Cassazione Penale, Sez. 2, 16 febbraio 2024, n. 7128 - Estorsione continuata nei confronti dei dipendenti


 

Nota a cura di Gualtieri Piergiorgio, in Labor on line, 22.04.2024 "Responsabilità penale del datore di lavoro per estorsione nei confronti dei dipendenti"


 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE


Composta da:

Dott. ROSI Elisabetta - Presidente

Dott. DI PAOLA Sergio - Relatore

Dott. CIANFROCCA Pierluigi - Consigliere

Dott. AIELLI Luca - Consigliere

Dott. RECCHIONE Sandra - Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA
 


sul ricorso proposto da:

A.A. nato a M il (Omissis)

avverso la sentenza del 25/02/2022 della Corte d'appello di Palermo visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Sergio Di Paola;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Ettore Pedicini, che ha concluso chiedendo dichiararsi l'inammissibilità del ricorso;

letta la memoria dell'Avv. Giacomo Frazzitta, nell'interesse della parte civile B.B., che ha concluso insistendo nella domanda di risarcimento e depositando nota spese;

udita l'Avv. Loredana Tulino, in sostituzione dell'Avv. Giovanni Crimi, nell'interesse delle parti civili CODICI SICILIA e CODICI Onlus - centro per i diritti del cittadino, che ha concluso chiedendo dichiararsi l'inammissibilità del ricorso, depositando nota spese;

udita l'Avv. Arianna Rallo nell'interesse del ricorrente, che ha concluso chiedendo accogliersi il ricorso.

 

Fatto


1. La Corte d'appello di Palermo, con la sentenza impugnata in questa sede, ha confermato la condanna alle pene di giustizia, e al risarcimento dei danni in favore delle parti civili, pronunciata nei confronti di A.A. dal Tribunale di Marsala in data 20 febbraio 2020, in ordine ai reati di estorsione continuata in danno di alcuni dipendenti della propria impresa e di diffamazione aggravata in danno di B.B.

2. Ha proposto ricorso la difesa dell'imputato deducendo, con il primo motivo, violazione di norme processuali previste a pena di nullità, in relazione all'art. 420 ter cod. proc. pen.; la Corte d'appello, pur in presenza di un'istanza di differimento dell'udienza per impedimento dell'imputato per motivi di salute, aveva celebrato ugualmente l'udienza del 12 gennaio 2022, con violazione dei diritti di difesa.

2.1. Con il secondo motivo si deduce vizio della motivazione per manifesta illogicità (in relazione all'omessa pronuncia sulla richiesta istruttoria di acquisizione del fascicolo relativo alla querela sporta dall'imputato nei confronti della parte civile B.B. per il reato di furto) e l'errata applicazione dell'art. 507 cod. proc. pen.

La Corte d'appello aveva affermato che il Tribunale aveva accolto la richiesta, acquisendo la relativa documentazione; aveva, quindi, rigettato la richiesta di rinnovazione istruttoria sul punto, non considerando che gli unici documenti acquisiti erano quelli della richiesta di archiviazione e del successivo decreto di archiviazione; inoltre, era manifestamente illogica la motivazione relativa all'irrilevanza dei documenti allegati alla querela (in particolare, la fotografia che smentiva l'attendibilità della B.B., ritraendola con la refurtiva nella sua disponibilità all'interno della propria vettura, incidendo così sia sulla prova del delitto di estorsione, sia sull'assenza del carattere diffamatorio delle comunicazioni del A.A.).

2.2. Con il terzo motivo si deduce l'illegittimità delle ordinanze pronunciate nel giudizio di primo grado, alle udienze del 7 novembre 2019 e del 20 gennaio 2020, per la mancata assunzione di una prova decisiva (la richiesta acquisizione del fascicolo processuale a carico della B.B.) e per la violazione dei diritti di difesa, attesa l'istanza di rinvio condizionata alla mancata acquisizione degli atti indicati.

