Cassazione Penale, Sez. 4, 22 maggio 2024, n. 20207 - Elettro-folgorazione mortale in un cantiere edile. Piani di sicurezza e responsabilità del titolare dell'impresa appaltatrice



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta da:

Dott. CIAMPI Francesco Maria - Presidente

Dott. BELLINI Ugo - Relatore

Dott. PEZZELLA Vincenzo - Consigliere

Dott. MARI Attilio - Consigliere

Dott. CIRESE Marina - Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA
 


sul ricorso proposto da:

A.A., nato a S il (omissis);

avverso la sentenza del 06/03/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere UGO BELLINI;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore LUIGI ORSI che ha concluso chiedendo pronunciarsi l'inammissibilità del ricorso;

lette le conclusioni delle parti civili costituite B.B., C.C. e D.D.che hanno chiesto il rigetto del ricorso e depositato nota spese.

Lette le conclusioni scritte della difesa dell'imputato che, nell'insistere nell'accoglimento del ricorso, ha eccepito l'intervenuta prescrizione del reato.

 

Fatto


1. La Corte di Appello di Napoli, con sentenza pronunciata in data 6 Marzo 2023 ha confermato la decisione del Tribunale di S.M. Capua Vetere che aveva riconosciuto A.A. colpevole del reato di omicidio colposo con inosservanza delle disposizioni antinfortunistiche ai danni di E.E. deceduto per elettro-folgorazione mentre era intento, unitamente a F.F., ad eseguire operazioni di getto di calcestruzzo in un cantiere edile in Ailano allorquando il braccio mobile dell'autopompa, collegato alla betoniera, aveva interferito con una linea elettrica aerea collocata in corrispondenza del luogo di lavoro.

2. In particolare all'imputato A.A., titolare della ditta edile V.V. Costruzioni Srl che stava eseguendo gli interventi edili, era contestata l'inosservanza dell'art.96 comma 1 lett. g), D.Lgs. n.81/2008 per non avere contemplato nel POS il rischio connesso alla elettro-folgorazione dei propri dipendenti e delle persone che fossero chiamate ad operare nel cantiere ove stava svolgendo le operazioni edili, pur in presenza di rischio contemplato nel PSC, che appunto prevedeva il mantenimento di una distanza di cinque metri dai punti interessati dal passaggio dell'elettrodotto, nonché dell'art.97 comma 1 stesso testo per non avere vigilato sulla sicurezza nel corso delle lavorazioni e sull'applicazione delle prescrizioni pure contenute nel piano di sicurezza e coordinamento e infine dell'art.97 comma 3, per non avere definito le aree e le vie di spostamento e di circolazione all'interno del cantiere con la scelta della ubicazione dei posti di lavoro, tenendo conto della fonte di pericolo rappresentata dalla presenza dell'elettrodotto.

3. A fronte delle censure sviluppate nei motivi di appello secondo le quali il fornitore del calcestruzzo essendo tenuto altresì alla gettata dello stesso, avrebbe dovuto predisporre un autonomo POS e intercettare, anche nella fase esecutiva, i rischi connessi alla gettata del calcestruzzo in prossimità di un'area interessata dalla presenza di un elettrodotto, il giudice distrettuale evidenziava che, pur in presenza di opera specialistica affidata ad una ditta esterna che avrebbe dovuto operare in sub appalto, all'interno di un cantiere in cui era presente l'impresa esecutrice degli interventi edili, il responsabile di quest'ultima rimaneva titolare di un'autonoma posizione di garanzia che gli derivava dalla gestione complessiva del cantiere, dalla conoscenza delle fonti di pericolo in relazione alle opere sub appaltate, nonché era tenuto ad assolvere puntuali obblighi di coordinamento, di cooperazione e di consultazione nella esecuzione di interventi che interferivano con le lavorazioni allo stesso riservate e che pertanto l'affidamento a terzi di specifiche attività, complementari a quelle oggetto dell'appalto, non lo esoneravano dalla responsabilità della sicurezza sul luogo di lavoro, atteso che era la ditta appaltatrice a stabilire i luoghi ove le gettate di calcestruzzo andavano eseguite.

4. Avverso la sentenza ha interposto ricorso per cassazione la difesa dell'imputato articolando un unico motivo di doglianza.

