Responsabilità dell'amministratore unico di una s.r.l. importatrice in Italia e venditrice di una macchina priva di adeguati meccanismi di protezione e del datore di lavoro di una s.p.a. acquirente della predetta macchina per omicidio colposo ai danni di un socio della società cooperativa incaricata dei servizi di pulizia e intento a pulire la macchina stessa - Sussiste.

La Cassazione afferma che, per quanto riguarda il costruttore della macchina, "accanto ai vizi "non esternamente percepibili", la macchina in questione presentasse altri vizi, viceversa palesi e facilmente percepibili dall'imputato, che li ha colposamente ignorati."
L'imputata ha sostanzialmente immesso sul mercato una macchina non rispondente alle disposizioni vigenti in materia di sicurezza.
"Altrettanto infondate sono le censure proposte in relazione al marchio "CE" apposto sulla macchina, atteso che esso, come giustamente si è sostenuto nella sentenza impugnata, certamente - anche in considerazione della sua natura autocertificatoria - non esonera da responsabilità chi produce o mette in vendita macchinari realizzati senza il rispetto delle norme antinfortunistiche."

"Quanto al ricorso di T.A., valgono, per il primo motivo di ricorso, le argomentazioni sopra esposte con riguardo al ricorso della V..
E dunque, anche nei confronti del T., deve rilevarsi, da un lato, l'evidenza e la rilevanza, sotto il profilo della mancanza dei requisiti di sicurezza, del vizio della macchina in questione, individuato nella presenza del dispositivo di comando, la cui collocazione e le cui caratteristiche tecniche, come già segnalato, non erano per nulla conformi alle norme di sicurezza.
Dall'altro, che il vizio rilevato era chiaramente e facilmente percepibile dall'imputato che lo ha colposamente ignorato; donde l'affermazione di responsabilità per avere lo stesso introdotto nella sua azienda e messo a disposizione dei suoi dipendenti una macchina realizzata senza il rispetto delle norme antinfortunistiche.
Norme del cui assoluto ed integrale rispetto egli, quale datore di lavoro della vittima, e responsabile della sicurezza dell'ambiente di lavoro, avrebbe dovuto accertarsi, nulla rilevando la marchiatura "CE"..."


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MARINI Lionello - Presidente -
Dott. CAMPANATO Graziana - Consigliere -
Dott. MARZANO Francesco - Consigliere -
Dott. FOTI Giacomo - Consigliere -
Dott. BRICCHETTI Renato - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA/ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
1) V.S., N. IL (OMISSIS);
2) T.A., N. IL (OMISSIS);
avverso SENTENZA del 18/06/2007 CORTE APPELLO di FIRENZE;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dr. FOTI GIACOMO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dr. SALZANO Francesco, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;
udito il difensore avv. Maresca, che ha chiesto l'accoglimento dei ricorsi.