2.3. Con il quarto motivo si deduce violazione di legge, in relazione agli artt. 110 e 629 cod. pen., 190, 192 e 500 cod. proc. pen. e vizio della motivazione; era carente la motivazione sul profilo della credibilità della teste B.B., alla luce del contenuto dell'intera istruttoria dibattimentale.

Egualmente errata la valutazione delle prove testimoniali, che avevano escluso qualsivoglia minaccia da parte dell'imputato nell'esecuzione del rapporto di lavoro, essendo risultato che l'instaurazione dei rapporti con i dipendenti era stata frutto di una libera scelta degli stessi, a fronte della prospettazione di non essere assunti ove non avessero accettato le condizioni imposte dal ricorrente; era stato ignorato il dato, acquisito all'istruttoria, della corresponsione di retribuzioni superiori a quelle indicate nelle buste paga.

2.4. Con il quinto motivo si deduce violazione di legge, in relazione agli artt. 595 cod. pen., 190, 192 e 500 cod. proc. pen. e vizio della motivazione; era rimasto privo di argomenti logici l'assunto secondo il quale, pur non risultando indicato negli articoli giornalistici incriminati il nominativo della B.B., doveva ritenersi integrata la condotta diffamatoria in danno della parte civile; anche in relazione a tale profilo era carente la motivazione in punto di attendibilità della persona offesa costituita parte civile.

 

Diritto

 

1. Il ricorso è fondato nei termini di seguito specificati.

1.1. Il primo motivo è manifestamente infondato.

All'udienza indicata dal ricorrente non si è svolta alcuna attività rilevante ai fini difensivi; la discussione delle parti è avvenuta, infatti, alla successiva udienza del 25 febbraio 2022, ove il difensore presente ha preso parte alle attività processuali illustrando le proprie conclusioni.

1.2. Il secondo ed il terzo motivo sono entrambi reiterativi di quelli già proposti in sede d'appello: la Corte territoriale (pagg. 3-5) ha chiarito in dettaglio gli eventi processuali, ha illustrato il contenuto della richiesta difensiva, il suo accoglimento attraverso la verifica sollecitata circa la pendenza di indagini a carico della B.B., l'acquisizione dei provvedimenti allegati dal P.M. onerato della verifica, nonché l'assenza del carattere di decisività della prova documentale indicata dal ricorrente, a fronte di un quadro probatorio del tutto coerente e sufficiente per sostenere il giudizio di responsabilità.

1.3. Il quinto motivo è reiterativo, oltre che manifestamente infondato.

Il ricorrente insiste nel rilevare che l'omessa indicazione del nome della dipendente nel corpo degli articoli pubblicati, ove si addebitava la condotta di furto esclusa dalle indagini svolte, impedirebbe di ritenere integrato il delitto di diffamazione, in contrasto con il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità che ravvisa il delitto di diffamazione quando, pur in assenza di indicazioni nominative, l'espressione lesiva dell'altrui reputazione sia riferibile a persone individuabili e individuate per la loro attività, "sia pure da parte di un numero limitato di persone, attraverso gli elementi della fattispecie concreta, quali la natura e la portata dell'offesa, le circostanze narrate, oggettive e soggettive, e i riferimenti personali e temporali" (Sez. 6, n. 2598 del 06/12/2021, dep. 2022, F., Rv. 282679 - 01; Sez. 5, n. 2784 del 21/10/2014, dep. 2015, Zullo, Rv. 262681 - 01; Sez. 5, n. 7410 del 20/12/2010, dep. 2011, A., Rv. 249601 - 01); fatti che le sentenze di merito avevano accertato e verificato.

1.4. E', invece, fondato il quarto motivo.

Il principio richiamato dal provvedimento impugnato, secondo il quale "integra il delitto di estorsione la condotta del datore di lavoro che, in presenza di una aspettativa di assunzione, costringa l'aspirante lavoratore ad accettare condizioni di lavoro contrarie alla legge e ai contratti collettivi" (Sez. 2, n. 8477 del 20/02/2019, Scialpi, Rv. 275613 - 01; in precedenza, Sez. 2, n. 16656 del 20/04/2010, Privitera, Rv. 247350 - 01; Sez. 2, n. 36642 del 21/09/2007, Levanti, Rv. 238918 - 01) ad avviso del Collegio richiede un approfondimento in ordine alla conciliabilità di un orientamento, a lungo espresso dalla giurisprudenza di legittimità, con i principi di tipicità e tassatività della fattispecie incriminatrice.

