CISL Confederazione Italiana Sindacati Lavoratori
AUDIZIONE CISL
presso XI Commissione Lavoro pubblico e privato della Camera dei Deputati nell’ambito dell’esame delle proposte di legge A.C. 142/2022 (Fratoianni, Mari), A.C. 1000/2023 (Conte et al.) e A.C. 1505/2023 (Scotto et al.), recanti disposizioni per favorire la riduzione dell'orario di lavoro.
(Roma, 24 aprile 2024)
Ringraziamo il Presidente e i componenti della Commissione per questa opportunità di confronto su un tema fondamentale per la vita delle lavoratrici e dei lavoratori.
Dialogo sociale e confronto istituzionale sono alla base di una democrazia sana e inclusiva. Pertanto, apprezziamo ogni occasione che ci viene offerta per manifestare le nostre opinioni, il nostro pensiero, che esprimiamo in una logica di contributo concreto e di collaborazione fattiva.
Il dibattito politico periodicamente ritorna sul tema della opportunità di una riduzione dell’orario di lavoro. È un tema che la nostra Organizzazione ritiene da sempre di grande importanza, che necessita di essere affrontato in ragione dei grandi cambiamenti generati dall’impatto della digitalizzazione e dalla intelligenza artificiale che stanno influenzando e trasformando gradualmente e profondamente il lavoro.
Questo tema ha quindi necessità di essere interpretato adottando una visione ampia e di prospettiva che impone di guardare alla questione dell’orario di lavoro non solo sul piano quantitativo, ma anche e soprattutto qualitativo cercando di individuare i fini, gli strumenti ed i soggetti che meglio possono determinare risultati effettivi coniugando i benefici per le persone, per la società, con la competitività delle imprese e, quindi, con la crescita della nostra economia.
La CISL fin dagli anni ’80 ha elaborato studi e proposte che hanno approfondito il tema della riduzione dell’orario di lavoro in funzione della innovazione tecnologica, organizzativa, in rapporto alla questione occupazionale ed in particolare per fornire risposte adeguate alle nuove esigenze delle persone di conciliazione vita e lavoro nell’ottica di garantirne il benessere, tema alquanto attuale e di prospettiva.
Nel medesimo periodo, il sindacato confederale unitariamente, in particolare nel settore privato, ha esercitato la propria azione contrattuale a livello nazionale e aziendale sulla riduzione di orario di lavoro a parità di retribuzione e sulla sua regolamentazione.
Ne è seguito un ventennio in cui la contrattazione con non poche difficoltà ha prodotto accordi nazionali settoriali e aziendali, che si sono cimentati su questa materia.
La regolamentazione si è articolata in forme e modalità flessibili e adattabili rispetto alle specificità settoriali, alla tipologia e dimensione di impresa, ai modelli di organizzazione del lavoro nonché rispetto alle esigenze dei diversi mercati, divenuti nel frattempo sempre più globali.
La disponibilità del sindacato a mettere sul tavolo del confronto la gestione qualitativa dell’orario di lavoro in chiave di competitività delle imprese ha permesso di ottenere, a seguito delle trattative per i rinnovi dei contratti nazionali settoriali, importanti riduzioni rispetto alle 40 ore stabilite dalla 1
legge come orario normale di lavoro e durata massima, che nella maggior parte dei CCNL si attestano oggi mediamente tra le 37 e le 38 ore settimanali.
Tra i fattori che hanno inciso in maniera decisiva sul rallentamento della riduzione quantitativa degli orari di lavoro negli anni successivi, dobbiamo annoverare l’andamento della produttività, che si è mantenuta su livelli molto bassi nell’ultimo ventennio.
Secondo i dati raccolti dall’ISTAT, la produttività totale dei fattori (da intendersi come il progresso tecnico, i cambiamenti nella conoscenza e le variazioni nell’efficienza dei processi produttivi) nel periodo 1995-2022 ha registrato una lievissima crescita media annua (+0,1%), e l’incremento medio annuo del valore aggiunto (+0,8%) largamente attribuibile all’impiego complessivo di capitale e lavoro e solo minimamente alla PTF.
