SENTENZA DELLA CORTE (Quarta Sezione)
19 settembre 2013 (*)
«Politica sociale – Direttiva 92/85/CEE − Protezione della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento – Articolo 8 – Congedo di maternità – Direttiva 76/207/CEE – Parità di trattamento tra lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile – Articolo 2, paragrafi 1 e 3 – Diritto a un congedo in favore delle madri lavoratrici subordinate in seguito alla nascita di un figlio – Possibile utilizzo da parte della madre lavoratrice subordinata o del padre lavoratore subordinato – Madre lavoratrice autonoma e non iscritta a un regime pubblico di previdenza sociale – Esclusione del diritto al congedo per il padre lavoratore subordinato – Padre biologico e padre adottivo – Principio della parità di trattamento»
Fonte: Sito web Eur-Lex
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Nella causa C 5/12,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dallo Juzgado de lo Social n. 1 de Lleida (Spagna), con decisione del 21 dicembre 2011, pervenuta in cancelleria il 3 gennaio 2012, nel procedimento
Marc Betriu Montull
contro
Instituto Nacional de la Seguridad Social (INSS),
LA CORTE (Quarta Sezione),
composta da L. Bay Larsen, presidente di sezione, J. Malenovský, U. Lõhmus, M. Safjan (relatore) e A. Prechal, giudici,
avvocato generale: M. Wathelet
cancelliere: M. Ferreira, amministratore principale
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 21 febbraio 2013,
considerate le osservazioni presentate:
– per l’Instituto Nacional de la Seguridad Social (INSS), da P. García Perea e A.R. Trillo García, in qualità di agenti;
– per il governo spagnolo, da A. Rubio González, in qualità di agente;
– per il governo polacco, da B. Majczyna nonché da J. Faldyga e A. Siwek, in qualità di agenti;
– per la Commissione europea, da M. van Beek nonché da C. Gheorghiu e S. Pardo Quintillán, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza dell’11 aprile 2013,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 La presente domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione della direttiva 76/207/CEE del Consiglio, del 9 febbraio 1976, relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro (GU L 39, pag. 40), della direttiva 96/34/CE del Consiglio, del 3 giugno 1996, concernente l’accordo quadro sul congedo parentale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES (GU L 145, pag. 4), come modificata dalla direttiva 97/75/CE del Consiglio, del 15 dicembre 1997 (GU 1998, L 10, pag. 24, in prosieguo: la «direttiva 96/34»), nonché del principio della parità di trattamento sancito dal diritto dell’Unione.
2 Tale domanda è stata proposta nell’ambito di una controversia insorta tra il sig. Betriu Montull, da un lato, e l’Instituto Nacional de la Seguridad Social (INSS) (Istituto nazionale di previdenza sociale) dall’altro, riguardo al rifiuto di quest’ultimo di attribuirgli un’indennità di maternità a causa della non iscrizione della madre di suo figlio a un regime pubblico di sicurezza sociale.
Contesto normativo
Il diritto internazionale
3 A termini dell’articolo 10, paragrafo 2, del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, adottato dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 16 dicembre 1966 ed entrato in vigore il 3 gennaio 1976:
«Una protezione speciale deve essere accordata alle madri per un periodo di tempo ragionevole prima e dopo il parto. Le lavoratrici madri dovranno beneficiare, durante tale periodo, di un congedo retribuito o di un congedo accompagnato da adeguate prestazioni di sicurezza sociale».
Il diritto dell’Unione
La direttiva 76/207
4 La direttiva 76/207, come modificata dalla direttiva 2002/73/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 settembre 2002 (GU L 269, pag. 15), è stata abrogata, a partire dal 15 agosto 2009, dalla direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego (GU L 204, pag. 23). Tuttavia, tenuto conto della data dei fatti del procedimento principale, esso rimane disciplinato dalla direttiva 76/207 nella sua versione iniziale.
5 L’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 76/207 disponeva:
«Scopo della presente direttiva è l’attuazione negli Stati membri del principio della parità di trattamento fra uomini e donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, ivi compresa la promozione, e l’accesso alla formazione professionale, nonché le condizioni di lavoro e, alle condizioni di cui al paragrafo 2, la sicurezza sociale. Tale principio è denominato qui appresso “principio della parità di trattamento”».
6 L’articolo 2, paragrafi 1 e 3, di tale direttiva aveva il seguente tenore:
«1. Ai sensi delle seguenti disposizioni il principio della parità di trattamento implica l’assenza di qualsiasi discriminazione fondata sul sesso, direttamente o indirettamente, in particolare mediante riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia.
(...)
3. La presente direttiva non pregiudica le disposizioni relative alla protezione della donna, in particolare per quanto riguarda la gravidanza e la maternità».
7 L’articolo 5 della direttiva in parola recitava:
«1. L’applicazione del principio della parità [di] trattamento per quanto riguarda le condizioni di lavoro, comprese le condizioni inerenti al licenziamento, implica che siano garantite agli uomini e alle donne le medesime condizioni, senza discriminazioni fondate sul sesso.
2. A tal fine, gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché:
a) siano soppresse le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative contrarie al principio della parità di trattamento;
b) siano nulle, possano essere dichiarate nulle o possano essere modificate le disposizioni contrarie al principio della parità di trattamento contenute nei contratti collettivi o nei contratti individuali di lavoro, nei regolamenti interni delle imprese nonché negli statuti delle professioni indipendenti;
c) siano riesaminate quelle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative contrarie al principio della parità di trattamento, originariamente ispirate da motivi di protezione non più giustificati; per le disposizioni contrattuali di analoga natura, le parti sociali siano sollecitate a procedere alle opportune revisioni».
