Cassazione Penale, Sez. 4, 27 marzo 2014, n. 14536 - Uso di cavi elettrici di alimentazione in presenza di vapori di benzina: incendio in carrozzeria e concorso di colpa degli operai


 

 

 

Presidente Brusco – Relatore Piccialli

Fatto



Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza di primo grado, impugnata dalle parti civili P.G. , P.R. e C.C. , dal responsabile civile Z.R. , dall'imputato G.D. , dichiarava non doversi procedere nei confronti di G.D. per essere i reati a lui ascritti estinti per prescrizione, confermando le statuizioni civili in favore delle parti civili, a carico dell'imputato e del responsabile civile.
Secondo la ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito, il G. , unitamente alla vittima, P.G. , mentre erano intenti a riparare presso l'autocarrozzeria Z., l'autovettura nella disponibilità di S.F. e CA.Ma. , rimasta in panne per l'erroneo riempimento del serbatoio con benzina anziché gasolio, rimanevano coinvolti nell'incendio dell'autovettura, provocato dall'imprudente utilizzo di un'apparecchiatura "Start Booster", della quale si erano serviti per collegare i cavi di una lampada da usare allo scopo di esaminare la pompa immersa nel serbatoio della predetta autovettura: l'incendio era stato infatti, determinato dal contatto tra le scintille provocate dalla citata apparecchiatura ed i vapori di benzina.
A carico del G. venivano contestati i reati di omicidio colposo ex art. 589 c.p. in danno del P. , in concorso con la condotta colposa della vittima, di lesioni colpose gravi ex art. 590 c.p. in danno di S.F. e Ca.Ma. , anch'essi attinti dall'incendio, in quanto presenti durante le operazioni di svuotamento del serbatoio dell'autovettura e di incendio colposo dell'autovettura ex artt. 423 e 449 c.p.. La Corte di appello, confermando l'impostazione accusatoria e quella del giudice di primo grado, riteneva l'insussistenza dei presupposti per l'assoluzione nel merito dell'imputato ex art. 129, comma 2, c.p.p., non emergendo dagli atti, con la necessaria evidenza, una causa assolutoria.
L'addebito a carico del G. , rilevante ai fini civili, è stato fondato sulla sottovalutazione da parte dello stesso del pericolo rappresentato dall'uso di cavi elettrici di alimentazione in presenza di vapori di benzina, del quale, per l'esperienza lavorativa, doveva avere conoscenza. È stato altresì riconosciuto il concorso di colpa della vittima nella misura del 50%, ritenuta parimenti responsabile, sul rilievo che, in quanto supportato da una sufficiente esperienza lavorativa, non avrebbe dovuto sfuggirgli che liberare scintille in un ambiente altamente inquinato da sostanze infiammabili poteva risultare altamente pericoloso e foriero di incendi. Sulla doglianza di parte civile che invocava l'esclusiva responsabilità del G. nella determinazione degli eventi, il giudice di appello evidenziava che la posizione del P. era perfettamente sovrapponibile a quella dell'imputato, avendo fornito lo stesso un contributo di conoscenza, esperienza e lavoro sicuramente equivalente a quello del G. in un ambiente ove entrambi erano semplici operai, ancorché l'uno (il G. formalmente assunto) l'altro (il P. ) solo collaboratore saltuario e comunque sempre al nero.
Sotto tale ultimo profilo la Corte di merito condivideva le osservazioni del Tribunale laddove di fatto aveva considerato un artificio quello di far risultare il P. come assunto con contratto a tempo indeterminato.
Sul punto si sottolineava l'inverosimiglianza della tesi difensiva secondo la quale l'assunzione sarebbe avvenuta il giorno prima dell'incidente, soprattutto tenuto conto che nessuna sottoscrizione del P. era stata prodotta in giudizio.