La produttività del lavoro, data dal rapporto tra valore aggiunto e ore lavorate, nel periodo 1995-2022 ha registrato una crescita media annua dello 0,4%, derivante da un incremento medio del valore aggiunto pari a 0,8% e delle ore lavorate pari a 0,4%, mentre nel 2022 diminuisce dello 0,7%, come risultato di un incremento delle ore lavorate più intenso di quello del valore aggiunto.
La dinamica negativa della produttività segue un lungo periodo di crescita, seppur lenta (+0,5% in media negli anni 2014-2022).
L’evidenza empirica, gli studi e i pareri di esperti ci dicono infatti che l’orario di lavoro non è una variabile indipendente dal contesto economico e produttivo, ma è strettamente legato alla produttività e che la sua graduale e significativa riduzione, in particolare dal dopoguerra ad oggi nell’area OCSE è avvenuta in funzione della crescita della ricchezza prodotta e della innovazione tecnologica.
Questo spiega in buona parte il perché della battuta d’arresto della riduzione quantitativa dell’orario di lavoro attraverso la contrattazione collettiva.
Tale questione è stata affrontata da allora in altri Paesi anche con interventi legislativi di riduzione generalizzata degli orari di lavoro. È da segnalare, però, che i risultati delle esperienze europee (ma anche internazionali) sono molto contradditori ed evidenziano da un lato che le riduzioni generalizzate per legge dell’orario di lavoro non hanno portato automaticamente ad aumenti dell’occupazione e, dall’altro, che gli orari effettivi si sono mantenuti comunque elevati, se non addirittura superiori a quelli di paesi che non hanno apportato modifiche normative in materia.
Legato a ciò, riteniamo utile ricordare che oggi il nostro paese vive una profonda crisi legata alla carenza delle professionalità richieste dal mercato del lavoro e accelerata dal calo demografico, che mal si integra con riduzioni generalizzate di orari di lavoro.
Uno studio elaborato da ETUI, l’istituto di ricerca della CES (Confederazione Europea dei Sindacati), segnala invece che, se l’orario di lavoro viene regolato dalla contrattazione collettiva, si genera un processo qualitativo che, nel favorire il benessere dei lavoratori, produce effetti positivi sulla produttività del singolo lavoratore e, quindi, dell’impresa.
Dal punto di vista normativo la disciplina in materia di orario di lavoro è riscontrabile a livello comunitario nella «Direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro».
Il d.lgs. 8 aprile 2003, n. 66, «Attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro» recepisce il contenuto della Direttiva e—in particolare nella parte in cui fissa un limite di durata massima dell’orario di lavoro non superiore a quarantotto ore settimanali, compreso il lavoro straordinario. Ai fini del rispetto di tale limite, si fa riferimento alla durata media dell’orario di lavoro in un periodo non superiore a quattro mesi, che la contrattazione collettiva può estendere fino a sei oppure fino a dodici a fronte di ragioni obiettive, tecniche o inerenti all’organizzazione del lavoro.
La normativa italiana prevede, a differenza di quella europea, la distinzione tra l’orario normale di lavoro, soggetto al limite di quaranta ore settimanali derogabile dalla contrattazione collettiva mediante la previsione di una durata minore da computare sulla base di un periodo di riferimento non superiore all’anno, ed il lavoro straordinario la cui regolazione spetta in via principale alla contrattazione collettiva.
Ai fini del tema oggetto della audizione oggi, giova sottolineare come la contrattazione collettiva, nazionale e decentrata, abbia svolto un ruolo non solo nella regolazione degli orari di lavoro e della loro riduzione, ma anche delle flessibilità che si rendono necessarie ai fini della competitività dei settori e delle aziende attraverso l’introduzione di schemi di orari pluriperiodali, della banca/conto ore individuale da gestire anche ai fini collettivi, calendari annui, stagionalità e della gestione del lavoro straordinario e supplementare.