La direttiva 92/85/CEE
8 L’articolo 8 della direttiva 92/85/CEE del Consiglio, del 19 ottobre 1992, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento (decima direttiva particolare ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1 della direttiva 89/391/CEE) (GU L 348, pag. 1), relativo al congedo di maternità, prevede:
«1. Gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché le lavoratrici di cui all’articolo 2 fruiscano di un congedo di maternità di almeno quattordici settimane ininterrotte, ripartite prima e/o dopo il parto, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali.
2. Il congedo di maternità di cui al paragrafo 1 deve includere un congedo di maternità obbligatorio di almeno due settimane, ripartite prima e/o dopo il parto, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali».
La direttiva 96/34
9 La direttiva 96/34, abrogata dalla direttiva 2010/18/UE del Consiglio, dell’8 marzo 2010, che attua l’accordo quadro riveduto in materia di congedo parentale concluso da BUSINESSEUROPE, UEAPME, CEEP e CES e che abroga la direttiva 96/34/CE (GU L 68, pag. 13), era intesa all’attuazione dell’accordo quadro sul congedo parentale concluso dalle organizzazioni interprofessionali a carattere generale, ossia l’Unione delle confederazioni europee dell’industria e dei datori di lavoro (UNICE), il Centro europeo delle imprese a partecipazione pubblica (CEEP) e la Confederazione europea dei sindacati (CES).
10 L’accordo quadro sul congedo parentale, concluso il 14 dicembre 1995 e che figura nell’allegato della direttiva 96/34 (in prosieguo: l’«accordo quadro sul congedo parentale»), stabiliva prescrizioni minime volte ad agevolare la conciliazione delle responsabilità professionali e familiari dei genitori che lavorano.
11 Il punto 9 delle considerazioni generali dell’accordo quadro sul congedo parentale era redatto come segue:
«considerando che il presente accordo è un accordo quadro che stabilisce prescrizioni minime e disposizioni sul congedo parentale, distinto dal congedo di maternità (…)».
12 La clausola 2, punto 1, di detto accordo quadro, disponeva quanto segue:
«Fatta salva la clausola 2.2, il presente accordo attribuisce ai lavoratori, di ambo i sessi, il diritto individuale al congedo parentale per la nascita o l’adozione di un bambino, affinché possano averne cura per un periodo minimo di tre mesi fino a un’età non superiore a 8 anni determinato dagli Stati membri e/o dalle parti sociali».
Il diritto spagnolo
13 Lo statuto dei lavoratori, nella versione risultante dal regio decreto legislativo n. 1/1995 recante approvazione del testo rifuso dello statuto dei lavoratori (Real Decreto Legislativo 1/1995 por el que se aprueba el texto refundido de la Ley del Estatuto de los Trabajadores), del 24 marzo 1995 (BOE n. 75, del 29 marzo 1995, pag. 9654), è stato modificato dalla legge n. 39/1999, intesa a promuovere la conciliazione della vita familiare e professionale dei lavoratori (Ley 39/1999 para promover la conciliacion de la vida familiar y laboral de las personas trabajadoras), del 5 novembre 1999 (BOE n. 266, del 6 novembre 1999, pag. 38934; in prosieguo: lo «statuto dei lavoratori»).
14 Ai sensi del suo articolo 1, paragrafo 1, detto statuto trova applicazione nei confronti di coloro che prestano volontariamente servizio a titolo oneroso a favore di un terzo all’interno di un’organizzazione e sotto la direzione di un’altra persona, fisica o giuridica, denominata «datore di lavoro o imprenditore».
15 L’articolo 1, paragrafo 3, del summenzionato statuto stabilisce che qualsiasi attività lavorativa svolta in condizioni diverse da quelle stabilite all’articolo 1, paragrafo 1, esula dall’ambito di applicazione di detto statuto.
16 L’articolo 48, paragrafo 4, dello statuto dei lavoratori prevede:
«In caso di parto il contratto è sospeso per una durata ininterrotta di sedici settimane, che può essere prolungata, in caso di nascita multipla, di due settimane per figlio a partire dal secondo figlio. Il periodo di sospensione è ripartito a piacimento dell’interessata, purché almeno sei settimane seguano immediatamente il parto. In caso di decesso della madre l’altro genitore può usufruire della totalità o, se del caso, della parte restante del periodo di sospensione.
Nonostante quanto disposto nel precedente paragrafo, e fatte salve le sei settimane di riposo obbligatorio per la madre immediatamente successive al parto, nel caso in cui entrambi i genitori lavorino, la madre può, all’inizio del periodo di congedo di maternità, decidere che l’altro genitore fruisca di una parte determinata e ininterrotta del periodo di riposo successivo al parto, contemporaneamente o successivamente al congedo della madre, salvo che, nel momento previsto per il ritorno della madre al lavoro, tale ritorno comporti un rischio per la salute di quest’ultima.
(...)
Nei casi di adozione e di affidamento, sia preadottivo che permanente, di minori fino ai sei anni di età, il contratto è sospeso per una durata ininterrotta di sedici settimane, che può essere prolungata, in caso di adozione o affidamento multiplo, di due settimane per ciascun figlio minorenne a partire dal secondo, che iniziano a decorrere, a scelta del lavoratore, dalla sentenza di adozione o dalla decisione amministrativa o giurisdizionale di affidamento, provvisoria o definitiva. Una sospensione di sedici settimane è parimenti prevista nei casi di adozione o affidamento di minori di età superiore ai sei anni, quando si tratti di minori disabili o di minori che, a causa delle circostanze o esperienze personali, o in quanto provengono da un paese estero, presentino particolari difficoltà di inserimento sociale e familiare, debitamente attestate dai servizi sociali competenti. Nel caso in cui il padre e la madre lavorino, il periodo di sospensione viene ripartito a piacimento degli interessati che potranno usufruirne simultaneamente o consecutivamente, ma sempre per periodi ininterrotti ed entro i limiti indicati.
