SENTENZA DELLA CORTE (Terza Sezione)
7 settembre 2006 (*)
«Inadempimento di uno Stato – Politica sociale – Tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori – Direttiva 93/104/CE – Organizzazione dell’orario di lavoro – Art. 17, n. 1 − Deroga − Artt. 3 e 5 – Diritti a periodi minimi di riposo giornaliero e settimanale»
Fonte: Sito web Eur-Lex
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Nella causa C 484/04,
avente ad oggetto un ricorso per inadempimento ai sensi dell’art. 226 CE, proposto il 23 novembre 2004,
Commissione delle Comunità europee, rappresentata dal sig. G. Rozet e dalla sig.ra N. Yerrell, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,
ricorrente,
contro
Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, rappresentato inizialmente dal sig. M. Bethell, successivamente dalla sig.ra E. O’Neill, in qualità di agenti, assistiti dal sig. K. Smith, barrister,
convenuto,
LA CORTE (Terza Sezione),
composta dal sig. A. Rosas, presidente di sezione, dai sigg. S. von Bahr, A. Borg Barthet, U. Lõhmus e A. Ó Caoimh (relatore), giudici,
avvocato generale: sig.ra J. Kokott
cancelliere: sig.ra M. Ferreira, amministratore principale
vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 26 gennaio 2006,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 9 marzo 2006,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 Con il ricorso in esame, la Commissione delle Comunità europee chiede alla Corte di dichiarare che il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, avendo applicato ai lavoratori il cui orario di lavoro in parte non è misurato o predeterminato, o può essere fissato dal lavoratore stesso, la deroga prevista all’art. 17, n. 1, della direttiva del Consiglio 23 novembre 1993, 93/104/CE, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro (GU L 307, pag. 18) come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 22 giugno 2000, 2000/34/CE (GU L 195, pag. 41, in prosieguo: la «direttiva 93/104»), e non avendo adottato i provvedimenti necessari per l’attuazione dei diritti al riposo giornaliero e settimanale, è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti in forza del detto art. 17, n. 1, e dell’art. 249 CE.
Contesto normativo
La normativa comunitaria
2 Ai sensi del suo art. 1, n. 1, la direttiva 93/104 stabilisce prescrizioni minime di sicurezza e di salute in materia di organizzazione dell’orario di lavoro.
3 Gli artt. 3 e 5 della detta direttiva, che figurano nella sua sezione II, disciplinano i periodi minimi di riposo giornaliero e settimanale dei lavoratori. In tale prospettiva, gli Stati membri sono tenuti a prendere le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici, nel corso di ogni periodo di ventiquattro ore, di un periodo minimo di riposo di undici ore consecutive (art. 3) e, per ogni periodo di sette giorni, di un periodo minimo di riposo ininterrotto di ventiquattro ore cui si sommano le undici ore di riposo giornaliero previste all’art. 3 (art. 5, primo comma).
4 Ai sensi dell’art. 17, n. 1, della direttiva 93/104:
«Nel rispetto dei principi generali della protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori, gli Stati membri possono derogare agli articoli 3, 4, 5, 6, 8 e 16 quando la durata dell’orario di lavoro, a causa delle caratteristiche dell’attività esercitata, non è misurata e/o predeterminata o può essere determinata dai lavoratori stessi […]».
5 In conformità all’art. 18, n. 1, lett. a), della stessa direttiva, gli Stati membri dovevano mettere in vigore le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per conformarvisi al più tardi il 23 novembre 1996.
6 La direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 4 novembre 2003, 2003/88/CE, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro (GU L 299, pag. 9), ha sostituito, a partire dal 2 agosto 2004, la direttiva 93/104. Tuttavia, è quest’ultima che forma oggetto dell’inadempimento fatto valere dalla Commissione e che era applicabile alla scadenza del termine previsto nel parere motivato.
La normativa nazionale
7 L’art. 10 del regolamento sull’orario di lavoro del 1998 (Working Time Regulations 1998; in prosieguo: il «WTR») – che ha recepito l’art. 3 della direttiva 93/104 – prevede, nella versione vigente nel 1999, che un lavoratore adulto, nel corso di ogni periodo di ventiquattro ore, ha diritto ad un periodo minimo di riposo di undici ore consecutive.
8 L’art. 11 del WTR, recependo l’art. 5 della detta direttiva, stabilisce che, fatte salve le disposizioni del suo n. 2, un lavoratore adulto, nel corso di ogni periodo di sette giorni, ha diritto ad un periodo minimo di riposo di ventiquattro ore consecutive.
