Cassazione Penale, Sez. 4, 17 marzo 2014, n. 12375 - Pressa piegatrice e dispositivo foto-elettrico per la salvaguardia delle mani non attivato
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROMIS Vincenzo - Presidente -
Dott. MARINELLI Felicetta - Consigliere -
Dott. CIAMPI Francesco Mari - Consigliere -
Dott. MONTAGNI Andrea - Consigliere -
Dott. SERRAO Eugenia - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
P.M. N. IL (Omissis);
avverso la sentenza n. 282/2009 CORTE APPELLO di L'AQUILA, del 14/03/2012;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 11/03/2014 la relazione fatta dal Consigliere Dott. SERRAO EUGENIA;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. POLICASTRO Aldo, che ha concluso per l'annullamento senza rinvio per prescrizione del reato, conferma delle statuizioni civili;
Udito per la parte civile l'Avv. MATURO Giuseppe, che ha chiesto che il ricorso venga dichiarato inammissibile o, in subordine, venga rigettato; nell'ipotesi di declaratoria di prescrizione del reato, ha chiesto che questa Corte decida sull'impugnazione ai sensi dell'art. 578 c.p.p., agli effetti dei capi della sentenza che hanno deciso gli interessi civili, confermando la condanna dell'imputato al risarcimento del danno cagionato alla parte civile, da liquidarsi in separato giudizio;
Udito il difensore del ricorrente, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso.
Fatto
1. Il 14/03/2012 la Corte di Appello di L'Aquila, in parziale riforma della sentenza emessa il 17/06/2008 dal Tribunale di Chieti, ha rideterminato la pena in mesi 1 e giorni 10 di reclusione convertiti nella sanzione pecuniaria della multa di Euro 1.520,00 e confermato la condanna di P.M..
2. Il Tribunale di Chieti aveva pronunciato nei confronti dell'imputato sentenza di condanna alla pena di mesi tre di reclusione ed al risarcimento del danno subito dalla parte civile, da liquidarsi in separata sede, sulla base della seguente ipotesi accusatoria: delitto previsto dell'art. 590, comma 3, art. 583 c.p., comma 1, n. 1 e n. 2; D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, art. 4, comma 1, lett. a) e art. 115, perchè, nella sua qualità di datore di lavoro e legale rappresentante della P. s.r.l., per colpa consistita in imperizia, imprudenza e negligenza, in particolare per avere fatto utilizzare ai suoi dipendenti la pressa piegatrice della ditta "Somo" con il dispositivo foto-elettrico per la salvaguardia delle mani dell'operatore non attivato, aveva causato l'infortunio nel quale era rimasto coinvolto l'operaio G.R. il quale, nel manovrare la suddetta macchina, era rimasto con la mano sinistra imprigionata sotto il punzone, così provocandogli lesioni guaribili in oltre 40 giorni consistenti in "trauma da schiacciamento della mano sinistra con frattura completa, scomposta della dafisi falange 2^, 3^, 4^ e 5^ dito con subamputazione dita lunghe mano sinistra", con l'aggravante di avere causato lesioni gravi violando le norme poste a prevenzione degli infortuni sul lavoro. Fatto avvenuto in (Omissis).
3. Ricorre per cassazione P.M. censurando la sentenza impugnata per i seguenti motivi:
a) violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), - illogicità, contraddittorietà ed apparenza della motivazione in ordine al criterio di attribuibilità della condotta ascritta all'imputato.
