REPUBBLICA ITALIANA
In nome del popolo italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sezione III Penale


composta dagli ill.mi signori Magistrati:
dott. Guido De Maio Presidente
1. dott. Agostino Cordova
2. dott. Mario Gentile
3. dott. Giovanni Amoroso
4. dott. Giulio Sarno
ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da *** n. *** il ***
avverso la sentenza del 21.7.2009 del tribunale di Orvieto
Udita la relazione fatta in pubblica udienza dal Consigliere Giovanni Amoroso;
Udito il P.M., in persona del S. Procuratore Generale dott. Guglielmo Passacantando che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Udito l'avv. Vitale Stefanelli per il ricorrente che ha concluso per l'accoglimento del ricorso;
la Corte osserva:

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO


1. In data 9 gennaio 2008 il Pubblico Ministero presso la Procura della Repubblica di Orvieto emetteva decreto di citazione diretta a giudizio nei confronti di *** che veniva tratto innanzi al tribunale di Orvieto per rispondere dei seguenti reati:
a) della contravvenzione p. e p. dall'art. 13 in relazione all'art. 389 lett. c) d.P.R. 547/55, perché, in qualità di datore di lavoro e di legale rappresentante della *** chiudeva con lucchetto le porte delle uscite di emergenza che risultavano, altresì, ingombre di materiale;
b) della contravvenzione p. e p. dall'art. 34 in relazione all'art. 389 lett. b) d.P.R. 547/55, perché, nelle medesime qualità di cui al capo che precede, non manteneva in efficienza la rete idrica antincendio esterna ed interna che risultava priva di acqua;
c) della contravvenzione p. e p. dall'art. 2, comma 1, in relazione all'art. 8, comma 1 lett. a) d.P.R. 547/55, perché, nelle medesime qualità di cui al capo a) di imputazione, non dotava ì luoghi di lavoro di apposita segnaletica di sicurezza;
d) della contravvenzione p. e p. dall'art. 31 in relazione all'art. 389 lett. c) d.P.R. 547/55, perché, nelle medesime qualità di cui al capo a) della imputazione, non dotava i luoghi di lavoro di mezzi di illuminazione sussidiaria da impiegare in caso di necessità;
e) della contravvenzione p. e p. dall'art. 4, comma 2 lett. a) in relazione all'art. 89, comma 1, d.lgs. 626/94, perché, in qualità di datore di lavoro, non redigeva una relazione sulla valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute dei dipendenti durante il lavoro;
f) della contravvenzione p. e p. dall'art. 22 in relazione all'art. 89, comma 2 lett. a), d.lgs. 626/94, perché, in qualità di datore di lavoro, non assicurava che ciascun lavoratore ricevesse una formazione sufficiente ed adeguata in materia di sicurezza e di salute, con particolare riferimento all'antincendio;
g) della contravvenzione p. e p. dall'art. 13 in relazione all'art. 389 lett. c) d.P.R. 547/55, perché, in qualità di datore di lavoro e di legale rappresentante della ***; chiudeva con lucchetto le porte delle uscite di emergenza che risultavano, altresì, ingombre di materiale;
h) della contravvenzione p. e p. dall'art. 34 in relazione all'art. 389 lett. b) d.P.R. 547/55, perché, nelle medesime qualità di cui al capo che precede, non manteneva in efficienza la rete idrica antincendio esterna ed interna che risultava priva di acqua;
i) della contravvenzione p. e p. dall'art. 31 in relazione all'art. 389 lett. c) d.P.R. 547/55, perché, nelle medesime qualità di cui al capo g) della imputazione, non dotava i luoghi di lavoro di mezzi di illuminazione sussidiari da impiegare in caso di necessità;
j) della contravvenzione p. e p. dall'art, 1 in relazione all'art. 5, comma 1 Legge 818/1984, perché, nelle medesime qualità di cui al capo g) di imputazione, titolare di certificato di prevenzione incendi n. 15521 del 10.11.2004, ometteva di richiederne nuovamente il rilascio avendo apportato, dopo tale data, modifiche strutturali nei luoghi di lavoro.
