeva la chiusura, con un new jersey, dell'area di cantiere di Via (Omissis) all'altezza dell'incrocio con Via (Omissis) - uno schema di cantierizzazione non conforme all'art. 35 del D.P.R. n. 495 del 16/12/1992, "Regolamento di esecuzione ed attuazione del Nuovo Codice della Strada" che prescrive la segnaletica con lo scopo di guidare i conducenti e garantire la sicurezza del traffico in prossimità di anomalie planimetriche e dell'art.2 del D.M. del 10 luglio 2002, " Disciplinare tecnico relativo agli schemi segnaletici, differenziati per categoria di strada, da adottare per il segnalamento temporaneo, che prescrive una segnaletica idonea a preavvisare i conducenti delle modifiche apportate al tracciato per la presenza del cantiere al fine di consentire di adattare la loro condotta di guida.

La Corte territoriale ha esaminato la posizione dell'architetto I.I. alla pagina 6 della sentenza, richiamando la pagina 62 della sentenza di primo grado (quanto al nesso causale tra le condotte dei diversi imputati e l'evento morte). In particolare, allo I.I. è stata ricondotta la decisione di collocare la barriera sulla sede stradale in senso ortogonale al senso di marcia, rinviando alla pagina 64 della sentenza di primo grado relativamente alla responsabilità per il mancato rispetto delle disposizioni in tema di circolazione stradale. Inoltre, alla pagina 27, la sentenza di appello rinvia esplicitamente alla pag. 26 di quella di primo grado ed alla elencazione dei rimproveri contenuti nella consulenza dell'ingegnere R.R., consulente tecnico del Pubblico Ministero, con ciò fissando in concreto il profilo di responsabilità penale dello I.I..

La Corte territoriale ha riportato per stralcio il testo del verbale di sopralluogo del 6 ottobre 2015 e della disposizione di servizio a firma dell'architetto I.I.. Ha quindi rimarcato che i contenuti dell'imputazione contenevano tutte le condotte riconducibili alla posizione di garanzia ricoperta dal coordinatore per la sicurezza in fase esecutiva e cioè agli obblighi riferiti alla viabilità, al fatto che in base alle proprie competenze avrebbe dovuto sapere che l'indicazione fornita dall'Ispettorato del lavoro (chiudere la strada mediante apposizione di new jersey) era tecnicamente errata e pericolosa ed avrebbe dovuto essere eseguita mediante la sistemazione di semplici cavalletti, nonché alla inadeguatezza dello schema da lui redatto sia sotto il profilo della struttura indicata e sia della sua collocazione sulla sede viaria e sia in ordine alla cartellonistica compendiata nello schema a pag. 66 e ss. della sentenza di primo grado.

Correttamente, dunque, la Corte di appello, ritenendo sussumibili all'interno della relativa posizione di garanzia tutte le condotte colpose poste in essere dall'imputato, quale coordinatore della sicurezza in fase esecutiva, ha negato la violazione del principio di correlazione tra imputazione e sentenza ed ha affermato la responsabilità del titolare della posizione di garanzia.

Ciò è conforme alla giurisprudenza di legittimità che nega la violazione dell'art. 521 cod. proc. pen., quando, fermo restando il fatto storico addebitato, consistente nell'omissione di un comportamento dovuto, in sentenza sia stata individuata una diversa fonte (normativa, regolamentare o pattizia) dell'obbligo gravante sull'imputato (Sez. 4. n. 10773 del 28/06/2000, Masci, Rv. 217624 - 01).

Inoltre, la sentenza, là dove ha individuato anche la violazione della omessa segnalazione delle gravi criticità emergenti dalle prescrizioni dell'Ispettorato del lavoro, risulta conforme alla giurisprudenza di legittimità relativa ai contenuti della funzione di alta vigilanza che grava sul coordinatore per la sicurezza dei lavori - che si esplica prevalentemente mediante procedure e con poteri doveri di intervento immediato - riguardando la generale configurazione delle lavorazioni che comportino un rischio interferenziale, e non anche il puntuale controllo delle singole lavorazioni, demandato ad altre figure, salvo l'obbligo di adeguare il piano di sicurezza in relazione all'evoluzione dei lavori (Sez. n. 24915 del 10/06/2021, Rv. 281489 - 01).

