Causa C‑486/08

Zentralbetriebsrat der Landeskrankenhäuser Tirols

contro

Land Tirol

(domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Landesgericht Innsbruck)

«Politica sociale — Accordi quadro sul lavoro a tempo parziale e sul lavoro a tempo determinato — Disposizioni svantaggiose previste dalla normativa nazionale per gli agenti contrattuali che lavorano a tempo parziale, occasionalmente o con contratto a tempo determinato — Principio della parità di trattamento»

 

Fonte: Sito web Eur-Lex

 

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Massime della sentenza

1.        Politica sociale — Accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo parziale — Direttiva 97/81

(Direttiva del Consiglio 97/81, come modificata dalla direttiva 98/23, allegato, clausola 4, punto 2)

2.        Politica sociale — Accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato — Direttiva 1999/70

(Direttiva del Consiglio 1999/70, allegato, clausola 4)

3.        Politica sociale — Accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul congedo parentale — Direttiva 96/34

(Direttiva del Consiglio 96/34, come modificata dalla direttiva 97/75, allegato, clausola 2, punto 6)

Il pertinente diritto dell’Unione, e segnatamente la clausola 4, punto 2, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale, figurante in allegato alla direttiva 97/81, relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES, come modificata dalla direttiva 98/23, deve interpretarsi nel senso che osta ad una disposizione nazionale a norma della quale, in caso di modificazione del volume delle ore di lavoro effettuate da un lavoratore, le ferie non utilizzate sono adattate in modo che al lavoratore che passi da un’attività lavorativa a tempo pieno ad un’attività lavorativa a tempo parziale viene ridotto il diritto alle ferie annuali retribuite da esso maturato, senza avere avuto la possibilità di esercitarlo, durante il periodo di attività lavorativa a tempo pieno, ovvero può fruire delle ferie in questione solo con un’indennità compensativa di importo inferiore.

(v. punto 35, dispositivo 1)

La clausola 4 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, figurante in allegato alla direttiva 1999/70, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve interpretarsi nel senso che osta ad una disposizione che esclude dall’ambito di applicazione di una normativa nazionale relativa agli agenti contrattuali i lavoratori con un contratto di lavoro a tempo determinato della durata massima di sei mesi o occupati solo occasionalmente.

Infatti, la nozione di «ragioni oggettive» ai sensi della clausola 4, punto 1, del suddetto accordo, che possono giustificare il diverso trattamento di un lavoratore a tempo determinato rispetto ad un lavoratore a tempo indeterminato, dev’essere intesa nel senso che essa non autorizza a giustificare una differenza di trattamento tra i lavoratori a tempo determinato e i lavoratori a tempo indeterminato per il fatto che quest’ultima sia prevista da una norma generale ed astratta. Tale nozione richiede, al contrario, che la disparità di trattamento in causa risponda ad una reale necessità, sia idonea a conseguire l’obiettivo perseguito e risulti a tal fine necessaria.

(v. punti 41, 44, 47, dispositivo 2)

La clausola 2, punto 6, dell’accordo quadro sul congedo parentale, figurante in allegato alla direttiva 96/34, concernente l’accordo quadro sul congedo parentale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES, come modificata dalla direttiva 97/75, deve interpretarsi nel senso che osta ad una disposizione nazionale a norma della quale i lavoratori che si avvalgono del loro diritto al congedo parentale di due anni perdono, al termine di tale congedo, i diritti alle ferie annuali retribuite maturati nell’anno precedente la nascita del loro figlio.

Infatti, la nozione di «diritti acquisiti o in via di acquisizione» di cui a detta clausola comprende l’insieme dei diritti e dei vantaggi, in contanti o in natura, derivanti, direttamente o indirettamente, dal rapporto di lavoro, che il lavoratore può far valere nei confronti del datore di lavoro alla data di inizio del congedo parentale.

(v. punti 53, 56, dispositivo 3)



SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione)

22 aprile 2010 ()

«Politica sociale – Accordi quadro sul lavoro a tempo parziale e sul lavoro a tempo determinato – Disposizioni svantaggiose previste dalla normativa nazionale per gli agenti contrattuali che lavorano a tempo parziale, occasionalmente o con contratto a tempo determinato – Principio della parità di trattamento»

Nel procedimento C‑486/08,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Landesgericht Innsbruck (Austria), con decisione 14 ottobre 2008, pervenuta in cancelleria il 12 novembre 2008, nella causa

Zentralbetriebsrat der Landeskrankenhäuser Tirols

contro

Land Tirol,

LA CORTE (Prima Sezione),

composta dal sig. A. Tizzano, presidente di sezione, dai sigg. E. Levits (relatore), A. Borg Barthet, M. Ilešič e dalla sig.ra M. Berger, giudici,

avvocato generale: sig.ra E. Sharpston

cancelliere: sig. B. Fülöp, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 21 gennaio 2010,

considerate le osservazioni presentate:

