Tribunale di Trani, Sez. Unica Pen., Ordinanza 07 maggio 2019 - Disastro ferroviario Andria-Corato. Ammissibilità della costituzione di parte civile nei confronti dell’ente incolpato dell’illecito amministrativo
TRIBUNALE DI TRANI
Sezione Unica Penale
n. 689/2019 R.G.T.
Il Tribunale di Trani, in composizione collegiale, composto dai sottoscritti magistrati:
1. dott. Giulia Pavese Presidente
2. dott. Paola Angela De Santis Giudice
3. dott. Filomena Sara De Rosa Giudice
Decidendo sulla richiesta di revoca dell’ordinanza resa dal GUP - che ha dichiarato inammissibile la costituzione di parte civile dell'Associazione A.C.U. consumatori e utenti ONLUS nei confronti di Ferrotramviaria s.p.a. - formulata dal difensore e procuratore speciale, avv. Giuseppe Losappio - rileva che il GUP, con ordinanza depositata all'udienza dell'11.9.2018, ha dichiarato inammissibili le costituzioni di parte civile proposte dalle persone offese nei confronti dell’ente Ferrotranviaria s.p.a., accogliendo la richiesta di esclusione formulata dai difensori dell’ente, imputato dell’illecito amministrativo da reato, di cui all’art. 25 septies del D.L.vo n. 231 del 2001, contestato al capo P) dell’imputazione, che hanno fondato la loro richiesta sul dietim della Suprema Corte, sezione 6, n, 2251 del 5/10/2011, recepito da Cass. Sez. 4, sentenza n. 3786 del 2015.
considerato che all’udienza del 11.4.2019 il patrono dell’A.C.U. ha depositato memoria difensiva a sostegno delle ragioni della propria richiesta;
considerato, altresì, che dalla lettura dei verbali di udienza preliminare e degli atti di costituzione delle parti civili, allegati al fascicolo di cui all’art. 431 c.p.p. risulta che in sede di udienza preliminare sono state avanzate plurime richieste di costituzione di parte civile nei confronti della Ferrotramviaria s.p.a.;
considerato che al dibattimento talune delle parti civili (costituite anche nei confronti di Ferrotramviaria s.p.a., la cui costituzione è stata dichiarata inammissibile dal GUP) hanno depositato istanza di revoca della loro costituzione;
considerato che alla richiesta di revoca dell’ordinanza d’inammissibilità resa dal GUP, formulata dall’A.C.U., all’udienza dibattimentale del 2.5.2019 si sono associati esclusivamente le seguenti parti civili: P.E., DB.V., A.T., G.M., S.S., I.N., G.E., I.B., L.I., I.M., S.G., S.M., T.V., C.D., T.T., T.N., I.A., Comune di Andria, Comune di Corato;
considerato che nessuna richiesta di revoca dell’ordinanza d’inammissibilità resa dal GUP è stata formulata all’udienza indicata dai patroni delle altre parti civili, la cui richiesta di costituzione nei confronti dell’Ente Ferrotramviaria s.p.a. era già stata dichiarata inammissibile, di talché deve escludersi che le stesse possano giovarsi della richiesta di revoca avanzata dal patroni delle altre parti civili, non potendo operare, per le questioni risarcitorie, l’effetto estensivo;
considerato che, all’udienza dell’ 11.04,2019, il Codacons, la G.E.P.A., l’U.B.F., la Confonconsumatori - la cui costituzione avanzata anche nei confronti di Ferrotramviaria s.p.a era stata dichiarata inammissibile dal GUP - hanno depositato nuovo atto di costituzione sia nei confronti degli imputati che nei confronti dell’Ente e che all’udienza del 2.5.2019 i
rispettivi procuratori si sono associati alia richiesta di revoca dell’ordinanza d’inammissibilità;
considerato, altresì, che all’udienza del 2.5.2019, ha depositato atto di costituzione di parte civile, anche nei confronti di Ferrotramviaria s.p.a. in relazione al capo P) dell’imputazione, il difensore e procuratore speciale di A.Angela, A. Riccardo, A. Pasquale e A. Filomena;
rilevato che in tutti gli atti di costituzione, oltre ad essere stati indicati gli altri requisiti di cui all’art, 78 c.p.p., sono state esposte le ragioni che giustificano la domanda, nel rispetto dei criteri dettati dalia Suprema Corte, che ha più volte ribadito che “in tema di costituzione di parte civile, l’indicazione delle ragioni che giustificano la domanda risarcitoria è funzionale esclusivamente all’individuazione della pretesa fatta valere in giudìzio, non essendo necessaria un'esposizione analitica della "causa petendi", sicché per soddisfare i requisiti di cui all’art. 78, lett. d), cod. proc. pen., è sufficiente il mero richiamo al capo di imputazione descrittivo del fatto, allorquando il nesso tra il reato contestato e la pretesa risarcitoria azionata risulti con immediatezza'’(Cass. Sez. 6, sentenza n. 32705 del 17/04/2014 23/07/2014 Rv. 260325).
Osserva
In sintesi, il GUP, aderendo all’orientamento della Suprema Corte, ha ritenuto che: a) sarebbe ostativa all’ammissibilità della richiesta di costituzione di parte civile formulata nei confronti dell’Ente la circostanza che nel D.L.vo 231 del 2001 manca ogni riferimento espresso alla parte civile e che l’insussistenza di tale previsione sia una scelta consapevole del legislatore;
b) l’illecito amministrativo non si identifica con il reato, poiché “il reato che viene realizzato dai vertici dell'ente ovvero dai suoi dipendenti è solo uno degli elementi che formano l’illecito da cui deriva la responsabilità dell’ente"; c) il presupposto per la costituzione di parte civile è rappresentato dalla commissione di un reato e non di un illecito amministrativo dipendente da reato.