La Corte territoriale, alla pagina 28 della sentenza impugnata, ha in dettaglio evidenziato i punti di concreta incompatibilità dello schema di cantierizzazione a firma dello I.I., rispetto ai contenuti dell'ordinanza del Comune del 20 febbraio 2015, nonché quanto alla omissione della indicazione sulle caratteristiche delle barriere stradali di cui all'art. 2 del D.M. 2367 del 2014 e la non conformità rispetto alla disciplina tecnica relativa agli schemi segnaletici di cui al D.P.R. 495 del 1992 ed all'art. 2 D.M. 10.7.2002, con ciò indicando l'ambito e i presupposti dell'opera richiesta al coordinatore della sicurezza, che risiede appunto nella esigenza di coordinare, dirigere e, se del caso, gestire (anche attraverso atti di prescrizione e di inibizione dalle lavorazioni) i pericoli nelle lavorazioni che nascono dalla interferenza di una pluralità di soggetti agenti. (Sez. 4, del 12/04/2017, n. 34869).

Correttamente, infine, è stata disattesa la tesi, riproposta anche in questa sede, che la fonte normativa della posizione di garanzia attribuita allo I.I. sia da ravvisare nel D.M. 22 gennaio 2019, posto che la stessa deriva dalla previsione del D.Lgs. n. 81 del 2008 (art. 89 lett. f), che definisce il coordinatore per l'esecuzione dei lavori quale soggetto incaricato, dal committente o dal responsabile dei lavori, dell'esecuzione dei compiti di cui all'articolo 92), oltre che dal D.M. 10 luglio 2002, dall'art. 35 D.P.R. 495 del 1992 e dal D.P.R. n. 285 del 1992.

3.3. È infondato anche il quarto motivo proposto da Sp., con il quale si deduce l'omessa motivazione sulla richiesta di esclusione dell'ipotesi aggravata di cui all'art. 589, secondo comma cod. pen., che pure aveva formato motivo di appello.

L'aggravante, contestata a tutti gli imputati secondo i profili di colpa specifica riportati individualmente, è coerente rispetto all'evento prodotto dall'azione di cooperazione colposa. La sentenza ha implicitamente ed inequivocabilmente risposto al motivo di doglianza attraverso l'accertamento in concreto della condotta colposa imputata al ricorrente e ciò in coerenza con l'insegnamento di legittimità, che qui si ribadisce, secondo cui ai fini dell'integrazione della circostanza aggravante del "fatto commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro" è necessario che venga violata una regola cautelare volta a eliminare o ridurre lo specifico rischio, derivante dallo svolgimento di attività lavorativa, di morte o lesioni in danno dei lavoratori o di terzi esposti alla medesima situazione di rischio e pertanto assimilabili ai lavoratori, e che l'evento sia concretizzazione di tale rischio "lavorativo", non essendo all'uopo sufficiente che lo stesso si verifichi in occasione dello svolgimento di un'attività lavorativa (Sez. 4, Sentenza n. 32899 del 08/01/2021, Rv. 281997 - 01).

4. Infondati sono il quinto motivo del ricorso proposto dallo I.I., e l'analogo terzo motivo proposto da C.C., con i quali si afferma l'illegittimità della subordinazione della sospensione condizionale della pena al risarcimento del danno. La sospensione condizionale della pena può, infatti, essere subordinata all'adempimento delle obbligazioni civili delle restituzioni e del risarcimento del danno, ponendosi l'art. 165 cod. pen. in stretta correlazione con il disposto dell'art. 185 cod. pen. e quindi con l'avvenuta costituzione di parte civile nel processo penale (S.U., 27.4-27.7.2023, n. 32939).

Quanto poi al quantum di motivazione richiesto, va ricordato che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affermato espressamente la necessità di una preventiva valutazione, sia pure sommaria, delle condizioni economiche dell'imputato al fine di evitare che si realizzi in concreto un trattamento di sfavore nei suoi confronti, sul rilievo che "il dovere di scandagliare le effettive possibilità del condannato di fruire del beneficio della sospensione condizionale subordinandolo ad un obbligo risarcitorio che egli possa realmente assolvere è coerente con il principio costituzionale di eguaglianza di cui all'art. 3 Cost., e con la funzione rieducativa della pena prevista dall'art. 27 Cost." (S.U., 23.6-5.10.2022, n. 37503). Nel caso di specie, tale valutazione può ritenersi adeguatamente effettuata, posto che la sentenza impugnata ha dato atto della proposta risarcitoria formulata dall'imputato e non accettata dalle parti civili.

L'incensuratezza del condannato è stata ritenuta irrilevante ai fini dell'apposizione dell'obbligo di risarcimento del danno, in quanto obbligo volto a salvaguardare la posizione di coloro che sono stati pregiudicati dal fatto reato (Sez. 3, 2/3/2017, n. 52040).

La Corte di cassazione ha affermato il dovere del giudice di determinare specificamente il quantum debeatur, in assenza della cui determinazione l'inadempimento da parte del condannato dell'obbligo impostogli non comporta la revoca del beneficio, essendo la prestazione inesigibile, per oggettiva indeterminatezza (Sez. 1, 25/1/2016, n. 30242).