–        per lo Zentralbetriebsrat der Landeskrankenhäuser Tirols, dal sig. D. Rief;

–        per il Land Tirol, dall’avv. B. Oberhofer, Rechtsanwalt;

–        per il governo austriaco, dalla sig.ra C. Pesendorfer e dal sig. T. Kröll, in qualità di agenti;

–        per il governo danese, dai sigg. J. Bering Liisberg e R. Holdgaard, in qualità di agenti;

–        per il governo tedesco, dai sigg. M. Lumma e C. Blaschke, in qualità di agenti;

–        per la Commissione europea, dai sigg. M. van Beek e V. Kreuschitz, in qualità di agenti,

vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione della clausola 4 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale, concluso il 6 giugno 1997 (in prosieguo: l’«accordo quadro sul lavoro a tempo parziale»), figurante in allegato alla direttiva del Consiglio 15 dicembre 1997, 97/81/CE, relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES (GU 1998, L 14, pag. 9), come modificata dalla direttiva del Consiglio 7 aprile 1998, 98/23/CE (GU L 131, pag. 10), da una parte, e dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999 (in prosieguo: l’«accordo quadro sul lavoro a tempo determinato»), figurante in allegato alla direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, 1999/70/CE, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato (GU L 175, pag. 43), dall’altra, nonché sull’interpretazione dell’art. 14, n. 1, lett. c), della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 5 luglio 2006, 2006/54/CE, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego (rifusione) (GU L 204, pag. 23).

Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra lo Zentralbetriebsrat der Landeskrankenhäuser Tirols (consiglio di azienda centrale degli ospedali del Land del Tyrol) ed il Land Tirolo riguardo a talune disposizioni della legge del Land del Tyrol relativa agli agenti contrattuali (Tiroler Landes-Vertragsbedienstetengesetz) 8 novembre 2000 (BGBl. I, 2/2001), nella versione in vigore sino al 1° febbraio 2009 (in prosieguo: lo «L‑VBG»), concernente gli agenti contrattuali occupati occasionalmente, a tempo parziale o a tempo determinato, nonché coloro che prendono un congedo parentale.

Contesto normativo

La normativa dell’Unione

Ai sensi della clausola 1, lett. a), dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale, quest’ultimo ha per oggetto:

«di assicurare la soppressione delle discriminazioni nei confronti dei lavoratori a tempo parziale e di migliorare la qualità del lavoro a tempo parziale».

La clausola 4 del suddetto accordo quadro intitolata: «Principio di non-discriminazione», prevede:

«1.      Per quanto attiene alle condizioni di impiego, i lavoratori a tempo parziale non devono essere trattati in modo meno favorevole rispetto ai lavoratori a tempo pieno comparabili per il solo motivo di lavorare a tempo parziale, a meno che un trattamento differente sia giustificato da ragioni obiettive.

2.      Dove opportuno, si applica il principio “pro rata temporis”.

(…)».

La clausola 1, lett. a), dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato enuncia che quest’ultimo ha per obiettivo di:

«migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato garantendo il rispetto del principio di non discriminazione».

La clausola 4 del suddetto accordo quadro, intitolata «Principio di non discriminazione», prevede:

«1. Per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive.

2.      Se del caso, si applicherà il principio del pro rata temporis.

(…)».

L’art. 14 della direttiva 2006/54 recita come segue:

«1. È vietata qualsiasi discriminazione diretta o indiretta fondata sul sesso nei settori pubblico o privato, compresi gli enti di diritto pubblico, per quanto attiene:

(…)

c)      all’occupazione e alle condizioni di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento e la retribuzione come previsto all’articolo 141 del trattato;

(…)».

L’art. 1 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 4 novembre 2003, 2003/88/CE, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro (GU L 299, pag. 9) enuncia:

«1.      La presente direttiva stabilisce prescrizioni minime di sicurezza e di salute in materia di organizzazione dell’orario di lavoro.

2.      La presente direttiva si applica:

a)      ai periodi minimi di (...) ferie annuali (...)

(…)».

L’art. 7 di tale direttiva, intitolato «Ferie annuali», recita come segue:

«1. Gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici di ferie annuali retribuite di almeno 4 settimane, secondo le condizioni di ottenimento e di concessione previste dalle legislazioni e/o prassi nazionali.

2. Il periodo minimo di ferie annuali retribuite non può essere sostituito da un’indennità finanziaria, salvo in caso di fine del rapporto di lavoro».