FattoDiritto

1 - Con sentenza del 18 giugno 2007, la Corte d'Appello di Firenze, in riforma della sentenza del tribunale della stessa città del 14.10.2005, su appello proposto dal Procuratore della Repubblica presso il medesimo tribunale, ha ritenuto V.S. - nella qualità di amministratore unico della "Laundry Facile Service s.r.l.", importatore in Italia e venditore della macchina denominata "introduttore" marca "Biko AG tipo Twinfeed 3500 n. (OMISSIS)", costruita da una società svizzera - e T.A. - direttore generale della "S.O.F. s.p.a.", acquirente della predetta macchina - responsabili del delitto di omicidio colposo, commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, ai danni di T.R..
All'affermazione di responsabilità degli imputati è conseguita la loro condanna - riconosciute ad ambedue le circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sull'aggravante contestata - alla pena, sospesa per entrambi alle condizioni di legge, di quattro mesi di reclusione ciascuno, sostituita con la corrispondente pena pecuniaria pari a Euro 4.650,00 di multa.
Secondo quanto pacificamente accertato dai giudici del merito, la vittima era socio della società cooperativa "Segema Global Service s.r.l." cui la "Se.Ge.Ma. Italia s.p.a.", a seguito di associazione d'impresa con la predetta cooperativa, aveva affidato l'esecuzione dei servizi di pulizia appaltati dalla "S.O.F. s.p.a.", esercente attività di lavanderia industriale.
L'infortunio si era verificato presso la sede della S.O.F., allorchè il lavoratore, in momento successivo al normale orario di lavoro, stava provvedendo, da solo, con l'ausilio di un soffio di aria compressa, alla pulizia della macchina sopra indicata, che è un "introduttore" di biancheria che serve a stendere ed introdurre le lenzuola appena lavate all'interno di appositi congegni predisposti per la stiratura.
Il retro di tale macchina, ove si è verificato l'infortunio, hanno sostenuto i giudici della Corte territoriale, presenta una parte mobile, di consistenti dimensioni, denominata "convogliatore" o "trascinatore" che compie, allorchè è in funzione, un movimento indicato come "innalzamento" ed "abbassamento".
Proprio un movimento improvviso del "convogliatore" aveva determinato l'infortunio, avendo la vittima involontariamente azionato il dispositivo di comando che ha messo in azione il "convogliatore";meccanismo che, alla stregua di quanto accertato in sede di consulenza tecnica e di perizia, è risultato azionabile pur in mancanza di alimentazione elettrica e di alimentazione pneumatica.
In particolare, è stato accertato che la vittima, intenta alla pulizia della macchina, volgendo le spalle alla parte mobile della stessa, era rimasta intrappolata tra le strutture fisse della parte posteriore ed il "trascinatore", inaspettatamente innalzatosi, con conseguente chiusura a morsa del corpo, allorchè la vittima ha involontariamente azionato il dispositivo di comando collocato sul montante posteriore sinistro del macchinario.
Pacifica, quindi, doveva ritenersi, a giudizio della Corte territoriale, la correlazione tra tale dispositivo e l'avvio del "convogliatore" il cui movimento aveva intrappolato il corpo del lavoratore.
Richiamando quanto sostenuto dallo stesso giudice di primo grado, che pure aveva assolto gli imputati, i giudici dell'impugnazione hanno, altresì, ritenuto accertato:
a) che al momento dell'infortunio il macchinario non era collegato alla rete elettrica e che il movimento del "trascinatore" era stato determinato dal rilascio dell'energia pneumatica, ovvero dell'aria compressa ancora presente nei circuiti e nei serbatoi della macchina;
b) che la stessa macchina non presentava i requisiti minimi di sicurezza di cui al D.P.R. n. 459 del 1996 in quanto il dispositivo di comando (selettore), involontariamente azionato dalla vittima, non era del tipo cosiddetto "a uomo presente"; si trattava, invero, di congegno posto in prossimità degli elementi mobili, privo di protezioni e suscettibile di contatto accidentale, e dunque realizzato in violazione delle disposizioni dettate dal citato D.P.R.;
c) che non vi era un interruttore generale in grado di isolare la macchina dall'energia pneumatica accumulatasi, di guisa che questa rendeva possibile il movimento delle parti meccaniche pure in assenza di energia elettrica.
Poste tali premesse, la Corte territoriale è, quindi, pervenuta all'affermazione di responsabilità dei due imputati, per avere, nelle rispettive qualità sopra indicate, l'uno importato in Italia e posto in vendita ( V.), l'altro utilizzato ( T.) una macchina priva di adeguati meccanismi di protezione, non conforme alle prescrizioni dettate dalla legge in materia di sicurezza.
Con riguardo alla V., i giudici dell'impugnazione, contestando le conclusioni cui era pervenuto il giudice di primo grado - secondo il quale il macchinario in questione presentava vizi non percettibili esteriormente, rispetto ai quali nessuna particolare verifica avrebbe potuto chiedersi agli imputati in presenza della marchiatura CE e vista l'assenza di anomalie di costruzione, donde la sentenza assolutoria - hanno sostenuto che, seppure l'"introduttore" presentava anche vizi non esteriormente percepibili, tuttavia esso era portatore di evidenti e palesi difformità rispetto alle prescrizioni antinfortunistiche, ritenute in chiara connessione causale con l'infortunio, in relazione alle quali dovevano rilevarsi chiari ed evidenti profili di colpa a carico dell'imputata.
