Cassazione Penale, Sez. 4, 26 febbraio 2014, n. 9330 - Macchina troncatrice irregolare e responsabilità di un committente
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SIRENA P. - rel. Presidente -
Dott. FOTI Giacomo - Consigliere -
Dott. MASSAFRA Umberto - Consigliere -
Dott. VITELLI CASELLA Luca - Consigliere -
Dott. SERRAO Eugenia - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
P.G. N. IL (Omissis);
avverso la sentenza n. 22/2012 CORTE APPELLO di TRENTO, del 03/04/2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 06/02/2014 la relazione fatta dal Presidente Dott. SIRENA Pietro Antonio;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. POLICASTRO Aldo, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Udito per la parte civile, l'Avvocato SARTORI Marco, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso;
Udito il difensore dell'imputato Avvocato ROMEO Francesco, il quale ha invece chiesto l'accoglimento del ricorso.
Fatto
1. Con sentenza del 19 luglio 2011, il Tribunale di Trento affermò la responsabilità penale di P.G. in ordine al delitto di cui all'art. 590 c.p., e alla contravvenzione di cui al D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 71, comma 1, unificati dal vincolo della continuazione, e lo condannò - con la diminuente per il rito abbreviato - alla pena di tre mesi di reclusione, condizionalmente sospesa, nonchè al risarcimento del danno in favore della persona offesa, da liquidarsi in separato giudizio e al pagamento di una provvisionale, determinata in Euro 60.000,00.
Secondo il giudice di primo grado, infatti, il P. - nel ristrutturare un immobile di sua proprietà - si era avvalso della collaborazione del lavoratore artigiano N.R., a disposizione del quale aveva messo una macchina troncatrice con caratteristiche irregolari, con cui la suddetta persona offesa, procedendo al taglio di alcune assicelle necessarie per la ricopertura del sottotetto, si era procurato delle gravi lesioni.
2. Avverso tale sentenza propose rituale impugnazione il difensore dell'imputato, deducendo che il Tribunale aveva compiuto una errata valutazione delle risultanze processuali: ritenendo che la persona offesa aveva stipulato con il P. un rapporto di lavoro dipendente e non autonomo, così attribuendo al primo una posizione di garanzia che non gli competeva; ritenendo, altresì, provato il nesso causale tra la supposta condotta colposa del committente e l'evento dannoso verificatosi; negando il concorso di colpa, quanto meno prevalente, della parte offesa; negando le circostanze attenuanti generiche e irrogando una pena eccessiva sia per specie che per entità, nonchè subordinando il beneficio della sospensione condizionale al pagamento della provvisionale, liquidata in misura eccessiva; negando, infine, il beneficio della non menzione della condanna.
E però, la Corte di appello di Trento confermò tutte le statuizioni della decisione di primo grado, concedendo tuttavia al P. il chiesto beneficio della non menzione.
3. Ricorre per cassazione personalmente l'imputato e deduce:
a) "inosservanza ed erronea applicazione della legge penale sostanziale (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), con specifico riferimento al combinato disposto dell'art. 589 c.p., e D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, art. 71, comma 1".
b) "Inosservanza di norme processuali stabilite a pena di inutilizzabilità (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), in relazione alla illegittima utilizzazione da parte del giudicante, nell'ambito del giudizio immediato relativo alla contravvenzione D.Lgs. n. 81 del 2008, ex art. 71, di prove acquisite in violazione degli artt. 62 e 63 c.p.p. e D.Lgs. 28 luglio 1989, n. 271, art. 220".
c) "Mancanza/insufficienza e manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e).
Dopo avere testualmente indicato, con la sequenza su riferita, i suddetti motivi di impugnazione, il ricorrente - nell'illustrarli - lamenta anzitutto un diverso vizio procedurale: sostiene, infatti, che per il delitto e la contravvenzione a lui contestate erano stati instaurati due distinti procedimenti, posto che per le lesioni si era proceduto con il rito abbreviato, mentre per la contravvenzione era stato emesso decreto penale di condanna, ritualmente opposto; e censura che i due procedimenti erano stati riuniti a sua richiesta, ma che avrebbe dovuto essere adottato il rito ordinario e non quello abbreviato.