L’art. 17 della direttiva 2003/88 prevede che gli Stati membri possano derogare a talune disposizioni della direttiva medesima. L’art. 7 della stessa non rientra tra le disposizioni alle quali è consentito derogare.

La clausola 2, punto 6, dell’accordo quadro sul congedo parentale, concluso il 14 dicembre 1995 (in prosieguo: l’«accordo quadro sul congedo parentale»), figurante in allegato alla direttiva del Consiglio 3 giugno 1996, 96/34/CE, concernente l’accordo quadro sul congedo parentale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES (GU L 145, pag. 4), come modificata dalla direttiva del Consiglio 15 dicembre 1997, 97/75/CE (GU 1998, L 10, pag. 24, stabilisce quanto segue:

«I diritti acquisiti o in via di acquisizione alla data di inizio del congedo parentale restano immutati fino alla fine del congedo parentale. Al termine del congedo parentale tali diritti si applicano con le eventuali modifiche derivanti dalla legge, dai contratti collettivi o dalle prassi nazionali».

La normativa nazionale

L’art. 1 dello L-VBG prevede:

«1) La presente legge è applicabile, nei limiti in cui il n. 2 non prevede alcuna deroga, a tutti i salariati che hanno un rapporto contrattuale di diritto privato col Land del Tyrol (agenti contrattuali).

2) La presente legge non è applicabile alle:

(…)

m)      persone occupate per una durata massima di sei mesi ovvero occasionalmente nonché a quelle che, pur regolarmente occupate, lo siano solo in misura inferiore al 30% dell’orario completo;

(…)».

L’art. 54 di tale legge afferma quanto segue:

«L’agente contrattuale ha diritto alle ferie (ferie annuali) per ogni anno solare».

L’art. 55 della suddetta legge dispone che:

«1) Per ogni anno solare, la durata delle ferie, in assenza di disposizioni derogatorie, è di:

(…)

5) In caso di modifica del contratto di lavoro, i diritti alle ferie annuali non ancora utilizzati devono essere adattati in misura proporzionale al volume delle ore di lavoro del nuovo contratto».

A norma dell’art. 60 dello L-VBG:

«Il diritto alle ferie annuali decade se l’agente contrattuale non se ne è avvalso entro il 31 dicembre dell’anno solare successivo a quello per cui spettano tali ferie. Se fino a tale momento il godimento delle ferie non è stato possibile per ragioni di servizio, il relativo diritto non decade sino alla fine dell’anno solare successivo all’anno in questione. Se una salariata si è avvalsa di un congedo di maternità, in forza della legge sul congedo di maternità [Tiroler Mutterschutzgesetz] del 2005 o del 1979 o della legge sul congedo parentale [Tiroler Eltern-Karenzurlaubsgesetz] del 2005, il termine per usufruire di tali ferie annuali è maggiorato del periodo per cui il congedo non retribuito supera la durata di dieci mesi».

La legge del 12 novembre 2008 (BGBl. I, 5/2009), entrata in vigore il 1° febbraio 2009, ha modificato l’art. 1, n. 2, lett. m), dello L‑VBG che è ormai redatto come segue:

«persone occupate per una durata massima di sei mesi ovvero occasionalmente».

Causa principale e questioni pregiudiziali

Il ricorrente nella causa principale ha presentato, quale organo competente per i dipendenti degli ospedali del Land del Tyrol, una domanda di accertamento in virtù del procedimento speciale di cui all’art. 54, n. 1, della legge relativa alle competenze ed al procedimento in materia di previdenza sociale e diritto del lavoro (Arbeits- und Sozialgerichtsgesetz, BGBl. Nr. 104/1985).

Tale domanda, diretta contro il Land Tirolo in quanto datore di lavoro, ha per oggetto di far dichiarare dal Landesgericht Innsbruck che talune disposizioni dello L-VBG sono incompatibili col diritto comunitario.

In tale contesto il Landesgericht Innsbruck ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se sia compatibile con la clausola 4, [punto 1], dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale [...] che i lavoratori/lavoratrici assunti con un contratto di diritto privato da enti locali o da aziende pubbliche e con un orario di lavoro inferiore a dodici ore settimanali (30% dell’orario lavorativo normale) siano discriminati rispetto ai salariati a tempo pieno comparabili riguardo alla retribuzione, all’inquadramento, al riconoscimento dell’anzianità pregressa, al diritto alle ferie annuali, ai compensi speciali, alle maggiorazioni per straordinari, etc.

