Tribunale di Busto Arsizio, 23 febbraio 2018, n. 68 - Disturbo dell’adattamento con reazione ansioso-depressiva e disturbi somatoformi. Nessun nesso tra le condotte datoriali e la patologia lamentata dal dipendente



REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Giudice Dr.ssa Rossella Ferrazzi
alla pubblica udienza del 24/01/2018 ha pronunziato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente
SENTENZA

nei confronti di:
Omissis


IMPUTATI
del delitto p. e p. dagli artt. 2087 ex., 113 e 590 comma ì e comma 3 c.p. perché, in cooperazione colposa fra loro, ciascuno nelle rispettive qualità sopra riportate„ cagionavano a C. lesioni personali gravi consistite in 'disturbo dell’adattamento cronico con reazione mista ansìoso-depressìva e disturbi somatoformì, per costrittività organizzativa' - dalle quali derivava una malattia della durata superiore a 40 giorni - per colpa, consistita in negligenza, imprudenza, imperìzia e inosservanza delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro. in particolare:
C., dipendente della "Omissis"(istituto geriatrico e di riabilitazione - residenza sanitaria assistenziale - medicina specialistica e diagnostica), viene assunto in data 4 febbraio 2008 con la mansione di "Assistente del Direttore" poi cambiata in "Vice Direttore" nel 2009. Successivamente, nell'adempiere ai suoi compiti riscontrava e segnalava ai superiori una serie dì gravi irregolarità e anomalie gestionali. A seguito di tali segnalazioni si evidenzia un improvviso e repentino declassamento e demansionamento di C., fino ad arrivare a tre consecutivi episodi di licenziamento di C., tutti di volta in volta e con separate Sentenze, dichiarati illegittimi e/o nulli e/o privi dì giusta causa dal Giudice del Lavoro presso il Tribunale di Busto Arsìzio con ordine di reintegro con le mansioni di "Vice Direttore".
Condotte colpose in nesso di causalità, con l'evento consistite nel non aver adottato nell'esercizio dell'impresa le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale di C., assumendo comportamenti che si sono tradotti in una situazione di violenza psicologica (mobbing) con comportamenti di attacco alla persona nonché alla sua funzione e ruolo lavorativo, determinando l'insorgenza della malattia professionale sopra descritta, in palese violazione della normativa per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, In particolare in violazione all'art. 2087 c.c. 
Con le aggravanti di aver commesso il fatto con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro.
Fatto commesso in Goda Minore dal gennaio 20J 2 in permanenza attuale.

CONCLUSIONI DELLE PARTI
Pubblico Ministero: assolversi tutti gli imputati ai sensi dell’art. 530, comma 2, c.p.p., con la formula ritenuta di giustizia;
Difesa degli imputati ... e ... assolversi entrambi gli imputati dal reato loro ascritto perché il fatto non sussiste o per non aver commesso il fatto;
Difesa dell’imputato ... assolversi l'imputato dal reato a lui ascritto perché il fatto non sussiste ai sensi dell’art. 530, comma 1, c.p.p,;
Difesa dell'imputato assolversi l’imputato dal reato a lui ascritto perché il fatto non sussiste o per non aver commesso il fatto ai sensi dell'art, 530, comma 1, c.p.p. o, in subordine ai sensi dell'art 530, comma 2, c.p.p.