Alla luce delle prassi negoziali appena richiamate, risulta evidente come la normativa italiana in materia di orario di lavoro nel nostro paese preveda già spazi importanti di intervento, che il ruolo della contrattazione collettiva ha sviluppato con soluzioni innovative capaci di garantire importanti tutele ai lavoratori e, per queste ragioni, crediamo oggi che non debba essere modificata.
La CISL è da sempre favorevole alla riduzione della durata dell’orario di lavoro, anche perché, come sottolineato anche dallo studio elaborato da ETUI, può contribuire:
• alla tutela della salute e sicurezza dei lavoratori tramite un contenimento degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali direttamente connessi a ritmi di lavoro estenuanti (es. scompensi cardiaci; stati depressivi o ansiogeni; insonnia);
• a eventuali incrementi occupazionali, pur senza poter ambire al raggiungimento della piena occupazione che è, dalle evidenze empiriche, preclusa “dall’assenza di una quantità fissa di lavoro perfettamente sostituibile”;
• a incrementi della produttività, garantendo da un lato una maggiore tutela del diritto al riposo del lavoratore e, dall’altro, incentivando il ricorso a turni di lavoro con il risultato di estendere il tempo di utilizzo degli impianti.
Riteniamo dunque che una riduzione generalizzata per legge dell’orario normale di lavoro a 32 o 34 ore settimanali, come osservato in precedenza, non produce automaticamente uno sviluppo dell’occupazione e può invece tra l’altro avere effetti negativi come l’aumento del rischio di un aggravio dei carichi lavorativi che lo stesso studio ETUI evidenzia.
La riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario dovrebbe essere il risultato di un aumento della produttività totale dei fattori, che consentirebbe così di sostenere il costo a livello di impresa favorendo un maggiore equilibrio nella distribuzione dei profitti tra capitale e lavoro ed evitando, inoltre, eventuali rischi di delocalizzazione competitiva.
Che la riduzione di orario generalizzata porti ad un aumento della produttività del lavoro non è fatto scontato o lo potrebbe essere sul piano teorico dato che essa è il rapporto tra valore aggiunto e ore lavorate.
Invece le evidenze dimostrano che non ha effettivi sostanziali sulla ridistribuzione (aumento) del lavoro ed ha effetti negativi sulla salute a causa dell'aumento della sua intensità.
Secondo noi è essenziale la crescita della produttività totale dei fattori perché dipendente da un insieme di elementi, ossia dal progresso tecnologico le innovazioni nei prodotti e nei processi produttivi e quindi dagli investimenti privati e pubblici, innovazioni nell’organizzazione del lavoro ma anche dalle competenze acquisite dai lavoratori e dal loro livello di istruzione e di formazione continua.
La contrattazione collettiva si sta oggi misurando con la riduzione quantitativa dell’orario di lavoro attraverso le richieste presentate nelle piattaforme di rinnovo dei contratti nazionali e la regolazione qualitativa degli orari, principalmente a livello di contrattazione decentrata, nell’ambito di nuove modalità di organizzazione del lavoro, anche in forme sperimentali.
In questo senso, i recenti rinnovi dei Contratti collettivi nazionali del settore bancario e dell’industria alimentare hanno ripreso la strada della riduzione quantitativa degli orari di lavoro e in settori importanti come quello metalmeccanico e delle telecomunicazioni le piattaforme per il rinnovo dei CCNL contengono richieste sindacali alle associazioni datoriali che si muovono nella medesima direzione.
Le esperienze aziendali di Intesa Sanpaolo, Luxottica, Leonardo, Lamborghini, SACE, per citarne alcune, ci danno alcune indicazioni: da un lato gli accordi collettivi aventi ad oggetto per la gestione delle riduzioni di orario sono stipulati in aziende di grandi dimensioni e con produzioni ad alto valore aggiunto, che fanno dell’innovazione un vantaggio competitivo, dall’altro che ad oggi le schematizzazioni degli orari su base annua implicano anche un contributo da parte dei lavoratori, condizione per cui l’accesso a queste modalità avviene su base volontaria.
