REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO



Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCIARELLI Guglielmo
Dott. DE RENZIS Alessandro
Dott. PICONE Pasquale
Dott. IANNIELLO Antonio
Dott. CURZIO Pietro
- Presidente
- Consigliere
- Consigliere
- rel. Consigliere
- Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo studio dell'avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende, giusta mandato a margine del ricorso;

- ricorrente -

contro
T.M., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA MARTIRI DI BELFIORE 2, presso lo studio dell'avvocato CONCETTI DOMENICO, che lo rappresenta e difende giusta mandato a margine del controricorso;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 249/2005 del TRIBUNALE di NAPOLI, depositata il 10/06/2005 r.g.n. 41676/97;
udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del 03/03/2010 dal Consigliere Dott. IANNIELLO Antonio;
udito l'Avvocato CONCETTI DOMENICO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FUCCI Costantino, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.


Svolgimento del processo

Con ricorso notificato il 30 - 31 dicembre 2005, la s.p.a. Poste Italiane ha chiesto, con due motivi, la cassazione della sentenza del Tribunale di Napoli, quale giudice dell'appello, depositata in data 10 giugno 2005 e notificatale il 31 ottobre successivo, che, in riforma della decisione di primo grado, aveva accolto la domanda svolta nei suoi confronti del dipendente T.M., tendente ad ottenere una rendita da inabilità permanente da malattia professionale di tipo psichico, contratta a seguito di un trauma subito nel corso di una rapina a mano armata cui egli era stato coinvolto in data ***, quando lavorava presso l'ufficio postale di ***.

T.M. ha resistito alle domande con rituale controricorso.

Poste Italiane s.p.a. ha infine depositato una memoria ai sensi dell'art. 478 c.p.c..

Motivi della decisione

Col primo motivo, la società denuncia la violazione dell'art. 414 c.p.c. e il vizio di motivazione della sentenza.
Lamenta, al riguardo, di non avere ottenuto alcuna risposta alle obiezioni sollevate già in primo grado relativamente alla insufficiente esposizione, nell'atto introduttivo del giudizio, degli elementi di fatto costituenti la causa petendi del ricorso.
Col secondo motivo, la Poste Italiane s.p.a. deduce la violazione degli artt. 324, 112 c.p.c. e dell'art. 2697 c.c. nonché il vizio di motivazione.
Già in primo grado, la società aveva infatti contestato (e ribadito in appello) che potesse ravvisarsi un nesso di causalità tra l'episodio del *** e la malattia denunciata alcuni anni dopo, malattia del resto ad eziologia incerta, di contenuto autoreferenziato e di possibile origine multi fattoriale.

Ciononostante, la motivazione con cui il Tribunale aveva riformato la sentenza di primo grado (che appunto aveva escluso il nesso causale), aveva omesso ogni considerazione in ordine a tale questione, limitandosi ad affermare che dalla C.T.U. era emersa una malattia superiore alla soglia minima invalidante, cui è connesso il diritto alla prestazione richiesta, tale da consentire la concessione di questa.
Silenzio, che sarebbe da ritenere particolarmente grave alla luce del fatto che il C.T.U. incaricato dal giudice nel grado di appello, nel riconoscere la probabile eziologia professionale della malattia invalidante, avrebbe valorizzato non solo l'episodio del ***, ma anche altri episodi di rapine in cui il lavoratore era stato coinvolto in precedenza (almeno altri tre), mai menzionati dal lavoratore in giudizio.


Il primo motivo di ricorso è infondato, in quanto carente sotto il profilo dell'autosufficienza dello stesso (su cui, cfr., anche recentemente, Cass. nn. 5043/09, 4823/09 e 338/09), non avendo la società riprodotto il testo del ricorso introduttivo nella parte coinvolta dalla censura, ma unicamente la frase con cui nella memoria di costituzione in giudizio aveva lamentato che il ricorrente non aveva spiegato come l'episodio del *** da lui narrato avesse "potuto determinare una riduzione lavorativa tanto notevole " (che è censura notevolmente diversa da quella relativa alla mancata specificazione della causa pretendi), affermando che il giudice di primo grado l'aveva ritenuta superata, ma omettendo comunque di specificare se la medesima censura era stata poi riproposta in appello.

Il secondo motivo di ricorso è invece fondato.


Come rilevato dalla ricorrente e risultante dalla stessa parte narrativa della sentenza impugnata che ne aveva dato esplicitamente atto, la materia del contendere in appello riguardava principalmente l'esistenza del nesso causale tra l'episodio della rapina a mano armata del ***, che aveva coinvolto il T. e la malattia professionale denunciata.

Ciononostante, disposta una nuova C.T.U., il Tribunale ha accolto l'appello del T., sulla base della seguente testuale motivazione "Dalla consulenza svolta... è emerso, innanzitutto, una malattia superiore alla soglia minima invalidante, in quanto raggiunge il 12, 13%, tale da consentire la concessione del beneficio dalla domanda amministrativa. L'appellata va pertanto condannata alla costituzione della rendita... ".


Nessun esame è viceversa svolto nella sentenza in ordine alla questione del nesso causale, negato dal giudice di primo grado, in adesione all'eccezione della società, ribadita in appello e contrastata dall'appellante.

L'assoluta carenza di motivazione in ordine ad un punto controverso e decisivo determina l'invalidità della sentenza impugnata, con conseguente assorbimento delle altre questioni proposte.

La sentenza va pertanto cassata, con rinvio, anche per il regolamento delle spese di questo giudizio di cassazione, alla Corte d'appello di Napoli.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il primo motivo di ricorso e accoglie il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese di questo giudizio, alla Corte d'appello di Napoli.

Così deciso in Roma, il 3 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2010