Quanto alla richiesta risarcitoria avanzata nei confronti delle assicurazioni, citate come responsabili civili su richiesta della responsabile civile "Carrozzeria Z. srl", il giudice di appello, confermava l'interpretazione delle clausole contrattuali fornita dal primo giudice arrivando alla conclusione che era fuori dalla copertura assicurativa il rischio determinato dall'opera di lavoratori non regolarmente assunti, rimanendo irrilevante il fatto che il danno fosse stato perpetrato da un lavoratore ritualmente inquadrato tra le maestranze dell'assicurata.
Le parti civili P.G. , P.R. e C.C. con il ricorso articolano quattro profili di censura.
Con il primo motivo lamentano la violazione del principio di affidamento in relazione all'affermazione di una concorrente responsabilità della vittima nella determinazione dell'evento mortale e la manifesta illogicità della motivazione sul punto. Sotto tale profilo si deduce che la Corte territoriale aveva omesso di analizzare il motivo di gravame con il quale, individuata la posizione di garanzia del G. quale preposto nei confronti della persona offesa, in quanto sovraordinato nell'organigramma aziendale e responsabile della gestione concreta degli interventi di soccorso, si sosteneva l'incolpevole affidamento fatto dal P. sulla competenza e sulla esperienza del primo, soprattutto tenuto conto dell'apporto lavorativo saltuario ed al nero della persona offesa. Conferma in tal senso i ricorrenti traggono dalla circostanza di fatto che fu solo l'imputato, come emerge dalle testimonianze, a parlare telefonicamente con il titolare dell'officina e che lo stesso non riferì il contenuto della precisa istruzione ricevuta dal titolare di interrompere immediatamente la lavorazione, così assumendosi l'intera responsabilità dei lavori. Si sostiene, altresì, la manifesta illogicità della motivazione laddove la Corte di appello aveva affermato che il G. era andato a prendere l'apparecchio e, in prossimità dell'abitacolo, aveva messo il P. nelle condizioni di utilizzarlo, passandogli i cavi. Si deduce che tale ricostruzione era manifestamente illogica in quanto non teneva conto che il P. , come emergeva dalle testimonianze, non disponeva della materiale possibilità di utilizzare i cavi, avendo una lampada in mano e che fu il G. nella qualità di meccanico, a tentare di effettuare la maldestra riparazione del veicolo, azionando l'apparecchio elettrico. Con il secondo motivo lamentano la mancanza di motivazione sullo specifico motivo di appello con il quale si era sottolineato come il Tribunale non avesse minimamente valorizzato la concreta posizione di garanzia rivestita dall'imputato ed avesse errato nella ricostruzione della dinamica del sinistro, avvalendosi di prove orali lacunose, ritenendo che fosse stato P. a richiedere al G. di prendere lo start booster. Con il terzo motivo si lamenta la carenza di motivazione in punto di affermazione della concorrente responsabilità della vittima nella determinazione del sinistro, sottovalutando la posizione di garanzia del G. ed il suo maggior grado di preparazione e formazione specifica nello svolgimento dell'attività lavorativa di meccanico rispetto al P. , in posizione di assoluta irregolarità all'interno dell'azienda, emergente anche dalle dichiarazioni testimoniali in atti.