La Corte territoriale, si assume, ha fatto richiamo a principi astrattamente condivisibili che, tuttavia, nel caso di specie, non hanno trovato il necessario riscontro eziologico tale da rendere il ragionamento del giudice esaustivo e non meramente compilativo. La sentenza impugnata, secondo il ricorrente, avrebbe ascritto la responsabilità all'imputato attraverso un meccanismo logico riconducibile alla responsabilità oggettiva, senza individuare le condotte diverse che avrebbero impedito l'evento. Dall'istruttoria, si sostiene, sarebbe emerso che il macchinario utilizzato in occasione dell'occorso fosse a norma e non fosse stato oggetto di alcuna prescrizione da parte della competente autorità, mentre la vittima dell'incidente era un operaio adeguatamente formato e informato. Nel caso in cui non si verta in un'ipotesi di totale assenza di presi di antinfortunistici, ovvero in un caso di strumenti non adeguati alle normative, ovvero in ipotesi di operai inesperti non, dotati di formazione ed informazione, la motivazione dovrebbe individuare una concreta, seppur generica, azione doverosa da imputarsi a carico del datore di lavoro e che questi avrebbe disatteso, mentre nel caso concreto è stato operato un generico ed astratto richiamo al dovere di vigilanza non calato nel caso concreto;
b) vizio di motivazione, per avere la Corte negato il riconoscimento dell'attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 6, in relazione all'offerta formale formulata dall'imputato e condizionatamente accettata dalla persona offesa, sulla base dell'apodittica asserzione che la somma offerta non comportasse l'integrale risarcimento dei danni subiti dalla persona offesa, senza alcun riferimento ai criteri risarcitori o alle poste da risarcirsi eventualmente dovute, a fronte di un'offerta reale accompagnata da analitica ricostruzione delle poste debitorie, dalla indicazione dei criteri di ripartizione delle stesse fra gli enti previdenziali ed il datore di lavoro, da criteri di computo ancorati alle risultanze documentali;
c) vizio di motivazione per mancanza o incompletezza della motivazione rispetto al thema decidendum, per aver omesso la Corte di pronunciarsi in ordine alla richiesta di concessione dei benefici di legge contenuta nell'atto di impugnazione.
4. Con memoria difensiva depositata il 18/02/2014 la parte civile G.R. ha chiesto che il ricorso venga dichiarato inammissibile o, in subordine, venga rigettato; nell'ipotesi di declaratoria di prescrizione del reato, ha chiesto che questa Corte decida sull'impugnazione ai sensi dell'art. 578 c.p.p., agli effetti dei capi della sentenza che hanno deciso gli interessi civili, confermando la condanna dell'imputato al risarcimento del danno cagionato alla parte civile, da liquidarsi in separato giudizio. Ha depositato in udienza nota spese.
Diritto
1. Il ricorso proposto da P.M. non presenta profili di inammissibilità. Va, quindi, osservato che dopo la sentenza di appello è venuto a maturare il termine massimo di prescrizione previsto dalla legge per il reato contestato. Il fatto risale al 13/04/2005 e pertanto, in base al combinato disposto, tanto dei previgenti artt. 157 e 160 c.p., quanto degli artt. 157, 160 e 161 c.p., come modificati con L. 5 dicembre 2005, n. 251, alla data del 13/10/2012 si è compiuto il termine massimo previsto dalle citate norme. In particolare, il reato per cui si procede, commesso in data (Omissis), risulta estinto, per decorso del termine massimo di prescrizione (di sette anni e sei mesi), in data 13/10/2012, successiva alla pronuncia della sentenza impugnata e alla proposizione del ricorso.
2. Tanto chiarito, si deve considerare che le Sezioni Unite della Corte Suprema di Cassazione hanno chiarito che il disposto di cui all'art. 129 c.p.p., comma 2, laddove impone di dichiarare la causa estintiva quando non risultino evidenti i presupposti per una pronuncia assolutoria, deve coordinarsi con la presenza della parte civile e di una condanna in primo grado che impone ai sensi dell'art. 578 c.p.p., di pronunciarsi sulla azione civile; e che, solo in tali ipotesi, la valutazione della regiudicanda non deve avvenire secondo i canoni di economia processuale che impongono la declaratoria della causa di proscioglimento quando la prova della innocenza non risulti ictu oculi (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244273).