Diritto


Con decreto di citazione a giudizio emesso in data 16.01.2017, ... e ... venivano citati a giudizio per rispondere del reato di cui in epigrafe.
All’udienza in data 19.04.2017, il Tribunale disponeva procedersi in assenza degli imputati e, dichiarato aperto il dibattimento, ritenutane l’ammissibilità e la rilevanza, ammetteva le prove orali, come richieste dalle parti ed acquisiva dispositivo della sentenza pronunciata dal Tribunale di Busto Arsizio, sezione lavoro, in data 14.11.2016, sentenza di rigetto della domanda di risarcimento danni avanzata nei confronti della .... , dalla persona offesa in relazione a presunta condotta di mobbing. Il Tribunale fissava, per ravvio dell’istruttoria dibattimentale, l’udienza in data 20.09.2017 nonché il calendario delle ulteriori udienze.
In tale udienza, venivano escussi la persona offesa, C. ed i testi Omissis.
Su accordo delle parti, ex art, 555, comma 4, c.p.p., il Tribunale acquisiva parte dell’annotazione della ASL di Varese in data 04.02.2013 e dell’inchiesta su presunta malattia professionale della ASL di Varese, il Tribunale acquisiva i documenti offerti da ciascuna delle difese, meglio descritte nei rispettivi allegati elenchi nonché relazione relativa alla persona offesa redatta dall'Ospedale San Gerardo dì Monza in data 17.07.2012. Il processo veniva rinviato all’udienza già calendarizzata del 11.10.2017.
In tale udienza, gli imputati si sottoponevano all'esame, rendendo dichiarazioni. Nella medesima udienza, venivano escussi i testi Omissis. Il Tribunale acquisiva, nulla opponendo il Pubblico Ministero, l’intera produzione documentale offerta dalle difese meglio descritta negli allegati elenchi, il processo veniva rinviato all’udienza in data 25.10.2017.
In tale udienza, l’imputato si sottoponeva all’esame, rendendo dichiarazioni. Nella medesima udienza, si procedeva all'esame dei testi Omissis. Le difese rinunciavano a tutti i propri testi non escussi;
nulla opponendo il Pubblico Ministero, il Tribunale revocava l’ordinanza ammissiva della prova orale in relazione a tutti i. lesti non escussi. Su richiesta del Pubblico Ministero, nulla opponendo la difesa, il Tribunale acquisiva tutti gli allegati alla comunicazione di notizia di reato della ASL di Varese. Su richiesta delle difese, il Tribunale acquisiva note psichiatriche a firma del dott. ... e comunicazione datata 18.04.2012, diretta alla persona offesa, riconosciuta dall’imputato ... nel corso dell'esame dibattimentale. li processo veniva rinviato all’udienza in data 17.01.2017.
In data 16.01.2018, il difensore della persona offesa depositava memoria con allegati.
All'udienza in data 17.02.2018, su richiesta del Pubblico Ministero, il Tribunale acquisiva sentenza emessa dai Tribunale di Busto Arsizio in data 17.06.2014, sentenza emessa dalla Corte di Appello di Milano in data 07.08.2014, irrevocabile in data 23.09.2014 nonché rivalutazioni psicologiche, a firma del dott. ... relative alla persona offesa. Le difese chiedevano breve sospensione per esaminare la memoria depositata dal difensore della persona offesa. Il Tribunale concedeva breve sospensione. Alla ripresa dell’udienza, tutte le difese chiedevano dichiararsi l'inutilizzabilità della memoria depositata dal difensore della persona offesa e di tutti gli allegati. Il Tribunale, sentito il Pubblico Ministero, rilevato che l'art. 90 c.p.p, prevede la facoltà della persona offesa di presentare memoria in ogni stato e grado del processo, rilevato che la memoria in atti risultava depositata dal difensore della persona offesa, ne dichiarava l'utilizzabilità. Quanto ai documenti allegati, visti gli artt. 190 e 493 c.p.p., rilevato che la persona offesa non era costituita parte civile e che pertanto, non poteva formulare richieste di prova, non ammetteva l’acquisizione dei documenti allegati alla memoria, in assenza di richiesta di una delle parti processuali.
Dichiarata chiusa l’istruzione dibattimentale ed utilizzabili tutti gli atti acquisiti e le prove assunte, le parti formulavano le rispettive conclusioni, come sopra riportate. Il Tribunale rinviava il processo, per repliche e dispositivo, all’udienza in data 24.01.2018.
In tale udienza, a seguito dì camera di consiglio, il Tribunale dava lettura del dispositivo allegato.
Alla luce della complessiva attività istruttoria, si impone l'assoluzione di tutti gli imputati dal reato loro ascritto perché il fatto non sussiste, come concordemente richiesto dalle parti.