Lo stesso giudice ha concluso, quindi, ritenendo che nel processo a carico dell’ente non sia ammissibile la costituzione dì parte civile, ferma la possibilità di “citare l’ente come responsabile civile, ai sensi dell'art. 83 c.p.p. nel giudizio che ha ad oggetto la responsabilità penale dell’autore del reato commesso nell’interesse della persona giuridica e lo può fare normalmente nello stesso processo in cui si accerti la responsabilità dell’ente”, come affermato dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 2251 del 2011.
A sostegno della tesi enunciata, il GUP ha richiamato, inoltre, la sentenza Corte di Giustizia dell'Unione Europea, Sez. 2, 12 luglio 2012, Giovanardi C-79/11, nonché la sentenza n. 218 del 18.07.2014 della Corte Costituzionale.
All’udienza dell’11.04,2019. il patrono delI’A.C.U.. a sostegno della richiesta di revoca dell’ordinanza d’inammissibilità, ha depositato memoria difensiva, alla quale si sono riportati i patroni delle altre parti civili all’udienza del 2.05.2019, deducendo che: a) l'assenza di un esplicito riferimento alla persona offesa e alla parte civile nel D.Lvo n. 231 del 2001 non sarebbe sintomatica della volontà del legislatore di escludere l'ammissibilità della costituzione del soggetto danneggiato nei confronti dell'ente, in ragione del rinvio generalizzato alle disposizioni del codice di procedura penale, effettuato dall’art. 34 del citato D.Lvo, che prevede che “per il procedimento relativo agli illeciti amministrativi si osservano (...) in quanto compatibili le disposizioni del codice di procedura penale.."; a sostegno della tesi enunciata, ha richiamato inoltre le previsioni di cui agli artt. 38 - che prevede, per il procedimento per l’illecito amministrativo dipendente da reato e per il procedimento penale instaurato nei confronti dell’autore del reato da cui dipende l’illecito, la regola del “sìmultaneus processus” - 47, comma 1 - che attribuisce al GIP la competenza di adottare le misure cautelari - 74, comma 1, che prevede che il giudice dell'esecuzione è il giudice indicato dall'art. 665 c.p.p.; a,l) nei casi in cui il legislatore ha inteso escludere la costituzione di parte civile ha espressamente sancito l'inammissibilità, come previsto dall'art 10 del d.P.R. n. 448 del 1988 nel processo penale dinanzi al Tribunale per i Minorenni;
b) la circostanza che l'art. 54 del D.Lvo n. 231 del 2001 non faccia riferimento all'art. 316, commi 2 e 3 c.p.p., deve essere interpretata nel senso che il legislatore non ha richiamato le disposizioni relative al sequestro conservativo, promosso dalla parte civile, non avvertendo l'esigenza di derogare alla disciplina del c.p.p. che, pertanto, anche sotto tale profilo, risulta implicitamente recepita nel citato D.Lvo; danno da reato e danno da responsabilità amministrativa da reato configurerebbero “un’unica e inscindibile entità economico-giuridica”, posto che fari. 1 parla di responsabilità degli enti “per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato”; l'art. 2 precisa che “l'ente non può essere ritenuto responsabile per un fatto non costituente reato”; l'art. 3, in materia di successione di leggi, dispone che “l’ente non può essere ritenuto responsabile per un fatto che secondo una legge posteriore non costituisce più reato”; l'art. 5 sancisce “l’ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio l'art. 21 prevede la responsabilità dell'ente in relazione ad una pluralità di reati; l'art. 22 dispone che “le sanzioni amministrative si prescrivono nel termine di cinque anni dalla data di consumazione del reato”; ne conseguirebbe, secondo la prospettazione del patrono dell'A.C.U., che “l'autonomia della responsabilità dell'ente riguarda il titolo della responsabilità stessa, non l'illecito e non solo perché il fatto storico di cui l'ente risponde, secondo le forme e le regole di imputazione del d.lgs. n. 231 del 2001, è ovviamente del tutto coincidente con quello del reato; l'ente risponde del fatto-reato commesso dall'esponente o dal dipendente nel suo interesse/vantaggio (e a fortiori dell'illecito civile corrispondente) salva restando la differenza del titolo di responsabilità (secondo un "meccanismo dispositivo" non dissimile da quello previsto dagli artt, 110 e ss. c.p.)”; b.l) l'art. 12, comma 1, lett. b) del D.L.vo n. 231 dei 2001 - nel prevedere la riduzione della sanzione quando il danno patrimoniale cagionato è di particolare tenuità - non distingue tra il danno cagionato dal reato e quello cagionato dall'illecito amministrativo imputabile all'ente, al pari degli artt. 17, comma 1, lett. a) - che, nel prevedere la riparazione delle conseguenze del reato, esclude l'applicabilità delle sanzioni interdittive quando prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado l'ente abbia risarcito integralmente il danno (senza distinguere tra danno da reato e danno cagionato dall'illecito dell’ente) ed eliminato le conseguenze dannose e pericolose del reato, ovvero si è comunque efficacemente adoperato in tal senso - e 19 in tema di confisca, nella parte in cui fa riferimento al danneggiato, senza ulteriori specificazioni;
c) non sarebbe ostativa a ritenere ammissibile la costituzione di parte civile nei confronti dell’ente la sentenza della Corte Costituzionale n. 218 del 2014, avendo la stessa escluso l'ammissibilità della specifica questione che le era stata proposta per gli errori nella formulazione del petitum, senza aver effettuato alcun sindacato nel merito.