2)      Se il principio del pro rata temporis sancito dalla clausola 4, [punto 2], di tale accordo quadro debba interpretarsi nel senso che osta ad una disposizione nazionale, come l’art. 55, n. 5, dello L‑VBG, a norma della quale, in caso di modificazione del volume delle ore di lavoro effettuate da un lavoratore, occorre adattare a quest’ultimo le ferie non utilizzate con la conseguenza che al lavoratore, il cui orario di lavoro è ridotto passando dal lavoro a tempo pieno al lavoro a tempo parziale, sarà ridotto il diritto alle ferie maturato nel periodo di attività lavorativa a tempo pieno ovvero egli potrà usufruire delle ferie in questione, quale lavoratore a tempo parziale, solo con un’indennità compensativa di importo inferiore.

3)      Se sia in contrasto con la clausola 4 dell’accordo quadro [sul lavoro a tempo determinato], una disposizione nazionale come l’art. 1, n. 2, lett. m), dello L‑VBG, in virtù della quale i lavoratori/lavoratrici assunti con un contratto di lavoro della durata massima di sei mesi ovvero occupati solo occasionalmente sono discriminati rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato comparabili riguardo alla retribuzione, all’inquadramento, all’anzianità pregressa, al diritto alle ferie annuali, ai compensi speciali, ed alle maggiorazioni per straordinari.

4)      Se sussista una discriminazione indiretta basata sul sesso, ai sensi dell’art. 14, n. 1, lett. c), della direttiva [...] 2006/54 [...], per il fatto che i lavoratori che si avvalgono del congedo parentale per la durata legalmente prevista di due anni perdono, decorso il periodo di congedo stesso, il diritto alle ferie maturato per l’anno precedente alla nascita, trattandosi, per quanto attiene ai lavoratori interessati, prevalentemente (97%) di donne».

Con ordinanza 10 dicembre 2009, pervenuta in cancelleria il 14 dicembre 2009, il Landesgericht Innsbruck chiede alla Corte di statuire non sulla prima questione, ma solo sulle questioni dalla seconda alla quarta sottoposte alla Corte conformemente all’art. 234 CE.

Sulle questioni pregiudiziali

Sulla ricevibilità

Nelle sue osservazioni scritte il Land Tirolo afferma che, in assenza dell’applicabilità diretta delle disposizioni del diritto dell’Unione menzionate dal giudice nazionale, le questioni pregiudiziali sottoposte alla Corte sono irricevibili.

Occorre ricordare in proposito che risulta da una giurisprudenza costante che, in tutti i casi in cui disposizioni di una direttiva appaiano, dal punto di vista sostanziale, incondizionate e sufficientemente precise, tali disposizioni possono essere invocate dai singoli nei confronti dello Stato membro, segnatamente in qualità di datore di lavoro (v. in particolare, in tal senso, sentenze 20 marzo 2003, causa C‑187/00, Kutz-Bauer, Racc. pag. I‑2741, punti 69 e 71; 15 aprile 2008, causa C‑268/06, Impact, Racc. pag. I‑2483, punto 57, nonché 16 luglio 2009, causa C‑537/07, Gómez-Limón Sánchez-Camacho, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 33). Questo è indubbiamente il caso per quanto riguarda l’art. 14 della direttiva 2006/54.

È inoltre possibile applicare tale giurisprudenza agli accordi che, come l’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale e sul lavoro a tempo determinato, sono nati da un dialogo condotto tra parti sociali a livello dell’Unione europea e sono stati attuati, conformemente alla rispettiva base giuridica, da una direttiva del Consiglio dell’Unione europea, di cui sono allora parte integrante. (v., in tal senso, sentenza Impact, cit., punto 58).

Tento conto di tali considerazioni, la Corte ha dichiarato, in particolare, che la clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato è incondizionata e sufficientemente precisa per poter essere invocata da un singolo dinanzi ad un giudice nazionale (v. sentenza Impact, cit., punto 2 del dispositivo). La Corte ha inoltre precisato che la clausola 4, punto 2, del suddetto accordo quadro si limita a sottolineare una delle conseguenze che possono se del caso essere ricollegate, sotto il controllo eventuale del giudice, all’applicazione del principio di non discriminazione a favore dei lavoratori a tempo determinato, senza per nulla incidere sul tenore stesso di tale principio (sentenza Impact, cit., punto 65).

Alla luce di quanto precede nonché del fatto che il tenore delle clausole degli accordi quadro sul lavoro a tempo parziale e sul lavoro a tempo determinato è mutatis mutandis identico, è necessario concludere che le disposizioni del diritto dell’Unione menzionate dal giudice nazionale sono incondizionate e sufficientemente precise per poter essere invocate da un singolo dinanzi ad un giudice nazionale.

Date siffatte circostanze, la domanda di pronuncia pregiudiziale è ricevibile.