Attraverso l’ampia e complessa istruttoria dibattimentale - resasi necessaria a fronte dell'ampia e altrettanto generica contestazione - in particolare, attraverso l’esame della persona offesa e degli altri testi e l’acquisizione dell’intera produzione documentale offerta da tutte le partì processuali, è stato possibile ricostruire i rapporti professionali tra la persona offesa e la ... .
Dall’attività istruttoria svolta, è emerso che la persona offesa veniva assunta dalla ... nel 2008, con funzioni di quadro e compiti di collaborazione con il direttore della struttura; iniziava così un percorso di formazione, volto a sostituire in qualità di vice-direttore (cfr. comunicazione indirizzata a datata 27.04.2009 e inchiesta della ASL di Varese). Ma i rapporti tra datore dì lavoro e persona offesa mutano - sul punto, sono emerse versioni discordanti; secondo la persona offesa, si tratterebbe della conseguenza di segnalazioni dì anomalie gestionali ed irregolarità mentre secondo gli imputati, il risultato non pienamente positivo del percorso di formazione svolto da - e si susseguono tre licenziamenti - in data 09.03.2012, in data 24.08.2012 ed in data 23.09.2012 - a seguito dei quali, a fronte di pronunce del giudice del lavoro, dichiarati i licenziamenti illegittimi, la persona offesa riprende la propria attività lavorativa presso la ..., rapporto di lavoro che risulta allo stato, ancora in essere.
E’ stata acquisita agli atti copiosa documentazione medica da cui si evince una condizione di disagio psichico di C., a partire dal 2011. Nella relazione dell’Ospedale San Gerardo di Monza in data 17.07.2012, si evidenzia la presenza dì una condizione di disagio psichico e si conclude che “tale malessere è compatibile con un quadro di sindrome da disadattamento cronica con reazione mista (ansia, depressione) e disturbi somatoformi ed è presumibilmente correlabile alle riferite ed in parte documentate costrittività lavorative (tensioni relazionali con la figura gerarchica di riferimento, demansionamento e mancato riconoscimento del suo ruolo, marginalizzazione, contestazioni e minacce di- licenziamento, isolamento da parte di alcuni colleghi)” (cfr. ultima pagine della predetta relazione).
Dagli atti emerge altresì, il mancato riconoscimento, da parte dell’Inail), di una malattia professionale risarcibile in capo a C..
Analogamente, sono state acquisite agli atti le pronunce del giudice del lavoro che ha rigettato la richiesta di risarcimento del danno, escludendo resistenza di mobbing ai danni della persona offesa che, tra l'altro, non ha presentato alcuna denuncia in ordine ai fatti contestati agli odierni imputati nell’ambito del presente processo.
A fronte dì tale quadro probatorio, deve osservarsi che, secondo costante giurisprudenza, ai fini dei riconoscimento di malattia professionale da demansionamento e da mobbing, è necessario accertare la sussistenza di una condotta sistematica e protratta nel tempo che concreta, per le sue caratteristiche vessatorie, una lesione dell'integrità fisica e/o della personalità morale del prestatore di lavoro, garantite dall’art. 2087 c.c. Tale illecito, che rappresenta una violazione dell’obbligo di sicurezza posto dalla predetta norma generale a carico del datore di lavoro, si può realizzare con comportamenti materiali o provvedimenti del datore di lavoro, indipendentemente dall’inadempimento di specifici obblighi contrattuali previsti dalla disciplina del rapporto di lavoro subordinato. Come ribadito dalla giurisprudenza, la sussistenza della lesione del bene protetto e delle sue conseguenze dannose deve essere verificata considerando l’idoneità offensiva della condotta del datore di lavoro che può essere dimostrata dalla sua sistematicità e durata nel tempo, dalle sue caratteristiche oggettive di persecuzione e discriminazione, risultanti specialmente da una connotazione emulativa e pretestuosa, anche in assenza di una violazione di specifiche norme di tutela del lavoratore subordinato (cfr. Cass. Sez. Lav. 4774/2006).
Per mobbing, si intende dunque, una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico - tra l’altro, nel caso di specie, non tutti gli imputati sono superiori gerarchici della persona offesa, così non lo è l’imputato - sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell'ambiente di lavoro, condotta che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione e/o di persecuzione psicologica da cui può conseguire la mortificazione morale e l’emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio psicofisico e del complesso della sua personalità.