E' necessario premettere, prima di affrontare la questione di diritto, che la casistica giudiziaria concernente il tema del delitto di estorsione, realizzato attraverso lo strumento contrattuale del rapporto di lavoro subordinato, presenta una molteplicità di forme di manifestazione, spaziando dalla fase dell'instaurazione del rapporto per giungere ai momenti esecutivi del contratto, momenti distinti e diversi (come si approfondirà in seguito) nel corso dei quali la parte economicamente più forte può ricorrere a una pluralità di clausole negoziali, o semplicemente approfittando del contesto economico sociale e dei riflessi sulle aspettative di lavoro della parte debole, per comprimere la capacità della controparte di scegliere liberamente se, e in quali termini, accedere alla conclusione di un accordo per la prestazione di attività di lavoro ovvero dare corso all'esecuzione del rapporto contrattuale; il che implica una serie numerosissima di condotte potenzialmente riconducibili alla nozione di minaccia, rilevante per la configurazione del delitto di estorsione, che può assumere carattere attivo o omissivo.

A dispetto della diversità delle singole fattispecie, il panorama della giurisprudenza di legittimità restituisce un quadro di assoluta coesione; è costante nella giurisprudenza di legittimità il richiamo al principio massimato secondo il quale "integra il delitto di estorsione la condotta del datore di lavoro che, approfittando della situazione del mercato del lavoro a lui favorevole per la prevalenza dell'offerta sulla domanda, costringe i lavoratori, con minacce larvate di licenziamento, ad accettare la corresponsione di trattamenti retributivi deteriori e non adeguati alla prestazioni effettuate"; ma la lettura delle motivazioni delle singole decisioni fa trasparire l'applicazione di quel principio a situazioni tra loro del tutto differenti (così che il medesimo principio è richiamato tanto in decisioni che fanno riferimento all'uso delle prospettazioni dei pregiudizi economici nei confronti di lavoratori nel corso dell'esecuzione del rapporto - cosi Sez. 2, n. 3724 del 29/10/2021, dep. 2022, Lattanzio, Rv. 282521 - 01 - così come in sentenze ove si apprezza l'incidenza delle condotte di minaccia nella fase genetica del rapporto - Sez. 2, n. 11107 del 14/2/2017, Tessitore, Rv. 269905-01; Sez. 2, n. 677 del 10/10/2014, dep. 2015, Di Vincenzo, Rv. 261553).

Di qui, la necessità di verificare se l'applicazione indifferenziata del principio ora ricordato a fattispecie tra loro diverse (perché relative d'un lato a situazioni riguardanti la fase di costituzione, di fatto o formale, di rapporti di lavoro, dall'altro a vicende che riguardano invece la fase di esecuzione di rapporti già instaurati) sia coerente con la tipicità della fattispecie incriminatrice.

1.5. Se è pacifico che la minaccia estorsiva è nozione multiforme (Sez. 2, n. 11922 del 12/12/2012, dep. 2013, Lavitela, Rv. 254797 - 01; Sez. 2, n. 2702 del 18/11/2015, dep. 2016, Nuti, Rv. 265821 - 01), il cui tratto comune è l'idoneità della condotta nell'incutere timore e nel coartare l'altrui volontà, va però considerato che la necessaria dipendenza del male minacciato dalla volontà dell'agente impone di verificare, ove la minaccia abbia carattere omissivo, che rispetto al male prospettato l'agente abbia l'obbligo giuridico di impedirlo (poiché solo chi abbia l'obbligo giuridico di evitare la realizzazione di un male o di prestare aiuto al soggetto in pericolo può minacciare l'omissione del proprio intervento: Sez. 2, n. 1295 del 28/03/1984, Bernardo, Rv. 164048 - 01).

