Cassazione Civile, Sez. Lav., 06 maggio 2024, n. 12211 -  Sospensione del lavoratore no vax. Prima e seconda fase dell'obbligo vaccinale



 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO CIVILE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio - Presidente -

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa - Rel. Consigliere -

Dott. TRICOMI Irene - Consigliere -

Dott. BELLE' Roberto - Consigliere -

Dott. CAVALLARI Dario - Consigliere -

ha pronunciato la seguente

SENTENZA



sul ricorso 6783-2023 proposto da:

A.A., domiciliato ope legis presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, con diritto di ricevere le comunicazioni all'indirizzo PEC dell'avvocato MIRCO MINARDI, che lo rappresenta e difende;

- ricorrente -

contro

AZIENDA SANITARIA LOCALE TO3 DI COLLEGNO E PINEROLO, in persona del Direttore Generale pro tempore, domiciliata ope legis presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, con diritto di ricevere le comunicazioni all'indirizzo PEC dell'avvocato DARIO TINO VLADIMIRO GAMBA, che la rappresenta e difende;

- controricorrente -avverso la sentenza n. 606/2022 della CORTE D'APPELLO di TORINO, depositata il 09/01/2023 R.G.N. 348/2022;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/03/2024 dal Consigliere Dott. ANNALISA DI PAOLANTONIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MARIO FRESA che ha concluso per l'accoglimento del primo motivo del ricorso, assorbimento del secondo motivo; udito l'avvocato MIRCO MINARDI; udito l'avvocato DARIO TINO VLADIMIRO GAMBA.

 

Fatto


1. La Corte d'Appello di Torino ha accolto l'appello della Azienda Sanitaria Locale TO3 di Collegno e Pinerolo avverso la sentenza del Tribunale di Ivrea che aveva ritenuto fondate le domande proposte nei confronti dell'Azienda da A.A. e, accertata l'illegittimità del provvedimento di sospensione dal servizio e dalla retribuzione adottato il 23 novembre 2021, poi prorogato il 28 dicembre 2021, aveva condannato la Asl al pagamento delle somme che il ricorrente avrebbe percepito nel periodo di sospensione, terminato il 19 aprile 2022, data in cui il dipendente era stato riammesso in servizio.

2. La Corte territoriale, premesso che il provvedimento di sospensione era derivato dal rifiuto opposto dal A.A. a sottoporsi alla vaccinazione per la prevenzione dell'infezione da Sars Cov 2, non ha condiviso le conclusioni alle quali era pervenuto il Tribunale ed ha ritenuto irrilevante che l'appellato, inquadrato come operatore socio sanitario, fosse stato adibito a mansioni amministrative presso l'Anagrafe Zootecnica della struttura complessa Sanità Animale del Dipartimento di Prevenzione della Asl, ubicata in edificio non destinato alla cura o all'assistenza dei pazienti.

3. Ha rilevato, infatti, il giudice d'appello, richiamando le considerazioni espresse dalla stessa Corte distrettuale in fattispecie analoga, che l'obbligo vaccinale, originariamente imposto agli esercenti le professioni sanitarie e agli operatori di interesse sanitario, era stato esteso dall'art. 4 ter del d.l. n. 44/2021 ad ulteriori categorie di lavoratori e, in particolare, al "personale che svolge a qualsiasi titolo la propria attività lavorativa nelle strutture di cui all'art. 8 ter del decreto legislativo 30 dicembre 1992 n. 502, ad esclusione di quello che svolge attività lavorativa con contratti esterni...". Ha ritenuto che il legislatore ha voluto ricomprendere nella platea dei destinatari dell'obbligo vaccinale tutto il personale dipendente da soggetti giuridici, pubblici o privati, gestori di servizi sanitari e socio sanitari, senza operare alcuna distinzione fondata sulle mansioni e sulle caratteristiche delle sedi di assegnazione, includendovi, quindi, anche il personale amministrativo, e prescindendo del tutto dalle qualità dei luoghi ove l'attività veniva espletata.

4. Ha poi respinto le ulteriori eccezioni, riproposte dall'appellato e delle quali non si discute in questa sede, inerenti all'efficacia ed alla sicurezza della vaccinazione nonché alla legittimità costituzionale dell'obbligo vaccinale e della disciplina della sospensione.