Con il quarto motivo lamentano la violazione dell'art. 538, comma 3, c.p.p. in punto di mancato riconoscimento della legittimità della domanda di chiamata in garanzia delle compagnie di assicurazione. Dalle lettura delle norme contrattuali di interesse, che vengono riportate per esteso, i ricorrenti traggono la conclusione, con riferimento al contratto ITAS - assicurazione responsabilità civile verso terzi-, della operatività della garanzia assicurativa del responsabile civile, in quanto la garanzia RCT prescinderebbe totalmente dalla regolarità contributiva e coprirebbe la responsabilità personale dei dipendenti, nella specie il G. , per i danni cagionati dagli stessi ai terzi nello svolgimento delle proprie mansioni. Si sostiene anche l'operatività della polizza assicurativa Aurora, per gli infortuni sofferti dai prestatori di lavoro, sul rilievo che ciò che deve rilevare, ai fini della operatività formale della polizza è che l'assicurato sia in regola, al momento del sinistro, con gli obblighi per l'assicurazione di legge, come nel caso in esame, in cui la formalizzazione del rapporto lavorativo a tempo pieno del dipendente era stata fatta dall'azienda, conformemente al disposto dell'art. 12, comma 2, dpr 1124/65, il 26.8.82, nei termini di legge.
G.D. articola tre motivi.
Con il primo motivo sostiene la sussistenza dei presupposti per l'assoluzione nel merito, sul rilevo che i giudici di merito illogicamente non avevano tenuto conto del ruolo direttivo del P. rispetto a quello dell'imputato e dell'affermata mancanza di prova su chi aveva effettuato materialmente il collegamento dei cavi. Con il secondo motivo deduce la violazione di legge e la contraddittorietà della motivazione in relazione alla illegittima esclusione delle assicurazioni quali responsabili civili che i giudici di merito hanno fondato sulla circostanza di fatto che il P. fosse un dipendente a nero, in conformità alle dichiarazioni testimoniale rese dal figlio di questo. Si assume che tale valutazione si pone in contrasto con la documentazione in atti dalla quale emergerebbe la rituale assunzione della vittima, per necessità derivante da esigenze contingenti del datore di lavoro (l'improvviso ricovero ospedaliero della madre del titolare della carrozzeria). Si censura come illogica la sentenza nella parte in cui viene affermato apoditticamente che le operazioni di svuotamento dei serbatoi e ripristino delle condizioni di marcia dei veicoli erroneamente alimentati rappresentava pratica corrente per la carrozzeria Z.. Si assume, invece, che la responsabilità di tale decisione era riconducibile al P. , come confermato dalle dichiarazioni testimoniali in atti, mentre difettava la prova della consapevolezza da parte del G. dell'uso da fare dello start booster.
Con il terzo motivo si lamenta la violazione di legge e la manifesta illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza del contributo causale del G. , pur sussistendo l'incertezza circa il soggetto che aveva effettuato il collegamento dei cavi a cui era conseguito l'incendio dell'autovettura.
La responsabile civile "Carrozzeria Z. s.r.l." lamenta la manifesta illogicità della motivazione sul mancato riconoscimento della copertura assicurativa afferente la riconosciuta responsabilità concorsuale del G. in ordine alla causazione dell'evento mortale, pur essendo stata riconosciuta, sia pure nella misura del 50%, la responsabilità del dipendente regolarmente assunto G. . Si sostiene altresì la contraddittorietà della motivazione che, pur confermando la valutazione compiuta dal giudice di primo grado sul concorso di responsabilità paritario del G. e del P. , aveva riconosciuto che la responsabilità del primo era sicuramente minoritaria rispetto a quella del secondo.