Nel caso in cui entrambi i genitori fruiscano simultaneamente del periodo di congedo, la somma dei rispettivi periodi di riposo non potrà essere superiore alle sedici settimane previste nei precedenti paragrafi né eccedere le settimane attribuite in caso di parto, adozione o affidamento multipli.
È possibile fruire dei periodi di riposo cui si riferisce il presente paragrafo in regime di lavoro a tempo pieno o a tempo parziale, previo accordo tra i datori di lavoro e i lavoratori interessati, nei termini previsti dalla disciplina.
(...)».
17 L’articolo 48, paragrafo 4, dello statuto dei lavoratori è stato modificato in data successiva ai fatti del procedimento principale dalla legge organica n. 3/2007 in favore dell’uguaglianza effettiva tra donne e uomini (Ley orgánica 3/2007 para la igualdad efectiva de mujeres y hombres), del 22 marzo 2007 (BOE n. 71, del 23 marzo 2007, pag. 12611). In particolare, tale disposizione è stata modificata come segue:
«(...)
Nonostante quanto disposto nei precedenti paragrafi, e fatte salve le sei settimane di riposo obbligatorio per la madre che seguono immediatamente il parto, nel caso in cui entrambi i genitori lavorino, la madre può, all’inizio del periodo di congedo per maternità, decidere che l’altro genitore fruisca di una parte determinata e ininterrotta del periodo di riposo successivo al parto, contemporaneamente o successivamente alla madre.
L’altro genitore può continuare a fruire del periodo di sospensione per maternità inizialmente ceduto, anche se nel momento previsto per il ritorno della madre al lavoro, quest’ultima si trovi in uno stato di incapacità temporanea.
Qualora la madre non abbia diritto a una sospensione dell’attività lavorativa con il relativo diritto a talune prestazioni in forza delle norme regolanti tale attività, l’altro genitore ha diritto ad una sospensione del contratto di lavoro per il periodo che sarebbe spettato alla madre, ciò essendo compatibile con l’esercizio del diritto riconosciuto nell’articolo seguente.
(...)».
18 La legge generale in materia previdenziale (Ley General de la Seguridad Social) è stata adottata con il regio decreto legislativo n. 1/1994, del 20 giugno 1994 (BOE n. 154, del 29 giugno 1994, pag. 20658) e modificata dalla legge n. 39/1999 (in prosieguo: la «legge generale in materia previdenziale»). L’articolo 133 bis di detta legge è redatto come segue:
«Ai fini dell’indennità di maternità si considerano situazioni protette la maternità, l’adozione e l’affidamento, sia preadottivo sia permanente, durante i periodi di riposo di cui i lavoratori fruiscano in virtù di tali situazioni, conformemente all’articolo 48, paragrafo 4 del testo rifuso dello statuto dei lavoratori, adottato con il regio decreto legislativo n. 1/1995 del 24 marzo 1995, e all’articolo 30, paragrafo 3, della legge relativa alla riforma della funzione pubblica [ley de Medidas para la Reforma de la Función Pública]».
Procedimento principale e questioni pregiudiziali
19 Dalla decisione di rinvio e dalle osservazioni presentate alla Corte emerge che il sig. Betriu Montull è un lavoratore dipendente, iscritto al regime generale di previdenza sociale, che fa parte del sistema pubblico di previdenza sociale spagnolo. La sig.ra Macarena Ollé è Procuradora de los Tribunales (procuratore) [figura professionale distinta sebbene con tratti affini a quelli dell’avvocato]. La professione di Procurador de los Tribunales, esercitata in modo autonomo, consiste nel rappresentare i clienti in un procedimento giudiziario nei casi previsti dalla legge.
20 Alla data dei fatti oggetto del procedimento principale, un Procurador de los Tribunales poteva, in particolare, scegliere di iscriversi al regime speciale dei lavoratori autonomi (Régimen Especial de Trabajadores Autónomos), che rientra nel sistema pubblico di previdenza sociale, oppure alla cassa generale dei procuratori (Mutualidad General de los Procuradores), regime di previdenza professionale separato dal sistema pubblico di previdenza sociale. Il regime speciale dei lavoratori autonomi prevedeva un congedo di maternità, che non era, invece, contemplato dalla cassa generale dei procuratori, prevedendo quest’ultima solo un’indennità. La sig.ra Ollé aveva scelto di iscriversi a tale cassa.
21 Dopo la nascita del figlio della sig.ra Ollé e del sig. Betriu Montull a Lleida, il 20 aprile 2004, il sig. Betriu Montull chiedeva di percepire l’indennità di maternità prevista all’articolo 133 bis della legge generale di previdenza sociale, intesa a compensare la perdita di reddito del genitore dovuta alla sospensione del contratto di lavoro per il congedo di maternità della durata di sedici settimane. La domanda del sig. Betriu Montull riguardava le dieci settimane successive alle sei settimane di riposo obbligatorio che la madre deve prendere subito dopo il parto, di cui all’articolo 48, paragrafo 4, dello statuto dei lavoratori.
22 Con decisioni del 28 luglio e dell’8 agosto 2004 l’INSS rifiutava al sig. Betriu Montull la concessione di detta indennità di maternità in quanto, ai sensi dell’articolo 133 bis della legge generale di previdenza sociale, in combinato disposto con l’articolo 48, paragrafo 4, dello statuto dei lavoratori, il diritto al congedo di maternità è un diritto della madre quando è iscritta ad un regime pubblico di previdenza sociale, e in quanto, nel caso di maternità biologica, il padre dispone non di un diritto individuale, autonomo e indipendente rispetto a quello della madre, bensì solo di un diritto necessariamente derivato da quello della madre. Non essendo, nel caso di specie, la sig.ra Ollé iscritta a un regime pubblico di previdenza sociale, ella non sarebbe titolare del diritto originario al congedo di maternità, con la conseguenza che il sig. Betriu Montull non potrebbe beneficiare di un congedo e, dunque, dell’indennità di maternità che lo accompagna.