5. Per la cassazione della sentenza A.A. ha proposto ricorso sulla base di due motivi, ai quali ha opposto difese con controricorso la ASL TO 3.

6. La Procura Generale ha depositato conclusioni scritte ed ha chiesto l'accoglimento del ricorso.

7. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ.
 

Diritto


1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia ex art. 360 cod. proc. civ. la violazione e falsa applicazione dell'art. 4 ter del d.l. n. 44/2021 ed addebita alla Corte territoriale di avere erroneamente ritenuto la fattispecie oggetto di causa sovrapponibile a quella decisa dal precedente richiamato nella motivazione, non avvedendosi del fatto che il provvedimento di sospensione era stato adottato il 23 novembre 2021, in epoca antecedente all'entrata in vigore del richiamato art. 4 ter, inserito dal d.l. n. 172/2021. La legittimità della sospensione andava vagliata sulla base della normativa vigente ratione temporis e, pertanto, doveva essere esclusa in quanto l'art. 4 del d.l. n. 44/2021 aveva limitato l'obbligo vaccinale ai soli esercenti le professioni sanitarie ed agli operatori sanitari, escludendo che lo stesso potesse essere esteso anche al personale amministrativo. Aggiunge, poi, il ricorrente che, tenuto conto delle finalità perseguite dal legislatore, occorreva valutare la natura delle mansioni in concreto espletate e non l'astratto profilo di inquadramento, sicché dovevano essere valorizzate le circostanze pacifiche dello svolgimento di attività di ufficio e dell'assegnazione ad una sede non utilizzata per la cura o l'assistenza dei pazienti.

2. La seconda critica, egualmente formulata ai sensi dell'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., assume, sotto altro profilo, la violazione dell'art. 4 ter del d.l. n. 44/2021, perché ha errato il giudice d'appello nell'affermare che con il termine "struttura" il legislatore ha inteso riferirsi al soggetto, pubblico o privato, che eroga servizi ospedalieri, sanitari e socio sanitari e non al luogo fisico in cui viene svolta la prestazione lavorativa. Il ricorrente sostiene che l'interpretazione dell'art. 8 ter del D.Lgs. n. 502/1992 prospettata dalla Corte territoriale stravolge il tenore letterale della disposizione, la quale in più parti utilizza termini (quali "realizzare", "costruire", "ampliamento" che possono riferirsi solo ai luoghi fisici nei quali l'attività sanitaria viene svolta.

3. I motivi, da trattare unitariamente in ragione della loro connessione logica e giuridica, sono fondati, ma nei soli limiti di seguito precisati.

E' preliminare ad ogni altra considerazione l'esame della normativa con la quale il legislatore, a fronte dell'emergenza sanitaria di rilevanza internazionale data dalla diffusione e gravità dell'epidemia da SARS- Cov 2 (che già l'11 marzo 2020 l'OMS aveva definito "pandemia"), ha adottato misure finalizzate a tutelare la salute pubblica e, fra queste, ha incluso la vaccinazione, che le più autorevoli voci scientifiche a livello mondiale indicavano come strumento idoneo a contrastare la diffusione del virus.

3.1. Con l'art. 4 del d.l. n. 44 del 1 aprile 2021, convertito con modificazioni nella legge n. 76 del 28 maggio 2021, è stato previsto l'obbligo vaccinale per "gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario di cui all'articolo 1, comma 2, della legge 1 ° febbraio 2006, n. 43, che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, nelle parafarmacie e negli studi professionali" e si è individuato nella vaccinazione, da somministrare nel rispetto del piano disciplinato dalla legge n. 178 del 2020, art. 1, comma 457, nonché delle indicazioni fornite dalle regioni, un "requisito essenziale per l'esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative dei soggetti obbligati".