2.1. Pertanto, atteso che, nel caso di specie, il Tribunale di Chieti ha condannato l'imputato al risarcimento del danno in favore della parte civile, statuizione confermata dalla Corte di Appello, si deve procedere, pur in presenza della causa estintiva, ad un esame approfondito dei motivi di doglianza, ai fini della responsabilità civile, rimanendo assorbito l'esame dei motivi concernenti il trattamento sanzionatorio.
3. Il primo motivo di ricorso, l'unico che deve essere esaminato, è infondato.
3.1. La sentenza del Tribunale di Chieti, giudicando con rito abbreviato in ordine all'imputazione indicata, aveva accertato sia la mancanza di qualsivoglia presidio anche infortunistico di diversa natura alla pressa piegatrice, sia la disattivazione del dispositivo foto-elettrico presente, idoneo ad arrestare il funzionamento della macchina, se attivato, in presenza accidentale degli arti superiori dell'operaio addetto nell'area di interessamento dell'operazione tecnica; in ragione della posizione di garanzia dell'imputato, il giudice di primo grado aveva ritenuto responsabile P. M., motivando per quali ragioni (pag. 3) dovesse ritenersi dimostrato il nesso di causalità tra l'omessa attivazione del dispositivo antinfortunistico e l'evento occorso al lavoratore.
Riportando, poi, il contenuto delle dichiarazioni rese dalla persona offesa e da un collega di lavoro, la cui attendibilità non risulta contestata nei motivi di appello, aveva desunto la colpevolezza dell'imputato individuando nella disattivazione del presidio antinfortunistico e nell'assenza di specifica formazione del lavoratore le prove della condotta omissiva del datore di lavoro.
Nell'atto di appello, l'imputato censurava tale pronuncia per non avere valutato le risultanze istruttorie emergenti dalle istruzioni per l'uso e la manutenzione della macchina, dalle quali si sarebbe dovuta evincere la responsabilità del lavoratore per avere disattivato il presidio antinfortunistico, e per non avere tenuto conto del fatto che il lavoratore avesse ricevuto adeguata formazione.
4. E' necessario, in proposito, ricordare che costituisce orientamento consolidato di questa Corte quello secondo il quale, in presenza di una doppia conforme affermazione di responsabilità, va ritenuta l'ammissibilità della motivazione della sentenza di appello per relationem a quella della decisione impugnata, sempre che le censure formulate contro la sentenza di primo grado non contengano elementi o argomenti diversi da quelli già esaminati e disattesi, in quanto il giudice di appello, nell'effettuare il controllo circa la fondatezza degli elementi su cui si regge la sentenza impugnata, non è tenuto a riesaminare questioni sommariamente riferite dall'appellante nei motivi di gravame, sulle quali si sia già soffermato il primo giudice con argomentazioni ritenute esatte e prive di vizi logici, non specificamente e criticamente censurate. In tal caso, infatti, le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione, tanto più ove i giudici dell'appello abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo grado, sicchè le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscano una sola entità (Sez. 6^, n. 28411 del 13/11/2012, dep. 1/07/2013, Santapaola, Rv. 256435; Sez. 3^, n. 13926 del 10/12/2011, dep. 12/04/2012, Valerio, Rv. 252615; Sez. 2^, n. 1309 del 22/11/1993, dep. 4/02/1994, Albergamo ed altri, Rv. 197250).
4.1. E' quanto si riscontra nel provvedimento impugnato, che ha puntualmente indicato le ragioni dell'impugnazione e vi ha dato coerente risposta, richiamando i principi che governano l'obbligo di controllo gravante sul datore di lavoro in tema di presidi antinfortunistici e la configurabilità della responsabilità del medesimo in relazione a profili di colpa generica correlati al generale obbligo, sancito dall'art. 2087 c.c., che incombe sul datore di lavoro a tutela dell'integrità fisica del lavoratore, ribadendo che nel caso concreto l'accertata disattivazione del presidio antinfortunistico fosse ascrivibile all'imputato anche in ragione del fatto che non potesse attribuirsi rilievo alla tesi difensiva secondo la quale dalle istruzioni d'uso della macchina emergeva la responsabilità dell'operatore nella disattivazione del sistema di sicurezza.