Sulla seconda questione

Con la seconda questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se il pertinente diritto dell’Unione, e segnatamente la clausola 4, punto 2, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale, debba interpretarsi nel senso che osta ad una disposizione nazionale come l’art. 55, n. 5, dello L‑VBG, a norma del quale, in caso di modificazione del volume delle ore di lavoro effettuate da un lavoratore, le ferie non utilizzate sono adattate con la conseguenza che al lavoratore il quale passa da un lavoro a tempo pieno ad un lavoro a tempo parziale è ridotto il diritto alle ferie annuali retribuite che ha maturato durante il periodo di attività lavorativa a tempo pieno ovvero può usufruire di tali ferie solo con un’indennità compensativa di importo inferiore.

Si deve ricordare in primo luogo che, secondo una costante giurisprudenza, il diritto di ogni lavoratore alle ferie annuali retribuite deve essere considerato come un principio particolarmente importante del diritto sociale dell’Unione, al quale non si può derogare e la cui attuazione da parte delle autorità nazionali competenti può essere effettuata solo nei limiti esplicitamente indicati dalla direttiva del Consiglio 23 novembre 1993, 93/104/CE, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro (GU L 307, pag. 18), in quanto tale (v. sentenze 26 giugno 2001, causa C‑173/99, BECTU, Racc. pag. I‑4881, punto 43; 18 marzo 2004, causa C‑342/01, Merino Gómez, Racc. pag. I‑2605, punto 29, nonché 16 marzo 2006, cause riunite C‑131/04 e C‑257/04, Robinson-Steele e a., Racc. pag. I‑2531, punto 48; quanto alla direttiva 2003/88, v. sentenze 20 gennaio 2009, cause riunite C‑350/06 e C‑520/06, Schultz-Hoff e a., Racc. I‑179, punto 22, nonché 10 settembre 2009, causa C‑277/08, Vicente Pereda, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 18).

Occorre in secondo luogo rilevare che tale principio di diritto sociale dell’Unione, rivestendo una particolare importanza, non può essere interpretato in maniera restrittiva (v., per analogia, sentenza 22 ottobre 2009, causa C‑116/08, Meerts, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 42).

È pacifico inoltre che lo scopo del diritto alle ferie annuali retribuite è consentire al lavoratore di riposarsi e di beneficiare di un periodo di distensione e di ricreazione (v. citata sentenza Schultz-Hoff e a., punto 25). Tale periodo di riposo rimane interessante sotto il profilo dell’effetto positivo delle ferie annuali retribuite sulla sicurezza e sulla salute del lavoratore anche qualora se ne fruisca non in occasione del periodo di riferimento, ma in un momento successivo (sentenza 6 aprile 2006, causa C‑124/05, Federatie Nederlandse Vakbeweging, Racc. pag. I‑3423, punto 30).

Infatti, di norma, il lavoratore deve poter beneficiare di un riposo effettivo, tant’è che l’art. 7, n. 2, della direttiva 2003/88 permette di sostituire il diritto alle ferie annuali retribuite con una compensazione finanziaria solo nel caso in cui sia cessato il rapporto di lavoro (v., in tal senso, circa la direttiva 93/104, le citate sentenze BECTU, punto 44, e Merino Gómez, punto 30).

Deriva da quanto precede che l’utilizzazione delle ferie annuali in un momento successivo al periodo di riferimento non ha alcun nesso col volume delle ore di lavoro effettuate dal lavoratore in occasione di tale periodo ulteriore. Pertanto la modificazione, e segnatamente la diminuzione, di tale volume nel passaggio da un’attività lavorativa a tempo pieno ad una a tempo parziale non può ridurre il diritto alle ferie annuali maturato dal lavoratore nel periodo di attività lavorativa a tempo pieno.

Si deve peraltro constatare che è invero appropriato applicare il principio del pro rata temporis, derivante dalla clausola 4, punto 2, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale, al riconoscimento delle ferie annuali per un periodo di attività lavorativa a tempo parziale. Infatti, per un periodo siffatto, la riduzione del diritto alle ferie annuali rispetto a quello riconosciuto per un periodo lavorativo a tempo pieno è giustificata per ragioni oggettive. Viceversa, il suddetto principio non può essere applicato ex post al diritto alle ferie annuali maturato in occasione di un periodo di attività lavorativa a tempo pieno.

Per concludere, se non si può inferire né dalle pertinenti disposizioni della direttiva 2003/88 né dalla clausola 4, punto 2, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale che una normativa nazionale possa prevedere, tra le modalità di esercizio del diritto alle ferie annuali, la perdita parziale del diritto alle ferie maturato in occasione di un periodo di riferimento, occorre tuttavia ricordare che tale conclusione si impone unicamente quando il lavoratore non ha effettivamente avuto la possibilità di esercitare tale diritto (v. sentenza Vicente Pereda, cit., punto 19).