Dall'obbligo vaccinale il legislatore ha esentato, fra gli appartenenti alle categorie sopra indicate, solo coloro che si trovavano in una condizione di "accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal medico di medicina generale". Nell'iniziale formulazione la norma, oltre a stabilire una rigida scansione di adempimenti a carico degli ordini professionali, delle regioni e province autonome, nonché delle aziende sanitarie locali (commi da 3 a 6, che non hanno specifica rilevanza ai fini di causa), prevedeva, al comma 6, che l'accertamento da parte dell'azienda sanitaria locale di mancato adempimento dell'obbligo vaccinale " determina la sospensione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS - Cov 2". Aggiungeva il comma 8 che il datore di lavoro, ricevuta comunicazione dell'accertamento, era tenuto ad adibire "il lavoratore, ove possibile, a mansioni, anche inferiori, diverse da quelle indicate al comma 6, con il trattamento corrispondente alle mansioni esercitate, e che, comunque, non implicano rischi di diffusione del contagio".

La disposizione si concludeva con la previsione, in caso di impossibilità di una diversa utilizzazione del prestatore, della sospensione dal servizio, accompagnata dalla privazione della retribuzione e di ogni altro emolumento, ed efficace sino all'assolvimento dell'obbligo vaccinale o, in mancanza, fino al completamento del piano vaccinale e comunque non oltre il 31 dicembre 2021 (comma 8: Quando l'assegnazione a mansioni diverse non è possibile, per il periodo di sospensione di cui al comma 9 non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominato; comma 9: La sospensione di cui al comma 6 mantiene efficacia fino all'assolvimento dell'obbligo vaccinale o, in mancanza, fino al completamento del piano vaccinale nazionale e comunque non oltre il 31 dicembre 2021.)

3.2. In questa prima fase, dunque, il bilanciamento fra il diritto del singolo tutelato dall'art. 32 Cost., comprensivo anche della libertà negativa di non essere assoggettato a trattamenti sanitari non richiesti o non accettati, e l'interesse della collettività alla tutela della salute pubblica, è stato realizzato dal legislatore prevedendo un modello che, come efficacemente evidenziato dalla Corte Costituzionale, "pur individuando in determinate categorie i destinatari dell'obbligo vaccinale, ne delimitava il perimetro in modo tale da rapportarlo al concreto svolgimento dell'attività lavorativa e ammettendo anche la possibilità di utilizzare diversamente, nel contesto lavorativo, coloro che non si sottoponessero alla vaccinazione" (Corte Cost. 9 ottobre 2023 n. 186).

Infatti il richiamo contenuto nel comma 1 alla categoria professionale, effettuato anche attraverso il rinvio alla legge n. 43 del 2006 (secondo cui sono professioni sanitarie infermieristiche, ostetrica, riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione, quelle previste ai sensi della legge 10 agosto 2000, n. 251, e del decreto del Ministro della sanità 29 marzo 2001, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 118 del 23 maggio 2001, i cui operatori svolgono, in forza di un titolo abilitante rilasciato dallo Stato, attività di prevenzione, assistenza, cura o riabilitazione), era accompagnato anche dalla specifica indicazione del luogo di svolgimento dell'attività lavorativa, con l'effetto di escludere l'obbligo vaccinale per gli appartenenti alla categoria impegnati diversamente; la previsione della vaccinazione quale requisito essenziale per lo svolgimento della professione o dell'attività lavorativa, andava correlata alla ritenuta inidoneità allo svolgimento non di qualsivoglia prestazione bensì solo di quelle comportanti contatti interpersonali e/o rischio di diffusione del contagio; la sospensione dall'attività e la conseguente privazione della retribuzione erano subordinate alla previa verifica della impossibilità di utilizzare diversamente il lavoratore non vaccinato.

4. Peraltro la scelta inizialmente operata è stata ripensata dal legislatore che, a seguito dell'aggravarsi della situazione sanitaria, ha reso più stringenti i vincoli posti alle categorie che qui vengono in rilievo e con il d.l. 26 novembre 2021 n. 172, convertito dalla legge 21 gennaio 2022 n. 3, ha modificato il testo del richiamato art. 4 del d.l. n. 44 del 2021 ed in particolare:

a) al comma 1 ha soppresso l'inciso che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, nelle parafarmacie e negli studi professionali, di modo che all'esito della riformulazione i destinatari dell'obbligo vaccinale sono stati individuati sulla base della sola categoria professionale di appartenenza, senza alcuna considerazione dei servizi e dei luoghi di espletamento dell'attività lavorativa;