9 L’art. 20, n. 2, del WTR recita quanto segue:
«Se una parte dell’orario di lavoro di un lavoratore viene misurata o predeterminata o non può essere stabilita dal lavoratore stesso, ma le caratteristiche dell’attività sono tali che il lavoratore, senza che il datore di lavoro lo esiga, può svolgere anche un lavoro la cui durata non è misurata o predeterminata o può essere stabilita da lui stesso, l’art. 4, nn. 1 e 2, nonché l’art. 6, nn. 1, 2 e 7, valgono soltanto per quella parte del suo lavoro misurata o predeterminata o che non può essere stabilita dal lavoratore stesso».
10 Per agevolare la comprensione del WTR da parte dei datori di lavoro e dei lavoratori, il Department of Trade and Industry (Ministero del Commercio e dell’Industria) ha pubblicato una guida contenente una serie di linee guida relative alle varie disposizioni del detto regolamento (in prosieguo: le «linee guida»).
11 Secondo alcuni commi delle sezioni 5 e 6 delle linee guida, «i datori di lavoro devono garantire che i lavoratori possano prendere i loro periodi di riposo, ma non sono tenuti a verificare che essi effettivamente li prendano».
Fase precontenziosa del procedimento
12 Il 21 marzo 2002 la Commissione, in applicazione dell’art. 226 CE, ha inviato al Regno Unito una lettera di diffida nella quale gli contestava di avere recepito in maniera scorretta gli artt. 3, 5, 8 e 17, n. 1, della direttiva 93/104. Le autorità britanniche hanno risposto con lettera 31 maggio 2002.
13 Non soddisfatta di tale risposta, il 2 maggio 2003 la Commissione ha inviato al Regno Unito un parere motivato invitandolo ad adottare i provvedimenti necessari per conformarsi ai suoi obblighi derivanti dalla direttiva 93/104 entro due mesi dalla notifica del detto parere.
14 Con lettera 30 giugno 2003, le autorità del detto Stato membro hanno risposto al parere motivato spiegando che la modifica relativa al calcolo delle ore dei lavoratori notturni, in conformità all’art. 8 della direttiva 93/104, era stata pubblicata ed insistendo sul fatto che i provvedimenti nazionali di recepimento, comprese le linee guida, relativi agli artt. 17, nn. 1, 3 e 5, di tale direttiva erano conformi a quest’ultima.
15 In tali circostanze, la Commissione ha deciso di presentare il ricorso in esame.
Sul ricorso
Sulla prima censura, relativa alla deroga prevista dall’art. 17, n. 1, della direttiva 93/104
16 Con il primo motivo, la Commissione fa valere che l’art. 20, n. 2, del WTR si spinge oltre i limiti della deroga prevista dall’art. 17, n. 1, della direttiva 93/104. A suo parere, infatti, siffatta deroga andrebbe applicata solamente ai lavoratori il cui orario nella sua interezza non è misurato o predeterminato o è determinabile dai lavoratori stessi. Tuttavia, la Commissione dichiara che il WTR prevede, per le ipotesi in cui l’orario di lavoro di un lavoratore è solo in parte misurato, predeterminato o determinabile da quest’ultimo, che le disposizioni relative alla durata settimanale del lavoro e al lavoro notturno valgono soltanto per la parte del lavoro misurata, predeterminata o non determinabile dal lavoratore stesso.
17 Nel controricorso, il Regno Unito dichiara di non contestare più tale addebito e afferma di impegnarsi ad abrogare la disposizione controversa del WTR. In sede di udienza, esso ha sostenuto che il regolamento che modifica l’art. 20, n. 2, del WTR entrerà in vigore il 6 aprile 2006.
18 Nella replica, la Commissione sostiene che i provvedimenti necessari ad adeguare la normativa nazionale all’art. 17, n. 1, della direttiva 93/104 non sono stati ancora adottati dal Regno Unito e che quindi l’oggetto del suo ricorso rimane invariato.
19 Occorre rilevare che, per costante giurisprudenza, l’esistenza di un inadempimento deve essere valutata in relazione alla situazione dello Stato membro quale si presentava alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato e che la Corte non può tenere conto dei mutamenti successivi (v., in particolare, sentenze 18 novembre 2004, causa C 420/02, Commissione/Grecia, Racc. pag. I 11175, punto 23, e 14 luglio 2005, causa C 433/03, Commissione/Germania, Racc. pag. I 6985, punto 32).