L'adozione di quest'ultimo avrebbe infatti comportato un illegittimo uso delle dichiarazioni da lui stesso rese, a incidente avvenuto, agli ispettori del lavoro, ai quali avrebbe riferito di essere presente costantemente nel cantiere, coordinando le varie imprese, dando disposizioni e partecipando direttamente all'esecuzione dei lavori. E però, secondo la tesi difensiva, tali dichiarazioni, inutilizzabili in quanto rese in violazione dell'art. 63 c.p.p., erano servite al giudice dell'appello per giustificare la sua condanna; mentre la Corte di merito ne aveva ritenuto erroneamente l'utilizzabilità, affermando che quelle dichiarazioni erano state rese dal P., prima che questi fosse indagato.
In ogni caso, sempre secondo il ricorrente, "quand'anche le si volesse ritenere in qualche modo utilizzabili nel procedimento riunito, le dichiarazioni rese agli organi ispettivi non potrebbero comunque avallare le conseguenze che la Corte di appello aveva voluto trarre da esse per trasformare il P. in "preposto al coordinamento e responsabile dei lavori per l'intero cantiere", come pure si legge in sentenza e, per tale via, configurare in capo a lui la posizione di garanzia presupposto per la ritenuta responsabilità colposa".
Il ricorrente sostiene, inoltre, che la sentenza impugnata avrebbe erroneamente attribuito ad esso committente dei lavori una posizione di garanzia nei confronti della persona infortunatasi, non tenendo conto dei principi stabiliti dalla Suprema Corte di cassazione, secondo cui non può esigersi dal committente "un controllo pressante, continuo e capillare sull'organizzazione e l'andamento dei lavori"; e che per fondare la responsabilità di quest'ultimo non si potrebbe "prescindere da un attento esame della situazione fattuale, al fine di verificare quale sia stata, in concreto, l'effettiva incidenza della sua condotta nell'eziologia dell'evento dannoso, a fronte della capacità organizzativa della ditta scelta per l'esecuzione dei lavori".
Per di più, secondo la tesi difensiva, i giudici dell'appello - al fine di non ottemperare ai principi giurisprudenziali su indicati - sovvertendo l'impianto probatorio e motivando illogicamente in ordine alla fattura rilasciata dalla persona offesa, dalla quale si evinceva che quest'ultima non era un lavoratore dipendente, avrebbero affermato che quel documento, rilasciato dopo l'infortunio, "aveva al più un valore ricognitivo di una volontà negoziale precedentemente manifestata in forma orale".
Infine, il ricorrente assume che la sentenza impugnata avrebbe errato a ritenere che egli aveva messo a disposizione della persona offesa una macchina troncatrice non idonea, che era stata invece abusivamente utilizzata dal N., e con la quale attrezzatura esso "committente non aveva alcun rapporto, se non , forse, quello derivante dalla semplice conoscenza della sua esistenza materiale".
4. Con motivi nuovi ritualmente presentati, il difensore dell'imputato ha ulteriormente insistito in ordine alla censure dedotte nei motivi principali, lamentando in particolare:
a) "inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dall'imputato:
violazione art. 606 c.p.p., lett. c) in relazione agli artt. 191, 192, 546 e 530 c.p.p., art. 220 disp. att. c.p.p., nonchè in relazione all'art. 590 c.p. e D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 71, comma 1".
Secondo il ricorrente, la sentenza impugnata meriterebbe "censura per avere ritenuto utilizzabili le dichiarazioni rese dall'imputato agli ispettori del lavoro, ufficiali di polizia giudiziaria, in data 20 febbraio 2009 e, per avere fondato la decisione di condanna esclusivamente sulle dichiarazioni - inutilizzabili - dell'imputato".
b) Violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) in relazione agli artt. 192, 546 e 530 c.p.p., nonchè in relazione all'art. 590 c.p. e D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 71, comma 1".
Dalla violazione delle regole sulla utilizzabilità delle dichiarazioni rese dal P. agli ispettori del lavoro, i giudici del merito avrebbero dedotto che l'imputato "fosse responsabile per l'adempimento degli obblighi di sicurezza inerenti l'organizzazione, l'ordinamento e l'uso delle attrezzature e delle macchine del cantiere, sia nei confronti dei lavoratori subordinati che di quelli autonomi"; e ciò non avrebbero potuto fare stante l'inutilizzabilità patologica di quelle dichiarazioni.
Inoltre, la causa dell'incidente avrebbe dovuto essere rinvenuta nel comportamento anomalo del lavoratore, il quale - pur disponendo di una troncatrice a norma, custodita nella sua autovettura - solo con decisione autonoma, "dettata da motivi di comodità", aveva deciso di utilizzare quello strumento difettoso che si trovava per mero caso nei locali di lavoro.
