Cassazione Penale, Sez. 6, 14 gennaio 2014, n. 1260 - Lavoratori autotomi e liberi professionisti: normativa antinfortunistica e obbligo di referto
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AGRO' Antonio - Presidente -
Dott. ROTUNDO Vincenzo - Consigliere -
Dott. CITTERIO Carlo - rel. Consigliere -
Dott. FIDELBO Giorgio - Consigliere -
Dott. DI SALVO Emanuele - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
M.S. N. IL (Omissis);
avverso la sentenza n. 5154/2011 CORTE APPELLO di TORINO, del 25/03/2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 13/12/2013 la relazione fatta dal Consigliere Dott. CARLO CITTERIO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Selvaggi Eugenio, che ha concluso per l'inammissibilità.
Fatto
1. M.S., nella qualità di medico di servizio presso il pronto soccorso dell'ospedale civile di Acqui Terme, era imputato del reato di cui all'art. 365 c.p. perchè, avendo prestato la propria assistenza in un caso che presentava i caratteri del delitto perseguibile d'ufficio, trattandosi di lesioni da infortunio sul lavoro con prognosi superiore a 40 giorni, ometteva di riferirne all'autorità competente (polizia giudiziaria e Spresal): condotta del 23-7-2006.
La Corte d'appello di Torino in data 25.3.2013 confermava la condanna deliberata dal Tribunale di Acqui Terme il 6.12.2010. In punto responsabilità, confrontandosi con la tesi difensiva (insussistenza del reato quantomeno in relazione all'elemento psicologico, atteso che l'infortunato aveva costantemente dichiarato, durante i diversi momenti dell'intervento sanitario complessivo, di essere libero professionista) la Corte distrettuale osservava che la normativa antinfortunistica trovava applicazione pure nei confronti di lavoratori autonomi e liberi professionisti (richiamando in proposito la L. n. 123 del 2007, art. 1, comma 2, lett. C) e che nel caso concreto il referto non trasmesso attestava quale motivo del "passaggio" al pronto soccorso "infortunio sul lavoro" con prognosi di "60 giorni s.c.". Il Giudice d'appello richiamava Cass. 18052/2001 (in materia di lavoro subordinato, osserverà il ricorrente) e concludeva che sussisteva la colpevolezza in ragione del consapevole accertamento di un infortunio in ambito di lavoro e della durata delle lesioni e quindi dell'obbligo di referto (attesa anche la natura di reato di pericolo della fattispecie incriminatrice), sicchè l'omissione doveva attribuirsi quantomeno a dolo eventuale.
2. Il ricorso personale dell'imputato enuncia unico motivo di erronea applicazione della legge penale per mancanza e, comunque, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione. Deduce l'incomprensione da parte della Corte d'appello della questione di diritto che doveva essere risolta per affermare nella specie sussistente l'obbligo di referto: incontestata la sussistenza di obblighi prevenzionali anche per lavoratori autonomi e professionisti (ancorchè la L. n. 123 del 2007 richiamata nella sentenza impugnata sia successiva ai fatti), in questo caso il punto era non la responsabilità del libero professionista nei confronti di se stesso o di altri, bensì l'eventuale sussistenza della responsabilità di un terzo per il suo infortunio. Su tale punto, del tutto inconferenti dovevano considerarsi i richiami della sentenza ai principi giurisprudenziali afferenti il lavoratore subordinato, perchè per definizione questi ha un datore di lavoro destinatario di obblighi specifici nei suoi confronti. Conseguentemente, nella prospettazione del fatto che si era concretamente presentato al clinico sarebbe mancato all'evidenza ogni carattere di delitto idoneo ad attivare l'obbligo di referto.
Questa prospettazione difensiva sarebbe rimasta priva di risposta, avendo in definitiva la Corte d'appello ignorato il tema, pur puntualmente dedotto nell'impugnazione devolutale, argomentando solo, come detto, da giurisprudenza relativa al lavoro subordinato, contesto strutturalmente del tutto diverso da quello del caso concreto.