Assume violazione di legge e vizio motivazionale nella parte in cui era stata riconosciuta la responsabilità dell'imputato con inosservanza della disciplina relativa al rischio di elettro-locuzione anche in relazione a quanto disposto dall'art.6 D.P.R. n.222/03.

Richiamando la disciplina normativa e regolamentare anteriore al T.U. sulla sicurezza del lavoro, evidenziava come, in presenza di fornitura che contemplava altresì la esecuzione di interventi edili, nell'ambito di rapporto di subappalto, il responsabile della ditta PRO.M.IN Srl non avrebbe potuto considerarsi estraneo all'obbligo di predisporre il POS anche in relazione agli interventi da eseguirsi presso un cantiere in cui operava altra impresa edile, quantomeno in relazione alle lavorazioni alla stessa demandate e al contempo di cooperare e coordinarsi in relazione al rispetto delle misure previste del PSC e di vigilare con riferimento alla corretta applicazione delle disposizioni infortunistiche.

Sul punto doveva ritenersi illogica la motivazione della sentenza impugnata che, mandato esente il responsabile della PRO.M.IN da responsabilità per colpa, per avere correttamente formato i propri dipendenti, aveva al contempo riconosciuto la responsabilità del titolare dell'impresa appaltatrice, laddove quest'ultimo avrebbe dovuto predisporre autonomamente il POS previa cognizione dei rischi connessi alle lavorazioni da eseguirsi nel cantiere e a correttamente vigilare sulla sua esecuzione.

 

Diritto


1. In relazione ai motivi di doglianza del ricorrente, va preliminarmente osservato che in punto di vizio motivazionale, compito del giudice di legittimità, allo stato della normativa vigente, è quello di accertare (oltre che la presenza fisica della motivazione) la coerenza logica delle argomentazioni poste dal giudice di merito a sostegno della propria decisione, non già quello di stabilire se la stessa proponga la migliore ricostruzione dei fatti.

Neppure il giudice di legittimità è tenuto a condividerne la giustificazione, dovendo invece egli limitarsi a verificare se questa sia coerente con una valutazione di logicità giuridica della fattispecie nell'ambito di una adeguata opinabilità di apprezzamento; ciò in quanto l'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) non consente alla Corte di Cassazione una diversa lettura dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove, essendo estraneo al giudizio di legittimità il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali (sez.4, n. 4842 del 2/12/2003, Elia e altri, Rv 229369).

È stato affermato, in particolare, che la illogicità della motivazione, censurabile a norma del citato art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), è quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile "ictu oculi", dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata. (Cass. S.U. n. 47289 del 24/09/2023, Petrella, Rv. 226074).

Detti principi sono stati ribaditi anche dopo le modifiche apportate all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) dalla L. n. 46 del 2006, che ha introdotto il riferimento ad "altri atti del processo", ed ha quindi, ampliato il perimetro d'intervento del giudizio di cassazione, in precedenza circoscritto "al testo del provvedimento impugnato".

Precisazione, quella appena svolta, necessaria, avendo il ricorrente denunciato anche il vizio di travisamento della prova che, per assumere rilievo nella sede di legittimità, deve, da un lato, immediatamente emergere dall'obiettivo e semplice esame dell'atto, specificamente indicato, dal quale deve trarsi, in maniera certa ed evidente, che il giudice del merito abbia travisato una prova acquisita al processo, ovvero abbia omesso di considerare circostanze risultanti dagli atti espressamente indicati, o dato per ammesse circostanze non risultanti dal compendio probatorio; dall'altro, esso deve riguardare una prova decisiva, nel senso che l'atto indicato, qualunque ne sia la natura, deve avere un contenuto da solo idoneo a porre in discussione la congruenza logica delle conclusioni cui è pervenuto il giudice di merito.