Ancora, sempre ad avviso del ricorrente - il N. era un artigiano esperto e aveva stipulato con il P. un contratto di lavoro autonomo: e tali circostanze esoneravano l'imputato da ogni responsabilità.
Sempre nei motivi aggiunti, infine, il difensore dell'imputato ha sostenuto che sarebbe illogica la motivazione resa dai giudici della Corte di appello nella parte in cui non avevano ritenuto il concorso di colpa della persona offesa nell'avere causato l'evento di danno.
Diritto
Il ricorso non merita accoglimento.
5. Quanto all'eccezione processuale, secondo cui nella fattispecie avrebbe dovuto trovare applicazione il giudizio ordinario e non quello abbreviato, si osserva che la stessa è manifestamente infondata.
E' stato, infatti, lo stesso difensore del P. a chiedere la riunione dei due procedimenti e a nulla eccepire in ordine alla pretesa necessità di procedere con il giudizio ordinario; così che - anche se si fosse verificata una nullità a regime intermedio - questa si sarebbe sanata.
Ma in ogni caso, tale eccezione non è stata dedotta innanzi ai giudici del secondo grado e perciò deve trovare applicazione, nel caso concreto, il disposto dell'art. 606 c.p.p., u.c., secondo cui il motivo di "ricorso è inammissibile se proposto.... per violazioni di legge non dedotte con i motivi di appello".
6. Ciò posto, si osserva che la censura relativa alla inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dal P. agli ispettori del lavoro senza le garanzie difensive è infondata.
E infatti, risulta dalla sentenza impugnata, e non è stato contestato dal ricorrente, che l'imputato rese agli ispettori del lavoro "dichiarazioni spontanee"; ebbene, secondo la giurisprudenza di questa Corte, cui aderisce questo Collegio, "sono probatoriamente utilizzabili nel giudizio abbreviato le dichiarazioni spontanee rese dall'indagato alla polizia giudiziaria" (Sez. 1^, Sentenza n. 35027 del 04/07/2013 Ud. (dep. 14/08/2013) Rv. 257213; conformi: N. 37374 del 2003 Rv. 227037, N. 29138 del 2004 Rv. 229457, N. 44637 del 2004 Rv. 230754, N. 40050 del 2008 Rv. 241554, N. 18064 del 2010 Rv. 246865, N. 8675 del 2011 Rv. 252279) e dunque a fortiori agli ispettori del lavoro.
Nè il ricorrente ha fornito alcuna prova in ordine alla eventuale non spontaneità delle suddette dichiarazioni; e si deve peraltro rilevare che "il potere del giudice di legittimità di rilevare d'ufficio le cause d'inutilizzabilità non comporta il dovere di ricercare gli elementi di fatto posti a fondamento delle medesime ed è dunque onere della parte interessata offrirne una compiuta rappresentazione e dimostrazione nel ricorso. (Fattispecie relativa alla pretesa inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dall'indagato senza assistenza del difensore in quanto asseritamente prive del requisito della spontaneità)" (Sez. 1^, Sentenza n. 26492 del 09/06/2009 Cc, dep. 25/06/2009, Rv. 244039).
Quanto su riferito sarebbe di per sè solo sufficiente a giustificare l'infondatezza della censura difensiva, ma per completezza di motivazione si deve aggiungere che le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno affermato il principio per il quale la sentenza impugnata, pur se formalmente viziata da inosservanza di norme processuali stabilite a pena d'inutilizzabilità, in tanto andrebbe annullata in quanto si accerti che la prova illegittimamente acquisita ha avuto una determinante efficacia dimostrativa nel ragionamento giudiziale, un peso reale sul convincimento e sul dictum del giudice di merito, nel senso che la scelta di una determinata soluzione, nella struttura argomentativa della motivazione, non sarebbe stata la stessa senza quelle dichiarazioni, nonostante la presenza di altri elementi probatori di per sè ritenuti non sufficienti a giustificare identico convincimento (Cass., Sez. Un., 25.2.1998, Gerina).
Ebbene, nel caso in esame il ragionamento giudiziale sulla valutazione analitica e complessiva di gravità, precisione e concordanza delle prove di colpevolezza dell'imputato - a prescindere dalle dichiarazioni rese dal P. agli ispettori del lavoro - risulta comunque ancorato ad un solido quadro probatorio: risulta infatti da entrambe le sentenze dei giudici del merito, come meglio sarà chiarito in seguito, che al momento dell'infortunio la persona offesa era da sola al piano terra a tagliare alcune assicelle di legno, secondo le istruzioni specifiche a lui date dal P., il quale frattanto stava lavorando al piano di sopra, procedendo alla posa delle stesse.