Secondo il ricorrente la Corte d'appello avrebbe altrimenti dovuto assolvere l'imputato quantomeno per errore sui presupposti di fatto, scusante secondo l'insegnamento di Sez. 6, sent 11534/1997.
Diritto
3. Il ricorso è fondato nei termini che seguono.
La difesa aveva devoluto alla Corte d'appello la questione della buona fede del medico, cui era stata prospettata una situazione (l'infortunio sul lavoro del libero professionista) che, per sè, era priva dei caratteri dell'evidenza di una possibile rilevanza penale di terzi per fatto procedibile d'ufficio.
La Corte d'appello non contraddice in fatto la qualità di libero professionista dichiarata, nè ipotizza la falsità di tale rappresentazione (tantomeno, in tale evenienza, spiegando sulla base di quali elementi in fatto il medico avrebbe dovuto nel caso accorgersene).
Sembra poggiare la condanna sulla mera qualificazione di infortunio sul lavoro, tuttavia non consentendo di comprendere il rilievo in proposito dato al richiamo all'estensione degli obblighi di prevenzione anche a lavoratori autonomi e, afferma, a liberi professionisti.
Ed invero, l'estensione degli obblighi prevenzionali a tali categorie di soggetti (prescindendo dalla correttezza dell'affermazione quanto ai liberi professionisti perchè l'approfondimento del punto non rileva in concreto nella fattispecie) prevede forme tassative di loro responsabilità individuale sanzionate in via amministrativa (D.Lgs. n. 81 del 2008, artt. 21 e 60). A fronte invece di lesioni riportate "sul lavoro" dal libero professionista, da un lato quell'estensione non rileva, dall'altro la giurisprudenza penale relativa al rapporto di lavoro subordinato non può essere richiamata, senza "mediazioni interpretative" specifiche che diano conto di peculiarità in fatto della vicenda contingente. Perchè mentre per ogni lavoratore subordinato vi è un datore di lavoro destinatario di obblighi dedicati specifici, altrettanto e notoriamente non può dirsi per il libero professionista che sia effettivamente tale (ancorchè possa sussistere in astratto la responsabilità di un datore di lavoro nei confronti di terzi, e quindi anche del libero professionista, quando l'eventuale infortunio del terzo avvenga in ambiente di lavoro del quale un determinato datore sia responsabile e a causa di inosservanza di norme prevenzionali: Sez.4, sent. 23147/2012). Nè si può ignorare (perchè il cenno contribuisce ad evidenziare la necessità di un percorso logico diverso da quello possibile per il lavoratore subordinato) che la denuncia di infortunio sul lavoro da parte del libero professionista potrebbe esser fatta anche a meri fine assicurativi personali in contesti nei quali nessuna responsabilità di altri sia ipotizzabile, procedibile o meno che sia d'ufficio.
Si vuoi dire, in altri termini, che allo stato la motivazione della Corte d'appello può essere qualificata come apparente, perchè la risposta alla censura dell'impugnazione sull'elemento psicologico viene data rendendo sostanzialmente il problema della peculiarità dello status di libero professionista, e non di lavoratore subordinato, allo stato non contraddetta, dando rilievo ad un'estensione di obblighi che nella specie non rileva (essendo infortunato lo stesso libero professionista in ipotesi lui destinatario dell'adempimento degli obblighi "estesi"), e poi mutuando principi della giurisprudenza relativa alla relazione peculiare datore di lavoro/lavoratore subordinato senza spiegare la possibile pertinenza al caso, data per scontata.
Considerando allora che consolidato è l'insegnamento di questa Corte sulla rigorosa prova del dolo di omissione del referto (Sez. 6, sent 7034/1998, 3448/1998 e 3447/1998), si impone l'annullamento con rinvio per nuovo giudizio.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d'appello di Torino.
Così deciso in Roma, il 13 dicembre 2013.
Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2014