23 Il sig. Betriu Montull proponeva ricorso contro tali decisioni dell’INSS dinanzi allo Juzgado de lo Social n. 1 de Lleida chiedendo il riconoscimento del proprio diritto all’indennità di maternità. Egli invocava, in particolare, la violazione del principio della parità di trattamento nella misura in cui, nel caso di adozione o affidamento di minori fino a sei anni d’età, l’articolo 48, paragrafo 4, dello statuto dei lavoratori dispone che il congedo di maternità sia un diritto originario di entrambi i genitori.
24 Con ordinanza del 20 aprile 2005 lo Juzgado de lo Social n° 1 de Lleida ha proposto al Tribunal Constitucional (Corte costituzionale) una questione vertente sulla conformità dell’articolo 48, paragrafo 4, dello statuto dei lavoratori con la Costituzione spagnola.
25 Con sentenza del 19 maggio 2011, il Tribunal Constitucional giudicava che l’articolo 48, paragrafo 4, dello statuto dei lavoratori non violava l’articolo 14 della Costituzione spagnola, che proclama il principio dell’uguaglianza dinanzi alla legge, né l’articolo 39 della stessa, che sancisce la protezione della famiglia e dei bambini, né, infine, l’articolo 41 di quest’ultima, relativo alla previdenza sociale.
26 Tuttavia, lo Juzgado de lo Social n. 1 de Lleida nutre dubbi riguardo alla conformità dell’articolo 48, paragrafo 4, dello statuto dei lavoratori, con il diritto dell’Unione.
27 Al riguardo il giudice del rinvio osserva che siffatta disposizione prevede un periodo di riposo obbligatorio per la madre di sei settimane dopo il parto, periodo durante il quale il padre non può usufruire di un congedo di maternità, e che tale disparità di trattamento tra il padre e la madre, che non è in discussione tra le parti nel procedimento principale, è giustificata dall’obiettivo di proteggere la madre in ragione del parto.
28 Al contrario, relativamente al periodo di dieci settimane successive alle sei settimane di riposo obbligatorio per la madre, pur trovandosi il padre e la madre, lavoratori subordinati, in situazioni analoghe, essi sarebbero trattati in maniera diseguale, poiché il diritto del padre è concepito come diritto derivato dal diritto della madre. Al riguardo, secondo il giudice del rinvio, siffatto periodo di dieci settimane deve essere considerato come un congedo parentale e una misura intesa a conciliare la vita professionale con quella familiare, in quanto la condizione biologica della gravidanza e del parto, che riguarda esclusivamente la donna, è tutelata dal periodo di riposo obbligatorio della madre. Di conseguenza, il periodo di congedo controverso nel procedimento principale dovrebbe poter essere utilizzato indifferentemente dalla madre o dal padre, qualora entrambi abbiano la qualità di lavoratori subordinati e nella loro qualità di genitori del bambino.
29 Peraltro, l’articolo 48, paragrafo 4, dello statuto dei lavoratori attuerebbe una disparità di trattamento tra il padre biologico e il padre adottivo. In caso di adozione, infatti, la menzionata norma consentirebbe al padre e alla madre di ripartire a loro piacimento il periodo di congedo successivo al parto, non essendo tale diritto al congedo un diritto originario della madre. Così, in caso di adozione, il padre lavoratore subordinato iscritto a un regime pubblico di previdenza sociale potrebbe usufruire interamente del congedo di maternità, e percepire la relativa indennità, anche se la madre non è una lavoratrice subordinata iscritta a un regime pubblico di previdenza sociale, laddove invece, in caso di parto, il padre biologico lavoratore dipendente non potrebbe fruire di alcun congedo se la madre del bambino non è iscritta a un regime pubblico di previdenza sociale.
30 Lo Juzgado de lo Social n. 1 de Lleida ha pertanto deciso di sospendere la pronuncia e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se la direttiva [76/207] e la direttiva [96/34] ostino a una disposizione nazionale come, segnatamente, l’articolo 48, paragrafo 4, dello statuto dei lavoratori, che configura la titolarità del diritto al congedo per maternità in caso di parto, trascorso il periodo delle sei settimane successive al parto, e facendo salvi i casi in cui sia messa in pericolo la salute della madre, come un diritto originario e autonomo delle madri lavoratrici subordinate e come un diritto derivato dei padri lavoratori subordinati, i quali possono fruire di detto congedo solo nei limiti in cui anche la madre del bambino abbia lo status di lavoratrice subordinata e decida di cederne al padre il godimento di una parte determinata.
2) Se risulti contraria al principio della parità di trattamento, che vieta qualsiasi discriminazione fondata sul sesso, una disposizione nazionale, come, segnatamente, l’articolo 48, paragrafo 4, dello statuto dei lavoratori, che, in caso di parto, concepisce la sospensione del contratto di lavoro con mantenimento del posto di lavoro, la cui copertura finanziaria è a carico del sistema previdenziale, come un diritto originario della madre e non del padre, anche dopo che sia trascorso il periodo delle sei settimane successive al parto, e facendo salvi i casi in cui sia messa in pericolo la salute della madre, talché la possibilità che un lavoratore subordinato ottenga il congedo in parola dipende dalla circostanza che anche la madre del bambino sia una lavoratrice subordinata.