In particolare, con riguardo al posizionamento ed alle caratteristiche del dispositivo di comando del "convogliatore", quei giudici, richiamando i risultati dell'indagine peritale, hanno rilevato che tale dispositivo era collocato in prossimità degli elementi mobili della macchina, cioè in posizione pericolosa anche in fase di normale utilizzo; ed ancora, che lo stesso era privo di protezioni utili ad evitare un avvio involontario del meccanismo, come accaduto nel caso in esame.
Ciò in aperta violazione di quanto prescritto dall'allegato "I", sub "1.2.2" del D.P.R. 24 luglio 1996, n. 459, secondo cui i dispositivi di comando devono essere disposti in modo da garantire una manovra sicura, univoca e rapida, devono essere situati fuori dalla zone pericolose e progettati in modo che il movimento della macchina possa avvenire solo in presenza di una manovra intenzionale.
In violazione, altresì, del D.P.R. n. 547 del 1955, art. 77, il quale prescrive che i comandi di messa in moto delle macchine devono essere posizionati in modo da evitare avviamenti o innesti accidentali, o essere muniti di dispositivi di sicurezza che li evitino.
Proprio le segnalate inadeguatezze del dispositivo di comando del "convogliatore" si è posto, a giudizio della Corte territoriale, quale causa dell'evento.
In ordine all'elemento psicologico del reato contestato, la stessa Corte ne ha affermato la sussistenza sotto il profilo della colpa specifica.
Quanto rilevato in tema di mancata conformità del dispositivo di comando alle prescrizioni in materia di sicurezza, dimostrava, secondo i giudici del merito, che l'imputata è incorsa, nella rilevata qualità, nella inosservanza di precise prescrizioni normative, tra le quali quella di cui al D.P.R. n. 547 del 1955, art. 7, comma 1, che vieta, tra l'altro, la vendita di macchine o parti di macchine non rispondenti alle norme dello stesso decreto (nel caso di specie alle richiamate prescrizioni di cui al citato D.P.R., art. 77); ed ancora, quella di cui al D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 6, comma 2 che vieta, in generale, tra l'altro, la vendita di macchine non rispondenti alle disposizioni legislative e regolamentari vigenti in materia di sicurezza.
Con riguardo al T., direttore generale della S.O.F., società appaltante i servizi di pulizia e proprietaria della macchina sulla quale si è verificato l'infortunio, la Corte territoriale ha rilevato profili di colpa a carico dello stesso per avere omesso di adottare gli accorgimenti necessari ad evitare l'avviamento accidentale della macchina e di informare adeguatamente la Segema Global Service circa i rischi connessi all'uso della stessa.
Contestando le conclusioni cui era pervenuto il giudice di primo grado - secondo il quale nessun addebito poteva muoversi all'imputato, avendo egli ricevuto, da soggetti tecnicamente qualificati ed incaricati del collaudo della macchina, piena assicurazione circa l'assenza di anomalie nel funzionamento della stessa - detta Corte ha, anzitutto, rilevato che il giudice di primo grado aveva travisato le risultanze istruttorie, laddove egli aveva ritenuto, ripercorrendo la tesi difensiva dell'imputato, che costui avesse chiesto ai suoi sottoposti, a tal fine inviati in Svizzera, ed alla società elvetica costruttrice della macchina, un preventivo collaudo e controllo della stessa sotto il profilo della conformità alle norme antinfortunistiche.
In realtà, hanno sostenuto i giudici dell'impugnazione, l'assunto del T. è stato smentito dal teste B., responsabile della manutenzione degli impianti della S.O.F. ed inviato in Svizzera per il presunto collaudo, il quale ha ridotto il richiamato controllo ad un semplice "giro" all'interno dello stabilimento, dove la macchina era ancora in fase di costruzione ed era stata solo sommariamente visionata.
Non era, dunque, avvenuto nessun collaudo del macchinario in questione, almeno in Svizzera; ancor meno era stato eseguito un controllo (ben diverso dal primo) di conformità dello stesso alle norme antinfortunistiche, in relazione al quale, peraltro, il B. non aveva, a giudizio dei giudici del merito, alcuna specifica competenza.
Quanto al collaudo, in realtà avvenuto, successivamente, in Italia, presso la sede della S.O.F., gli stessi giudici hanno rilevato, richiamando ed in parte riportando la testimonianza del B., che in tale occasione non era stato eseguito alcun controllo circa la rispondenza della macchina acquistata ai requisiti di sicurezza fissati dalle norme antinfortunistiche, ed hanno altresì sostenuto come, in ogni caso, non potesse ammettersi che un così delicato controllo fosse demandato alla stessa società costruttrice della macchina.
L'anomalia del controllo, peraltro, hanno ancora osservato i giudici del merito, troverebbe conferma nel mancato coinvolgimento nello stesso, del responsabile del servizio di prevenzione e protezione della società, C.G., con il quale l'imputato avrebbe dovuto necessariamente coordinarsi.
Quanto alla presenza sulla macchina della marcatura "CE" ed all'ottemperanza del produttore alle procedure di cui al D.P.R. 24 luglio 1996, n. 459 (regolamento per l'attuazione delle direttive CEE concernenti il riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alle macchine), la Corte territoriale ha osservato che nè detta marcatura, nè l'osservanza degli adempimenti di cui al citato D.P.R., risolventesi in una poco appagante autoverifica ed autocertificazione della sicurezza provenienti dalla stessa ditta costruttrice della macchina, potevano porre l'imputato al riparo dai propri obblighi nè la macchina al di sopra di ogni sospetto.
Il citato D.P.R. n. 459 del 1996, peraltro, ha infine osservato la Corte territoriale, non ha certo comportato l'abrogazione delle norme di cui al D.P.R. n. 547 del 1955.