Diritto



Il motivo di ricorso proposto nell'interesse dell'imputato, comune al responsabile civile ed anche alla parte civile, con il quale si lamenta il rigetto delle domande proposte nei confronti delle società assicuratrici, quali responsabili civili, impone di affrontare in via preliminare il problema della legittimità della chiamata in garanzia delle società assicuratrici, quali responsabili civili, da parte del responsabile civile "Carrozzeria Z. s.r.l.".
Tale questione, a fronte delle eccezioni sollevate, si era già posta davanti al giudice di primo grado, il quale rilevava in sentenza, innanzitutto, una preclusione processuale che impediva l'esame dell'eccezione non riproposta nei termini di cui all'art. 491 c.p.p. Le domande volte ad azionare la garanzia assicurativa derivante dalle polizze assicurative sottoscritte dalla Carrozzeria Z. venivano dal medesimo giudice rigettate nel merito, in considerazione del contenuto delle condizioni generali di entrambe le polizze e della accertata irregolarità della posizione lavorativa del P. .
La Corte di appello confermava la sentenza sul punto. Tale impostazione non è condivisibile.
Per la nozione di responsabile civile, di cui è possibile la citazione nel processo penale o che in esso può intervenire volontariamente ex art. 85 c.p.p., occorre fare riferimento all'art. 185, comma 2, c.p. secondo il quale "ogni reato, che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto di lui" (v. Sezione IV, 10 dicembre 2003, Bixio ed altri, rv. 229378 ed i riferimenti in essa contenuti).
Come è fatto palese dal tenore letterale della norma, si tratta dei casi di responsabilità civile ex lege, situazione non ricorrente nella fattispecie in esame, in cui l'assicurazione ha fonte esclusiva nel contratto.
Con il contratto di assicurazione, infatti, l'assicuratore non assume alcun obbligo di risarcimento nei confronti di terzi, ma soltanto un obbligo di tenere indenne l'assicurato che ne faccia richiesta ai sensi dell'art. 1917, comma 2, c.c..
Deve, pertanto, affermarsi che nel processo penale manca sia il presupposto oggettivo-sostanziale (obbligo del risarcimento "ex lege") sia il presupposto soggettivo-processuale (destinatario del diritto all'indennizzo) per l'esercizio diretto dell'azione civile da parte del danneggiato nei confronti della società di assicurazione, che non è legittimata a partecipare al giudizio.
La sentenza impugnata e quella di primo grado, rigettando nel merito le domande volte ad azionare la garanzia assicurativa, non si sono attenute a tali principi, riconoscendo la veste di responsabili civili delle Unipol Assicurazioni spa e ITAS Mutua Assicurazioni s.p.a..
Per quanto sopra esposto, si impone l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata e di quella di primo grado limitatamente alla pronuncia adottata nei confronti di Unipol Assicurazioni spa e ITAS Mutua Assicurazioni s.p.a..
Passando all'esame dei ricorsi, va rilevato che il G. ripropone la questione della responsabilità penale concludendo anche per l'applicazione dell'art. 129 c.p.p con la formula per non avere commesso il fatto.
Seguendo un ordine logico espositivo va, pertanto, esaminato innanzitutto il ricorso proposto nell'interesse del G. , coinvolgente il giudizio di responsabilità.
Invero, in presenza della causa estintiva della prescrizione, l'obbligo di declaratoria di una più favorevole causa di proscioglimento ex art. 129 c.p.p., comma 2, da parte della Corte di cassazione, postula in concreto che gli elementi idonei ad escludere l'esistenza del fatto, la rilevanza penale di esso e la non commissione del medesimo da parte dell'imputato emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, sicché la valutazione che deve essere compiuta appartiene più al concetto di constatazione che a quello di apprezzamento (v. in tal senso Sezione VI, 11 novembre 2009, n. 49877, R.C. e Blancafor, in motivazione e ivi altri puntuali riferimenti).
Da tali regole consegue:
a) che nel giudizio di cassazione, qualora la motivazione del giudizio di merito - come nella specie - dia contezza delle ragioni poste a fondamento dell'effettuato giudizio di responsabilità dell'imputato, non può nel contempo emergere dagli atti, con la necessaria evidenza, una causa assolutoria nel merito;
b) che è inammissibile il ricorso in cassazione proposto contro la sentenza, che abbia dichiarato estinto il reato per prescrizione, soltanto per difetto di motivazione, in quanto l'inevitabile declaratoria di estinzione del reato anche da parte del giudice di rinvio preclude che la sentenza impugnata possa essere annullata con rinvio.
A ciò aggiungasi che, nel caso in esame, in cui è presente la parte civile, si impone un più approfondito vaglio delle ragioni difensive,in ossequio ai principi espressi dalle Sezioni unite, con la sentenza 28 maggio 2009, Tettamanti.