3) Se sia contraria al principio della parità di trattamento, che vieta qualsiasi discriminazione fondata sul sesso, una disposizione nazionale, come, segnatamente, l’articolo 48, paragrafo 4, dello statuto dei lavoratori, che riconosce un diritto originario alla sospensione del contratto di lavoro, con mantenimento del posto di lavoro, la cui copertura finanziaria è a carico del sistema previdenziale, ai padri lavoratori subordinati che adottino un figlio, mentre, nel caso dei padri lavoratori subordinati che abbiano un figlio biologico, essa riconosce loro non già un diritto di sospensione individuale, autonomo e indipendente, ma unicamente un diritto derivato dal diritto della madre».
Sulla ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale
31 Il governo spagnolo sostiene che le questioni siano ipotetiche e che, di conseguenza, la domanda di pronuncia pregiudiziale debba essere respinta come irricevibile. Dalla decisione di rinvio emergerebbe infatti che il diniego dell’indennità di maternità richiesta dal sig. Betriu Montull è fondato sull’articolo 133 bis della legge generale in materia di previdenza sociale, il quale presuppone che il lavoratore possa fruire, nell’ambito del suo contratto di lavoro, del congedo di cui all’articolo 48, paragrafo 4, dello statuto dei lavoratori. Orbene, nella decisione di rinvio non ci sarebbe nessuna indicazione quanto al fatto se il sig. Betriu Montull abbia fruito di siffatto congedo, o se ne abbia, almeno, fatto domanda al suo datore di lavoro. Al contrario, da tale decisione risulterebbe che il sig. Betriu Montull non ha ottenuto siffatto congedo nell’ambito del suo contratto di lavoro in ragione del fatto che il diritto al congedo è un diritto originario della madre del bambino.
32 Peraltro, durante l’udienza, l’INSS ha sostenuto che le questioni pregiudiziali sarebbero irricevibili, dato che una risposta fornita nove anni dopo il parto non sarebbe di alcuna utilità per il giudice del rinvio, essendo la concessione del congedo previsto all’articolo 48, paragrafo 4, dello statuto dei lavoratori, e dell’indennità di maternità ormai impossibile.
33 A tal proposito occorre innanzitutto ricordare che, nell’ambito di un procedimento ex articolo 267 TFUE, basato sulla netta separazione di funzioni tra i giudici nazionali e la Corte, spetta esclusivamente al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze della causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di emettere la propria sentenza, sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte. Di conseguenza, se le questioni sollevate riguardano l’interpretazione del diritto dell’Unione, la Corte, in via di principio, è tenuta a pronunciarsi (v., in particolare, sentenze del 18 luglio 2007, Lucchini, C 119/05, Racc. pag. I 6199, punto 43, e del 30 maggio 2013, Arslan, C 534/11, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 33).
34 Il rifiuto della Corte di statuire su una questione pregiudiziale sollevata da un giudice nazionale è possibile, in effetti, solo qualora risulti in modo manifesto che la richiesta interpretazione del diritto dell’Unione non ha alcuna relazione con la realtà o con l’oggetto del procedimento principale, qualora il problema sia di natura ipotetica oppure qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto o di diritto necessari per fornire una soluzione utile alle questioni che le sono sottoposte (v., in particolare, sentenze Lucchini, cit., punto 44, e dell’11 aprile 2013, Della Rocca, C 290/12, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 29).
35 Nel caso di specie risulta chiaramente dalla domanda di pronuncia pregiudiziale che l’interpretazione del diritto dell’Unione è necessaria per la soluzione della controversia di cui al procedimento principale.
36 Infatti, l’articolo 133 bis della legge generale in materia di previdenza sociale enuncia che, ai fini dell’indennità di maternità, si considerano situazioni protette la maternità, l’adozione e l’affidamento durante i periodi di riposo di cui i lavoratori fruiscano in virtù di tali situazioni, conformemente all’articolo 48, paragrafo 4, dello statuto dei lavoratori, che definisce le condizioni in cui il contratto di lavoro della madre o del padre può essere sospeso. Di conseguenza, come ha, peraltro, osservato il governo spagnolo, per avere diritto all’indennità di maternità il lavoratore deve fruire del congedo previsto dall’articolo 48, paragrafo 4, dello statuto dei lavoratori.
37 Il sig. Betriu Montull non ha potuto beneficiare dell’indennità di maternità di cui all’articolo 133 bis della legge generale in materia di previdenza sociale dato che, in applicazione dell’articolo 48, paragrafo 4, dello statuto dei lavoratori, non disponeva di un diritto originario al congedo di maternità e che, non essendo la sig.ra Ollé iscritta a un regime pubblico di previdenza sociale, non disponeva nemmeno di un diritto derivato a siffatto congedo.
38 Pertanto, occorre esaminare in che misura il diritto dell’Unione, in una situazione quale quella del procedimento principale, potrebbe appunto consentire al padre del bambino di fruire, in tutto o in parte, del congedo di maternità previsto all’articolo 48, paragrafo 4, dello statuto dei lavoratori, circostanza che, in caso di risposta positiva, gli darebbe il diritto di ricevere l’indennità di maternità ad esso collegata.
39 Pertanto, la domanda di pronuncia pregiudiziale deve essere considerata ricevibile.
Sulle questioni pregiudiziali
Sulla prima e seconda questione
Osservazioni preliminari
40 Nell’ambito della procedura di cooperazione tra i giudici nazionali e la Corte, creata dall’articolo 267 TFUE, spetta a quest’ultima fornire al giudice nazionale una risposta utile che gli consenta di dirimere la controversia sottopostagli. In tale prospettiva, spetta alla Corte, se necessario, riformulare le questioni che le sono sottoposte. In effetti, la Corte ha il compito di interpretare tutte le norme del diritto dell’Unione che possano essere utili ai giudici nazionali al fine di dirimere le controversie di cui sono investiti, anche qualora tali norme non siano espressamente indicate nelle questioni a essa sottoposte da detti giudici (v., in particolare, sentenze del 14 ottobre 2010, Fuß, C 243/09, Racc. pag. I 9849, punto 39, e del 30 maggio 2013, Worten, C 342/12, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 30).