d) la responsabilità da reato degli enti risponderebbe ai due criteri che, al di là del nomen iuris adottato dal legislatore nazionale, definiscono la “materia penale”, secondo la consolidata giurisprudenza della Corte EDU inaugurata dalla sentenza Engel e altri c. Paesi Bassi dell'8 giugno 1976, poiché le sanzioni previste dal D.L.vo n. 231 del 2001 determinano una grave compressione dei diritti dell'ente - che può essere persino “sciolto”- e hanno carattere affittivo;
considerato che all’udienza del 2.5.2019 il P.M. si è sostanzialmente rimesso alla decisione del Tribunale, mentre i difensori dell’Ente hanno chiesto la conferma dell’ordinanza d’inammissibilità richiamando le deduzioni già svolte in sede di udienza preliminare ed in particolare, gli argomenti svolti dalla Suprema Corte Sez. VI nella sentenza n. 2251 del 2011, integralmente recepiti da Cass. Sez. IV, n. 3786 del 2015.
Come è noto, la possibilità di esperire l’azione civile nel processo penale pendente a carico dell’ente, ai sensi del D.L.vo n. 231 del 2011- a causa del silenzio del legislatore sul punto - è uno dei temi maggiormente controversi tra quelli concernenti i profili processuali del sistema normativo relativo alla responsabilità amministrativa da reato delle persone giuridiche.
In estrema sintesi, il GUP nelfordinanza, di cui i patroni di parte civile chiedono la revoca, ha sostanzialmente confermato gli approdi cui è pervenuta la giurisprudenza di legittimità, condivisi da parte della giurisprudenza di merito.
I patroni delle parti civili fondano le proprie richieste risarcitone nei confronti dell’ente principalmente sul rinvio alle norme del codice dì rito disposto dall'art. 34 del D.L.vo n. 231 del 2001, oltre alla proposizione degli ulteriori argomenti a sostegno dianzi indicati.
Ebbene, ritiene il Tribunale che debba essere accolta la tesi “estensive?', ammettendo la possibilità per il danneggiato di avanzare la propria pretesa risarcitoria direttamente nei confronti dell’ente, nell’ambito del processo penale, instaurato anche nei confronti della persona giuridica, per accertare a suo carico la responsabilità per l’illecito amministrativo dipendente da reato.
Va premesso che il D.L.vo n. 231 del 2001 - che disciplina la responsabilità degli enti collettivi “per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato” - rappresenta l'epilogo di un lungo cammino volto a contrastare il fenomeno della criminalità d'impresa, attraverso il superamento del principio, ìnsito nella tradizione giuridica nazionale, societas delinquere non potest e nella prospettiva di omogeneizzare la normativa interna a quella internazionale dì matrice prevalentemente anglosassone, ispirata al c.d. pragmatismo giuridico” (Cass. Sez. U, sentenza n. 26654 del 27.3,2008, Rv. 239923, in motivazione).
Va rilevato, inoltre, che il sistema sanzionatorio proposto dal D.L.vo n. 231 fuoriesce dagli schemi tradizionali del diritto penale, incentrati sulla distinzione tra pene e misure di sicurezza, tra pene principali e pene accessorie, ed è rapportato alle nuove costanti criminologiche delineate nel citato decreto, Il sistema è "sfaccettato", legittima distinzioni soltanto sul piano contenutistico, nel senso che rivela uno stretto rapporto funzionale tra la responsabilità accertata e la sanzione da applicare, opera certamente sul piano della deterrenza e persegue una massiccia finalità specialpreventiva.
Come è noto, la natura del sistema sanzionatorio introdotto con il D.L.vo n. 231 è stata oggetto di ampio dibattito in dottrina e in giurisprudenza: a) secondo un primo indirizzo, si sarebbe di fronte ad una responsabilità di tipo amministrativo, in aderenza, del resto, all'intestazione della normativa; b) secondo altri, invece, la responsabilità in questione sarebbe sostanzialmente di tipo penale; c) un ultimo indirizzo reputa che si sia in presenza di un tertìum genus.
L’indirizzo, da ultimo indicato, condiviso da questo Collegio, è stato affermato anche dalle Sezioni Unite della Suprema Corte nella sentenza 38343 del 24.4.2014 (nel processo c.d. “Thyssenkrupp”), che hanno dato conto dei tre indirizzi, affermando che “il sistema normativo introdotto dal D.Lgs. n. 231 del 2001, coniugando i tratti dell'ordinamento penale e di quello amministrativo, configura un "tertium genus" di responsabilità compatibile con i prìncipi costituzionali di responsabilità per fatto proprio e di colpevolezza”.