b) è stato parimenti soppresso il potere/dovere del datore di lavoro, previsto dal comma 8 del testo originario, di adibire il lavoratore non vaccinato a mansioni non comportanti rischio di diffusione del contagio, potere/dovere che è rimasto circoscritto alla sola ipotesi di vaccinazione non effettuata a causa di accertato e documentato pericolo per la salute;

c) all'accertamento del rifiuto della vaccinazione è stata correlata la sospensione dall'esercizio della professione sanitaria nella sua interezza e non delle sole prestazioni implicanti contatti interpersonali;

d) è stato inserito il comma 10 dell'art. 4 secondo cui Per la verifica dell'adempimento dell'obbligo vaccinale da parte degli operatori di interesse sanitario di cui al comma 1, si applicano le disposizioni di cui all'articolo 4-ter, commi 2, 3 e 6. 4.1. L'art. 4 ter, richiamato dal citato comma 10 del riformulato art. 4 ed inserito nel testo dell'originario d.l. n. 44 del 2021 sempre dal d.l. n. 172 del 2021, oltre ad ampliare, al comma 1 ed a partire dal 15 dicembre 2021, le categorie professionali soggette all'obbligo vaccinale, ha dettato una specifica disciplina degli adempimenti posti a carico dei dirigenti preposti alle strutture alle quali l'obbligo vaccinale è stato esteso, al fine di assicurare il pronto accertamento dell'avvenuto rispetto dell'obbligo medesimo (comma 3).

Ha poi previsto, ricalcando l'analoga disposizione contenuta nell'art. 4, comma 6, che "L'atto di accertamento dell'inadempimento determina l'immediata sospensione dal diritto di svolgere l'attività lavorativa, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro. Per il periodo di sospensione, non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominati." (comma 3).

Infine, e la previsione assume particolare rilievo ai fini di causa per quanto si dirà in prosieguo, sul presupposto della contrarietà a diritto dello svolgimento di attività lavorativa in violazione dell'obbligo vaccinale, il legislatore ha previsto, al comma 5, che "Lo svolgimento dell'attività lavorativa in violazione dell'obbligo vaccinale di cui al comma 1 è punito con la sanzione di cui al comma 6 e restano ferme le conseguenze disciplinari secondo i rispettivi ordinamenti di appartenenza", ed ha affermato l'applicabilità della medesima sanzione alle categorie di personale soggette all'obbligo vaccinale ai sensi (degli artt. 4 e 4 bis del decreto legge, come riformulato (Le disposizioni di cui al primo periodo si applicano anche in caso di esercizio della professione o di svolgimento dell'attività lavorativa in violazione degli obblighi vaccinali di cui agli articoli 4 e 4-bis.). In particolare il comma 6 dell'art. 4 ter, nel rinviare alla disciplina delle sanzioni dettata dall'art. 4 del d.l. n. 19 del 2020 (riferibile alla violazione delle misure di contenimento dettate per evitare la diffusione del COVID 19), ha precisato che " Per le violazioni di cui al comma 5, la sanzione amministrativa prevista dal comma 1 del citato articolo 4 del  decreto-legge n. 19 del 2020 è stabilita nel pagamento di una somma da euro 600 a euro 1.500".

E' poi significativo osservare che il legislatore, rendendo evidente la doverosità della vaccinazione e l'assenza di qualsivoglia discrezionalità da parte dei datori di lavoro, abbia assoggettato a sanzione anche quest'ultimi in caso di omissione degli adempimenti necessari al fine di assicurare il rispetto dell'obbligo vaccinale.

Infatti il comma 6, nel prevedere che "La violazione delle disposizioni di cui al comma 2 è sanzionata ai sensi dell'articolo 4, commi 1, 3, 5 e 9, del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2020, n. 35. " deve essere riferito all'inciso "I dirigenti scolastici e i responsabili delle istituzioni di cui al comma 1, lettera a), i responsabili delle strutture in cui presta servizio il personale di cui al comma 1, lettere b), c) e d), assicurano il rispetto dell'obbligo di cui al comma 1.", atteso che lo svolgimento di attività lavorativa in assenza dell'assolvimento dell'obbligo, e, quindi, del requisito richiesto dalla prima parte del comma 2, è già autonomamente considerato e sanzionato nel comma 5 della disposizione.