41 Di conseguenza, benché formalmente il giudice del rinvio abbia limitato le sue questioni all’interpretazione delle sole disposizioni delle direttive 76/207 e 96/34, la Corte può nondimeno fornirgli tutti gli elementi interpretativi del diritto dell’Unione che possano essere utili per definire la controversia di cui è investito, a prescindere dal fatto che detto giudice vi abbia fatto riferimento nel formulare le proprie questioni. A tal proposito, la Corte è tenuta a trarre dall’insieme degli elementi forniti dal giudice nazionale e, in particolare, dalla motivazione della decisione di rinvio, gli elementi di detto diritto che richiedono un’interpretazione, tenuto conto dell’oggetto della controversia (v. citate sentenze Fuß, punto 40, e Worten, punto 31).
42 Nel caso di specie il giudice del rinvio si propone di accertare se il sig. Betriu Montull sia legittimato a percepire un’indennità di maternità per la nascita di suo figlio. Orbene, come indicato al punto 38 della presente sentenza, siffatta questione presuppone la verifica della circostanza se il sig. Betriu Montull possa beneficiare del congedo di maternità di cui all’articolo 48, paragrafo 4, dello statuto dei lavoratori.
43 Al riguardo occorre rilevare che detta disposizione prevede, da un lato, la sospensione del contratto di lavoro della madre per un periodo ininterrotto di sedici settimane, potendo detto periodo di sospensione essere ripartito a piacimento dell’interessata, purché almeno sei settimane seguano immediatamente il parto. D’altro lato, l’articolo 48, paragrafo 4, dello statuto dei lavoratori permette alla madre, nel caso in cui il padre e la madre lavorino entrambi, di decidere che il padre fruisca, in tutto o in parte, di un massimo di dieci settimane sulle sedici corrispondenti al congedo di maternità, salvo che, nel momento previsto per il ritorno della madre al lavoro, tale ritorno non comporti un rischio per la salute di quest’ultima.
44 In tali condizioni, per dare una risposta utile al giudice del rinvio, e come sostiene il governo spagnolo, occorre prendere in considerazione la direttiva 92/85, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento, anche se la decisione di rinvio non menziona esplicitamente siffatta direttiva.
45 Infatti, il congedo controverso nel procedimento principale deve essere preso al momento della nascita del bambino. Orbene, la direttiva 92/85 garantisce appunto, nel suo articolo 8, il diritto a un congedo di maternità di almeno quattordici settimane ininterrotte, e che includano almeno due settimane ripartite prima e/o dopo il parto, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali. Inoltre, il fatto che una legislazione conceda alle donne un congedo di maternità superiore a quattordici settimane non osta a che quest’ultimo possa comunque essere considerato un congedo di maternità di cui all’articolo 8 della direttiva 92/85 (v. sentenza del 18 novembre 2004, Sass, C 284/02, Racc. pag. I 11143, punto 44).
46 Peraltro, anche se il giudice del rinvio sembra ritenere che il periodo di congedo posteriore alle sei settimane che la madre deve obbligatoriamente prendere dopo il parto debba intendersi come un congedo parentale ai sensi della direttiva 96/34, la decisione di rinvio non contiene elementi riguardo alla normativa nazionale in materia di congedo parentale tali da consentire di rispondere alle questioni sollevate alla luce di detta direttiva. Al riguardo, come sostengono l’INSS e il governo spagnolo, l’articolo 48, paragrafo 4, dello statuto dei lavoratori, che costituisce l’unica disposizione oggetto delle tre questioni poste dal giudice del rinvio, non concerne il congedo parentale ai sensi della direttiva 96/34.
47 In tali condizioni le prime due questioni proposte devono essere intese come volte, in sostanza, ad accertare se le direttive 92/85 et 76/207 debbano essere interpretate nel senso che ostano a una norma nazionale, come quella controversa nel procedimento principale, che prevede che il padre di un bambino, lavoratore subordinato, possa, con l’accordo della madre anch’ella lavoratrice subordinata, fruire di un congedo di maternità per il periodo successivo alle sei settimane di riposo obbligatorio per la madre dopo il parto, fatto salvo il caso in cui esista un pericolo per la salute della stessa, mentre il padre di un bambino, lavoratore subordinato, non può fruire di siffatto congedo nel caso in cui la madre non sia lavoratrice subordinata e non sia iscritta a un regime pubblico di previdenza sociale.
Nel merito
48 Secondo la giurisprudenza della Corte il diritto al congedo di maternità riconosciuto alle lavoratrici gestanti deve essere considerato un mezzo di protezione di diritto sociale che riveste un’importanza particolare. Il legislatore dell’Unione ha perciò ritenuto che i cambiamenti essenziali nelle condizioni di esistenza delle interessate nel corso del limitato periodo di almeno quattordici settimane, precedente e successivo al parto, costituissero un motivo fondato per sospendere l’esercizio della loro attività lavorativa, senza che la legittimità di siffatto motivo potesse essere rimessa in questione, in qualsiasi modo, dalle pubbliche autorità o dai datori di lavoro (v. sentenza del 20 settembre 2007, Kiiski, C 116/06, Racc. pag. I 7643, punto 49).
49 Infatti, la lavoratrice gestante, puerpera o in periodo di allattamento si trova in una situazione specifica di vulnerabilità che comporta il diritto al congedo di maternità ma che, in particolare durante tale congedo, non può essere equiparata a quella di un lavoratore di sesso maschile né a quella di un lavoratore di sesso femminile assente dal lavoro per malattia (sentenza del 27 ottobre 1998, Boyle e a., C 411/96, Racc. pag. I 6401, punto 40).
