Tribunale di Monza, Sez. Pen. 23 settembre 2019 - Violazioni in materia di sicurezza e prescrizione
Giudice Caronni
FattoDiritto
Con decreto di citazione a giudizio emesso in data 09/07/2015. BR. Ca. Ac., CE. Gi. e VA. Gi. sono stati chiamati a rispondere del reato indicato in epigrafe.
L'istruttoria dibattimentale e consistita nell'escussione di un teste indicato dal P.M. -Ju. Re., quale persona offesa -, nell'esame degli imputati e nella produzione documentale delle parti.
Per completezza, si rileva che alle udienze del 20/10/2016, 29/11/2016 e 24/01/2017 venivano discusse le eccezione avanzate dalle difese; all'udienza del 07/02/2017 veniva disposto un rinvio del processo per l'assenza del sottoscritto Giudice; alle udienze del 02/10/2017 e 12/12/2017 veniva disposto un rinvio del processo stante la mancala citazione della persona offesa da parte del P.M.; all'udienza dell'11/06/2018 veniva disposto un rinvio del processo per impedimento del difensore dell'imputato CE..
Orbene, questo Giudice rileva che il termine prescrizionale massimo del reato in contestazione ex "art. 590 comma 111 cp " - termine fissato in anni sette e mesi sei dagli artt. 157 comma 1 e 161 comma 11 c.p. - alla data odierna (udienza del 28/05/2019) risulta ampiamente decorso, essendo invero compiutamente spiralo il 3 febbraio 2019.
Attesa l'esistenza di una causa estintiva del reato, deve ora osservarsi che nella fattispecie in esame - alla luce del compendio probatorio de quo - non è dato enucleare elementi su cui fondare alcuna delle ipotesi di proscioglimento nel merito previste dall'art. 129 comma 2 c.p.p.
Sul punto occorre rammentare - in diritto - che il sindacato giudiziale ai fini dell'eventuale prevalenze delle cause di proscioglimento nel merito su quelle di estinzione del reato ai sensi del citato art. 129 comma 2 c.p.p. resta circoscritto alle situazioni in cui la prova dell'insussistenza o dell'irrilevanza penale del fatto o dell'estraneità ad esso dell'imputato risulti evidente all'esito di un approccio valutativo da ricondurre al più al concetto di "constatazione", ossia di percezione "ictu oculi". che a quello dell' "apprezzamento", trattandosi invero quest'ultimo di concetto incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (cfr. Cass. penale S.U. 28/05/2009, n. 35490, la quale ha precisato come l'evidenza richiesta dall'art. 129 comma 2 c.p.p. presuppone la manifestazione di una verità processuale così chiara e ed obbiettiva da rendere superflua ogni dimostrazione oltre la correlazione ad un accertamento immediato, concretizzandosi così addirittura in qualcosa di più di quanto la legge richieda per l'assoluzione ampia).
E' perciò necessaria l'evidenza della prova di circostanze che escludano la colpevolezza, le quali devono emergere dagli atti in modo tale che l'attività del Giudice si risolva in una mera constatazione di una situazione processuale, avendo il Giudice l'obbligo, in mancanza di tale prova, della immediata declaratoria della causa di estinzione del reato (cfr. Cass. penale 22/06/1999).
Tale condivisibile principio trova applicazione, a maggior ragione, nelle ipotesi di contraddittorietà o insufficienza della prova, atteso che la regola probatoria di cui all'art. 530 comma 2 c.p.p. (concretamente il dovere per il Giudice di pronunciare sentenza di assoluzione anche quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova della responsabilità) appare dettata esclusivamente per il normale esito del processo che sfocia in una sentenza emessa all'esito dell'attività dibattimentale, a seguito di un'approfondita valutazione di tutto il compendio probatorio acquisito in atti, richiedendo invero un apprezzamento ponderato tra opposte risultanze; mentre tale principio non può trovare applicazione in presenza di una causa estintiva del reato, nella ricorrenza della quale vale invece la regola di giudizio di cui all'art. 129 c.p.p. che sancisce l'obbligo della pronunzia della sentenza di non doversi procedere, salvo che nel caso in cui dagli alti risulti evidente - da una mera attività cognitiva - che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o, infine, che non è previsto dalla legge come reato (cfr. Cass. penale 24/09/2013, n. 43853; Cass. penale 22/01/2014, n. 10284).
In adesione a tali principi di diritto, una volta accertata - nel caso in esame - la sussistenza della causa estintiva di cui all'art. 157 c.p. - conseguente al decorso del termine di prescrizione normativamente previsto -, va emessa la declaratoria di improcedibilità, non potendo - alla luce delle risultanze dibattimentali (cfr. dichiarazioni persona offesa;
dichiarazioni imputati e produzione documentale delle parti) - addivenirsi, in termini di mera "constatazione'' - ossia di percezione "ictu oculi" - ad un fondato giudizio di non colpevolezza perché il fatto non sussiste, perché non costituisce reato o perché gli imputati non lo hanno commesso.
Alla luce di quanto sopra esposto, deve quindi essere pronunciata sentenza di non doversi procedere nei confronti di BR. Ca. Ac., CE. Gi. e VA. Gi. in ordine al reato loro ascritto in rubrica perché estinto per intervenuta prescrizione.
P.Q.M.
Visto l'art. 529 c.p.p.,
dichiara non doversi procedere nei confronti di BR. CA. AC., CE. GI. e VA. GI. in ordine al reato loro ascritto in rubrica perché estinto per intervenuta prescrizione.