In tale occasione, la Corte, pur avendo affermato il principio che, all'esito del giudizio, il proscioglimento nel merito, nel caso di contraddittorietà o insufficienza della prova, non prevale rispetto alla dichiarazione immediata di una causa di non punibilità, hanno individuato alcune eccezioni e tra queste, per quanto interessa, quella in cui il giudice dell'impugnazione, intervenuta una causa estintiva del reato, ai sensi dell'articolo 578 c.p.p. è comunque tenuto a valutare il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili per la presenza della parte civile. In tale ipotesi, il giudice è tenuto in ogni caso ad una valutazione approfondita del materiale probatorio, con conseguente possibilità della prevalenza del proscioglimento nel merito, pur a fronte di un quadro probatorio "contraddittorio" o "insufficiente"; infatti, in tale evenienza, poiché il giudice è comunque tenuto ad una valutazione approfondita della vicenda a fini civilistici, non opera più il principio di economia processuale sotteso alla rigorosa applicazione dell'articolo 129 c.p.p., cosicché, quando tale valutazione porti all'accertamento della mancanza di responsabilità penale, anche per insufficienza o contraddittorietà della prova, essa riverbera i suoi effetti anche sulla decisione penale, con la conseguenza che deve essere pronunciata, in tal caso, la formula assolutoria nel merito.
Ciò premesso, la fattispecie in esame si caratterizza proprio per la mancanza dei ricordati presupposti per l'assoluzione dell'imputato nel merito.
La sentenza impugnata è corretta nell'applicazione dei principi di diritto, non presenta vuoti motivazionali né è caratterizzata dalle asserite illogicità.
I motivi possono essere trattati congiuntamente essendo diretti a censurare la logicità della motivazione nella parte in cui afferma la responsabilità del G. , riconoscendo il concorso di colpa della vittima nella misura del 50%.
In sostanza, il ricorrente vorrebbe che fosse esclusa ogni sua responsabilità per l'incendio, atteso che dello stesso sarebbe responsabile esclusivamente il P. , la cui condotta colposa avrebbe integrato una causa sufficiente da sola a produrre l'evento ex art. 41 c.p..
In proposito, giova evidenziare che la Corte di appello ha tenuto conto degli elementi acquisiti e ha affermato che la dinamica dell'incidente mortale dovesse essere ricostruita nei termini indicati dal giudice di primo grado, che ha individuato la colpa del G. nella sottovalutazione da parte dello stesso del pericolo rappresentato dall'uso di cavi elettrici di alimentazione in presenza di vapori di benzina, riconoscendo il concorso di colpa della vittima nella misura del 50%. Tale valutazione è stata fondata sulla considerazione che la posizione dei due lavoratori era perfettamente sovrapponibile, in quanto entrambi supportati da una sufficiente esperienza lavorativa, che consentiva loro di prevedere la situazione di pericolo determinata dal liberare scintille, attraverso l'utilizzo di un apparecchio elettrico, in un ambiente altamente inquinato da sostanze infiammabili.
Trattasi di ricostruzione qui incensurabile, in ordine alla quale le censure svolte, dirette a far valere il vizio di motivazione anche con riferimento al giudizio di responsabilità sono infondate, avendo il giudicante logicamente evidenziato che proprio la mancata adozione da parte del G. delle cautele e dei presidi necessari e dovuti al fine di prevenire gli incendi, in considerazione del ruolo dallo stesso svolto all'interno dell'officina, si è posta in nesso di relazione causale con l'evento prodottosi.
È censura di merito, a fronte di una motivazione immune da palesi illogicità, quella che contesta la affermata eziologia dell'incendio alla condotta colposa dell'imputato e radica la colpa esclusiva della vittima in una posizione di asserita prevalenza, per esperienza ed anzianità, rispetto alla volontà dell'imputato.
La doglianza è sostanzialmente articolata sulla asserita mancata considerazione del ruolo efficiente in via esclusiva che avrebbe avuto la condotta del P. .
Contrariamente a quanto sostenuto in ricorso, l'esame dell'apporto causale delle condotte da parte dei giudici di merito è incensurabile, rivelandosi così infondate anche le censure svolte sul punto dalle parti civili costituite.
Il giudicante, infatti, si è soffermato sul ruolo causale colposamente rilevante del G. , il quale ha collaborato sinergicamente con il P. per tutte le fasi del lavoro, raccogliendo le indicazioni telefoniche da parte del datore di lavoro ed andando a prendere l'apparecchio elettrico, mettendo il P. nelle condizioni di utilizzarlo, passandogli materialmente i cavi.
Sul punto le doglianze di entrambe le parti sono meramente assertive e si fondano su una opinabile ricostruzione della vicenda che non può essere proposta all'attenzione della Corte di legittimità, essendo sfornite di adeguato supporto probatorio ed essendo state contrastate da argomentazioni logiche e coerenti con il materiale probatorio.