Parimenti, si è chiarita anche la natura autonoma della responsabilità dell'ente rispetto a quella penale della persona fisica che ponga in essere il reato-presupposto. Ai sensi dell'art. 8 del decreto, rubricato per l'appunto “autonomia della responsabilità dell'ente”, la responsabilità dell'ente deve essere, infatti, affermata anche nel caso in cui l'autore del suddetto reato non sia stato identificato, non sia imputabile ovvero il reato sia estinto per causa diversa dall'amnistia (Cass. Sez. 5, sentenza n. 20060 del 4 aprile 2013 P.M. in proc. Citibank, Rv. 255414; Cass. Sez. 6, sentenza n, 28299 del 10 novembre 2015, Bonomelli, Rv. 267048). Ciò significa che la responsabilità amministrativo penale da organizzazione prevista dal D.L.vo n. 231 del 2001 investe direttamente l'ente, trovando nella commissione di un reato da parte della persona fisica il solo presupposto, ma non già l'intera sua concretizzazione.
La colpa di organizzazione, quindi, fonda una colpevolezza autonoma dell'ente, distinta anche se connessa rispetto a quella della persona fisica (cfr. conforme - tra le altre - Cass. Sez. 4, sentenza n. 38363 del 23.5.2018, Rv. 274320, in motivazione).
Né appare ostativo, il mancato esercizio della delega di cui all'art. 11, comma 1, lett. u), della legge n. 300 del 2000, in base al quale il governo aveva appunto la delega a prevedere il sistema risarcitorio, ivi delineato, poiché il legislatore non ha espressamente disciplinato l’azione di responsabilità civile nei confronti dell'ente - responsabile a norma del D.L.vo n. 231 del 2001 - non intendendo adeguarsi alla delega, proprio perché individua un criterio peggiorativo e diverso rispetto a quello stabilito dalle regole del codice di procedura penale che, a loro volta, richiamano espressamente quelle del codice penale.
Il profilo dell’attribuibilità psicologica della condotta, come definita agli artt. 5 e 6 del D.L.vo n. 231 del 2001 sul modello della suìtas penalistica (art 42 c.p.), conforta la tesi secondo cui il legislatore del 2001 si sia ispirato, nella complessiva costruzione dell’impianto normativo, a un modello penalistico piuttosto che amministrativo di responsabilità dell’ente, il D.L.vo n. 231 del 2001, art. 5 detta, infatti, la regola d'imputazione oggettiva dei reati all'ente; si richiede che essi siano commessi nel suo interesse o vantaggio.
Come rilevato dalle Sezioni Unite, secondo l'impostazione prevalente, ispirata anche dalla Relazione governativa al D.L.vo i due criteri d'imputazione dell'interesse e del vantaggio si pongono in rapporto di alternatività, come confermato dalla congiunzione disgiuntiva "o" presente nel testo della disposizione. Si ritiene che il criterio dell'interesse esprima una valutazione teleologia del reato, apprezzabile ex ante, al momento della commissione del fatto, e secondo un metro di giudizio marcatamente soggettivo; e che il criterio del vantaggio abbia una connotazione essenzialmente oggettiva, come tale valutabile ex post, sulla base degli effetti concretamente derivati dalla realizzazione dell'illecito.
Il problema - affrontato dalle Sezioni Unite con specifico riferimento al catalogo dei reati costituenti presupposto della responsabilità degli enti, indicati nell'art. 25-septies del D.L.vo in esame - è stato risolto in via interpretativa, rilevando che una diversa conclusione ancorata alla lettera della norma condurrebbe “alla radicale caducazione di un’innovazione normativa di grande rilievo, successivamente confermata dal D.L.vo 7 luglio 2011, n. 121, col quale è stato introdotto nella disciplina legale l'art. 25-undecies che ha esteso la responsabilità dell'ente a diversi reati ambientali.
Ne consegue che “i concetti di interesse e vantaggio, nei reati colposi d'evento, vanno di necessità riferiti alla condotta e non all'esito antigiuridico. Tale soluzione non determina alcuna difficoltà di carattere logico: è ben possibile che una condotta caratterizzata* dalla violazione della disciplina cautelare e quindi colposa sia posta in essere nell'interesse dell'ente o determini comunque il conseguimento di un vantaggio. Il processo in esame ne costituisce una conferma. D'altra parte, tale soluzione interpretativa, oltre a essere logicamente obbligata e priva di risvolti intollerabili dal sistema, non ha nulla di realmente creativo, ma si limita ad adattare l'originario criterio d'imputazione al mutato quadro di riferimento, senza che i criteri d'ascrizione ne siano alterati. L'adeguamento riguarda solo l'oggetto della valutazione che, coglie non più l'evento bensì solo la condotta, in conformità alla diversa conformazione dell'illecito; e senza, quindi, alcun vulnus ai principi costituzionali dell'ordinamento penale. Tale soluzione non presenta incongruenze: è ben possibile che l'agente violi consapevolmente la cautela, o addirittura preveda l'evento che ne può derivare, pur senza volerlo, per corrispondere ad istanze funzionali a strategie dell'ente. A maggior ragione vi è perfetta compatibilità tra inosservanza della prescrizione cautelare ed esito vantaggioso per l'ente”.