2 - Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso i due imputati che, per il tramite dei rispettivi difensori, deducono:

1) V.S., con unico motivo: contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata.
Sostiene la ricorrente la contraddittorietà della motivazione, laddove la Corte territoriale, da un lato, ha ammesso che l'introduttore avesse vizi non esteriormente percepibili, dall'altro, ha sostenuto, senza alcuna ulteriore specificazione, che detti vizi concretizzassero una evidente e non occulta difformità rispetto alle prescrizioni antinfortunistiche. Ulteriore contraddittorietà viene ravvisata laddove la predetta Corte ha ricondotto alla ricorrente la fattispecie colposa contestata, non sulla scorta dell'accertamento tecnico effettuato circa il residuo ciclo di movimento del convogliatore anche in assenza di energia elettrica (evidentemente ritenendo non esigibile dall'imputata tale specifica conoscenza), ma in considerazione della carenza del dispositivo di comando della macchina. La presenza del marchio "CE" sulla macchina segnala ancor più, a giudizio della ricorrente, la contraddittorietà della motivazione, laddove si consideri per la marchiatura "CE" è prevista una globale valutazione della stessa macchina, non differenziandosi tra la sicurezza dei meccanismi interni (nel caso di specie, il ciclo di movimento passivo) e quella dei comandi esterni, non richiedendosi per l'imprenditore, semplice importatore e venditore, una soglia di conoscenza così specifica.
Tutto ciò si riverbererebbe anche sull'elemento psicologico del reato, posto che l'accertamento, da parte della ricorrente, della presenza del marchio "CE" e dell'assenza di anomalie di costruzioni emergenti dal libretto di manutenzione, o comunque riscontrabili esternamente in quanto collegati a vizi meccanici interni relativi al funzionamento della macchina, riscontra, si sostiene nel ricorso, una diligente condotta dell'imputata, conforme alla professionalità alla stessa richiesta.
2) T.A.:

a) violazione di norme di legge, in particolare, degli artt. 40 e 589 c.p. e del D.P.R. n. 459 del 1996, art. 2, commi 1 e 2, allegati 1^ e 5^, carenza e manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata; sotto tale profilo - premesso che la macchina in questione, acquistata dalla S.O.F., era regolarmente corredata del marchio "CE", del manuale d'uso con relativi schemi elettrici e meccanici, che il costruttore della macchina era una primaria azienda del settore, che la stessa macchina era stata collaudata senza che fosse segnalata alcuna anomalia o carenza in materia di sicurezza e che la S.O.F. aveva da tempo in dotazione macchinari analoghi, costruiti dalla stessa azienda, che non avevano mai presentato problemi di sorta - sostiene il ricorrente che i giudici avrebbero del tutto trascurato la valenza della marchiatura "CE" e del relativo corredo di documentazione tecnica; il predetto marchio, invero, ben lungi dall'essere una mera etichetta formale, attesta che il costruttore, nella realizzazione della macchina, ha rispettato tutti i requisiti di sicurezza previsti dalle varie direttive europee in materia, e dunque la conformità della macchina a tali requisiti; in particolare, la marcatura "CE" attestava, ai sensi del D.P.R. n. 459 del 1996, art. 2, la messa in sicurezza della macchina nel senso che la stessa, disalimentate le fonti di energia (nel caso di specie, quelle elettrica e pneumatica), dovesse essere assolutamente statica e che eventuale energia residua o immagazzinata dopo l'isolamento della macchina, doveva essere dissipata senza pericolo ed in sicurezza; il certificato di conformità che correda la macchina, inoltre, specifica le norme seguite per la realizzazione della stessa, tra le quali sono citate anche quelle previste nel Decreto del Ministero dell'Industria e dell'Artigianato, 12 marzo 1998 concernenti la sicurezza del macchinario in relazione ai dispositivi di arresto ed al sistema di trasmissione; nel caso di specie, sostiene il ricorrente, l'infortunio è avvenuto a macchina ferma, disalimentata dalle fonti di energia elettrica e pneumatica - cioè quando la stessa doveva essere in condizioni di assoluta sicurezza - a causa di un accumulo di energia pneumatica che mai avrebbe dovuto residuare, stante la prescritta, e legittimamente presunta dall'imputato, dissipazione dell'energia residua, secondo quanto prescritto dalle norme sopra richiamate; e dunque i vizi della macchina, riconducibili al costruttore della stessa, ed al suo mandatario nell'Unione Europea che l'ha fornita, sono stati la causa dell'infortunio e della morte del lavoratore, di cui costoro devono esser chiamati a rispondere; del tutto assente, quindi, sarebbe il nesso causale tra la condotta del T. e l'evento, ravvisandosi, sotto tale profilo, la violazione del disposto dell'art. 40 c.p. e difettando l'elemento psicologico del reato, avendo l'imputato legittimamente confidato nel rispetto, da parte del costruttore, delle regole e prescrizioni previste in tema di sicurezza;

b) violazione dell'art. 163 c.p. ed omessa motivazione, con riguardo alla disposta sospensione condizionale della pena, mai richiesta dall'imputato, della quale egli chiede la revoca..
I ricorrenti concludono, quindi, chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata.

3 - Ambedue i ricorsi sono infondati.