Questa considerazione ha carattere dirimente nel verificare il ricorrere del delitto di estorsione nelle ipotesi in cui il soggetto agente prospetti alla potenziale persona offesa, in termini di minaccia, l'astensione dal porre in essere determinate condotte.

Allo stesso modo, anche il riscontro dell'effetto dannoso per la vittima, in conseguenza della mancata adesione alla richiesta del soggetto agente, va operato ponendo a raffronto la situazione patrimoniale della persona offesa, esistente al momento della prospettazione minacciosa, con quella conseguente alla realizzazione del male minacciato.

1.6. Fissate tali coordinate, è agevole constatare che la prospettazione da parte del datore di lavoro agli aspiranti dipendenti, al momento dell'assunzione e quindi prima che si sia instaurato un rapporto di lavoro, dell'alternativa tra la rinunzia, anche parziale, alla retribuzione formalmente concordata o ad altre prestazioni e la perdita dell'opportunità di lavoro, difetta in primo luogo del requisito della minaccia, non sussistendo prima della conclusione dell'accordo un diritto dell'aspirante lavoratore ad esser assunto a determinate condizioni, considerate altresì l'assenza di livelli minimi salariali, come dimostra l'esperienza contemporanea, e l'insussistenza "a favore del lavoratore subordinato (di) un diritto soggettivo alla parità di trattamento (...)", non essendo consentito "alcun controllo di ragionevolezza da parte del giudice sugli atti di autonomia, sia collettiva che individuale, sotto il profilo del rispetto delle clausole generali di correttezza e buona fede, che non sono invocabili in caso di eventuale diversità di trattamento non ricadente in alcuna delle ipotesi legali (e tipizzate) di discriminazione vietate" (Sez. Lav., Ordinanza n. 13617 del 02/07/2020, Rv. 658069 - 01; per l'analoga conclusione, in relazione alla prospettata stipula di contratti di locazione a condizioni diverse e meno favorevoli per il conduttore, vigente la normativa vincolistica del c.d. "equo canone", Sez. 2, n. 1295 del 28/03/1984, Bernardo, Rv. 164048 - 01; Sez. 2, n. 8751 del 08/03/1986, Silvestrini, Rv. 173621 - 01).

Manca, inoltre, il requisito dell'altrui danno, in ragione della preesistente condizione di disoccupazione per i lavoratori (che dovrebbero assumere la veste di persone offese), rispetto alla quale il mancato conseguimento di un'opportunità di impiego, rappresentante un dato di certo patrimonialmente positivo, non incide però negativamente sulla condizione reddituale della parte (in questo senso Sez. 6, n. 6620 del 03/12/2021, dep. 2022, Giovinazzo, Rv. 282903 - 01; Sez. 2, n. 21789 del 04/10/2018, dep. 2019; Roscino, Rv. 275783 - 09).

A diverse conclusioni deve, invece, giungersi nelle ipotesi in cui il datore di lavoro, per costringere i dipendenti ad accettare modifiche del rapporto di lavoro, in senso peggiorativo per le condizioni dei lavoratori, prospetti alla vittima la conseguenza - in caso di mancata adesione alle proposte di modifica delle condizioni originariamente pattuite - dell'interruzione del rapporto (mediante licenziamento o presentazione "forzata" di dimissioni: v. le ricordate Sez. 2, n. 11107 del 14/02/2017, Tessitore; Sez. 2, n. 677 del 10/10/2014, dep. 2015, Di Vincenzo, nonché Sez. 2, n. 50074 del 27/11/2013, Bleve, Rv. 257984 - 01; Sez. 2, n. 656 del 04/11/2009, dep. 2010, Perez, Rv. 246046 - 01; tra le decisioni non massimate, Sez. 2, n. 25979 del 4/5/2018, Magri; Sez. 2 n. 52607 del 31/10/2018, Del Villano); in tale condizione, si individuano sia il dato della minaccia, realizzata facendo ricorso ad uno strumento in sé rispondente ad una facoltà della parte contrattuale che viene però strumentalizzato come mezzo di coercizione dell'altrui volontà per finalità illecite (Sez. 2, n. 14325 del 08/03/2022, Coppola, Rv. 282980 - 01; Sez. 2, n. 34242 del 11/07/2018, Del Zompo, Rv. 273542 - 01; Sez. 6, n. 47895 del 19/06/2014, Vasta, Rv. 261217 - 01), sia il profitto del datore di lavoro - che consegue le medesime prestazioni lavorative violando il convenuto rapporto di corrispondenza con le proprie obbligazioni - sia il danno per la vittima, che viene privata di diritti già acquisiti per effetto della conclusione del contratto di lavoro.