20 Quanto alla portata della deroga di cui all’art. 17, n. 1, della direttiva 93/104, dalla formulazione stessa di tale disposizione risulta che, come la Commissione ha giustamente fatto valere, essa si applica solo ai lavoratori il cui orario di lavoro nella sua interezza non è misurato o predeterminato o può essere determinato dai lavoratori stessi, a causa della natura dell’attività esercitata.
21 In questa fattispecie è pacifico che, alla scadenza del termine fissato nel parere motivato, il Regno Unito non aveva adottato i provvedimenti necessari a conformarsi alla detta disposizione, quindi la prima censura della Commissione deve essere considerata fondata.
Sulla seconda censura, relativa alle linee guida e ai periodi di riposo previsti agli artt. 3 e 5 della direttiva 93/104
Sulla ricevibilità
22 Il Regno Unito ritiene che la seconda censura rilevata dalla Commissione debba essere dichiarata irricevibile. Da un lato, esso afferma che, nel parere motivato, quest’ultima aveva circoscritto le sue critiche esclusivamente alle linee guida, mentre il ricorso non contiene siffatta limitazione in quanto è diretto contro la mancanza di adeguati provvedimenti che garantiscano il recepimento integrale ed efficace della direttiva 93/104, e quindi va oltre l’ambito del parere motivato.
23 Dall’altro, esso ritiene che il fatto di invocare una violazione dell’obbligo generale imposto agli Stati membri in forza dell’art 249, terzo comma, CE costituisca un argomento insufficiente nelle ipotesi in cui si sarebbe dovuto far valere che la direttiva in questione è stata recepita in modo errato. A suo avviso, è compito della Commissione menzionare in modo univoco e dettagliato quali sono i settori in cui essa considera i provvedimenti adottati dagli Stati membri insufficienti a garantire il corretto recepimento della direttiva in questione.
24 In proposito, è bene ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, il procedimento precontenzioso ha lo scopo di offrire allo Stato membro interessato l’opportunità, da un lato, di conformarsi agli obblighi ad esso incombenti in forza del diritto comunitario e, dall’altro, di far valere utilmente i suoi motivi di difesa contro gli addebiti formulati dalla Commissione (v., in particolare, sentenze 10 maggio 2001, causa C 152/98, Commissione/Paesi Bassi, Racc. pag. I 3463, punto 23, e 10 novembre 2005, causa C 29/04, Commissione/Austria, Racc. pag. I 9705, punto 25).
25 Ne consegue, in primo luogo, che l’oggetto di un ricorso proposto ai sensi dell’art. 226 CE è determinato dal procedimento precontenzioso previsto dal medesimo articolo. Pertanto, il ricorso dev’essere basato sui medesimi motivi e mezzi del parere motivato (v., in particolare, sentenza Commissione/Austria, cit., punto 26). Ciò non significa tuttavia che debba sussistere in ogni caso una perfetta coincidenza tra l’esposizione degli addebiti nel dispositivo del parere motivato e le conclusioni del ricorso, purché l’oggetto della controversia, come definito nel parere motivato e nelle conclusioni del ricorso, non sia stato ampliato o modificato (v. sentenza 7 luglio 2005, causa C 147/03, Commissione/Austria, Racc. pag. I 5969, punto 24).
26 In secondo luogo, il parere motivato deve contenere un’esposizione coerente e dettagliata delle ragioni che hanno indotto la Commissione al convincimento che lo Stato interessato è venuto meno a uno degli obblighi impostigli dal diritto comunitario (v., in particolare, sentenze 15 gennaio 2002, causa C 439/99, Commissione/Italia, Racc. pag. I 305, punto 12, e 10 novembre 2005, Commissione/Austria, cit., punto 27).
27 Nel caso di specie, sia dal parere motivato, sia dal ricorso introduttivo del giudizio della Commissione emerge chiaramente che la seconda censura addotta da quest’ultima è diretta contro il mantenimento, in forma di linee guida, di un’espressa indicazione, impartita ai datori di lavoro, secondo cui essi non sono tenuti a garantire che i lavoratori beneficino effettivamente dei loro periodi di riposo. Alla luce di ciò, la Commissione ritiene che il Regno Unito non abbia adottato tutte le misure necessarie per realizzare l’obiettivo della direttiva 93/104.