Già oggi, quindi, la contrattazione collettiva favorisce una modulazione flessibile degli orari settimanali, mensili, annuali in funzione delle diverse situazioni di mercato e aziendali e nonché sperimentando con maggiore intensità modalità di conciliazione tra tempi di vita e di lavoro.
Per la CISL sono cinque le priorità su cui orientare l’azione sindacale in materia di riduzione e rimodulazione dell’orario di lavoro in una prospettiva di medio-lungo termine, rispetto alla quale il legislatore potrebbe svolgere un’azione di sostegno sul piano normativo:
1. una graduale riduzione e rimodulazione degli orari di lavoro e della gestione dei tempi di lavoro, legati non soltanto alla innovazione tecnologica e organizzativa e nonché alla produttività, ma anche ai fini di una maggiore conciliazione tra tempi di vita e di lavoro;
2. valorizzare in questo senso il ruolo dei corpi intermedi e della contrattazione collettiva, in particolare aziendale, strumenti indispensabili per un miglioramento della qualità del lavoro e della vita delle persone e per una reale caratterizzazione della riduzione in base al settore e alla realtà aziendale;
3. la necessità di processi e strumenti di partecipazione dei lavoratori per la gestione delle innovazioni tecnologiche e organizzative aziendali, che devono avere ricadute positive sul piano organizzativo e sulle modalità esecutive della prestazione lavorativa in termini di una maggiore responsabilità, autonomia, professionalità dei lavoratori;
4. sostenere processi di riduzione di orario legati anche a un rilancio della formazione quale elemento strategico per accompagnare i processi di trasformazione del lavoro e per la necessaria riqualificazione dei lavoratori. In tal senso il tempo derivante dalla riduzione di orario di lavoro, tutto o in parte, va destinato alla formazione, per la quale va rafforzata l’esperienza del Fondo Nuove competenze, dotandolo di maggiori risorse e rendendolo realmente accessibile alle aziende di diversa grandezza.
5. una fase di sperimentazione finalizzata ad accompagnare e sostenere accordi collettivi aziendali in materia di riduzioni e rimodulazioni dell’orario di lavoro attraverso incentivazioni fiscali e contributive da parte della Stato, limitati nel tempo, anche attuativi e di implementazione delle previsioni dei CCNL, quale strumento migliore per adattare le modalità condivise alle specifiche situazioni aziendali e settoriali e renderle effettive.
Per quanto concerne il metodo d’implementazione di tali priorità, preme ricordare in questa sede la proposta di legge di iniziativa popolare presentata dalla CISL che persegue come finalità “La Partecipazione al Lavoro. Per una governance d’impresa partecipata dai lavoratori”, che demanda alla contrattazione collettiva, nazionale e decentrata, stipulata da soggetti sindacali rappresentativi la responsabilità di definire forme di partecipazione gestionale, finanziaria, organizzativa e consultiva dei lavoratori nelle aziende.
In merito alle proposte di legge oggetto dell’audizione, evidenziamo alcuni elementi di criticità: *A.C. n. 142/2022 (Fratoianni, Mari):
• articolo 1, comma 2: si ritiene discutibile che una riduzione per legge dell’orario normale di lavoro a 34 ore settimanali possa automaticamente «favorire lo sviluppo dell’occupazione» e, di conseguenza, si intravede il rischio di un aggravio dei carichi lavorativi; con tutto ciò che ne consegue in termini di integrità psico - fisica dei lavoratori.
Inoltre, la garanzia della «parità di retribuzione» solleva alcune questioni interpretative con riguardo alle voci retributive (fisse o variabili) da tenere in considerazione ed alla proporzionalità o meno alla riduzione dell’orario normale di lavoro.