1.7. Emerge, dunque, dalla comparazione delle decisioni su indicate come il discrimine che segna il confine tra ipotesi di opportunistica ricerca di forza lavoro tra categorie di soggetti in attesa di occupazione e condotte riconducibili al paradigma del delitto di estorsione è rappresentato dall'esistenza di un rapporto di lavoro già in atto, pur se solo di fatto o non conforme ai tipi legali, rispetto al quale integra il fatto tipico del delitto di cui all'art. 629 cod. pen. la pretesa di ottenere vantaggi patrimoniali da parte del datore di lavoro, attraverso la modifica in senso peggiorativo delle previsioni dell'accordo concluso tra le parti, destinate a regolare gli aspetti aventi rilevanza patrimoniale, prospettando l'interruzione del rapporto (attraverso il licenziamento del dipendente o l'imposizione delle dimissioni).

Il vantaggio perseguito (costituente ingiusto profitto) può essere rappresentato non solo da modificazioni delle pattuizioni contrattuali che riducano o eliminino diritti del lavoratore (ciò che costituisce il danno subito dalla persona offesa), consentendo al datore di lavoro risparmi di spesa o minori esborsi, ma anche dall'imposizione di formule contrattuali che, simulando la regolamentazione del rapporto in termini difformi da quelli reali e riconoscendo al dipendente livelli retributivi e indennità in realtà non corrisposte, comporta per il datore di lavoro il vantaggio di impiegare dipendenti con condizioni contrattuali apparentemente rispettose delle norme inderogabili a tutela dei diritti dei lavoratori, mentre costoro sono costretti a subire conseguenze patrimoniali negative (ad esempio, risultando percettori di redditi in misura superiore a quella reale, con i connessi obblighi tributari: per l'ipotesi della sottoscrizione di buste paga attestanti il pagamento di somme maggiori rispetto a quelle effettivamente versate, Sez. 2, n. 677 del 10/10/2014, dep. 2015, Di Vincenzo, cit.).

1.8. La Corte territoriale ha omesso di operare il necessario accertamento, per ciascuno dei lavoratori indicati nelle imputazioni come soggetti alle condotte di pressione psicologica da parte del ricorrente, diretto a verificare se le minacce messe in atto dall'imputato fossero dirette all'instaurazione del rapporto di lavoro a determinate condizioni ovvero se, in presenza di un rapporto già avviato, pur se "in nero", fossero rivolte alla rinuncia alle condizioni contrattuali convenute o ad altri diritti spettanti ai singoli lavoratori.

2. Il provvedimento impugnato, pertanto, deve essere annullato con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Palermo, che provvederà ad applicare il principio di diritto su enunciato accertando per ciascuno dei rapporti di lavoro individuati se le minacce poste in essere fossero finalizzate all'instaurazione del rapporto di lavoro, alle condizioni preventivamente imposte, o se siano state dirette a modificare le condizioni di rapporti di lavoro già avviati.

 

P.Q.M.


Annulla la sentenza impugnata limitatamente al delitto di estorsione con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte d'appello di Palermo.

Dichiara inammissibile nel resto il ricorso quanto al delitto di diffamazione e rimette ai giudici del rinvio anche la liquidazione delle spese tra le parti del presente giudizio

Così deciso il 10 Novembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2024.