28 L’oggetto del ricorso, chiaramente circoscritto, non è cambiato nel corso del procedimento, quindi la prima eccezione di irricevibilità sollevata dal Regno Unito deve essere respinta.
29 Quanto all’argomento del Regno Unito vertente sull’inadeguatezza del ricorso all’art. 249, terzo comma, CE per provare l’esistenza di un recepimento inesatto della direttiva 93/104, occorre ricordare che con la seconda censura la Commissione non contesta un recepimento in sé errato degli artt. 3 e 5 di tale direttiva, quanto piuttosto l’esistenza, sotto forma di linee guida, di provvedimenti nazionali idonei ad incoraggiare una prassi non conforme alle disposizioni della direttiva relative ai diritti al periodo di riposo giornaliero e settimanale dei lavoratori. Tale censura rientra chiaramente nei termini del parere motivato e del ricorso.
30 Nel caso di specie, sia dal procedimento precontenzioso, sia da quello svoltosi dinanzi alla Corte emerge che il Regno Unito era assolutamente in grado di far valere i suoi argomenti difensivi contro le censure formulate dalla Commissione su questo punto, dato che queste ultime erano state esposte in maniera sufficientemente dettagliata da consentire a tale Stato membro di rispondervi adeguatamente. Il fatto che la Commissione abbia deciso di fondare la sua seconda censura sul solo art. 249, terzo comma, CE e non sugli artt. 3 e 5 della direttiva 93/104 – che sono le disposizioni di quest’ultima indirettamente in questione, ma il cui recepimento formale nel WTR non forma, in quanto tale, oggetto del ricorso della Commissione – non comporta, in queste circostanze, l’irricevibilità della seconda censura fatta valere dalla Commissione.
31 Pertanto, la seconda eccezione di irricevibilità sollevata dal Regno Unito deve essere respinta e, di conseguenza, la seconda censura della Commissione deve essere dichiarata ricevibile.
Nel merito
32 La Commissione è dell’avviso che le linee guida producano ed incentivino una prassi che si risolve in un inadempimento degli obblighi posti dalla direttiva 93/104. A suo avviso, i datori di lavoro sarebbero informati del fatto che non sono tenuti a garantire che i lavoratori chiedano di godere e godano effettivamente dei periodi di riposo cui hanno diritto, ma che devono solamente fare in modo che chi desidera fruire di siffatti periodi non sia ostacolato. La Commissione sostiene che tale espressa indicazione in tal modo indirizzata ai datori di lavoro tramite le linee guida dissuada questi ultimi dall’assicurarsi che i lavoratori adempiano gli obblighi minimi di riposo giornaliero e settimanale imposti dalla detta direttiva.
33 Il Regno Unito ritiene che, lungi dall’incentivare l’inosservanza delle disposizioni nazionali di recepimento, le linee guida insistano sul dovere dei datori di lavoro di fare in modo che i lavoratori possano fruire dei periodi di riposo che gli spettano, riconoscendo allo stesso tempo gli evidenti limiti della responsabilità dei detti datori di lavoro in proposito. Questi ultimi non dovrebbero comportarsi in modo da impedire ai lavoratori di prendere i periodi di riposo cui hanno diritto, imponendo, ad esempio, obblighi di lavoro incompatibili con tale riposo.
34 Il Regno Unito afferma che un’interpretazione della direttiva 93/104 secondo cui essa non solo richiede che i datori di lavoro consentano ai lavoratori di fruire dei periodi di riposo previsti, ma obbliga anche questi ultimi a prendere tale riposo non risulta da nessuna delle versioni linguistiche della detta direttiva, è improponibile e vaga, alla luce delle incertezze che solleva quanto alla portata dei provvedimenti che i datori di lavoro sarebbero tenuti a prendere e delle circostanze in presenza delle quali sarebbe possibile considerare che si è adeguatamente fruito del riposo.