4.2. Quanto alle categorie interessate all'estensione dell'obbligo vaccinale, il legislatore ha incluso, al comma 1, lett. c, il "personale che svolge a qualsiasi titolo la propria attività lavorativa nelle strutture di cui all'articolo 8-ter del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, ad esclusione di quello che svolge attività lavorativa con contratti esterni, fermo restando quanto previsto dagli articoli 4 e 4-bis".

Le strutture individuate per mezzo del rinvio al D.Lgs. n. 502/1992 (di Riordino della disciplina in materia sanitaria), sono quelle soggette alla specifica autorizzazione disciplinata dal citato art. 8 ter, in quanto destinate all'esercizio di attività sanitaria e sociosanitaria, ossia le strutture, elencate alle lettere da a) a c) del comma 1, che erogano prestazioni in regime di ricovero ospedaliero a ciclo continuativo o diurno per acuti (lettera a), oppure di assistenza specialistica in regime ambulatoriale, ivi comprese quelle riabilitative, di diagnostica strumentale e di laboratorio (lett.b), o, infine, che erogano prestazioni sanitarie o sociosanitarie in regime residenziale, a ciclo continuativo o diurno (lett. c).

4.3. Va detto subito che della disposizione in commento la Corte territoriale ha dato un'interpretazione che mortifica il tenore letterale della legge, la quale si riferisce con chiarezza, non all'attività sanitaria o socio sanitaria svolta in generale dal datore di lavoro, bensì alla natura delle prestazioni erogate dalle singole strutture delle quali il soggetto, pubblico o privato operante nel campo sanitario, si avvale.

L'obbligo dell'autorizzazione disciplinata dall'art. 8 ter del D.Lgs. n. 502/1992 è stato previsto dal legislatore per la costruzione, l'adattamento, la diversa utilizzazione, l'ampliamento, la trasformazione, il trasferimento delle "strutture analiticamente indicate nel testo normativo, sul presupposto che, poiché in quelle strutture si svolgono attività che possono mettere a rischio la salute e la sicurezza del paziente, occorre previamente verificarne l'idoneità sotto il profilo strutturale, tecnologico ed organizzativo (comma 4).

Ne discende che il comma 1, lett. c), dell'art. 4 ter del d.l. n. 44/2021 (inserito dal d.l. 172/2021), non ha inteso estendere l'obbligo vaccinale a tutti i dipendenti delle aziende operanti in campo sanitario e socio sanitario, a prescindere dalla qualifica posseduta e dalla natura dell'attività lavorativa espletata, bensì ha voluto affiancare, quanto alla necessità della vaccinazione, alle categorie contemplate nell'art. 4 i lavoratori che, pur non rientrando nelle prime, in quanto operanti nelle strutture analiticamente indicate dal citato art. 8, avrebbero potuto esporre a pericolo di contagio i pazienti o gli utenti dei servizi socio sanitari tassativamente indicati dal legislatore, escludendo, invece, dal rispetto dell'obbligo vaccinale il personale che, oltre a rivestire una qualifica diversa da quella di operatore sanitario, era chiamato a svolgere la propria attività in luoghi non destinati all'erogazione delle prestazioni sanitarie o socio sanitarie.

4.4. Con il d.l. 26 novembre 2021 n. 172, quindi, la scelta del legislatore, finalizzata ad assicurare adeguate condizioni di sicurezza nell'erogazione delle prestazioni di cura ed assistenza ovvero di servizi svolti a contatto con persone in situazioni di fragilità, è stata quella, da un lato, di imporre l'obbligo vaccinale al personale indicato dal comma 1 del riformulato art. 4 (e quindi agli esercenti le professioni sanitarie ed agli operatori di interesse sanitario di cui all'art. 1 della legge n. 43/2006) sulla base della sola categoria di appartenenza ed a prescindere dal luogo e dalle modalità individuali di svolgimento dell'attività; dall'altro di estendere l'obbligo medesimo al personale dipendente in possesso di altre qualifiche, purché impegnato, a qualsiasi titolo, nelle strutture indicate dall'art. 8 del D.Lgs. n. 502/1992, anche in tal caso a prescindere da accertamenti sulle modalità di espletamento delle mansioni.