Risulta dalle precedenti considerazioni che occorre risolvere la seconda questione nel senso che il pertinente diritto dell’Unione, e segnatamente la clausola 4, punto 2, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale, figurante in allegato alla direttiva 97/81, come modificata dalla direttiva 98/23, deve interpretarsi nel senso che osta ad una disposizione nazionale come l’art. 55, n. 5, dello L‑VBG, a norma della quale, in caso di modificazione del volume delle ore di lavoro effettuate da un lavoratore, le ferie non utilizzate sono adattate con la conseguenza che al lavoratore, il quale passa da un’attività lavorativa a tempo pieno ad un’attività lavorativa a tempo parziale, è ridotto il diritto alle ferie annuali retribuite da esso maturato, senza avere avuto la possibilità di esercitarlo, durante il periodo di attività lavorativa a tempo pieno, ovvero può fruire delle ferie in questione solo con un’indennità compensativa di importo inferiore.

Sulla terza questione

Con la terza questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la clausola 4 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato debba interpretarsi nel senso che osta ad una disposizione nazionale come l’art. 1, n. 2, lett. m), dello L‑VBG, che esclude dall’ambito di applicazione di tale legge i lavoratori assunti con un contratto di lavoro a tempo determinato della durata massima di sei mesi o occupati solo occasionalmente.

Si deve preliminarmente ricordare che lo L‑VBG era applicabile, nella versione in vigore sino al 1° febbraio 2009, ai lavoratori a tempo pieno nonché a quelli occupati per una durata di più di sei mesi o con un rapporto di lavoro a tempo parziale per una durata pari ad almeno il 30% del lavoro a tempo pieno.

In seguito alla modifica legislativa enunciata al punto 16 della presente sentenza, tutti i lavoratori a tempo parziale fruiscono, allo stesso titolo dei lavoratori a tempo pieno, dei diritti accordati dallo L‑VBG concernenti, in particolare, la retribuzione, l’inquadramento, il riconoscimento dell’anzianità pregressa, il diritto alle ferie, i compensi speciali e le maggiorazioni per gli straordinari. Emerge dalle note esplicative che accompagnano il progetto di legge che tale modifica è stata ritenuta necessaria in considerazione dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale.

Per quanto riguarda i lavoratori con un contratto di lavoro a tempo determinato di una durata massima di sei mesi, tra cui quelli occupati occasionalmente con contratti di lavoro di durata limitata ad un giorno, che continuano ad essere esclusi dall’ambito di applicazione dello L‑VBG, occorre constatare che il semplice fatto che tali lavoratori non fruiscono dei diritti accordati dalla legge in parola ha per conseguenza che sono trattati in maniera meno favorevole rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato o che lavorano a tempo parziale.

Si deve precisare al riguardo che la fruizione di taluni diritti emananti, secondo il Land Tirolo, da altre disposizioni applicabili alla categoria dei lavoratori esclusi dall’ambito di applicazione dello L‑VBG, può solo attenuare, nella specie, l’effetto del trattamento sfavorevole dei suddetti lavoratori risultante da tale esclusione.

In tale contesto occorre rilevare che, a norma della clausola 4 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato e del principio di non discriminazione, il diverso trattamento di un lavoratore a tempo determinato rispetto ad un lavoratore a tempo indeterminato comparabile può giustificarsi solo con ragioni oggettive.

Orbene, secondo la costante giurisprudenza della Corte, la nozione di «ragioni [oggettive]» ai sensi della clausola 5, punto 1, lett. a), dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato deve essere intesa nel senso che essa si riferisce a circostanze precise e concrete che contraddistinguono una determinata attività e, pertanto, tali da giustificare, in tale peculiare contesto, l’utilizzo di contratti di lavoro a tempo determinato successivi. Dette circostanze possono risultare, segnatamente, dalla particolare natura delle funzioni per l’espletamento delle quali sono stati conclusi i contratti in questione, dalle caratteristiche ad esse inerenti o, eventualmente, dal perseguimento di una legittima finalità di politica sociale di uno Stato membro (sentenza 4 luglio 2006, causa C‑212/04, Adeneler e a., Racc. pag. I‑6057, punti 69 e 70, nonché 13 settembre 2007, causa 307/05, Del Cerro Alonso, Racc. pag. I‑7109, punto 53).

Tale stessa interpretazione si impone, per analogia, in relazione all’identica nozione di «ragioni oggettive» ai sensi della clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato (sentenza Del Cerro Alonso, cit., punto 56).