50 Detto congedo di maternità di cui fruisce la lavoratrice è inteso a garantire, da un lato, la protezione della condizione biologica della donna durante e dopo la gravidanza e, dall’altro, la protezione delle particolari relazioni tra la donna e il bambino durante il periodo successivo alla gravidanza e al parto, evitando che dette relazioni siano turbate dal cumulo degli oneri derivanti dal contemporaneo svolgimento di un’attività lavorativa (v., in particolare, sentenze del 12 luglio 1984, Hofmann, 184/83, Racc. pag. 3047, punto 25, e Kiiski, cit., punto 46).
51 Occorre verificare se la direttiva 92/85 osti a che una madre lavoratrice dipendente possa decidere che il padre anch’egli lavoratore dipendente fruisca di tutto o parte del congedo di maternità per il periodo successivo alle settimane di riposo obbligatorie della madre dopo il parto.
52 Al riguardo si deve osservare che l’articolo 8, paragrafo 1, della direttiva 92/85 prevede che gli Stati membri adottino le misure necessarie affinché le lavoratrici fruiscano di un congedo di maternità di «almeno» quattordici settimane ininterrotte, ripartite prima e/o dopo il parto, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali.
53 Nel caso di specie l’articolo 48, paragrafo 4, dello statuto dei lavoratori, con la previsione di un congedo di maternità per la madre per un periodo ininterrotto di sedici settimane, va al di là delle prescrizioni minime di detto articolo 8, paragrafo 1, della direttiva 92/85.
54 Peraltro, ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 2, della direttiva 92/85, il congedo di maternità deve includere un periodo obbligatorio di «almeno» due settimane, ripartite prima e/o dopo il parto, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali.
55 L’articolo 48, paragrafo 4, dello statuto dei lavoratori che prevede che la madre debba fruire di sei settimane di riposo obbligatorio immediatamente dopo il parto, va parimenti al di là di dette prescrizioni minime.
56 Occorre aggiungere, come risulta dalla giurisprudenza citata al punto 48 della presente sentenza, che la legittimità della sospensione dell’attività professionale per le donne durante detto periodo limitato di almeno quattordici settimane prima e dopo il parto non può essere rimessa in discussione, in nessun modo, dalle pubbliche autorità o dal datore di lavoro. Di conseguenza, il congedo di maternità di cui all’articolo 8 della direttiva 92/85 non può essere sottratto alla madre contro la sua volontà per essere concesso, in tutto o in parte, al padre del bambino.
57 Per contro, secondo la giurisprudenza della Corte, se gli Stati membri sono tenuti, ai sensi dell’articolo 8 di detta direttiva, ad adottare le misure necessarie affinché le lavoratrici fruiscano di un congedo di maternità di almeno quattordici settimane, si tratta, per queste ultime, di un diritto a cui possono rinunciare, eccezione fatta per le due settimane di congedo di maternità obbligatorio, previste al paragrafo 2 di tale articolo (v. sentenza Boyle e a., cit., punto 58).
58 Di conseguenza, la direttiva 92/85 non osta a che la madre di un bambino, lavoratrice subordinata, decida che il padre, anch’egli lavoratore subordinato, fruisca di tutto o parte del congedo di maternità per il periodo successivo a quello di riposo obbligatorio.
59 D’altro canto, tale direttiva non impedisce nemmeno che siffatto padre non possa fruire di detto congedo nel caso in cui la madre del bambino, che eserciti una professione autonoma, non sia una lavoratrice subordinata e abbia scelto di non iscriversi a un regime pubblico di previdenza sociale che le garantirebbe siffatto congedo. Tale situazione non rientra infatti nell’ambito di applicazione della direttiva 92/85 che si rivolge soltanto alle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento la cui attività lavorativa sia esercitata sotto la direzione di un datore di lavoro.
60 Per quanto riguarda la direttiva 76/207, occorre rilevare che la disposizione controversa nel procedimento principale stabilisce una differenza di trattamento fondata sul sesso, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, di detta direttiva, tra le madri aventi lo status di lavoratrici subordinate e i padri aventi lo stesso status. Tale disposizione, infatti, riserva il diritto al congedo di maternità controverso nel procedimento principale alle madri lavoratrici subordinate, potendo il padre di un bambino fruire di detto congedo solo alla condizione che egli sia ugualmente un lavoratore subordinato e che la madre gli ceda tutto o parte del congedo disponibile, purché il ritorno al lavoro di quest’ultima non comporti un rischio per la sua salute.
61 Relativamente alla giustificazione di una tale differenza di trattamento, l’articolo 2, paragrafo 3, della direttiva 76/207 fa salve le disposizioni relative alla protezione della donna, in particolare per quanto riguarda la gravidanza e la maternità (v. sentenza del 30 settembre 2010, Roca Álvarez, C 104/09, Racc. pag. I 8661, punto 26).
62 In proposito la Corte ha ripetutamente affermato che, riservando agli Stati membri il diritto di mantenere in vigore o di istituire norme destinate ad assicurare la protezione della gravidanza e della maternità, l’articolo 2, paragrafo 3, della direttiva 76/207 riconosce la legittimità, riguardo al principio della parità di trattamento tra i sessi, in primo luogo, della protezione della condizione biologica della donna durante e dopo la gravidanza, e, in secondo luogo, della protezione delle particolari relazioni tra la donna e il bambino, durante il periodo successivo al parto (v., in particolare, citate sentenze Hofmann, punto 2, e Roca Álvarez, punto 27).
63 Orbene, una norma come quella controversa nel procedimento principale risulta, in ogni caso, volta a tutelare la condizione biologica della donna durante e dopo la gravidanza.