E' stato, quindi, adottato un sistema "per categorie già predeterminate (individuate in base alla professione ed al luogo di svolgimento) che grazie al suo carattere semplificato e automatico basato sulla semplice riconducibilità ad esse consentiva di rimettere l'attività di accertamento e monitoraggio agli ordini professionali competenti ed ai datori di lavoro" con la finalità di "evitare una capillare e costante operazione di verifica della sussistenza e del mantenimento di una situazione (astrattamente) idonea ad evitare il contagio in modo da scongiurare, per le strutture a ciò deputate, un aggravio insostenibile in termini di tempi, costi e utilizzo di personale altrimenti impiegabile su fronti più urgenti " (Corte Cost. n. 186/2023).

E' sulla base di detta premessa che la Corte Costituzionale ha ritenuto non irragionevole la scelta del legislatore di imporre, con la modifica attuata dal d.l. n. 172/2021, la vaccinazione anche al personale che, nella vigenza dell'originario testo dell'art. 4 del d.l. n. 44/2021, era stato impiegato in servizio in modalità di lavoro agile, personale al quale la prestazione lavorativa con detta modalità poteva essere consentita alla luce del testo originario della norma, non più in un sistema fondato sull'imposizione dell'obbligo vaccinale per categorie, a prescindere dalle concrete modalità di svolgimento della prestazione stessa (Corte Cost. n. 186/2023).

4.5. La stessa Corte Costituzionale, in altra pronuncia, nel ritenere non fondate le plurime questioni di legittimità prospettate dai giudici rimettenti, ricostruita l'evoluzione del quadro normativo, ha sottolineato che con la modifica introdotta dal d.l. n. 172/2021 il legislatore ha scelto di non esigere più dal datore di lavoro uno sforzo di cooperazione volto all'utilizzazione del personale inadempiente in altre mansioni ed ha ritenuto non irragionevole detta scelta, in considerazione delle finalità di tutela della salute pubblica che attraverso la stessa, nella situazione di emergenza venutasi a delineare, si intendeva perseguire (si rimanda a Corte Cost. n. 14/2023). Ha, poi, evidenziato, e le considerazioni espresse vanno integralmente richiamate perché condivise da questa Corte, che, una volta venuto meno, in relazione alle categorie sottoposte all'obbligo vaccinale, il dovere datoriale di repechage il rifiuto della prestazione offerta dal lavoratore non vaccinato non integra mora credendi, perché fondato sulla carenza di un requisito essenziale di carattere sanitario per lo svolgimento della prestazione stessa e ciò giustifica anche la sospensione dell'obbligo retributivo e la mancata previsione dell'assegno alimentare perché, se il riconoscimento di quest'ultimo "si giustifica alla luce della necessità di assicurare al lavoratore un sostegno allorquando la temporanea impossibilità della prestazione sia determinata da una rinuncia unilaterale del datore di lavoro ad avvalersene e da atti o comportamenti che richiedono di essere accertati in vista della prosecuzione del rapporto, ben diverso è il caso in cui, per il fatto di non aver adempiuto all'obbligo vaccinale, è il lavoratore che decide di sottrarsi unilateralmente alle condizioni di sicurezza che rendono la sua prestazione lavorativa, nei termini anzidetti, legittimamente esercitabile".

5. Tirando le fila del discorso, ribadito che nel tempo il legislatore ha ritenuto di modificare, estendendola, la platea dei destinatari dell'obbligo vaccinale, va detto che la legittimità delle sospensioni disposte dal datore di lavoro in conseguenza del mancato adempimento di detto obbligo deve essere verificata sulla base della disciplina vigente ratione temporis e, pertanto, nella prima fase, che va dall'entrata in vigore del d.l. n. 44/2021 (1 aprile 2021) sino all'entrata in vigore del d.l. n. 172/2021 (26 novembre 2021), la sospensione medesima poteva riguardare unicamente gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori sanitari che fossero impegnati nelle attività indicate nel comma 1 dell'art. 4 (strutture sanitarie, sociosanitarie, socio assistenziali, farmacie, parafarmacie e studi professionali), a condizione che gli stessi non potessero essere utilizzati dal datore di lavoro, pubblico o privato, in mansioni non implicanti rischi di diffusione del contagio.