2. Orbene, alla stregua di tali principi, deve prendersi atto del fatto che la sentenza impugnata non presenta alcuno dei vizi dedotti dal ricorrente, atteso che la valutazione articolata dai giudici di merito, sulla base degli elementi probatori acquisiti, rende ampio conto delle ragioni che hanno indotto gli stessi giudici a ritenere la responsabilità del ricorrente, mentre le censure da questi proposte finiscono sostanzialmente per riproporre, anche con il richiamo e la allegazione dei motivi di appello, argomenti già esposti in quella sede, che tuttavia risultano ampiamente vagliati e correttamente disattesi dalla Corte territoriale, ovvero a sollecitare una rivisitazione meramente fattuale delle risultanze processuali, fondata su una valutazione alternativa delle fonti di prova, in tal modo richiedendo uno scrutinio improponibile in questa sede.

A tale proposito deve considerarsi che il motivo di ricorso più che dolersi dell'iter argomentativo utilizzato dal giudice distrettuale per riconoscere la responsabilità dell'imputato, aggredisce i punti della motivazione della sentenza di primo grado in cui era stata esclusa la responsabilità penale del legale rappresentante della ditta PRO.M.IN fornitore del calcestruzzo, che pure aveva proceduto a realizzare e a gettare.

Ma tale doglianza si presenta ulteriormente inammissibile stante i limiti del giudicato relativi alla posizione del G.G. e dell'assenza di interesse, in sede di legittimità a sostenere la sussistenza di un concorso di colpa di questi nella produzione dell'evento, in ragione dell'autonoma posizione di garanzia riconosciuta in capo all'odierno ricorrente, agli specifici profili di colpa specifica a questo contestati e agli argomenti spesi sulla rilevanza causale rivestita da tali inosservanze alla disciplina prevenzionistica.

3. Le doglianze articolate presentano pertanto profili di inammissibilità a fronte della linearità e della adeguatezza della struttura motivazionale della sentenza impugnata che ha riconosciuto in capo al responsabile della ditta appaltatrice, che stava procedendo alla esecuzione degli interventi edili all'interno del cantiere, un'autonoma posizione di garanzia che gli derivava dalla gestione complessiva del cantiere, della conoscenza delle fonti di pericolo in relazione alle opere sub appaltate, nonché quale referente e coordinatore delle opere accessorie e funzionali a quelle in corso di esecuzione, con la conseguenza che l'affidamento a terzi di specifiche attività, complementari a quelle oggetto dell'appalto, non lo esoneravano dalla responsabilità della sicurezza sul luogo di lavoro, atteso che era il responsabile della ditta appaltatrice a indicare la ubicazione delle gettate, in relazione agli interventi di edificazione in atto e quindi sullo stesso incombeva il coordinamento della prestazione anche nella prospettiva di prevenire il rischio di infortuni derivanti dalla presenza di pericoli allo stesso noti, quale quello di elettro locuzione in ragione della presenza di una linea elettrica intersecante il luogo di lavoro (sugli obblighi di garanzia in capo all'appaltatore in relazione alla prestazione specialistica di una ditta subappaltatrice in presenza di rischio interferenziale sez. 3, n.5907 del 11/01/2023, Modugno, Rv.284187; sez. 4, n.12440 del 7/02/2020, Basso, Rv.278749).

La motivazione risulta priva di salti logici e coerente con le risultanze processuali evidenziate nelle decisioni dì merito e il ricorso si appalesa aspecifico e privo di confronto e di analisi censoria della struttura argomentativa su cui risulta fondata la decisione impugnata, di talché ne va dichiarata la inammissibilità, pronuncia che preclude l'esame della deduzione difensiva concernente il decorso del termine necessario a prescrivere il reato, per non essersi ritualmente costituito il rapporto processuale.

4. Tenuto conto della sentenza 13/6/2000 n. 186 della Corte Costituzionale e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, ai sensi dell'art.616 cod. proc. pen., quella al versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, determinata, in considerazione delle ragioni di inammissibilità del ricorso stesso, nella misura di Euro 3.000,00.

4.1 Nulla sulle spese della parte civile che pure ha presentato conclusioni scritte, in assenza di un utile contributo alla decisione nell'ambito di giudizio dinanzi al giudice di legittimità svoltosi con rito camerale non partecipato (sez.2, n. 33523 del 18/06/2021, D., Rv. 281960-03).

 

P.Q.M.


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Nulla sulle spese in favore della parte civile.

Così deciso in Roma, il 13 febbraio 2024.

Depositata in Cancelleria il 22 maggio 2024.