35 Per quanto riguarda l’obiettivo perseguito dalla direttiva 93/104, occorre ricordare che dall’art. 118 A del Trattato CE (gli artt. 117 120 del Trattato sono stati sostituiti dagli artt. 136 CE - 143 CE), che costituisce il fondamento normativo della detta direttiva, nonché dal primo, quarto, settimo e ottavo ‘considerando’ della medesima, dalla Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori, adottata in occasione della riunione del Consiglio europeo svoltosi a Strasburgo il 9 dicembre 1989, menzionata all’art. 136 CE e i cui punti 8 e 19, primo comma, sono ricordati nel quarto ‘considerando’ della direttiva medesima, e, infine, dal tenore stesso dell’art. 1, n. 1, di quest’ultima, risulta che essa intende fissare prescrizioni minime destinate a migliorare le condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori mediante il ravvicinamento delle disposizioni nazionali riguardanti, in particolare, l’orario di lavoro (v., in particolare, sentenze 26 giugno 2001, causa C 173/99, BECTU, Racc. pag. I 4881, punto 37, e 1° dicembre 2005, causa C 14/04, Dellas e a., Racc. pag. I 10253, punto 40).
36 Ai sensi di queste stesse disposizioni, tale armonizzazione a livello comunitario in materia di organizzazione dell’orario di lavoro è intesa a garantire una migliore protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori, facendo godere a questi ultimi periodi minimi di riposo – in particolare giornaliero e settimanale – e periodi di pausa adeguati e prevedendo un tetto di 48 ore per la durata media della settimana lavorativa, limite massimo con riguardo al quale viene espressamente precisato che esso include le ore straordinarie (v. citate sentenze BECTU, punto 38, e Dellas e a., punto 41).
37 In conformità alle disposizioni degli artt. 3 e 5 della direttiva 93/104, gli Stati membri sono tenuti ad adottare le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici, rispettivamente, nel corso di ogni periodo di ventiquattro ore, di un periodo minimo di riposo di undici ore consecutive e, per ogni periodo di sette giorni, di un periodo minimo di riposo ininterrotto di ventiquattro ore cui si sommano le undici ore di riposo giornaliero previste al detto art. 3. Tali disposizioni impongono agli Stati membri obblighi di risultato chiari e precisi per quanto riguarda il godimento di tali diritti al periodo di riposo.
38 Inoltre, alla luce del tenore della detta direttiva, dei suoi obiettivi e della sua economia, le varie prescrizioni ivi enunciate in materia di periodi minimi di riposo costituiscono norme della normativa sociale comunitaria che rivestono importanza particolare e di cui ogni lavoratore deve poter beneficiare quale prescrizione minima necessaria per garantire la tutela della sua sicurezza e della sua salute (v. sentenze BECTU, cit., punti 43 e 47; 5 ottobre 2004, cause riunite da C 397/01 a C 403/01, Pfeiffer e a., Racc. pag. I 8835, punto 100, nonché Dellas e a., cit., punto 49).
39 Pertanto, dal tenore stesso degli artt. 3 e 5 della direttiva 93/104, dal suo ottavo ‘considerando’ – secondo cui i lavoratori devono beneficiare di periodi minimi di riposo –, dagli obiettivi perseguiti da tale direttiva, come ricordati ai punti 35-38 di questa sentenza, e dal sistema da essa istituito, si evince che i lavoratori devono effettivamente fruire dei periodi di riposo giornaliero e settimanale previsti dalla detta direttiva.
40 Occorre infatti che l’effetto utile dei diritti riconosciuti ai lavoratori dalla direttiva 93/104 venga integralmente assicurato, il che implica necessariamente l’obbligo per gli Stati membri di garantire il rispetto delle singole prescrizioni minime stabilite dalla direttiva stessa, compreso il diritto di fruire di un riposo effettivo (sentenza Dellas e a., cit., punto 53). Tale interpretazione, infatti, è l’unica conforme all’obiettivo della detta direttiva di garantire una tutela efficace della sicurezza e della salute dei lavoratori, facendoli beneficiare effettivamente dei periodi minimi di riposo che gli spettano (v. sentenza 9 settembre 2003, causa C 151/02, Jaeger, Racc. pag. I 8389, punto 70).
41 Come la Corte ha già dichiarato, tenuto conto dell’obiettivo principale della direttiva 93/104, che ha lo scopo di proteggere in modo efficace la sicurezza e la salute dei lavoratori, ognuno di essi deve, in particolare, beneficiare di periodi di riposo adeguati che, oltre ad essere effettivi, consentendo alle persone interessate di recuperare la fatica dovuta al lavoro, devono anche rivestire un carattere preventivo tale da ridurre il più possibile il rischio di alterazione della sicurezza e della salute dei lavoratori che l’accumulo di periodi di lavoro senza il necessario riposo può rappresentare (sentenza Jaeger, cit., punto 92).