• Articolo 3, comma 1: si ritiene incoerente subordinare l’erogazione ai datori di lavoro dei contributi del Fondo all’adozione di orari ridotti con la mera «previsione di un corrispettivo aumento dell’occupazione o di una sua salvaguardia», oltretutto come detto precedentemente non scontata, piuttosto che con una loro effettiva realizzazione.
• Articolo 7, comma 1: l’estensione dell’ambito soggettivo di applicazione dell’orario normale di lavoro fissato per legge in 34 ore settimanali ai «prestatori d’opera coordinata e continuativa» si pone in contrasto con l’assenza di qualsiasi vincolo di subordinazione - compresa la soggezione ad un orario di lavoro - che connota i rapporti di lavoro autonomo.
La medesima considerazione riguarda l’applicazione della durata massima dell’orario di lavoro pari a 40 ore settimanali e 8 ore giornaliere «anche ai lavoratori impegnati al servizio continuativo di un’azienda con modalità diverse dal lavoro dipendente» (art. 7, c. 5) nonché il riconoscimento del diritto ad un periodo annuale di ferie ai «lavoratori impegnati con modalità diverse dal lavoro dipendente» (art. 9, c. 1).
• Articoli 7, comma 5 e 10, comma 2: il riferimento indistinto all’interno della proposta di legge a «organizzazioni dei datori di lavoro e [...] sindacali più rappresentative» (art. 7, c. 5) e «organizzazioni sindacali dei lavoratori
maggiormente rappresentative sul piano nazionale» (art. 10, c. 2) rischia di generare equivoci in merito alla opportuna configurazione delle OO.SS. comparativamente più rappresentative sul piano nazionale come soggetti sindacali delegati ad intervenire nelle materie oggetto di rinvio.
* A.C. n. 1000/2023 (Conte et al.):
• articolo 2: la previsione di specifici contratti aventi ad oggetto «la riduzione dell’orario di lavoro a parità di retribuzione» (c. 1) apre le questioni interpretative già citate concernenti sia le voci retributive (fisse o variabili) da tenere in considerazione che la proporzionalità o meno alla riduzione dell’orario normale di lavoro.
Inoltre, la fissazione per legge di un limite massimo di riduzione dell’orario normale di lavoro «fino a 32 ore settimanali» (c. 2) e delle giornate lavorative settimanali «fino a 4» è un’ingerenza nella capacità dell’autonomia contrattuale di definire un’organizzazione del lavoro adeguata al contesto di settoriale e aziendale.
Infine, da un’interpretazione letterale dell’articolo 2, comma 3 si evince una difficoltà interpretativa nell’individuazione delle parti stipulanti il contratto per la riduzione dell’orario di lavoro in mancanza di contrattazione collettiva e del «delegato dell’ente bilaterale competente per territorio» chiamato a supervisionare lo svolgimento del referendum tra i lavoratori interessati.
• Articolo 5, comma 1: un’ulteriore argomentazione a sostegno dell’ingerenza nell’autonomia contrattuale risiede nella limitazione a «quanto non specificamente previsto dalla presente legge» della facoltà per la contrattazione collettiva di qualsiasi livello, stipulata da soggetti sindacali rappresentativi, di disciplinare ulteriori modalità attuative dei contratti per la riduzione dell’orario di lavoro.
* A.C. n. 1505/2023 (Scotto et al.):
• articolo 1: la rimessione di una progressiva riduzione dell’orario di lavoro alla «sottoscrizione di contratti collettivi tra le imprese e le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale» (c. 1) ne limita l’ambito applicativo al livello aziendale. Da valutare l’opportunità di una sua estensione ai livelli territoriale e nazionale di contrattazione collettiva con l’introduzione all’interno della proposta di legge del riferimento agli organismi locali delle associazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale nonché alle loro RSA/RSU.
La garanzia della «parità di salario» (c. 1) ai lavoratori interessati dalla riduzione dell’orario di lavoro richiama le medesime questioni interpretative sollevate in precedenza.