Perciò, anche a espungere dal procedimento le dichiarazioni rese dall'imputato in assenza del difensore, sarebbe in ogni caso raggiunta la prova che quest'ultimo dava disposizioni alla persona offesa, partecipando direttamente alla esecuzione delle opere nell'immobile che stava ristrutturando.
7. Ma anche le ulteriori censure relative alla pretesa manifesta illogicità della motivazione sono infondate.
I giudici del merito hanno, infatti, accertato - utilizzando oltre alle dichiarazioni rese dall'imputato agli ispettori del lavoro anche quelle rese dalla persona offesa,ritenuta perfettamente attendibile - che il N. ha riportato le lesioni di cui al capo di imputazione, mentre lavorava in un cantiere insieme al P.; e hanno altresì provato, come si è prima cennato, che al momento dell'infortunio la persona offesa si trovava al piano terra e stava segando le perline, seguendo le istruzioni a lui date dall'imputato, mentre l'imputato si trovava al piano di sopra e stava sistemando le assicelle di legno tagliate dal primo, secondo le sue indicazioni.
Da tali elementi il Tribunale ha logicamente dedotto che tra il P. e il N. era stato stipulato un contratto di lavoro dipendente; peraltro, a tale conclusione il giudice di primo grado è giunto valorizzando i seguenti indici rivelatori della reale natura del rapporto:
"1) la circostanza che la prestazione era stata pattuita "a ore", come risulta dalle dichiarazioni rese dall'imputato, secondo cui "è stato stipulato un contratto verbale di prestazione d'opera a ore";
2) l'attività di sorveglianza compiuta dal P., il quale era in cantiere tutti i giorni, come da lui stesso riferito: "attualmente sono in cantiere tutti i giorni verificando il lavoro delle varie imprese per verificare che i lavori vengano portati a termine il prima possibile";
3) l'utilizzazione di materiali forniti dal P.;
4) le specifiche indicazioni del P. al N. sulle attività da compiere; sul punto N.R. ha dichiarato: " P. prendeva le misure e mi diceva di tagliare a misura le perline di legno, io scendevo a piano terra, segnavo le varie misure sulle perline, effettuavo i vari tagli con la macchina troncatrice e portavo le perline tagliate al primo piano al signor P. e se c'era bisogno gli davo una mano anche per la posa"".
7.1. Tuttavia, anche se tra l'imputato e la persona offesa fosse stato pattuito un contratto di lavoro autonomo, come sostenuto dalla difesa del P., sussisterebbe comunque la responsabilità penale di quest'ultimo in ordine all'infortunio subito dal lavoratore.
E in vero, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, "in tema di infortuni sul lavoro, il contratto di appalto non solleva da precise e dirette responsabilità il committente allorchè lo stesso assuma una partecipazione attiva nella conduzione e realizzazione dell'opera, in quanto, in tal caso, rimane destinatario degli obblighi assunti dall'appaltatore, compreso quello di controllare direttamente le condizioni di sicurezza del cantiere" (Sez. 4^, Sentenza n. 14407 del 07/12/2011 Ud., dep. 16/04/2012, Rv. 253295).
Del resto, anche la massima giurisprudenziale citata dal P., nel ricorso a sua firma, per sostenere che non potrebbe esigersi dal committente "un contributo pressante, continuo e capillare sull'organizzazione e sull'andamento dei lavori", afferma che la responsabilità di quest'ultimo sussiste comunque nelle ipotesi di "ingerenza del committente stesso nell'esecuzione dei lavori oggetto dell'appalto o del contratto di prestazione d'opera" o nelle ipotesi di "percepibilità agevole e immediata da parte del committente di eventuali situazioni di pericolo".
E nel caso concreto, i giudici del merito hanno accertato, come si è prima precisato, che il P. si ingerì pesantemente nei lavori affidati al N., e che -al contempo - non controllò le condizioni di sicurezza del cantiere, tanto che permise alla persona offesa di utilizzare un attrezzo del tutto inidoneo sotto il profilo della sicurezza del lavoro.