Nella seconda fase, invece, iniziata con l'entrata in vigore del d.l. 172/2021, la sospensione, a partire dal 15 dicembre 2021 (ossia dalla data indicata nell'art. 4 ter, comma 1, del richiamato d.l. ai fini della concreta operatività dell'estensione dell'obbligo vaccinale) doveva essere disposta, in caso di rifiuto della vaccinazione e senza alcuna discrezionalità da parte del datore di lavoro (cfr. Cass. S.U. n. 9403/2023), per tutti gli appartenenti alle categorie indicate nell'art. 4, comma 1, in ragione della sola qualifica posseduta ed a prescindere da qualunque valutazione sulle mansioni espletate e sui luoghi in cui le stesse venivano rese, con conseguente ricomprensione nella platea dei destinatari anche dei lavoratori che, sulla base della normativa in precedenza vigente, erano stati assegnati alle funzioni previste dal testo originario dell'art. 4, comma 8, del d.l. n. 44/2021 (si rimanda sul punto alla già citata Corte Cost. n. 186/2023 riguardante il servizio svolto nella modalità del lavoro agile).

A questi dipendenti, individuati sulla base della sola categoria di appartenenza, sono stati affiancati quelli che, pur assunti con profili professionali diversi da quelli menzionati nell'art. 4, risultavano assegnati, con qualunque mansione, alle strutture aventi le caratteristiche indicate nell'art. 8 ter del D.Lgs. n. 502/1992.

6. L'estensione della platea dei soggetti tenuti all'obbligo della vaccinazione ha, dunque, comportato che gli operatori sanitari che nella prima fase erano esentati (in ragione dell'attività in concreto svolta) o potevano fare affidamento sull'obbligo del repechange imposto al datore di lavoro, nella seconda fase, persistendo il rifiuto, sono divenuti, per espressa volontà del legislatore, inidonei allo svolgimento dell'attività lavorativa, con le conseguenze di cui sopra si è già dato conto, quanto alla necessità della sospensione ed alla sanzionabilità della condotta tenuta in violazione del divieto posto dalla normativa sopravvenuta.

7. Detta evoluzione va apprezzata anche nei casi in cui si discute della legittimità di provvedimenti di sospensione adottati nella vigenza dell'originario art. 4 del d.l. n. 44/2021 perché, sebbene la valutazione sulla legittimità del provvedimento debba essere espressa in relazione alla normativa vigente ratione temporis, nondimeno dello ius superveniens occorre tener conto per determinare le conseguenze che derivano dall'eventuale illegittimità della sospensione medesima, se disposta nella prima fase in violazione della normativa di legge.

Si è già ricordato che la Corte Costituzionale, nell'escludere l'illegittimità costituzionale della norma nella parte in cui prevede anche la sospensione dell'obbligo retributivo ha condivisibilmente evidenziato che questo obbligo, in assenza di prestazione, può sorgere solo in presenza di mora credendi del datore di lavoro, ossia di rifiuto ingiustificato dell'attività lavorativa che, invece, il dipendente avrebbe potuto legittimamente rendere.

Ne discende che affinché il prestatore, sospeso dal servizio, possa pretendere a titolo risarcitorio le retribuzioni non corrisposte sino alla successiva riammissione, è necessario che lo stesso non si trovasse nelle condizioni richieste dalla normativa per essere sottoposto all'obbligo vaccinale, e ciò con riferimento ad entrambe le fasi di cui si è dato conto.

Qualora, invece, il dipendente, illegittimamente sospeso nella vigenza del testo originario del d.l. n. 44 del 2021 perché non ricompreso fra i destinatari dell'obbligo, lo sia diventato a seguito delle modifiche apportate dal d.l. n. 172/2021, nessuna pretesa risarcitoria lo stesso potrà far valere per il periodo successivo all'entrata in vigore della nuova normativa, atteso che, esteso l'obbligo vaccinale e persistendo il rifiuto, la sua prestazione non sarebbe stata comunque utilizzabile da parte del datore, in ragione del divieto posto dal legislatore.