Infine, si ritiene condivisibile l’introduzione di una legislazione premiale basata sulla concessione di sgravi contributivi (pari al 30% o al 40%) a favore dei datori privati, che applicano i contratti collettivi aventi ad oggetto una riduzione - al tempo stesso sperimentale e progressiva - dell’orario di lavoro.
Malgrado tali criticità, possiamo comunque complessivamente esprimere un parere positivo su alcuni elementi affinché:
• si intervenga con una norma a sostegno della contrattazione collettiva, finalizzata a promuovere accordi decentrati di sperimentazione che, a fronte di nuove organizzazioni del lavoro, prevedano riduzioni e rimodulazioni dell’orario di lavoro a parità di retribuzione, anche su 4 gg settimanali, e nuove modalità organizzative che favoriscano la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, sottoscritti dalle associazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative a livello nazionale ovvero dalle loro rappresentanze sindacali aziendali e territoriali.
• la riduzione di orario a parità di salario sia sostenuta economicamente dai datori di lavoro del settore privato, a cui sono riconosciute incentivazioni contributive in un arco temporale definito ai fini della sperimentazione.
• Si riconosca un maggiore incentivo ai datori nei casi in cui la riduzione di orario di lavoro riguardi le attività considerate dalla normativa in vigore come usuranti e gravose.
• Le risorse erogate rientrino nell’ambito della dotazione del Fondo Nuove Competenze, di cui all’articolo 88 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge di conversione 17 luglio 2020, n. 77. Ciò consoliderebbe anche il ruolo del Fondo ai fini della formazione.
• Si proceda all’istituzione di un osservatorio nazionale sull’orario di lavoro, partecipato dalle parti sociali, al fine di monitorare i risultati della fase sperimentale e la predisposizione di uno specifico rapporto.
Alcune proposte risultano per noi oggi non essere condivisibili. In particolare:
• non è opportuna in questa fase una riduzione per legge dell’orario di lavoro né una modifica della legislazione vigente in materia. Questo perché da un lato l’attuale impianto normativo consente una gestione flessibile degli orari di lavoro anche attraverso la contrattazione collettiva e garantisce efficaci tutele per i lavoratori, dall’altro, le esperienze di questa fattispecie realizzate a livello europeo hanno registrato un tendenziale aumento dell’orario di lavoro effettivo.
• Consideriamo gravemente sbagliato proporre il metodo dell’eventuale contrattazione diretta tra datore di lavoro e lavoratori sulla materia, poiché aprirebbe la strada alla disintermediazione sociale e presterebbe il fianco a situazioni fraudolente e irregolari a danno dei lavoratori.
In conclusione, occorre a nostro avviso condividere e perseguire sul piano politico e sociale l’obiettivo condiviso della riduzione e della rimodulazione degli orari di lavoro dando sostegno alla contrattazione collettiva, in particolare decentrata, quale soluzione migliore per fornire risposte adeguate a condizioni specifiche settoriali e aziendali, e di miglioramento delle condizioni di lavoro e di benessere delle persone.
I ruoli del legislatore, della contrattazione collettiva nazionale settoriale e decentrata, delle parti sociali, vanno quindi definiti condividendo attraverso il dialogo sociale gli obiettivi e gli strumenti per promuovere e sostenere con adeguate incentivazioni la sperimentazione di una riduzione e rimodulazione dell’orario di lavoro nel settore privato, senza modificare la normativa in vigore, ma con una eventuale intervento normativo specifico di sostegno.
Ringraziando nuovamente per l’audizione di oggi, auspichiamo quindi che su questo tema possa esserci una convergenza tra le forze politiche di maggioranza e d’opposizione sulle finalità, sugli strumenti e sui soggetti che possono con maggior successo e risultati concreti perseguire l’obiettivo della riduzione e rimodulazione dei tempi di lavoro e che si possa giungere a un testo unificato su una materia così importante per le lavoratrici e i lavoratori.
fonte: documenti.camera.it