In estrema sintesi
- il reato commesso dal soggetto inserito nella compagine dei Pente, in vista del perseguimento dell’interesse o del vantaggio di questo, dunque, è sicuramente qualificabile come 'proprio' anche della persona giuridica e ciò in forza del rapporto di immedesimazione organica che lega il primo alla seconda;
- il sistema sanzionatorio previsto per gli enti dal D.L.vo n. 231 del 2001 fuoriesce dagli schemi tradizionali incentrati sulla distinzione tra pene e misure di sicurezza, tra pene principali e pene accessorie e mira a stabilire uno stretto rapporto funzionale tra la responsabilità accertata e la sanzione da applicare (Cass. Sez. Un. Penali, 18 settembre 2014, Non può escludersi, quindi, che dai fatto dell’ente (c.d. “colpa di organizzazione”; deficit di organizzazione e di controllo rispetto ad un “modello di diligenza esigibile”, ex artt. 6 e 7 del D.L.vo n. 231 del 2001), possa derivare un danno risarcibile per fatto proprio dell’ente, che lo obbliga, a norma dell’art. 185 c.p., come richiamato dall’art. 74 c.p.p. - applicabile per il rinvio operato dall’art. 34 del D.L.vo cit. - senza che rilevi che, nel caso di specie, nei confronti di Ferrotramviaria spa sia stata già esercitata da alcune delle parti civili l’azione civile indiretta, tramite lo strumento della citazione del responsabile civile.
L’art. 24 Cost., riconosce, in capo a ciascun consociato, infatti, la facoltà di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti soggettivi e interessi legittimi, perseguendo la particolare finalità di rendere effettive le stesse enunciazioni costituzionali dei diritti e fornendo a ciascun individuo il potere di farli valere - qualora vengano lesi - innanzi all’autorità giudiziaria, per cui se il legislatore, nell’esercizio del potere discrezionale di cui fruisce, ha consentito l’inserimento dell’azione civile nel processo penale, l’azione civile non può essere sacrificata in vista di altre esigenze come quella della speditezza del processo.
Non appare convincente l’argomento utilizzato a sostegno della tesi “restrittiva”, che invoca un presunto silenzio del legislatore, per escludere l’azione risarcitoria diretta nei confronti dell’ente.
Va rilevato, di contro, che il legislatore, sul punto, non è rimasto silente, ma ha espressamente individuato un sistema di rinvio ricettizio alle disposizioni generali sui procedimento in base a quanto disposto dagli artt. 34 e 35 del citato D.L.vo n, 231 del 2001, di talché deve escludersi che debba farsi ricorso all’analogia.
Siffatta opzione interpretativa trova conforto nella relazione ministeriale, da cui emerge che detti articoli assumono un rilievo fondamentale, perché stabiliscono, da un lato, che per il procedimento di accertamento e di applicazione delle sanzioni amministrative si osservano, oltre le norme del decreto, quelle del codice di procedura penale, in quanto applicabili; dall'altro lato, che all'ente si applicano le disposizioni processuali relative all'imputato, in quanto compatibili.
Comunque, la relazione illustrativa del D.L.vo n. 231 del 2001 non contiene alcuna indicazione relativa alla inammissibilità della costituzione di parte civile nei confronti dell'ente, circostanza di evidente valore significante, posto che il legislatore nei casi in cui abbia voluto discostarsi dalle previsioni del codice di rito in ordine a singoli istituti, lo ha espressamente previsto (cfr. l’art. 57, in materia di informazione di garanzia, integrativa della disciplina codicistica sul punto; l’art. 58, che prevede un procedimento semplificato per l'archiviazione; gli artt. 62-64, che dettano regole proprie per i procedimenti speciali; gli artt. 53 e 54, in materia di sequestro preventivo e di sequestro conservativo, che prevedono caratteristiche autonome rispetto ai corrispondenti istituti del codice di rito).
Di contro, nessuna norma del D.L.vo n. 231 del 2001 vieta espressamente la costituzione di parte civile nei confronti dell'ente.
Alle argomentazioni esposte, ne devono essere aggiunte altre di carattere sistematico, con riferimento al modello sanzionatorio adottato dal D.L.vo n. 231 del 2001 ed, in particolare alla previsione: a) dell’art. 12 di ridurre la sanzione pecuniaria quando il danno patrimoniale
cagionato è di particolare tenuità, oppure l’ente abbia adottato condotte riparatone (“... l'ente ha risarcito integralmente il danno e ha eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato ovvero si è comunque efficacemente adoperato in tal senso”); b) dell’art. 17 che esclude l’applicabilità delle sanzioni interdirti ve, “quando, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento dì primo grado (...) l'ente ha risarcito integralmente il danno e ha eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato, ovvero si è comunque efficacemente adoperato in tal sensoc) dell’art. 19, in tema di confisca, che, facendo espresso rinvio alla parte del prezzo o del profitto del reato che può essere restituita ai danneggiato, consente di esercitare l’azione civile per l’accertamento della sussistenza di tale diritto e la determinazione del qnantum.
Né può essere trascurato un ulteriore argomento, pure invocato dal patrono della parte civile, costituito dalia speciale disciplina del processo penale minorile, nell’ambito del quale, a fronte di un rinvio generale alle norme del codice di procedura penale, il legislatore ha espressamente escluso l’ammissibilità della costituzione di parte civile, circostanza che conferma che quando il legislatore ha voluto escludere tale parte privata, lo ha espressamente previsto.
Né appare dirimente la sentenza C-79/11 del 12 luglio 2012 della Corte di Giustizia europea, relativa alla interpretazione dell’art. 9 della decisione quadro del Consiglio 15 marzo 2001, 2001/220/GAI, che riguarda, come è noto, più in generale, la posizione della vittima nel procedimento penale.