7.2. Con riferimento a tale attrezzo, risulta infatti dalle sentenze di merito, e non è contestato dal ricorrente, che la troncatrice utilizzata dal N. mancava, da un lato, della protezione mobile nella parte sottostante alla lama e che era inoltre priva di comando di avviamento a pressione continua e di dispositivo di blocco con freno automatico.
Ora, i giudici del merito hanno logicamente motivato in ordine al rapporto di causalità tra l'utilizzo di siffatto attrezzo e le lesioni riportate dalla persona offesa, E in vero, il Tribunale ha affermato che "le carenze del macchinario risultano essere in palese connessione con l'evento, ove si consideri: a) che l'assenza della protezione mobile della parte sottostante escludeva la protezione degli arti; b) che la mancanza del pulsante di avviamento a pressione non consentiva un'immediata interruzione del movimento della sega in caso di contatto accidentale con l'arto; c) che la mancanza di un freno automatico prolungava i tempi di arresto della sega. Inoltre, nel "Piano di sicurezza" erano previsti, fra gli altri, i punti M029 e 030 riferiti alla distanza della protezione della lama (3 millimetri) ed alla cuffia protettiva della troncatrice; la presenza di questi accorgimenti tecnici avrebbe escluso il taglio accidentale o ne avrebbe determinato uno molti più superficiale".
E la Corte di appello ha ribadito che lo schermo di protezione bilaterale è un dispositivo "particolarmente efficace in quanto, creando delle barriere attorno all'organo lavoratore delimita uno spazio di rischio che non può essere invaso con gli arti superiori, con i quali viene maneggiato l'utensile, senza quanto meno prima urtare la barriera medesima, così ponendo l'operatore immediatamente sull'avviso del pericolo"; così che "la mancanza di questo dispositivo è sicuramente in nesso causale con l'infortunio".
La stessa Corte ha poi aggiunto che "la mancanza di un sistema di azionamento a impulso continuo da un lato ha la funzione di imporre all'attenzione del lavoratore il momento in cui la macchina inizia a operare e dunque il momento del massimo rischio, dall'altro ha la funzione di determinare l'interruzione automatica dell'alimentazione del motore al rilascio del pulsante e quindi di consentire all'operatore l'interruzione immediata in caso di contatto con parti del corpo"; con la conseguenza che "anche la mancanza di questo dispositivo è in nesso causale sia con il verificarsi dell'infortunio, sia con la gravità delle lesioni riportate" dal N..
E tale osservazione è stata estesa, sempre dalla Corte di appello, anche alla mancanza di un efficace sistema frenante del movimento inerziale della lama. Da tali logiche deduzioni dei giudici del merito deriva, dunque, che la censura del ricorrente in ordine alla insussistenza del rapporto di causalità tra l'uso dell'attrezzo non a norma e l'infortunio subito dal lavoratore è destituita di fondamento.
7.3. Nè è fondata la doglianza, secondo cui il P. non aveva alcun rapporto con la macchina troncatrice, "se non , forse, quello derivante dalla semplice conoscenza della sua esistenza materiale".
Ancora una volta, i giudici del merito, con ragionamento del tutto logico hanno evidenziato che quell'attrezzo si trovava nel cantiere da più giorni e che era stato usato dalla persona offesa anche nelle giornate precedenti all'infortunio; e hanno altresì osservato che "dalle dichiarazioni di entrambi i soggetti si deduce che la lavorazione in corso prevedeva una condotta sinergica dei due"; e che "la ricostruzione delle fasi lavorative consente di escludere che il N. utilizzasse il macchinario presente in cantiere in via del tutto autonoma, se non all'insaputa del P., in quanto la creazione dei pezzi e i tempi delle due attività erano strettamente connessi e consequenziali. Peraltro, al momento dell'infortunio in quell'area del cantiere erano presenti solo l'imputato e la parte offesa; e la lavorazione avveniva all'interno del cantiere, a pochi metri l'uno dall'altro, sia pure in piani diversi".
7.4. Ancora, è manifestamente infondato il motivo di ricorso di cui ai motivi aggiunti, secondo cui la causa dell'infortunio avrebbe dovuto essere rinvenuta nel comportamento anomalo del lavoratore, il quale - pur disponendo di una troncatrice a norma, custodita nella sua autovettura - solo con decisione autonoma, "dettata da motivi di comodità", aveva deciso di utilizzare un attrezzo difettoso, rinvenuto per mero caso nei locali di lavoro.