In via preliminare l'imputato ed il suo difensore formulavano richiesta di ammissione all'oblazione speciale di cui all'art. 162 bis c.p. che, pur all'esito di cospicua produzione documentale che dava atto dell'attività posta in essere successivamente alla contestazione delle violazioni per cui è processo, veniva rigettata in ragione della mancata eliminazione di tutte le conseguenze dannose o pericolose dei fatti.
Nel corso del dibattimento, quindi, previa ammissione delle prove richieste dalle parti, si procedeva all'istruzione dibattimentale mediante l'acquisizione della documentazione prodotta dalle parti e l'esame del teste ***, in servizio presso il Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Terni.
Con sentenza del 21.7.2009 il tribunale di Orvieto dichiarava *** responsabile dei reati a lui ascritti in rubrica e, concesse le circostanze attenuanti generiche e ritenuti i medesimi reati avvinti dal nesso della continuazione, lo condanna alla pena di euro 3.250,00 di ammenda, oltre al pagamento delle spese processuali.
Disponeva che la pena inflitta rimanesse sospesa nei termini ed alle condizioni di legge.
2. Avverso questa pronuncia l'imputato propone ricorso per cassazione con tre motivi.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo del ricorso, con cui il ricorrente denuncia la violazione dell'art. 162 bis c.p., è infondato avendo il tribunale motivato in ordine alla mancata ammissione all'oblazione mancando la prova della eliminazione delle conseguenze dannose e pericolose dei reati. Cfr. Cass., sez. I, 10 dicembre 1996, Cinque, che ha affermato che la permanenza di conseguenze dannose o pericolose del reato eliminabili da parte del contravventore è condizione ostativa alla speciale oblazione di cui all'art. 162 bis c.p.; il giudice, nell'ammettere l'imputato all'oblazione, è tenuto ad accertare anche d'ufficio se tale ostacolo non esista, o sia venuto meno, giustificando il suo convincimento con una seppur succinta motivazione, così come nella specie ha fatto il tribunale di Orvieto.
2. Il secondo motivo, con cui il ricorrente lamenta che è stata applicata una pena quasi tre volte maggiore di quella prevista dalla legge per tale ipotesi di reato, è fondato.
L'art. 389, primo comma, lett. c), d.P.R. n. 547 del 1955, come modificato dall'art. 26, d.lg. 19 dicembre 1994, n. 758, prevede che i datori di lavoro e i dirigenti sono puniti con l'arresto sino a tre mesi o con l'ammenda da lire cinquecentomila a lire due milioni per la inosservanza di tutte le altre norme, diverse da quelle indicate nelle precedenti lettere a) e b) e tale è quella di cui alla rubrica sub a) ossia l'art. 13 d.P.R. 547/55, che il tribunale di Orvieto ha considerato come la più grave al fine di determinare la pena base su cui applicare l'aumento per la continuazione dei reati.
Quindi la pena massima dell'ammenda per l'ipotesi sub c) è di € 1.032,00 mentre illegittimamente il tribunale di Orvieto ha considerato come pena base quella di € 4.000,00 di ammenda.
3. Anche il terzo motivo del ricorso, con cui si denuncia la violazione dell'art. 163 e 164 c.p., è fondato.
Questa Corte (Cass., sez. I, 11 novembre 2004 - 24 novembre 2004, n. 45484) ha infatti affermato che in caso di condanna a pena dell'ammenda sospesa condizionalmente il giudice ha il dovere di motivare sull'utilità della concessione del beneficio rispetto al contrario interesse dell'imputato a non giovarsene in relazione alla levità della pena pecuniaria; motivazione che nella specie manca nell'impugnata sentenza.
4. Pertanto il ricorso accolto nei limiti suddetti e conseguentemente va annullata la sentenza impugnata con rinvio al tribunale di Orvieto quanto alla determinazione della pena e alla concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena stessa; va poi rigettata nel resto il ricorso.

PER QUESTI MOTIVI

la Corte annulla la sentenza impugnata con rinvio al tribunale di Orvieto limitatamente alla determinazione della pena e alla concessione del beneficio della sospensione condizionale; rigetta nel resto.

Così deciso in Roma, 5 maggio 2010

Depositata in cancelleria il 12 luglio 2010