Ciò premesso, le nozione di «ragioni oggettive» ai sensi della suddetta clausola dev’essere intesa nel senso che essa non autorizza a giustificare una differenza di trattamento tra i lavoratori a tempo determinato e i lavoratori a tempo indeterminato per il fatto che quest’ultima sia prevista da una norma interna generale ed astratta. Tale nozione richiede, al contrario, che la disparità di trattamento in causa risponda ad una reale necessità, sia idonea a conseguire l’obiettivo perseguito e risulti a tal fine necessaria (sentenza Del Cerro Alonso, cit., punti 57 e 58).

Dati tali principi, il Land Tirolo considera che il diverso trattamento dei lavoratori di cui all’art. 1, n. 2, lett. m), dello L‑VBG è giustificato da ragioni oggettive connesse all’attuazione dell’imperativo di gestione rigorosa del personale. Il governo austriaco afferma che sarebbe estremamente difficile e oneroso da un punto di vista amministrativo creare impieghi permanenti oltre quanto necessario concludendo contratti di lavoro con persone per le quali non è preso a priori in considerazione un rapporto di lavoro a lungo termine. Un siffatto approccio impedirebbe il perseguimento di un obiettivo legittimo di politica sociale e di organizzazione del mercato del lavoro.

Tuttavia un siffatto argomento non può avere successo. Infatti, da una parte, la gestione rigorosa del personale rientra in considerazioni di bilancio che non potrebbero giustificare una discriminazione (v., in tal senso, sentenza 23 ottobre 2003, cause riunite C‑4/02 e C‑5/02, Schönheit e Becker, Racc. pag. I‑12575, punto 85). Dall’altra, la Commissione europea sottolinea con giusta ragione che la finalità della clausola 4 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato non è quella di creare necessariamente impieghi permanenti.

Discende da quanto precede che la clausola 4 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, figurante in allegato alla direttiva 1999/70, deve interpretarsi nel senso che osta ad una disposizione nazionale come l’art. 1, n. 2, lett. m), dello L‑VBG, che esclude dall’ambito di applicazione di tale legge i lavoratori con un contratto di lavoro a tempo determinato della durata massima di sei mesi o occupati solo occasionalmente.

Sulla quarta questione

Con la quarta questione il giudice del rinvio chiede in sostanza se il pertinente diritto dell’Unione, e segnatamente l’art. 14, n. 1, lett. c), della direttiva 2006/54, debba interpretarsi nel senso che osta ad una disposizione nazionale come l’art. 60, ultima frase, dello L-VBG, a norma della quale i lavoratori essenzialmente di sesso femminile, che si avvalgono del diritto al congedo parentale di due anni, perdono, decorso il congedo stesso, i diritti alle ferie annuali retribuite maturati nell’anno precedente la nascita del loro figlio.

A tale riguardo occorre rilevare che, anche se, sul piano formale, il giudice del rinvio ha limitato la propria domanda di pronuncia pregiudiziale all’interpretazione dell’art. 14, n. 1, lett. c), della direttiva 2006/54, tale circostanza non osta a che la Corte fornisca al giudice nazionale tutti gli elementi interpretativi del diritto dell’Unione che possano consentirgli di dirimere la controversia sottopostagli, a prescindere dal fatto che detto giudice vi abbia fatto riferimento o meno nel formulare le questioni (v., in tal senso, sentenze 29 aprile 2004, causa C‑387/01, Weigel, Racc. pag. I‑4981, punto 44, e 21 febbraio 2006, causa C‑152/03, Ritter-Coulais, Racc. pag. I‑1711, punto 29).

Così occorre ricordare di primo acchito che, a norma della clausola 2, punto 6, dell’accordo quadro sul congedo parentale che può essere invocata dai singoli dinanzi ad un giudice nazionale (v. sentenza Gómez-Limón Sánchez-Camacho, cit., punto 1 del dispositivo), i diritti acquisiti o in via di acquisizione da parte del lavoratore alla data di inizio del congedo parentale restano immutati fino alla fine del congedo parentale e si applicano al termine del congedo stesso.

Risulta pertanto sia dal disposto della suddetta clausola 2, punto 6, sia dal contesto in cui essa si inserisce che tale disposizione mira ad evitare la perdita o la riduzione dei diritti che derivano dal rapporto di lavoro, acquisiti o in corso di acquisizione, di cui il lavoratore già dispone quando inizia il congedo parentale e a garantire che, al termine di tale congedo, la sua situazione, riguardo a tali diritti, sia la medesima che possedeva precedentemente al suddetto congedo (v. citate sentenze Gómez-Limón Sánchez-Camacho, punto 39, e Meerts, punto 39).