Le conclusioni sul punto della Corte di merito sono, pertanto, correttamente argomentate e conformi ai principi consolidati di questa Corte anche sotto il profilo che la specificazione (percentualistica) del grado di colpa è necessaria anche in sede penale, ove in questa debbano pronunciarsi statuizioni civilistiche, come nel caso in esame. Va altresì precisato che tale valutazione riguarda esclusivamente il rapporto tra imputato e/o responsabile civile (debitori) da un lato e parte civile (creditore) dall'altro, tra i quali soltanto si svolge il rapporto civilistico dedotto in contestazione in sede penale. Tale obbligo, quindi, incombe al giudice solo ove si tratti di determinare il concorsuale apporto del creditore - parte civile (o suo dante causa) alla determinazione dell'evento generatore del danno risarcibile, non anche nel caso in cui si verta in ipotesi di concorsuale apporto di più imputati - debitori e di imputati e terzi che tale veste non abbiano rivestito nel giudizio penale (v. Sezione IV, 6 maggio 2009, Vietti ed altri, rv. 244506). Nel primo caso, difatti, tra i quali rientra quello in esame, ai sensi dell'art. 1227 c.c., richiamato dall'art. 2056 c.c., il giudice deve valutare il concorso del fatto colposo del creditore nella determinazione del risarcimento dovuto, che "è diminuito secondo la gravità della colpa e le conseguenze che ne sono derivate". Nel secondo caso, invece, viene in rilievo il principio della solidarietà passiva sancito dall'art. 2055 c.c., secondo il quale, "se il fatto dannoso è imputabile a più persone, tutte sono obbligate in solido al risarcimento del danno" salva l'azione di regresso del debitore che abbia risarcito il danno nei confronti degli altri condebitori solidali: aspetto, quest'ultimo, che evidentemente non rileva affatto nel rapporto esterno tra creditore danneggiato e debitore imputato, e che potrà, semmai, da quest'ultimo esser fatto valere nella competente sede civilistica nei rapporti interni tra lui, debitore solvente, ed altri eventuali condebitori solidali.
Per quanto sopra esposto vanno disattese le censure proposta nell'interesse delle parti civili costituite dirette a valorizzare la posizione di garanzia del G. nei confronti della persona offesa, in quanto soggetto sovraordinato nell'organigramma aziendale e responsabile della gestione concreta degli interventi di soccorso.
Tale conclusione non è coerente con la ricostruzione dei fatti e dei ruoli in concreto svolti da ciascuno dei responsabili dell'incidente, logicamente argomentati dai giudici di merito ed implica una valutazione in fatto inammissibile in questa sede.
Per gli stessi motivi non può utilmente essere richiamato il principio di affidamento, invocato dalle parti civili per affermare la responsabilità esclusiva del G. , sostenendo l'incolpevole affidamento fatto dal P. sulla competenza ed esperienza di meccanico del G. , inserito stabilmente nell'officina. L'applicazione di tale principio presuppone, infatti, la riconosciuta posizione di garanzia del soggetto preposto al controllo e l'accertata inidoneità del soggetto che pone in essere una condotta imprudente a causa della inosservanza delle regole precauzionali da parte del garante.
In questa ottica le considerazioni del difensore che vorrebbe mettere in discussione il concorso di colpa della vittima si pongono come obiezioni di mero fatto, che esprimono un dissenso di merito nei confronti della ricostruzione logica e coerente al materiale probatorio operata dal giudice di merito.
Dall'estromissione dal giudizio della Unipol Assicurazioni spa e della ITAS Mutua Assicurazioni s.p.a. e dal confermato giudizio di corresponsabilità in misura paritaria del G. e del P. consegue il rigetto del ricorso proposto dalla responsabile civile Carrozzeria Z. s.r.l. incentrato sul mancato riconoscimento della copertura assicurativa e sull'asserita contraddittorietà della motivazione in merito all'accertato concorso di responsabilità.
L'esito del processo, imperniato sull'obiettiva difficoltà dell'apprezzamento delle responsabilità nella determinazione del sinistro mortale, che ha visto il coinvolgimento eziologicamente rilevante della stessa vittima, e sulla questione complessa della legittimazione delle società assicuratrici, può essere posto a fondamento della compensazione delle spese di lite tra le parti, ben integrando le gravi ed eccezionali ragioni di cui all'art. 92, comma 2, c.p.c..

P.Q.M.


Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e quella di primo grado limitatamente alla pronuncia adottata nei confronti di Unipol Assicurazioni spa e ITAS Mutua Assicurazioni s.p.a..

Rigetta nel resto tutti i ricorsi e compensa integralmente le spese tra le parti.