A) Quanto ai vizi motivazionali rilevati da V.S., deve, anzitutto, osservarsi come questa Corte abbia costantemente affermato che il vizio della mancanza o manifesta illogicità della motivazione, valutabile in sede di legittimità, sussiste allorchè il provvedimento giurisdizionale manchi del tutto della parte motiva ovvero la medesima, pur esistendo graficamente, sia tale da non evidenziare l'iter argomentativo seguito dal giudice per pervenire alla decisione adottata.
Il vizio è altresì presente nell'ipotesi in cui dal testo della motivazione emergano illogicità o contraddizioni di tale evidenza da rivelare una totale estraneità tra le argomentazioni adottate e la soluzione decisionale prescelta.
Orbene, nel caso di specie le censure mosse dalla ricorrente si rivelano del tutto infondate poichè la sentenza impugnata presenta una struttura motivazionale adeguata e coerente sotto il profilo logico, priva delle segnalate contraddizioni.
In particolare, nessuna contraddittorietà è riscontabile nell'iter argomentativo seguito dalla Corte territoriale laddove, da un lato, i giudici del merito hanno ritenuto che l'"introduttore" fosse portatore di "vizi non esternamente percepibili" - evidentemente individuati nell'assenza di congegni che consentissero l'isolamento della macchina dalla residua energia pneumatica accumulatasi, al fine di evitare imprevisti movimenti delle parti meccaniche, pur in assenza di energia elettrica - dall'altro, hanno indicato la presenza di ulteriori vizi, questa volta evidenti ed immediatamente percepibili, rappresentati, alla stregua di acquisizioni probatorie non contestate, dal dispositivo di comando (selettore), inavvertitamente azionato dal lavoratore.
Tale congegno, ha sostenuto, senza essere smentita, la predetta Corte, non era del tipo "ad uomo presente" ed era posizionato in prossimità degli elementi mobili della macchina, privo di protezioni e dunque suscettibile di contatto accidentale; ciò in aperta violazione delle norme antinfortunistiche e, in particolare, del D.P.R. n. 547 del 1955, art. 77, il quale prevede che "i comandi di messa in moto delle macchine devono essere collocati in modo da evitare avviamenti o innesti accidentali o essere provvisti di dispositivi atti a conseguire lo stesso scopo".
In violazione, altresì, del D.P.R. n. 459 del 1996, recante il regolamento per l'attuazione di varie direttive CEE concernenti il riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alle macchine.
I giudici dell'impugnazione, quindi, hanno ritenuto, con argomentazioni coerenti e per nulla contraddittorie, che accanto ai vizi "non esternamente percepibili", la macchina in questione presentasse altri vizi, viceversa palesi e facilmente percepibili dall'imputato, che li ha colposamente ignorati.
Tale condotta è stata legittimamente ritenuta da quei giudici conforme alla fattispecie delittuosa contestata, avendo sostanzialmente l'imputata immesso sul mercato una macchina non rispondente alle disposizioni vigenti in materia di sicurezza.
Altrettanto infondate sono le censure proposte in relazione al marchio "CE" apposto sulla macchina, atteso che esso, come giustamente si è sostenuto nella sentenza impugnata, certamente - anche in considerazione della sua natura autocertificatoria - non esonera da responsabilità chi produce o mette in vendita macchinari realizzati senza il rispetto delle norme antinfortunistiche.