Ai fini della configurabilità della condotta lesiva in esame da parte del datore di lavoro, sono pertanto rilevanti: la moltiplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo sistematico e prolungato nel tempo, contro il dipendente, con intento vessatorio; l’evento lesivo della salute o della personalità del dipendente;
il nesso eziologico tra la condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico ed il pregiudizio all’integrità psicofisica del lavoratore;
la prova dell'elemento soggettivo, dunque dell’intento persecutorio del datore dì lavoro (cfr. Cass. Sez. Lav. 3785/2009).
Secondo la giurisprudenza, in presenza di una patologia cd, multifattoriale, come nel caso dì specie, il giudice è tenuto a procedere ad una puntuale verifica, da effettuarsi in concreto ed in relazione alle peculiarità delle vicende, del nesso eziologico. Il giudice è dunque tenuto a valutare tutte le evidenze dotate di valore scientifico, emerse in sede dibattimentale che si pongono in un rapporto dì antagonismo probatorio tra loro, in modo da giungere ad un grado di elevata credibilità razionate in ordine alla ricostruzione del nesso eziologico, non potendosi accontentare di un mero grado di probabilità statistica (cfr. Cass, Pen, 13138/2016).
Poste tali premesse, è necessario verificare se, nel caso di specie, sussistano, al di là dì ogni ragionevole dubbio, tutti gli elementi sopra ripercorsi.
Le relazioni mediche in atti costituiscono un principio di prova in ordine all'esistenza di una malattia in capo alla persona offesa.
Manca peraltro prova certa ed univoca in ordine all'esistenza di una reiterazione di condotte vessatorie, necessarie ad integrare la fattispecie in esame. Se è indubbio che il datore di lavoro abbia disposto tre licenziamenti dei in un lasso di tempo limitato (tra marzo e settembre 2012), licenziamenti tutti ritenuti illegittimi dal giudice del lavoro, peraltro, nessun’altra condotta vessatoria e di denigrazione è stata riferita dai testi escussi ma anche dalla stessa persona offesa la quale ha lamentato esclusivamente e peraltro genericamente un demansionamento. Neppure in ordine a tale ultimo assunto, è però emersa prova certa ed univoca in quanto, nella sostanza, non è emersa alcuna effettiva e sostanziale modificazione dei compiti lavorativi svolti dalla persona offesa nel corso del rapporto di lavoro, dovendosi ritenere da questo punto di vista, la mera qualifica di "assistente” o "vice-direttore”, a fronte di un inquadramento del ... come quadro, assolutamente non rilevante.
Da quanto emerso nel corso del dibattimento, è indubbia la presenza di una situazione di forte conflittualità tra cd il datore di lavoro che peraltro, non ha impedito la prosecuzione del rapporto di lavoro subordinato sino all’attualità. Deve osservarsi che tale situazione non è tale da integrare la fattispecie in esame.
Le difese tra l’altro, hanno fornito una possibile e plausibile spiegazione alternativa di alcuni dei fatti lamentati dalla persona offesa; così l’indicazione, nell’organigramma aziendale della qualifica della persona offesa quale vice-direttore, l’indicazione dì tale del ... nelle buste paga e nella copia di un mail con compilazione a mano, la mancata presenza nei consigli di amministrazione. Sì tratta di possibili spiegazioni alternative della vicenda che minano ulteriormente il già debole impianto probatorio non emendabile, peraltro, neppure con i poteri istruttori d’ufficio del giudice.
Nessuna prova certa è poi emersa in ordine alla sussistenza del nesso eziologico - nei termini indicata dalla costante giurisprudenza - tra la patologia lamentata dalla persona offesa e le condotte descritte dal subite nei corso del rapporto di lavoro subordinato. 
Neppure è emersa prova certa dell'elemento soggettivo e quindi dell'intento persecutorio del datore di lavoro nei confronti del ... .
Alla luce di tali considerazioni, come concordemente richiesto dalle parti, si impone l’assoluzione di tutti gli imputati dal reato loro ascritto perché il fatto non sussiste, ai sensi dell'art. 530, comma 2, c.p.p,
Il complessivo carico di lavoro del giudice giustifica il termine per il deposito della sentenza come da dispositivo.


P.Q.M.


ASSOLVE
, nato a ( ), il .
, nato a ( ), il .
, nato a ( ), il .
, nato a ( ), il .
, nato a ( ), il .
dal reato loro ascritto perché il fatto non sussiste.
Visto l'art 544, 3° comma, c.p.p., indica in gg. 30 il termine per il deposito della motivazione della sentenza.
Busto Arsizio, 24.01.2018
Depositata in Cancelleria in data 23.02.2018.