E infatti, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, solo il comportamento abnorme del lavoratore esonera il datore di lavoro da responsabilità; ed è tale soltanto quel comportamento che per la sua stranezza e imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte dei soggetti preposti all'applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro, così che non è abnorme il comportamento del lavoratore che abbia compiuto - come nella fattispecie - un'operazione comunque rientrante, oltre che nelle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro attribuitogli (cfr.: Cass. pen., sez. 4^, 28 aprile 2011, n. 23292, Rv 250710; Cass. pen., sez. 4^, 10 novembre 2009, n. 7267, depositata nel 2010, Rv 246695; Cass. pen., sez. 4^, 17 febbraio 2009, n. 15009, Rv 243208).
8. Del pari inammissibile è la doglianza contenuta, sempre nei motivi aggiunti, con cui il ricorrente ha sostenuto che la motivazione resa dai giudici della Corte di appello, nella parte in cui non avevano ritenuto il concorso di colpa della persona offesa nell'avere causato l'evento di danno, sarebbe manifestamente illogica.
E in vero, la suddetta censura era stata ritualmente proposta nei motivi di appello, al punto 4, in cui la difesa dell'imputato lamentava che il Tribunale aveva negato "il concorso di colpa, quanto meno prevalente, della parte offesa"; ma non è stata riproposta nei motivi del ricorso principale redatto personalmente dal P..
Ora, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in materia di termini per l'impugnazione, la facoltà del ricorrente di presentare "motivi nuovi" o "aggiunti" incontra il limite del necessario riferimento ai motivi principali, dei quali i motivi ulteriori devono rappresentare mero sviluppo o migliore esposizione, anche per ragioni eventualmente non evidenziate, ma risultando sempre ricollegabili ai capi ed ai punti già dedotti; ne consegue che sono ammissibili soltanto i "motivi nuovi" o "aggiunti" con i quali, a fondamento del petitum dei motivi principali, si alleghino ragioni di carattere giuridico diverse o ulteriori, non anche quelli con i quali si intenda allargare l'ambito del predetto petitum, introducendo censure non tempestivamente formalizzate entro i termini per l'impugnazione (cfr. sul punto: Cass. pen., Sez. un., 25 febbraio 1998, n. 4683, e tutte le successive sentenze delle sezioni ordinarie, conformi). Dunque, alla stregua della su citata giurisprudenza, appare evidente l'inammissibilità della suddetta censura; la stessa, comunque, è anche manifestamente infondata, atteso che i giudici del merito hanno evidenziato che "l'avere predisposto il luogo di lavoro, con attrezzo già posizionato per l'esecuzione delle mansioni ha indotto nel lavoratore, operaio esperto, un errore di valutazione sulla sua capacità di utilizzo dell'attrezzo medesimo senza rischio, benchè non a norma"; così che la circostanza che questi abbia deciso di usare quell'attrezzo e non il proprio non costituisce concorso di colpa del N. nell'infortunio di che trattasi.
Ora, tale motivazione non è manifestamente illogica; e in vero, il vizio logico della motivazione descritto dall'art. 606 c.p.p., lett. e), sussiste soltanto ove il giudice adotti massime di esperienza che si pongano in contrasto con il senso comune o con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (Cass. pen., sez. 2^, 21 dicembre 1993, Modesto, RV 196955; Cass. pen., sez. 5^, 30 novembre 1999, Moro, RV 215745), ovvero quando, pur partendo da premesse accettabili, sia pervenuto a conclusioni aberranti al lume della logica comune, sicchè difetti ogni nesso razionale tra premesse e conclusioni (Cass. pen., Sez. un., 13 dicembre 1995, Clarke, RV 203428). Alla Corte di cassazione non è dunque attribuito il compito di valutare se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, nè essa è chiamata a condividerne la giustificazione, essendo il sindacato di legittimità limitato alla verifica della coerenza strutturale della sentenza impugnata in sè e per sè considerata, da condursi necessariamente alla stregua degli stessi parametri valutativi a cui essa è "geneticamente" informata, ancorchè questi siano ipoteticamente sostituibili da altri (Cass. pen., Sez. un., 31 maggio 2000, Jakani, RV 216260).
9. Ai sensi dell'art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento nonchè alla rifusione delle spese sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, N. R., che si liquidano in complessivi Euro 2.500,00 oltre IVA e CPA..
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, N.R., nel presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 2.500,00 oltre IVA e CPA. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 6 febbraio 2014.
Depositato in Cancelleria il 26 febbraio 2014