64 Inoltre, in una controversia come quella di cui al procedimento principale, la madre del bambino, in quanto lavoratrice autonoma non iscritta a un regime pubblico di previdenza sociale, non è titolare di un diritto originario al congedo di maternità. Di conseguenza, la madre del bambino non dispone di nessun diritto a siffatto congedo che potrebbe cedere al padre del bambino.
65 Ne deriva che, in condizioni del genere, la direttiva 76/207 non osta a una norma come quella controversa nel procedimento principale.
66 Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alle prime due questioni quali riformulate, che le direttive 92/85 e 76/207 devono essere interpretate nel senso che non ostano a una norma nazionale, come quella controversa nel procedimento principale, che prevede che il padre di un bambino, lavoratore subordinato, possa, con l’accordo della madre anch’ella lavoratrice subordinata, fruire di un congedo di maternità per il periodo successivo alle sei settimane di riposo obbligatorio per la madre dopo il parto, fatto salvo il caso in cui esista un pericolo per la salute della stessa, mentre un padre lavoratore subordinato non può fruire di siffatto congedo nel caso in cui la madre non sia lavoratrice subordinata e non sia iscritta a un regime pubblico di previdenza sociale.
Sulla terza questione
67 Con la terza questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se il principio della parità di trattamento sancito dal diritto dell’Unione debba essere interpretato nel senso che vieta una norma nazionale come quella controversa nel procedimento principale, che prevede che un lavoratore subordinato, nel caso di adozione, abbia il diritto di usufruire di un congedo di maternità, anche se la madre non è lavoratrice subordinata, mentre un lavoratore subordinato, padre biologico di un bambino, può usufruire di tale congedo soltanto se la madre di detto bambino è anch’ella una lavoratrice subordinata.
68 Occorre ricordare che, nell’ambito di un rinvio pregiudiziale ai sensi dell’articolo 267 TFUE, la Corte può unicamente interpretare il diritto dell’Unione nei limiti delle competenze che le sono attribuite (v. sentenza del 5 ottobre 2010, McB., C 400/10 PPU, Racc. pag. I 8965, punto 51, e ordinanza del 6 luglio 2012, Hermes Hitel és Faktor, C 16/12, punto 13).
69 Secondo costante giurisprudenza, quando una normativa nazionale rientra nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione, la Corte, adita in via pregiudiziale, deve fornire tutti gli elementi di interpretazione necessari alla valutazione, da parte del giudice nazionale, della conformità di detta normativa con il diritto dell’Unione di cui essa garantisce il rispetto. Per contro, la Corte non dispone di siffatta competenza quando, da un lato, l’oggetto del procedimento principale non presenta nessun elemento di collegamento con il diritto dell’Unione e, dall’altro, la normativa di cui è chiesta l’interpretazione non rientra nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione (v. sentenza del 29 maggio 1997, Kremzow, C 299/95, Racc. pag. I 2629, punto 15, e ordinanza Hermes Hitel és Faktor, cit. supra, punto 14).
70 Per quanto riguarda le esigenze derivanti dai principi generali del diritto dell’Unione nonché della protezione dei diritti fondamentali, secondo costante giurisprudenza, queste vincolano gli Stati membri in tutti i casi in cui essi sono chiamati ad applicare il diritto dell’Unione (v. sentenza del 19 gennaio 2010, Kücükdeveci, C 555/07, Racc. pag. I 365, punto 23, e ordinanza Hermes Hitel és Faktor, cit. supra, punto 15).
71 Nel caso di specie, la terza questione verte sull’applicazione del principio di parità di trattamento sancito dal diritto dell’Unione ai padri biologici e ai padri adottivi con riguardo al congedo di maternità quale quello previsto all’articolo 48, paragrafo 4, dello statuto dei lavoratori.
72 Orbene, occorre rilevare che la normativa applicabile al procedimento principale riguarda una situazione che non rientra nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione.
73 Difatti, come ha sostenuto l’avvocato generale al paragrafo 82 delle sue conclusioni, alla data dei fatti del procedimento principale, né il trattato CE, né alcuna direttiva dell’Unione, né nessun’altra disposizione del diritto dell’Unione, vietavano la discriminazione tra padre biologico e padre adottivo per quanto riguarda il congedo di maternità.
74 Peraltro, se è vero che, in virtù della clausola 2, punto 1, dell’accordo quadro sul congedo parentale, è attribuito ai lavoratori, di ambo i sessi, un diritto individuale al congedo parentale per la nascita o l’adozione di un bambino, occorre ricordare che, come indicato al punto 46 della presente sentenza, la decisione di rinvio non contiene elementi vertenti sul contenuto della normativa nazionale in materia di congedo parentale tali da consentire di rispondere alle questioni sollevate riguardo alla direttiva 96/34 e che l’articolo 48, paragrafo 4, dello statuto dei lavoratori non riguarda il congedo parentale ai sensi di tale direttiva.
75 Alla luce di tali considerazioni la Corte non è competente a rispondere alla terza questione.
Sulle spese
76 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Quarta Sezione) dichiara:
Le direttive 92/85/CEE del Consiglio, del 19 ottobre 1992, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento (decima direttiva particolare ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE), e 76/207/CEE del Consiglio, del 9 febbraio 1976, relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro, devono essere interpretate nel senso che non ostano a una norma nazionale, come quella controversa nel procedimento principale, che prevede che il padre di un bambino, lavoratore subordinato, possa, con l’accordo della madre, anch’ella lavoratrice subordinata, fruire di un congedo di maternità per il periodo successivo alle sei settimane di riposo obbligatorio per la madre dopo il parto, fatto salvo il caso in cui esista un pericolo per la salute della stessa, mentre il padre di un bambino, lavoratore subordinato, non può fruire di siffatto congedo nel caso in cui la madre non sia lavoratrice subordinata e non sia iscritta a un regime pubblico di previdenza sociale.