4.2. La motivazione della sentenza impugnata non presenta lacune o illogicità, potendosi ritenere che sia stata indicata con sufficiente argomentazione, adeguata anche al compendio probatorio del rito abbreviato scelto dall'imputato, la condotta antidoverosa ascrivibile al datore di lavoro, con logica deduzione ritenuta in correlazione causale con l'evento lesivo. La pronuncia impugnata resiste anche alla censura concernente l'omessa motivazione in punto di adeguata formazione del lavoratore, non essendo il giudice dell'impugnazione tenuto ad esaminare espressamente ogni specifica deduzione prospettata, qualora dalla motivazione nel suo complesso sia desumibile che l'abbia disattesa (Sez. 1^, n. 27825 del 22/05/2013, Camello, Rv. 256340).
A ciò deve aggiungersi che la condotta contestata all'imputato, qui ricorrente, si sostanzia in una condotta omissiva, la cui rilevanza penale è collegata alla cosiddetta posizione di garanzia attribuita, nella specie, al datore di lavoro; di talchè, sulla base dell'accertata sussistenza di uno specifico obbligo di agire, specificamente indicato nel capo d'imputazione, si è collegato l'evento dannoso alla condotta passiva del titolare della posizione di garanzia. Nell'ipotesi in cui la condotta omissiva contestata si concretizzi nella violazione di più disposizioni concernenti l'obbligo di agire (e nelle fattispecie di reato cosiddette causalmente orientate la norma indica l'evento ma non il meccanismo di produzione del medesimo), l'accertamento del nesso di causalità tra le condotte contestate e l'evento verificatosi si atteggia come ricostruzione ipotetica dell'efficacia di ciascun comportamento omesso. Ciò comporta che, verificata a mezzo del cosiddetto giudizio controfattuale, l'efficacia anche di uno solo dei comportamenti la cui omissione sia stata ascritta all'imputato, e ritenuto dunque che l'osservanza di uno fra i vari obblighi che si assumono violati avrebbe potuto evitare il prodursi dell'evento, non risulta decisivo ai fini dell'accertamento del nesso di causalità fra condotta ed evento, che il giudice di merito abbia escluso o non abbia preso in esame le contestazioni mosse con riferimento alla violazione di altro obbligo.
5. Deve, infine, evidenziarsi che il processo di primo grado si è svolto, su istanza dell'imputato, secondo le forme processuali del rito abbreviato cosiddetto semplice, la cui struttura prevede la decisione allo stato degli atti, con la conseguenza che risulta insindacabile in sede di legittimità tanto il libero convincimento del giudice di merito formatosi sul compendio istruttorio a sua disposizione, ove adeguatamente motivato, quanto la selezione degli elementi istruttori ritenuti decisivi in relazione all'ipotesi accusatoria, ove la parte ricorrente non ne abbia specificamente dedotto il travisamento.
6. Conclusivamente, la sentenza impugnata deve essere annullata ai soli effetti penali per intervenuta prescrizione del reato, con conseguente assorbimento dei motivi concernenti il trattamento sanzionatorio.
Il ricorso va, invece, rigettato agli effetti civili, con condanna del ricorrente al rimborso delle spese processuali, liquidate come in dispositivo, in favore della costituita parte civile G. R..
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, agli effetti penali, perchè il reato è estinto per prescrizione.
Rigetta il ricorso ai fini civili, e condanna il ricorrente a rimborsare alla parte civile G.R. le spese sostenute per questo giudizio che liquida in complessivi Euro 2.500,00 oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 11 marzo 2014.
Depositato in Cancelleria il 17 marzo 2014