42 Uno Stato membro che, nel provvedimento nazionale di recepimento della direttiva 93/104, prevede che i lavoratori possano beneficiare di tali diritti a periodi di riposo e che, nelle linee guida destinate ai datori di lavoro e ai lavoratori, relative all’attuazione di tali diritti, indica che tuttavia il datore di lavoro non è tenuto a garantire che i lavoratori godano effettivamente dei detti diritti non garantisce l’osservanza né delle prescrizioni minime fissate dagli artt. 3 e 5 della detta direttiva, né del suo scopo fondamentale.
43 Come giustamente rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 67 delle conclusioni – e come peraltro ammesso dalla Commissione in sede di udienza –, l’osservanza degli obblighi stabiliti dalla direttiva 93/104 non può, come regola generale, spingersi fino al punto di obbligare il datore di lavoro ad imporre ai suoi dipendenti di avvalersi effettivamente dei periodi di riposo cui hanno diritto. La responsabilità dei datori di lavoro per quanto riguarda l’osservanza dei periodi di riposo previsti dalla detta direttiva non può essere illimitata.
44 In questa fattispecie, tuttavia, limitando gli obblighi gravanti sui datori di lavoro per quanto riguarda il diritto dei lavoratori di fruire in maniera effettiva dei periodi minimi di riposo previsti dagli artt. 3 e 5 della direttiva 93/104 e, in particolare, lasciando intendere che, pur se non possono impedire che i lavoratori prendano tali periodi di riposo, i datori di lavoro non hanno alcun obbligo di fare in modo che i lavoratori siano effettivamente in grado di esercitare siffatto diritto, le linee guida sono chiaramente idonee a svuotare di contenuto i diritti sanciti dagli artt. 3 e 5 della detta direttiva e non sono conformi allo scopo di quest’ultima, che considera i periodi minimi di riposo indispensabili per la tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori (v., in questo senso, sentenza BECTU, cit., punto 49).
45 Quanto all’argomento del Regno Unito secondo cui dallo stesso tenore della direttiva 93/104 risulta che esiste una netta distinzione tra i suoi artt. 3, 4, 5 e 7, che si riferiscono ai diritti del singolo lavoratore ed enunciano una semplice facoltà, e gli artt. 6 e 8 della stessa direttiva, che impongono chiaramente un preciso obbligo di risultato in merito alla limitazione dell’orario di lavoro, è sufficiente rilevare che tale interpretazione non è suffragata né dalle diverse versioni linguistiche della detta direttiva, né dalla giurisprudenza della Corte relativa a tale direttiva, al suo scopo e alla natura dei diritti al periodo di riposo da essa sanciti.
46 In effetti, a proposito dell’art. 7, n. 1, della direttiva 93/104, che, con gli stessi termini utilizzati agli artt. 3 e 5 di essa, dispone che gli Stati membri devono prendere le misure necessarie affinché ogni lavoratore «benefici» di ferie annuali retribuite di almeno quattro settimane, la Corte ha anche statuito, al punto 44 della citata sentenza BECTU, che, secondo tale disposizione, il lavoratore deve poter beneficiare di un riposo effettivo, per assicurare una tutela efficace della sua sicurezza e della sua salute.
47 Alla luce delle considerazioni che precedono occorre concludere che il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, avendo applicato ai lavoratori il cui orario di lavoro in parte non è misurato o predeterminato, o può essere fissato dal lavoratore stesso, la deroga prevista all’art. 17, n. 1, della direttiva 93/104 e non avendo adottato i provvedimenti necessari per l’attuazione dei diritti al riposo giornaliero e settimanale dei lavoratori, è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti in forza degli artt. 17, n. 1, 3 e 5 di tale direttiva.
Sulle spese
48 A norma dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, il Regno Unito, rimasto soccombente, deve essere condannato alle spese.
Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara e statuisce:
1) Avendo applicato ai lavoratori il cui orario di lavoro in parte non è misurato o predeterminato, o può essere fissato dal lavoratore stesso, la deroga prevista dall’art. 17, n. 1, della direttiva del Consiglio 23 novembre 1993, 93/104/CE, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 22 giugno 2000, 2000/34/CE, e non avendo adottato i provvedimenti necessari per l’attuazione dei diritti al riposo giornaliero e settimanale dei lavoratori, il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti in forza degli artt. 17, n. 1, 3 e 5 di tale direttiva.
2) Il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord è condannato alle spese.