La Corte di Giustizia con la sentenza indicata, nel decidere sulla questione pregiudiziale sollevata dal GIP del Tribunale di Firenze (“Se la normativa italiana in tema di responsabilità amministrativa degli enti persone giuridiche dì cui al decreto legislativo n. 231/2001 e successive modificazioni, nel non prevedere "espressamente " la possibilità che gli stessi siano chiamati a rispondere dei danni cagionati alle vittime dei reati nel processo penale, sia conforme alle norme comunitarie in materia di tutela della vittima dei reati nel processo penale, e segnatamente agli arti 2, 3 e 8 della decisione quadro del Consiglio 15 marzo 2001, 2001/220/GAI, relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale, nonché alle disposizioni della direttiva del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/80/CE, relativa all'indennizzo delle vittime di reato”) ha dichiarato che “l'artìcolo 9, paragrafo 1, della decisione quadro 2001/220/GAI del Consiglio, del 15 marzo 2001, relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale, deve essere interpretato nel senso che non osta a che, nel contesto di un regime dì responsabilità delle persone giuridiche come quello in discussione nel procedimento principale, la vittima di un reato non possa chiedere il risarcimento dei danni direttamente causati da tale reato, nell’ambito del processo penale, alla persona giuridica autrice di un illecito amministrativo da reato”.
Come risulta ancora più chiaro dalla motivazione della sentenza, la Corte di Giustizia ha preso atto che nel diritto interno l’ente non è autore di un reato e come tale è improprio il richiamo all’art. 9 della decisione quadro invocata, che si riferisce espressamente alle vittime dei reato, senza stabilire che la vittima dell’illecito realizzato dall’ente non possa vantare nei suoi confronti una pretesa risarcitoria, nell’ambito del processo penale a carco dell’ente, dinanzi al giudice competente, ex art. 36 del D.L.vo n. 231 del 2001.
In motivazione la Corte di Giustizia, infatti, ha chiarito: omissis;
«38, Per quanto riguarda la decisione quadro, l’articolo 9, paragrafo 1, della stessa dispone che ciascuno Stato membro garantisce alla vittima di un reato il diritto di ottenere, entro un ragionevole lasso di tempo, una decisione relativa al risarcimento da parte dell’autore del reato nell’ambito del procedimento penale, eccetto i casi in cui il diritto nazionale preveda altre modalità di risarcimento.
39. Conformemente all’articolo I, lettera a), della decisione quadro, ai fini della stessa si considera come «vittima» la persona fìsica che ha subito un pregiudizio «causat[o] direttamente da atti o omissioni che costituiscono una violazione del diritto penale di uno Stato membro».
40. Non è in discussione che il diritto italiano consente alle vittime di cui al procedimento principale di far valere le loro pretese risarcitone nei confronti delle persone fisiche, autrici dei reati cui rinvia il decreto legislativo n. 231/2001, rispetto ai danni cagionati direttamente con siffatti reati costituendosi, a tal fine, patti civili nell’ambito del processo penale,
41. Una situazione del genere si concilia con lo scopo perseguito dall'articolo 9, paragrafo 1, della decisione quadro, consistente nel garantire alla vittima il diritto di ottenere una decisione relativa al risarcimento, da parte dell’autore del reato, nell’ambito del procedimento penale ed entro un ragionevole lasso di tempo.
42. Il giudice del rinvio si domanda se detto artìcolo non debba essere interpretato nel senso che la vittima deve inoltre avere la possibilità di chiedere, nell’ambito del medesimo procedimento penale, il risarcimento dei danni in parola alle persone giuridiche imputate in base all’artìcolo 25 septies dei decreto legislativo n. 231/2001.
43. Tale interpretazione non può essere accolta.
44. innanzitutto, se, come dichiarato ai quarto considerando della decisione quadro, occorre offrire alfe vittime della criminalità un livello elevato di protezione (v., in particolare, sentenza del 9 ottobre 2008, Katz, C-404/07, Race, pag, 1-7607, punti 42 e 46), la decisione quadro è unicamente volta all’elaborazione, nell’ambito del procedimento penale quale definito all’articolo 1. lettera c. dì norme minime sulla tutela delle vittime della criminalità (sentenza del 15 settembre 2011, Gueye e Salmerón Sànchez, C-483/09 e C-l/10, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 52).
45. Si consideri poi che la decisione quadro, il cui unico oggetto è la posizione delle vittime nell’ambito dei procedimenti penali, non contiene alcuna indicazione in base alla quale il legislatore dell’Unione avrebbe inteso obbligare gli Stati membri a prevedere la responsabilità penale delle persone giuridiche.
46. Infine, dalla formulazione letterale stessa dell’articolo 1, lettera a), della decisione quadro risulta che quest’ultima, in linea di principio, garantisce alla vittima il diritto al risarcimento nell’ambito del procedimento penale per «atti o omissioni che costituiscono una violazione del diritto penale di uno Stato membro» e che sono «direttamente» all’origine dei pregiudizi (v. sentenza del 28 giugno 2007, Dell’Orto, C-467/05, Racc. pag. 1-5557, punti 53 e 57).
47. Orbene, dall’ordinanza di rinvio emerge che un illecito «amministrativo» da reato come quello all’origine delle imputazioni sulla base del decreto legislativo n. 231/2001 è un reato distinto che non presenta un nesso causale diretto con i pregiudizi cagionati dal reato commesso da una persona fisica e di cui si chiede il risarcimento. Secondo il giudice del rinvio, in un regime come quello istituito da tale decreto legislativo, la responsabilità della persona giuridica è qualificata come «amministrativa», «indiretta» e «sussidiaria», e si distingue dalla responsabilità penale della persona fisica, autrice del reato che ha causato direttamente i danni e a cui, come osservato al punto 40 della presente sentenza, può essere chiesto il risarcimento nell’ambito del processo penale.