B) Quanto al ricorso di T.A., valgono, per il primo motivo di ricorso, le argomentazioni sopra esposte con riguardo al ricorso della V..
E dunque, anche nei confronti del T., deve rilevarsi, da un lato, l'evidenza e la rilevanza, sotto il profilo della mancanza dei requisiti di sicurezza, del vizio della macchina in questione, individuato nella presenza del dispositivo di comando, la cui collocazione e le cui caratteristiche tecniche, come già segnalato, non erano per nulla conformi alle norme di sicurezza.
Dall'altro, che il vizio rilevato era chiaramente e facilmente percepibile dall'imputato che lo ha colposamente ignorato; donde l'affermazione di responsabilità per avere lo stesso introdotto nella sua azienda e messo a disposizione dei suoi dipendenti una macchina realizzata senza il rispetto delle norme antinfortunistiche.
Norme del cui assoluto ed integrale rispetto egli, quale datore di lavoro della vittima, e responsabile della sicurezza dell'ambiente di lavoro, avrebbe dovuto accertarsi, nulla rilevando la marchiatura "CE" che, come già osservato, non esonera da responsabilità, in ragione dell'accertata non conformità della macchina ai previsti requisiti di sicurezza. Ancor meno possono esonerare da responsabilità l'asserita notorietà e competenza tecnica del costruttore nè l'utilizzo di altri macchinari, prodotti dalla stessa azienda, risultati del tutto conformi alle leggi.
L'imprenditore, invero, secondo quanto ha costantemente affermato questa Corte, è, comunque, il principale destinatario delle norme antinfortunistiche previste a tutela della sicurezza dei lavoratori ed ha l'obbligo di conoscerle e di osservarle indipendentemente da carenze od omissioni altrui e da certificazioni pur provenienti da autorità di vigilanza.
Infondato è, altresì, il secondo motivo di ricorso, con il quale si lamenta che i giudici del merito hanno concesso, d'ufficio e senza alcuna motivazione, la sospensione condizionale della pena, in realtà dall'imputato mai richiesta, laddove il beneficio si sarebbe risolto in un pregiudizio in considerazione della natura e dell'entità della condanna inflitta (pena pecuniaria in misura contenuta).
Orbene, escluso il dedotto vizio motivazionale, posto che le ragioni della concessione del richiamato beneficio possono trarsi agevolmente dal complesso argomentativo della sentenza, occorre rilevare che, in tema di sospensione condizionale della pena, le S.U. di questa Corte hanno affermato (Cass. S.U. n. 6563/94) che detto beneficio "non può risolversi in un pregiudizio per l'imputato in termini di compromissione del carattere personalistico e rieducativo della pena; l'interesse all'impugnazione, condizionante l'ammissibilità del ricorso, si configura pertanto tutte le volte in cui il provvedimento di concessione del beneficio sia idoneo a produrre in concreto la lesione della sfera giuridica dell'impugnante e la sua eliminazione consenta il conseguimento di una situazione giuridica più vantaggiosa.
Il pregiudizio addotto dall'interessato, tuttavia, in tanto è rilevante in quanto non attenga a valutazioni meramente soggettive di opportunità e di ordine pratico, ma concerna interessi giuridicamente apprezzabili in quanto correlati alla funzione stessa della sospensione condizionale, consistente nella "individualizzazione" della pena e nella sua finalizzazione alla reintegrazione sociale del condannato.
(In applicazione del principio la Corte ha escluso che possa assumere rilevanza giuridica la mera opportunità, prospettata dal ricorrente, di riservare il beneficio per eventuali condanne a pene più gravi, perchè valutazione di opportunità del tutto soggettiva e per giunta eventuale, e comunque in contraddizione con la prognosi di non reiterazione criminale, e quindi di ravvedimento, imposta dall'art. 164 c.p., comma 1.
per la concessione del beneficio medesimo).
Principio successivamente confermato da Cass. n. 8050/07, secondo cui: "Il beneficio della sospensione condizionale della pena non può mai risolversi in un pregiudizio per l'imputato in termini di compromissione del carattere personalistico e rieducativo della pena; tuttavia, tale pregiudizio non può ritenersi costituito dall'impossibilità di riservare il beneficio per l'ipotesi di future eventuali condanne più gravi.
(Affermando il principio la Corte ha rigettato il ricorso dell'imputato avverso la concessione - non richiesta - da parte del giudice di merito della sospensione condizionale della pena).
Nel caso di specie, l'imputato, nel chiedere la revoca del beneficio, pur non richiamandosi esplicitamente all'opportunità di riservarlo ad eventuali future condanne a pene di maggior gravità, richiama genericamente "situazioni giuridiche più vantaggiose" che, pur non meglio specificate, non possono che essere correlate a valutazioni di opportunità del tutto soggettive, e dunque irrilevanti, come quella di riservare il beneficio per eventuali successive condanne a pene più gravi.
In conclusione, i ricorsi devono essere rigettati ed i ricorrenti condannati, in solido, al pagamento delle spese processuali.




P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 12 giugno 2008.
Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2008