In tal caso, quindi, la risarcibilità del danno si arresta al 15 dicembre 2021, ossia alla data a partire dalla quale sono divenute operanti le estensioni dell'obbligo vaccinale, perché il diritto sopravvenuto, che certo non può valere a conferire retroattivamente legittimità ad una sospensione che tale non era al momento della sua adozione, vale, però, ad escludere che le retribuzioni perse a partire da detta data possano integrare un danno ingiusto risarcibile. Ciò in quanto, divenuta irricevibile la prestazione di lavoro sulla base dello ius superveniens, viene meno la mora credendi che del risarcimento da illegittima sospensione costituisce il necessario presupposto.

Al riguardo è bene precisare che dal complesso delle disposizioni dettate dal legislatore, che si è cercato di riassumere negli aspetti essenziali, si evince che, sorto l'obbligo di legge a partire dalla data sopra indicata, l'attività imposta ai datori di lavoro aveva solo finalità accertativa dell'avvenuto rispetto dell'obbligo medesimo, sicché anche l'eventuale omissione da parte del datore di lavoro della procedura indicata dal comma 3 (omissione passibile di sanzione amministrativa) non rende possibile e lecita una prestazione ormai vietata dal chiaro disposto della legge.

8. Venendo al caso che ci occupa va detto che la Corte territoriale ha fondato la decisione su una non condivisibile interpretazione dell'art. 4 ter del d.l. n. 44/2021, nella parte in cui rinvia, all'art. 8 ter del D.Lgs. n. 502/1992, ed inoltre, pur dando atto che il provvedimento di sospensione era stato adottato il 23 novembre 2021, non ne ha valutato la legittimità sulla base della normativa vigente al momento dell'adozione dell'atto.

La sentenza impugnata va, dunque, cassata con rinvio alla Corte territoriale indicata in dispositivo che procederà ad un nuovo esame da condurre nel rispetto dei principi di diritto che, sulla base delle considerazioni sopra esposte, di seguito si enunciano:

1) l'art. 4 del d.l. 1.4.2021 n. 44, nel testo originario, ha imposto l'obbligo vaccinale ai soli operatori di interesse sanitario di cui all'art. 1, comma 2, della legge n. 43/2006 impegnati nelle strutture indicate nel comma 1 della disposizione e ne ha consentito la sospensione, in caso di rifiuto, subordinatamente alla dimostrazione dell'impossibilità di utilizzazione dell'operatore in mansioni non implicanti contatti interpersonali e rischio di diffusione del contagio;

2) lo stesso art. 4, nel testo riformulato dal d.l. 26 novembre 2021 n. 172, ha esteso l'obbligo vaccinale a tutti gli appartenenti alle categorie indicate nel comma 1, a prescindere dalle mansioni espletate e dai luoghi di esercizio dell'attività e, a partire dal 15 dicembre 2021, l'art. 4 ter del d.l. n. 172/2021 ha imposto l'obbligo vaccinale anche ai dipendenti inquadrati in categorie diverse da quelle sopra indicate, purché impegnati a rendere la prestazione lavorativa nelle strutture sanitarie e socio sanitarie elencate nell'art. 8 ter del D.Lgs. n. 502/1992;

3) il dipendente sospeso dal servizio in assenza delle condizioni richieste dalla legge vigente ratione temporis ha diritto al risarcimento del danno pari alle retribuzioni perse, a condizione che la prestazione lavorativa potesse essere dallo stesso legittimamente resa, sicché la successiva ricomprensione nella platea dei destinatari dell'obbligo di vaccinazione, rendendo illecita la prestazione medesima, esclude anche la risarcibilità del danno.

Alla Corte territoriale è demandato il regolamento delle spese del giudizio di cassazione.

Non sussistono le condizioni processuali di cui all'art. 13 c. 1 quater d.P.R. n. 115 del 2002, ai fini del raddoppio del contributo unificato.

 

P.Q.M.


La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'Appello di Torino in diversa composizione alla quale demanda di provvedere anche al regolamento delle spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 6 marzo 2024.

Depositata in Cancelleria il 6 maggio 2024.