48. Pertanto, le persone offese in conseguenza di un illecito amministrativo da reato commesso da una persona giuridica, come quella imputata in base al regime instaurato dal decreto legislativo n. 231/2001, non possono essere considerate, ai fini dell’applicazione dell’articolo 9, paragrafo 1, della decisione quadro, come le vittime di un reato che hanno il diritto di ottenere che si decida, nell’ambito del processo penale, sul risarcimento da parte dì tale persona giuridica.
49. Dalle suesposte considerazioni risulta che occorre rispondere alla questione posta dichiarando che l’articolo 9, paragrafo 1, della decisione quadro deve essere interpretato nel senso che non osta a che, nel contesto di un regime di responsabilità delle persone giuridiche come quello in discussione nel procedimento principale, la vittima di un reato non possa chiedere il risarcimento dei danni direttamente causati datale reato, nell’ambito del processo penale, alla persona giuridica autrice di un illecito amministrativo da reato».
Quanto all’intervento della Corte Costituzionale, va rilevato che il giudice delle leggi, con la sentenza n. 218 del 18.7.2014, ha dichiarato che “è inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art 83 cod. proc. pen. e del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, impugnati, in riferimento all'art. 3 Cosi., nella parte in cui non prevedono che nel processo penale le persone offese possono chiedere agli enti il risarcimento dei danni subiti per il comportamento dei loro dipendenti
In motivazione la Corte ha evidenziato che “il giudice a quo è tenuto ad individuare la norma, o la parte di essa, che determina la paventata violazione dei parametri costituzionali invocati (ex plurimìs, ordinanze n. 21 del 2003, n. 337 del 2002 e n. 97 del 2000)” e che “l'ordinanza di rimessione presenta anche un petitum incerto, perché non chiarisce quale dovrebbe essere l'intervento additivo che secondo il giudice rimettente occorrerebbe adottare per eliminare la pretesa illegittimità costituzionale
Secondo la Corte, “la generica e incerta formulazione del petitum, sotto il profilo dell'individuazione della specifica disposizione censurata e della pronuncia da adottare per eliminare la denunciata illegittimità costituzionale, rende la questione inammissibile (ex plurimis, sentenze n. 60 del 2014 e n. 16 del 2011; ordinanze n. 318 del 2013 e n. 113 del 2012)”.
La Corte ha ravvisato anche una ulteriore ragione di inammissibilità (sentenze n. 249 del 2011 e n. 125 del 2009), con riferimento alla ratio e alla portata normativa dell'art. 83, comma 1, cod. proc. pen., evidenziando che, “contrariamente a quanto ritiene il rimettente, infatti, l’illecito di cui l'ente è chiamato a rispondere ai sensi del d.lgs. n. 231 del 2001 non coincide con il reato commesso dalla persona fisica, sicché quest’ultima e l'ente non possono qualificarsi come coimputati nel medesimo reato; in base alla disposizione indicata, inoltre, intesa nel suo corretto significato, la citazione dell'imputato come responsabile civile per il fatto dei coimputati non è esclusa prima del suo proscioglimento, ma è ammessa sotto condizione, nel senso che produce effetto solo nel caso in cui l'imputato venga prosciolto od ottenga una sentenza di non luogo a procedere. Sotto entrambi i profili indicati, pertanto, l'art. 83, comma 1, cod. proc. pen. non costituisce un impedimento alla citazione dell'ente come responsabile civile”.
Deve essere, infine, rilevato che la Suprema Corte di Cassazione (Sez. 6, sentenza n. 2251 del 5.10.2010, Rv. 248791), nel ritenere che “nel processo instaurato per l'accertamento della responsabilità da reato dell'ente, non è ammissibile la costituzione di parte civile, atteso che l'istituto non è previsto dal D.Lgs. n. 231 del 2001” e che “l'omissione non rappresenta una lacuna normativa, ma corrisponde ad una consapevole scelta del legislatore”, ha ancorato la decisione in primo luogo alla mancanza di riferimento espresso nel D.L.vo n. 231 dei 2001 alla parte civile, in ordine alla cui irrilevanza si è già argomentato.
Quanto agli ulteriori argomenti, recepiti anche da Cass. Sez. 4, sentenza n. 3786 del 2015 come rilevato dal patrono di parte civile, pur a fronte dei precedenti autorevoli indicati, deve escludersi che il richiamo operato dai giudici di legittimità all’art. 54 del D.L.vo n. 231 del 2001 sia ostativo alla costituzione di parte civile nei confronti dell’ente, poiché la norma indicata, riguarda la “sanzione pecuniaria”, mentre fari. 316 comma 1 c.p.p. concerne la “pena pecuniaria” e, pertanto, deve ritenersi che l'art. 54 è norma integratrice della disciplina codicistica del sequestro conservativo, senza derogare alla disciplina del codice di rito ed in particolare alle previsioni di cui ai commi 2 e 3 dell’art. 316 c.p.p., che concernono le garanzie delle obbligazioni civili, implicitamente recepite nel D.L.vo n. 231 cit..