Infine, se è vero che non può subordinarsi la sospensione della pena alla effettuazione di un risarcimento incerto (Sez. 6, 16/2/2021, n. 16788; Sez. 5, 9/6/2015, n. 35753; Sez. 4, 9/7/2013, n. 31441) né può essere imposto l'obbligo del risarcimento qualora il giudice penale abbia pronunciato condanna generica e demandato al giudice civile la liquidazione del predetto danno, va dato atto che la sentenza impugnata ha motivato sul punto ed ha fatto riferimento alla misura della provvisionale disposta dal Tribunale e confermata in appello, quindi, non vi è incertezza sul quantum.

4. Quanto alla posizione del ricorrente L.L., così come quanto alla posizione dell'architetto K.K., va rilevata l'infondatezza del secondo motivo del ricorso del primo e del secondo motivo del ricorso del secondo.

4.1. La Corte territoriale ha accertato, in fatto, che gli imputati L.L. e K.K., nelle rispettive qualità di direttore tecnico di cantiere e di Ispettore di cantiere, come riferito dall'operaio O.O., il pomeriggio precedente all'evento, intervennero recandosi in loco, al fine di realizzare la chiusura della strada mediante il new jersey. Il L.L. giunse sul cantiere e presenziò al posizionamento della barriera agendo di concerto con il S.. In particolare, i due omisero di predisporre altri dispositivi che potevano migliorare la sicurezza nel cantiere (vd. pag. 26 della sentenza impugnata e pag. 67 sentenza di primo grado). Avrebbero potuto e dovuto implementare la segnaletica prevista da progetto, installare segnali per migliorare la visibilità del cantiere, luminosi e di presegnalamento.

La sentenza ha evidenziato che la pericolosità delle modalità di posizionamento della barriera fu percepita immediatamente anche dai negozianti e certamente rientrava nel bagaglio tecnico dei due la necessaria conoscenza della regola generale di rispetto delle regole di viabilità nella gestione dei cantieri stradali.

Su tale base storica e fattuale, correttamente la Corte distrettuale, confermando la sentenza di primo grado, ha riscontrato la posizione di garanzia assunta dal L.L. quale direttore tecnico di cantiere e del K.K. quale Ispettore di cantiere, con il compito di verificare le condizioni di sicurezza dei lavori affidati e dell'applicazione, ai sensi dell'art. 97 D.Lgs. n. 81 del 2008, delle disposizioni e delle precauzioni del piano di sicurezza e coordinamento ai sensi dell'art. 97 stesso D.Lgs. 81 del 2008.

5. Va pure rigettato il terzo motivo del ricorso proposto da L.L., con il quale si deduce vizio di motivazione in ordine alla entità della pena ed alla concessione della sospensione condizionale della stessa.

La Corte territoriale ha motivato adeguatamente la determinazione sulla pena, inflitta dal Tribunale nella misura di anni due e mesi otto di reclusione e confermata dalla sentenza d'appello. In particolare, ha evidenziato che l'imputato non aveva indicato alcuna ragione specifica per la concessione delle attenuanti generiche, che non ricorrevano, atteso l'elevato grado della colpa e la gravità delle conseguenze (morte di un giovane uomo).

Inoltre, il L.L. non aveva mostrato alcuna resipiscenza, né risarcito le parti civili, come invece si erano offerti di fare gli altri coimputati, per cui la pena, di poco superiore al minimo, è stata ritenuta adeguata.

La graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale, per assolvere al relativo obbligo di motivazione, è sufficiente che dia conto dell'impiego dei criteri di cui all'art. 133 cod. pen. con espressioni indicative della congruità, come pure con il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (tra le altre, Sez. 2, 17/01/2024, n. 2002).

È infine, evidente che la sospensione condizionale della pena non avrebbe potuto essere concessa in ragione del disposto dell'art. 163, primo comma, cod. pen., posto che la pena supera quella ivi indicata.

7. In definitiva, i ricorsi vanno rigettati e gli imputati condannati alle spese processuali, oltre che al rimborso delle spese di giudizio in favore delle costituite parti civili, in solido con il responsabile civile Comune di Castelnuovo.

 

P.Q.M.


Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione, in solido tra loro e con il responsabile civile, Comune di Casalnuovo, delle spese di giudizio sostenute dalle parti civili, che si liquidano come segue: Euro 3.000,00 in favore di H.H.; Euro 4.800,00 complessivamente in favore di D.D., F.F. e E.E., per tutti oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 14 febbraio 2024.

Depositato in Cancelleria il 16 aprile 2024.