Infatti, l’accordo quadro sul congedo parentale fa propri gli obiettivi fondamentali di cui al punto 16 della Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori relativo alla parità di trattamento tra uomini e donne, alla quale rinvia tale accordo quadro, e che è parimenti menzionata dall’art. 136 CE, obiettivi connessi al miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, nonché all’esistenza di una tutela sociale adeguata dei lavoratori, eventualmente quelli che abbiano chiesto un congedo parentale ovvero ne abbiano goduto (v. sentenza Meerts, cit., punto 37).

Dagli obiettivi dell’accordo quadro sul congedo parentale risulta che la nozione di «diritti acquisiti o in via di acquisizione», ai sensi della clausola 2, punto 6, del suddetto accordo quadro, comprende l’insieme dei diritti e dei vantaggi, in contanti o in natura, derivanti, direttamente o indirettamente, dal rapporto di lavoro, che il lavoratore può far valere nei confronti del datore di lavoro alla data di inizio del congedo parentale (sentenza Meerts, cit., punto 43).

Il diritto alle ferie annuali retribuite rivestendo, come ricordato al punto 28 della presente sentenza, una particolare importanza, fa indubbiamente parte dei diritti derivanti direttamente dal rapporto di lavoro di ciascun lavoratore, a prescindere dalla circostanza che si tratti di lavoratori di sesso femminile o maschile.

Poiché tale conclusione si applica a tutti i lavoratori che si avvalgono del loro diritto al congedo parentale di due anni, siano essi di sesso femminile o maschile, non occorre interpretare l’art. 14, n. 1, lett. c), della direttiva 2006/54.

Risulta dalle considerazioni precedenti che la quarta questione dev’essere risolta dichiarando che la clausola 2, punto 6, dell’accordo quadro sul congedo parentale, figurante in allegato alla direttiva 96/34, come modificata dalla direttiva 97/75, deve interpretarsi nel senso che osta ad una disposizione nazionale come l’art. 60, ultima frase, dello L-VBG, a norma della quale i lavoratori che si avvalgono del loro diritto al congedo parentale di due anni perdono, al termine di tale congedo, i diritti alle ferie annuali retribuite maturati nell’anno precedente la nascita del loro figlio.

Sulle spese

Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara:

1)      Il pertinente diritto dell’Unione, e segnatamente la clausola 4, punto 2, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale, concluso il 6 giugno 1997, figurante in allegato alla direttiva del Consiglio 15 dicembre 1997, 97/81/CE, relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES, come modificata dalla direttiva del Consiglio 7 aprile 1998, 98/23/CE, deve interpretarsi nel senso che osta ad una disposizione nazionale come l’art. 55, n. 5, della legge del Land del Tyrol relativa agli agenti contrattuali (Tiroler Landes-Vertragsbedienstetengesetz) 8 novembre 2000, nella versione in vigore sino al 1° febbraio 2009, a norma della quale, in caso di modificazione del volume delle ore di lavoro effettuate da un lavoratore, le ferie non utilizzate sono adattate con la conseguenza che al lavoratore, il quale passa da un’attività lavorativa a tempo pieno ad un’attività lavorativa a tempo parziale, è ridotto il diritto alle ferie annuali retribuite da esso maturato, senza avere avuto la possibilità di esercitarlo, durante il periodo di attività lavorativa a tempo pieno, ovvero può fruire delle ferie in questione solo con un’indennità compensativa di importo inferiore.

2)      La clausola 4 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, figurante in allegato alla direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, 1999/70/CE, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve interpretarsi nel senso che osta ad una disposizione nazionale come l’art. 1, n. 2, lett. m), della legge del Land del Tyrol relativa agli agenti contrattuali 8 novembre 2000, nella versione in vigore sino al 1° febbraio 2009, che esclude dall’ambito di applicazione di tale legge i lavoratori con un contratto di lavoro a tempo determinato della durata massima di sei mesi o occupati solo occasionalmente.

3)      La clausola 2, punto 6, dell’accordo quadro sul congedo parentale, concluso il 14 dicembre 1995, figurante in allegato alla direttiva del Consiglio 3 giugno 1996, 96/34/CE, concernente l’accordo quadro sul congedo parentale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES, come modificata dalla direttiva del Consiglio 15 dicembre 1997, 97/75/CE, deve interpretarsi nel senso che osta ad una disposizione nazionale come l’art. 60, ultima frase, della legge del Land del Tyrol relativa agli agenti contrattuali 8 novembre 2000, nella versione in vigore sino al 1° febbraio 2009, a norma della quale i lavoratori che si avvalgono del loro diritto al congedo parentale di due anni perdono, al termine di tale congedo, i diritti alle ferie annuali retribuite maturati nell’anno precedente la nascita del loro figlio.

Firme


 

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