Quanto all’argomento, secondo cui non sarebbe individuabile un danno direttamente risarcibile, derivante dall’illecito amministrativo, diverso da quello prodotto dal reato, ad integrazione di quanto sin qui esposto, va ulteriormente ribadito che il D.L.vo n. 231 del 2001, art, 50, prevede la revoca delle sanzioni interdittive, disposte ai sensi del precedente art. 45, quando le correlative esigenze cautelari risultino mancanti anche per fatti sopravvenuti (non tipizzati dalla norma), ovvero in presenza delle ipotesi previste dall'art. 17, che disciplina la riparazione delle conseguenze del reato, prevedendo che essa possa ritenersi attuata nella concorrenza di tre condizioni, che devono essere adempiute prima dell'apertura del dibattimento di primo grado:
a) che l'ente abbia risarcito integralmente il danno e abbia eliminato le conseguenze dannose del reato, ovvero si sia comunque effcacemente adoperato in questo senso;
b) che abbia eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato mediante l’adozione e l'attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della stessa specie di quello verificatosi;
c) che abbia messo a disposizione il profitto conseguito ai fini della confisca.
Dette condizioni, come è stato più volte ribadito dai giudici di merito e di legittimità, devono peraltro necessariamente concorrere, sia al fine di evitare l’applicazione della sanzioni interdittive, che per giustificarne la revoca (Cass. sez. 2, sentenza n. 326 del 28.11.2013, Rv. 258219; Cass. sez. 2, sentenza n. 40749 dell’l.10.2009, Rv. 244850).
Non a caso l'art. 17, alla lett. a) prevede che la società si sia “efficacemente”, adoperata a risarcire integralmente il danno, ad eliminare le conseguenze dannose o pericolose del reato, in linea con il sistema punitivo della responsabilità da reato degli enti, delineato nel D.L.vo cit., che assume “un carattere prettamente preventivo, volto a prescegliere sanzioni e misure cautelari funzionali a prevenire per il futuro la commissione dei reati attraverso la strutturazione regolativa dell'organizzazione capace dì controllare, da sè, se stessa. Ne consegue che le disposizioni funzionali alla regolarizzazione, attraverso schemi rigorosi, dell'organizzazione dell'ente tali da impedire la reiterazione dei reati, devono essere interpretate con il massimo rigore per poter perseguire la massima efficacia” (Cass, n. 326 del 2014, in motivazione).
il che si traduce nel diritto delle persone offese o danneggiate di esercitare l’azione risarcitoria diretta nei confronti dell’ente, per fatto proprio, diversa dall’azione indiretta, esercita nei suoi confronti, quale responsabile civile.
A sostegno, della tesi "estensiva”, dunque, è sufficiente richiamare l’impianto normativo del D.L.vo n. 231 del 2011 e la stretta connessione tra reato e responsabilità da reato degli enti sia con riferimento ai criteri d’imputazione oggettiva dei reati all'ente - rappresentati dal riferimento contenuto nell'art 5 all'interesse o al vantaggio, alternativi e concorrenti tra di loro, che nei reati colposi d'evento, vanno di necessità riferiti alla condotta e non all'esito antigiuridico (Cass. Sezioni Unite, sentenza n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri, Rv 261112-261113-26114-26115) - sia con riferimento a tutte le norme del D.L.vo n. 231 del 2001, che prevedono che la responsabilità dell’ente è collegata al reato.
Alla stregua delle considerazioni sin qui svolte, le richieste di costituzione di parte civile avanzate nei confronti della Ferrotramviaria s.p.a. in sede di udienza preliminare (e non revocate) vanno ritenute ammissibili e, per l’effetto, va revocata l’ordinanza dell'11.9.201 B, resa dal GUP di questo Tribunale che ha escluso la costituzione dell’ACU e delle altre parti civili costituite nei confronti della Ferrotranviaria, in conformità a quanto richiesto dal patrono dell’ACU e dai pratoni delle altre parti civili, che alla richiesta di revoca si sono associate alle udienze dell’ 11.4.2019 e del 2,5.2019.
Va, inoltre, ritenuta ammissibile la costituzione di parte civile nei confronti di Ferrotramviaria s.p.a. formulata al dibattimento nell’interesse di A. Angela, A. Riccardo, A. Pasquale e A. Filomena, nonché nell’interesse di Confconsumatori, Codacons, UBF e GEPA;
PQM
1. dichiara ammissibili le costituzioni di parte civile avanzate nei confronti della
Ferrotranviaria s.p.a. dall’ACU, nonché da P.E., DB.V., A.T., G.M., S.S., I.N., G.E., In.B., L.I., I.M., S.G., S.M., T.V., C.D., T.T., T.N., I.A., Comune di Andria, Comune di Corato e, per l’effetto, revoca l’ordinanza dell’11.9.2018, resa dal GUP di questo Tribunale, che ha dichiarato inammissibili le costituzioni di parte civile nei confronti dell’Ente, esercitate dai soggetti indicati;
2. dichiara ammissibili le costituzioni di parte civile avanzate nei confronti della
Ferrotranviaria s.p.a., formulate al dibattimento nell’interesse di Confconsumatori, Codacons, UBF e GEPA all’udienza dell’ 11.4.2019, nonché nell’interesse di A. Angela, A. Riccardo, A. Pasquale e A. Filomena, all’udienza del 2.5.2019. Cosi deciso nella camera di consiglio, annessa all’Aula Bunker della locale Casa circondariale Trani, 7 maggio 2019